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18.3.24

padri di Daniela Tuscano

 Oggi si commemorano le vittime del #covid19. La ricorrenza è nazionale, ma nessuno la simboleggia meglio di Jihad, il giovane #palestinese che ogni giorno si arrampicava sulla parete dell'ospedale

dov'era ricoverata sua madre Rasma Salama, per poterla vegliare da lontano. In molti siamo stati Jihad, o avremmo voluto esserlo. Molti hanno salutato i propri cari solo dietro un vetro. Altri non hanno avuto nemmeno questa possibilità. Da allora sono trascorsi quattro anni. Rasma nel frattempo è deceduta, di Jihad abbiamo perso le tracce, ma la #Palestina sanguina più che mai; e il mondo intero trema sotto l'incubo di una #guerra, la #pandemia più devastante di tutte.Il «vaccino» in verità ci sarebbe. È il vaccino del #figlio, di chi sa di essere amato e a sua volta ama. Non esiste altro rimedio per le infermità che incontriamo o ci procuriamo.







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Oggi è anche una pagina cittadina, milanese, grigia Da #annidipiombo. Quegli anni non erano formidabili, ma #faustoejaio sì. Figli per sempre, rossi, #comunisti. Soprattutto, rossi di garofano, come il petalo allegato al necrologio di una mia amica dell'epoca. Un garofano di 46 anni accompagnato da una grafia adolescenziale, perché chi muore come Fausto e Jaio, per mano di #neofascisti (quelli veri) che controllavano il mercato della #droga, può essere solo giovanissimo. A Fausto e Jaio faceva male il mondo, avevano sogni, volevano liberare i loro coetanei dalla tossicodipendenza. Impresa impossibile, da folli; un «gioco da ragazzi»! Formidabili quegli anni? No. Formidabile, assurda la giovinezza, che una volta era tanta e affollata.

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Dai figli ai #padri. È morto il #19marzo, giorno di #sangiuseppe, e si chiamava Giuseppe. Era padre come #giuseppedinazareth, «putativo». #donpeppediana pensava a tutti i suoi «figli». Parlava con la sua presenza, col suo stare a #casaldiprincipe. Lo chiamavano «prete #anticamorra», ma era un prete che faceva il prete. Anch'egli aveva sogni, come i vecchi e i bambini del profeta #Gioele. Anch'egli fu tolto di mezzo «con ingiusta sentenza ». Ma senza questi padri - e questi figli - «sconfitti», l'umanità sarebbe scomparsa da un pezzo. Forse, non sarebbe mai esistita.

19.3.17

L’amara “festa” del papà di chi cerca il corpo del proprio figlio Il disperato appello del padre di Stefano Masala e la sua rabbia all’udienza per l’imputato accusato di avere ucciso il giovane di Nule

a  chi mi accusa  di  riportare  solo o per la maggior parte   storie    del nord  est   ecco una  storia   sarda  

 la  nuova sardegna del 19\3\2017
 da la  nuova  sardegna 

L’amara “festa” del papà di chi cerca il corpo del proprio figlio
Il disperato appello del padre di Stefano Masala e la sua rabbia all’udienza per l’imputato accusato di avere ucciso il giovane di Nule

di Gianni Bazzoni





marco masala

Si può stare in silenzio, lontano da tutti. Sbattere ogni cosa che ti capita per le mani e considerarsi devastato in maniera così violenta da sentire troppo fragili le fondamenta umane. Oppure si può decidere di non contenere la rabbia, di non fermarsi e parlare sempre. Anzi, di urlare il nome del proprio figlio, reclamare giustizia in ogni posto, anche nelle aule dei Tribunali dove periodicamente passano coloro che possono sapere qualcosa e - con la loro testimonianza - restituire a un padre almeno il diritto di dare sepoltura a quel figlio che nessuno sa più dove sia.
Marco Masala, padre di Stefano, il giovane di Nule scomparso nel nulla il 7 maggio del 2015, ormai ha deciso di andare avanti così. Puntando il dito e urlando, lanciando sfide a chi - secondo lui - non ha detto la verità e può chiarire il mistero che lega la sparizione di Stefano all’omicidio di Gianluca Monni, il 19enne ammazzato a Orune. Due vite cancellate in un vortice di follia che è impossibile persino raccontare perché la trama è un buco nero. E le sentenze ancora non ci sono.
É rimasto solo Marco Masala dopo la morte della moglie, la signora Carmela, che ha atteso fino all’ultimo istante il ritorno di Stefano a casa. Oggi è la festa del papà, ma per chi ha perso un figlio è un giorno triste. Ancora di più per chi, come Marco, non sa neppure dove si trovino i resti di Stefano. E anche nel giorno della festa dei babbi, ha diritto di urlare con la forza che ancora gli resta.
«Ditemi dov’è mio figlio», l’ha detto e ripetuto senza abbassare lo sguardo, con il coraggio e la fierezza di chi porta nel cuore e nella mente il sorriso di quel ragazzo buono, indifeso, incapace di intuire il benchè minimo pericolo.
La morte di un figlio è la prova più dura che un genitore possa essere chiamato ad affrontare nella sua vita, un padre e una madre non si aspettano di sopravvivere ai propri figli, e quando succede mancano le parole per dirlo, si perde la dimensione di se stessi, ci si muove persi nel nulla, quasi senza nome. Marco Masala oggi non festeggia il 19 marzo perché tutto si è fermato a quella notte del 7 maggio, quando Stefano è uscito sorridente come sempre, ingenuo e felice. E non è più tornato. In tanti in questi lunghi mesi hanno chiesto “che cosa possiamo fare?”, senza avere risposta. Perché il conforto, gli abbracci e la solidarietà sono atti che possono aiutare quando è possibile condividere il proprio dolore per una storia che è finita. Invece la vicenda
di Stefano è ancora aperta, una ferita profonda che fa troppo male, e questo padre - oggi più degli altri giorni - ha il diritto di urlare con tutta la rabbia che si porta dentro: «Dite dov’è mio figlio». Chi lo sa parli, che sia un figlio o un padre poco importa. Gli altri stiano in silenzio.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...