Botham ha anche ironizzato sull'accaduto su Instagram, con un post in cui mostra un bel pesce e la didascalia: «La mia presa del giorno è stata questo barrauda, mentre io sono stato vicino ad essere la presa del giorno per tutti i coccodrilli e squali toro... Grazie ai ragazzi per avermi tirato fuori».
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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27.10.25
diario di bordo n 153 anno III Il gesto eroico dei minatori di Portixeddu ( fluminimagiore ) Nel 1877 hanno salvato da un naufragio l’equipaggio di un mercantile inglese., Dall’isola al mondo sulle onde radio. Una passione che non conosce crisi nonostante internet e il web
unione sarda 26\10\2025
L’intero equipaggio di un mercantile inglese salvato dall’eroico intervento dei minatori di Poertixeddu che, per quel gesto, ricevettero il ringraziamento della regina Vittoria d’Inghilterra. La ricerca per la catalogazione di un percorso dedicato agli appassionati di trekking nel territorio di Fluminimaggiore ha
permesso di riportare alla luce una suggestiva storia della fine del 1800 ormai sepolta dal tempo e sconosciuta anche a tanti fluminesi.
Il percorso
Tutto ha inizio con la ricerca sull’origine dei toponimi delle località, attraversate dal cammino Dei Bombaroli per la catalogazione dei sentieri in cui era impegnato Fabio Ravot, escursionista di Buggerru, che conosce ogni metro e la derivazione dei nomi degli incantevoli luoghi che vanno da Portixeddu e Capo Pecora. «Tutti tranne uno – racconta – non conoscevo l’origine del nome della cala di Su Bastimentu». La piccola “spiaggia” costituita da ciottoli di granito è ubicata nel tratto compreso tra la Grotta dei Colombi e l’insenatura di Muru Biancu. «Con molto impegno nelle ricerche – aggiunge Ravot – sono venuto a sapere che il nome derivava da un fatto accaduto nel 1877, proprio davanti alla costa e di cui ho trovato unica traccia nel Quaderni di Storia Fluminese degli storici locali Bruno e Alberto Murtas, padre e figlio».
La nave
Così si è scoperto che “Su Bastimentu” era un mercantile battente bandiera inglese, che, il 21 febbraio del 1877, si inabissò col mare in tempesta. L’equipaggio rischiava di annegare ma fu tratto in salvo dai minatori della miniera del villaggio di Portixeddu, che accorsero in soccorso dei naufraghi. Purtroppo il nostromo William Tucker di 31 anni, morì il giorno dopo a Fluminimaggiore e fu sepolto presso il vecchio cimitero del paese. «Per rendere omaggio al gesto eroico dei minatori – raccontano gli storici, Alberto e Bruno Murtas – la regina Vittoria d’Inghilterra, inviò all’allora sindaco Giacomo Garrucciu un cofanetto di palissandro, con due cucchiai e altri monili d’argento». Le notizie acquisite sul mercantile hanno permesso a Ravot di scoprire che un concittadino emigrato in Inghilterra stava già eseguendo delle ricerche in terra britannica. Si tratta di Aurelio Zanda, 64 anni: «Mi sono recato a Londra nell’archivio reale. – racconta lo stesso Zanda – Da lì sono riuscito a risalire al nome dell’imbarcazione, un veliero bialbero chiamato Thetis, dell’armatore Butson. L’equipaggio trasportava in Italia stagno e ritornava dopo mesi in Inghilterra carico di sardine. Era stato costruito e varato a Foewy. E proprio in questo centro della Cornovaglia, sono riuscito a risalire al nome del comandante della nave nel 1877. Si chiamava William Bealle. È morto nel 1925 ed è sepolto nel cimitero di Foewy. Ora le mie ricerche saranno dedicate al povero nostromo Tucker, che era originario del Goland. Vorrei dedicargli anche una croce con una targa in bronzo, presso il vecchio cimitero dove è sepolto». Intanto si prosegue la valorizzazione del sentiero dei Bombaroli. «Tracciare questo sentiero è stato per me come aprire un libro – conclude Ravot – che mi ha raccontato questa storia avvincente».
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Dall’isola al mondo sulle onde radio. Una passione che non conosce crisi e non è solo un vezzo romantico, un hobby d’altri tempi. Dove c’è una crisi, un’emergenza, una calamità naturale, i radioamatori non possono mancare ed è una rete che viene mantenuta ben oliata, pronta a intervenire e ad aprire le comunicazioni davanti a un’eventuale impossibilità di usare gli altri mezzi. Se il cellulare è muto, se internet non va, la radio c’è sempre. In Sardegna gli iscritti all’A.R.I., l’associazione radioamatori italiani, sono 160 e una rappresentativa isolana, il team Sardegna “IIØIARU”, si è appena consacrata come campionessa dei contatti radio nell’evento diploma 130/100 , una sfida indetta per i 130 anni della radio e i 100 della Iaru, l’Unione internazionale dei radioamatori.
La gara
Dal 15 settembre, al 15 ottobre oltre 63 mila radioamatori da tutto il mondo si sono collegati via radio con i loro colleghi italiani, 500 operatori divisi in 50 squadre. In 31 giorni, sono stati effettuati 650.410 collegamenti da 237 nazioni, la squadra sarda ne ha stabilito quasi 43 mila e si è aggiudicata il primo posto nella propria categoria e nella classifica generale. La procedura, immutata da decenni, prevede che un radioamatore invii con la propria radio un segnale e che dall’altra parte del globo, qualche altro radioamatore risponda. Il team era“capitanato” dalla Sezione A.R.I. di Olbia, con il supporto di soci delle sezioni di Cagliari, Carbonia, Capoterra e Sassari. «La squadra era composta da trenta radioamatori collegati dalle loro stazioni in tutta la Sardegna», racconta Roberto Alaimo della sezione olbiese, coordinatore nazionale delle stazioni marconiane.
Lo spirito di Marconi
Aleggia in Gallura lo spirito di Guglielmo Marconi che nel 1932, quando già aveva inventato la radio e vinto un Nobel, mise in contatto con le onde ultracorte il semaforo di capo Figari e quello di Rocca di Papa a una distanza di circa 270 chilometri. Oggi è la stazione marconiana IYØGA, dove intorno al 25 aprile, si celebra – come in tutto il mondo – il Marconi day in uno scenario mozzafiato. La stazione è gestita dalla sezione di Olbia nata nel 1974 e presieduta da Lucio Siddu.
La Protezione civile
L'A.R.I. e i suoi soci sono legati alla Protezione civile nazionale, in prima linea in tutte le maxi emergenze. Partecipano tutti i mesi alle prove di sintonia sulla “rete nazionale Zamberletti”, dislocati, a rotazione, nelle varie prefetture italiane e nei Centri radio mobili operativi, convocati dal ministero degli Interni. L’esercitazione serve per verificare che le apparecchiature siano pronte all’uso e che il territorio nazionale sia raggiunto in ogni più remota località. Per avere la patente di radioamatore serve una formazione e un esame e il comitato regionale Sardegna organizza corsi on line.
Radioamatore speciale
«Sempre più giovani si avvicinano a questo mondo», racconta ancora Roberto Alaimo, sulla radio ISØJMA: «Tra i nostri soci c’è Emanuele Delogu che ha preso la patente a 19 anni». Spesso c’è una tradizione familiare. «Io sono radioamatore dal 1983, e lo era anche mio padre Michele». Tra i ricordi, l’incontro con un radioamatore illustre, nell’etere IØFCG. «Ero invitato a un evento e mi hanno presentato Francesco Cossiga. Quando ha saputo che ero anche io un radioamatore ha voluto sapere tutto della mia strumentazione, di come avevo iniziato. È stata una piacevole chiacchierata». Cosa unisce i radioamatori? «Passione, curiosità per scienza e tecnologia e spirito di fratellanza».
2.10.25
gli stati esteri richiamo gli ambasciatori israeliani per le illegalità commesse contro la global flottiglia e la meloni per i 3 italiani tace o dice d'arrangiarsi
Lorenzo Tosa
5 h ·
Voglio leggerveli tutti, uno in fila all’altro.
Sono i nomi dei 33 italiani che sono stati sequestrati illegalmente dall’esercito di Israele e che ieri hanno scritto un pezzo di Storia del nostro Paese.
Voglio che rimangano qui a imperitura memoria, dopo che per oltre un mese sono stati insultati, derisi, offesi, incolpati dal governo italiano di complicità con terroristi, di voler far saltare la pace e ogni genere di accusa umanamente sopportabile.
Voglio che chiunque, leggendoli, possa dire che 33 patrioti - anzi partigiani - italiani ieri, 1 ottobre 2025, nelle acque internazionali al largo di Gaza, hanno compiuto un atto di Resistenza in supplenza morale, civile, umanitaria e politica (nel senso più alto) del governo italiano e di quasi tutti i governi europei e mondiali.
I loro nomi sono:
Pietro Queirolo Palmas
Antonio La Piccirella detto Tony
Simone Zambrin
Annalisa Corrado
Arturo Scotto
Margherita Cioppi
Michele Saponara
Paolo Romano
Saverio Tommasi
Maso Notarianni
Federico Frasca
Gonzalo Di Pretoro
Irene Soldati
Marco Orefice
Sara Masi
Lorenzo D’Agostino
Andrea Sebastiano Tribulato
Fabrizio De Luca
Paolo De Montis
Ruggero Zeni
Silvia Severini.
Nicolas Calabrese
Barbara Schiavulli
Benedetta Scuderi
Marco Croatti
Carlo Alberto Biasoli
Jose Nivoi
Adriano Veneziani
Alessandro Mantovani
Cesare Tofani
Dario Crippa
Giorgio Patti
Manuel Pietrangeli.
Grazie, solo questo.

5 h ·
Voglio leggerveli tutti, uno in fila all’altro.
Sono i nomi dei 33 italiani che sono stati sequestrati illegalmente dall’esercito di Israele e che ieri hanno scritto un pezzo di Storia del nostro Paese.
Voglio che rimangano qui a imperitura memoria, dopo che per oltre un mese sono stati insultati, derisi, offesi, incolpati dal governo italiano di complicità con terroristi, di voler far saltare la pace e ogni genere di accusa umanamente sopportabile.
Voglio che chiunque, leggendoli, possa dire che 33 patrioti - anzi partigiani - italiani ieri, 1 ottobre 2025, nelle acque internazionali al largo di Gaza, hanno compiuto un atto di Resistenza in supplenza morale, civile, umanitaria e politica (nel senso più alto) del governo italiano e di quasi tutti i governi europei e mondiali.
I loro nomi sono:
Pietro Queirolo Palmas
Antonio La Piccirella detto Tony
Simone Zambrin
Annalisa Corrado
Arturo Scotto
Margherita Cioppi
Michele Saponara
Paolo Romano
Saverio Tommasi
Maso Notarianni
Federico Frasca
Gonzalo Di Pretoro
Irene Soldati
Marco Orefice
Sara Masi
Lorenzo D’Agostino
Andrea Sebastiano Tribulato
Fabrizio De Luca
Paolo De Montis
Ruggero Zeni
Silvia Severini.
Nicolas Calabrese
Barbara Schiavulli
Benedetta Scuderi
Marco Croatti
Carlo Alberto Biasoli
Jose Nivoi
Adriano Veneziani
Alessandro Mantovani
Cesare Tofani
Dario Crippa
Giorgio Patti
Manuel Pietrangeli.
Grazie, solo questo.


è qu,i no aggiugo niente di mio perchè due parole sono troppe e una è poco .
14.9.25
vincere non è l'unica cosa che conta. E neanche partecipare. Conta fare quello che è giusto, nella vita come nello sport. Tim Van de Velde tornerà a casa dai Mondiali di atletica di Tokyo senza niente da mettere in bacheca
da https://www.fanpage.it/ più precisamente qui
ho letto che ai mondiali di toyo 2025 nei 3 mila siepi
ho letto che ai mondiali di toyo 2025 nei 3 mila siepi
Tim Van de Velde si ferma prima del traguardo ai Mondiali e torna indietro :il siepista belga si è fermatoprima del traguardo ed è tornato indietro quando ha capito che alle sue spalle c’era qualcun altro in difficoltà.
In lui , come i noi che leggiamo tale notizia , c'è la consapevolezza di aver nobilitato lo sport al suo massimo, nella sua accezione più pura.
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| da https://staticfanpage.akamaized.net/ |
L'atleta belga si è fermato a pochi metri dal traguardo della batteria dei 300o siepi, quando ha ‘sentito' – non c'è termine migliore che renda l'idea – che alle sue spalle c'era qualcun altro in grande difficoltà.
Allora si è voltato, è tornato indietro e ha accompagnato all'arrivo il colombiano Carlos San Martin dandogli la spalla: i due sono transitati praticamente appaiati sulla linea del traguardo, ultimi ma anche primi, tra gli applausi del pubblico allo stadio e quelli virtuali dei tifosi sui social.
Van de Velde era partito alla garibaldina nella terza batteria dei 3000 siepi ai campionati del mondo di atletica iniziati oggi in terra giapponese, ma dopo aver preso il comando della corsa è rimasto coinvolto in una caduta alla riviera, così come sono caduti in un altro frangente anche San Martin e l'etiope Lamecha Girma, detentore del record mondiale nella specialità e uno dei favoriti per le medaglie. Girma è riuscito poi a risalire e qualificarsi, mentre per gli altri due le cose non sono andate altrettanto bene.
Cosa è successo nei 3000 siepi ai Mondiali di atletica: il bellissimo gesto di Tim Van de Velde
Il 25enne siepista belga stava per finire penultimo la batteria, ma prima di concludere la gara e la sua partecipazione a Tokyo ha percepito le enormi difficoltà alle sue spalle di San Martin, che a malapena era riuscito a superare l'ultimo ostacolo sul rettilineo finale. A quel punto si è voltato e non ha esitato a fare la cosa giusta: tornare indietro e offrire il suo aiuto al collega visibilmente menomato. Van de Valde gli ha dato la spalla e insieme, a braccetto, hanno concluso la gara agli ultimi due posti. Uniti dal dolore fisico e dalla sofferenza morale per l'eliminazione, i due atleti hanno dato una splendida dimostrazione dei valori autentici dello sport.
"È stato un gesto naturale – ha detto il belga dopo l'arrivo – La sfortuna continua a perseguitarmi, questa è la terza competizione importante in cui mi ritrovo a terra. Sono super deluso, avevo ottime gambe e con questa caduta è crollato tutto. Poi ho avuto tutto il tempo per pensare negli ultimi giri e quando ho visto un altro in difficoltà, mi sono detto ‘perché no'. Dopotutto, la mia gara era rovinata. Non è stato molto, solo un bel gesto". È stato nobile, cheper una volta non è il colore di una medaglia, quello che vale.
21.7.25
anche questi sono servizi sociali Pulmino con persone disabili precipita nel torrente, l'assessora si tuffa e li soccorre: «Ho fermato l'emorragia alla gamba di un ragazzo»
L'incidente nel Vicentino, a rimanere ferite 8 persone. Ilaria Sbalchiero è infermiera di professione: «Uno di loro se la caverà in qualche giorno, un altro è in miglioramento. Sei sono usciti dal pullman con le loro gambe. I soccorritori sono stati straordinari»
È ancora visibilmente scossa Ilaria Sbalchiero, assessora ai servizi sociali e alla protezione civile del Comune di Recoaro Terme, ma anche infermiera. È stata tra le prime a intervenire sabato 19 luglio, quando un pulmino con a bordo ragazzi con disabilità dello spettro autistico è precipitato nel torrente Agno, lungo via della Resistenza. Poteva essere una tragedia immane, ma grazie anche al suo sangue freddo, e a quello di altri soccorritori, si è evitato il peggio.
Assessora Ilaria Sbalchiero, come ha vissuto quei primi minuti concitati?
«Ero di passaggio, per caso, perché stavo andando a casa. Ho visto della gente affacciata all’argine e mi sono fermata subito perché ho capito che c’era qualcosa che non andava. Quando ho realizzato cosa fosse accaduto, sono scesa insieme a una dottoressa per prestare aiuto e sono entrata nel torrente restando in contatto con il 118. La scena era devastante: il pulmino distrutto, i sedili divelti, ragazzi bloccati all’interno».
Qual è la cosa che l’ha scioccata di più?
«Che erano capovolti ed era impossibile entrare nel pulmino. Per me è stato un miracolo perché a pochi metri il torrente diventava più profondo e avrebbero potuto annegare».
Che situazione ha trovato una volta giunta sul posto?
«I ragazzi, per fortuna, erano tutti coscienti. Ma era difficile comunicare con loro, trattandosi di giovani con disturbo dello spettro autistico. Dovevamo capire se ci fossero emorragie o traumi seri, ma serviva delicatezza. L’autista, seppur ferito, ci ha aiutato. Una delle operatrici era invece in condizioni più gravi e doveva essere soccorsa immediatamente».
Cosa ha fatto a quel punto?
«Mi sono qualificata come infermiera e ho dato istruzione per bloccare un’emorragia a una gamba di uno dei ragazzi. Ho chiamato i soccorsi, ma erano già stati avvisati. Mi hanno fatto domande specifiche, se i ragazzi fossero coscienti, se respiravano e altre domande tecniche. Sono arrivati davvero prestissimo».
Qual è stato il momento più difficile da affrontare?
«Sicuramente l’impatto visivo. Dall’alto ho visto solo lamiere accartocciate. Ho pensato al peggio. Ma poi, quando ho riconosciuto i volti dei ragazzi, spaventati ma vivi, mi sono fatta forza. È stata un’emozione fortissima».
Come giudica la risposta dei soccorsi?
«Straordinaria. Voglio dirlo chiaramente: tutte le forze in campo hanno lavorato in modo rapido, coordinato ed efficace. In momenti del genere, ogni secondo è fondamentale, e qui è andato tutto nel migliore dei modi, per quanto possibile».
Cosa le rimane oggi di quell’esperienza?
«Tanta emozione e anche un senso di gratitudine. Poteva finire molto peggio, invece è andata bene, con qualche piccolo problema gestibile. A mente fredda, posso dirlo: è stato un miracolo. Ma anche un esempio di umanità e collaborazione è un lavoro di squadra eccezionale con Suem, che mi auguro venga ricordato».
Ha sentito qualcuno dei ragazzi?
«Mi hanno chiamato stamattina. Un ragazzo se la caverà in qualche giorno, un altro è in miglioramento. Sei sono usciti dal pullman con le loro gambe. La cosa importante è che in un incidente così grave, non sia accaduto il peggio. Io ho fatto solo il mio dovere, devo ringraziare i colleghi per la loro professionalità che ancora una volta hanno messo a servizio di chi aveva bisogno».
16.6.25
eroi . ma per la maggior parte del paese sono estranei....
o peggio .gente da sfruttare o deridere . infatti mentre avevo finito di pubblicare l'articolo :<<Aymane come Paolo >> inviatomi da Daniela Tuscano leggo tramite cronache della sardegna che
[....]
Articolo pubblicato ieri dal Dott. Marco Zavagli, direttore di Estense.com
Oggi mi hanno segnalato un commento sulla pagina Facebook di #estensecom, il giornale che dirigo.
Un agente, un pubblico ufficiale (credo non importi sapere di quale corpo), vantandosi - giustamente - di aver salvato un cagnolino, definiva ironicamente “risorse” chi viene da paesi che non rientrano nell’Unione Europea.
Mi sento di aggiungere che per “risorse” intendesse persone che arrivano in Italia da Africa, Asia, insomma quei posti dove la pigmentazione della pelle offre facili intuizioni di provenienza.
Dubito, insomma, si riferisse a statunitensi, svizzeri o altre nazionalità che per le stesse ragioni possono sentir definiti i propri cittadini come “extracomunitari”.
A quel pubblico ufficiale vorrei dire che Aymane, dall’alto dei suoi 16 anni, ha fatto capire a persone privatamente piccole come lui cosa vuol dire quel concetto sorpassato che risponde al nome di umanità.
Ai genitori di Aymane, invece, vorrei dire grazie per aver infuso nel loro figlio il valore della vita umana. A tal punto da sacrificare la propria per salvare quella di perfetti sconosciuti.
Aymane, lui sí, era una risorsa. Ma era una risorsa che purtroppo non abbiamo più.Qui la foto di Aymane, tratta dal suo permesso di soggiorno ottenuto per motivi familiari".
20.1.25
quando l'altruismo diventa eroismo la storia di buondestino lutzu che preferi morie anzichè far cadere un aereo su una scuola
ringrazio Gianni Solinas del gruppo fb sei di tempio se ..... . per avermi riportato e ricordato la storia di Buon destino Lutzu ( foto sotto a centro )
*** Un grave incidente di qualche anno fa***.
Il 14 dicembre 1960 muore in un incidente aereo nei pressi di Villafranca di Verona il giovanissimo ufficiale d'aviazione Buondestino Lutzu, tempiese non ancora venticinquenne. Durante un volo d'addestramento con il caccia 84-F un improvviso inconveniente gli fa temere che l'aereo possa andare a schiantarsi contro una grossa fabbrica e disattendendo l' ordine della torre di controllo rinuncia ad azionare il dispositivo di sicurezza che lo avrebbe sicuramente salvato e opta per una lunga virata che porta il suo aereo in aperta campagna. Muore sul colpo vittima di un altruismo che sfiora l'eroismo. La sua scomparsa suscitò in città un enorme commozione!
15.1.25
Giovanni Damiano ucciso perché smascherò i «baroni» della medicina che volevano pagamenti illeciti: l'omaggio all'eroe sconosciuto
https://www.msn.com/it-it/ corriere della sera
«Papà era nato a Milano, si era laureato in Agraria alla Statale, lavorava nella sede dell’associazione regionale degli allevatori e quel giorno, il 12 dicembre 1969, era in ufficio vicino a piazza Fontana: quando esplose la bomba, l’onda d’urto fece esplodere i vetri della sua stanza, le schegge gli arrivarono sulla scrivania. Rimase segnato da quell’evento, e da quelli che vennero dopo, le manifestazioni sempre più violente nelle strade, la tensione. Aveva conosciuto mia mamma a Saluzzo durante il servizio militare, e così maturò la decisione di andare a vivere in provincia. Io e mio fratello siamo nati a Milano,
eravamo piccoli, facevamo le scuole elementari, ci trasferimmo. Papà sentiva un pericolo e voleva proteggere la sua famiglia. Era come se cercasse di sfuggire a un destino. Non ci è riuscito».
Milano ha un (altro) eroe borghese che non ha mai conosciuto e non ha mai ricordato. Il titolo rimane nella storia della città per Giorgio Ambrosoli, l’avvocato ucciso dalla mafia nel 1979. Un eroe borghese è il capolavoro del giornalismo narrativo italiano che Corrado Stajano dedicò ad Ambrosoli. Amedeo Damiano invece venne assassinato a Saluzzo, in provincia di Cuneo, nel 1987: morì cento giorni dopo che due uomini gli avevano piantato cinque proiettili nelle gambe. Era direttore della Asl e aveva denunciato in procura il sistema marcio che dentro l’ospedale.
Giovanni Damiano è suo figlio, è nato a Milano nel 1972, oggi è consigliere comunale a Saluzzo, la cittadina dove, dopo il trasferimento della famiglia, nacquero anche un altro fratello e una sorella. Ricorda: «Ho conosciuto Stefano Ambrosoli, il nipote dell’avvocato, e ci siamo ritrovati in queste caratteristiche molto milanesi che avevano sia suo nonno, sia mio papà: rettitudine morale come elemento di identità, una certa grinta e serietà nel fare il proprio lavoro seriamente, valori profondi portati nell’impegno pubblico. Quella di papà era una carica politica, era un democristiano vecchio stampo, stimato per le sue capacità, ma certo non amico di tutti, non frequentava circoli e cene, sui principi era intransigente».
Gli assassini di Amedeo Damiano sono stati condannati per omicidio preterintenzionale: di fatto, una rapina finita male; sono state condannate anche le persone che lui aveva denunciato dopo la sua «inchiesta» personale e solitaria sull’ospedale. Cosa accadeva? «Il servizio sanitario nazionale era stato istituito da pochi anni. In provincia la gente aveva un rispetto sacro dei medici, un timore reverenziale, una forte soggezione. Molti baroni così continuavano a farsi pagare per prestazioni a cui invece i pazienti avevano diritto gratuitamente. Significa approfittare del proprio ruolo a danno di uomini e donne più deboli, senza strumenti culturali per ribattere, nel momento critico di un problema di salute. Persone semplici ingannate da persone potenti. Questo per papà era inaccettabile. Così presentò quella denuncia».
La provincia può rivelarsi molto più subdola, ambigua, pericolosa della grande città, soprattutto per chi non è organico. Oggi, oltre che dalla famiglia, la memoria di Amedeo Damiano è custodita e raccontata da «Libera Piemonte». La storia dell’eroe borghese milanese ucciso a Saluzzo torna a Milano 38 anni dopo grazie al lavoro di un giovane drammaturgo, Chicco Dossi, e di un attore, Christian La Rosa, che da stasera al 19 gennaio portano in scena al Teatro della Cooperativa uno spettacolo/monologo che si intitola Senza motivo apparente.
Racconta Giovanni Damiano: «Di Milano ricordo la ruota panoramica alle Varesine, la nonna abitava in via Appiani. Papà è stata la prima vittima di un omicidio politico nella sanità. È stato ucciso per aver denunciato malaffare e corruzione: che pochi anni dopo, con Tangentopoli, sarebbero esplosi proprio nella sua Milano. La sua storia e il suo sacrificio vanno ricordati perché l’omicidio è di tanto tempo fa, ma i problemi per i quali è stato assassinato sono ancora attuali. Pensiamo a quanti appetiti possano generare volumi di denaro pubblico così enormi. Noi dalla vicenda di nostro padre non abbiamo mai avuto alcun riconoscimento da parte dello Stato, né da qualsiasi istituzione. E certamente non parlo di un riconoscimento economico. Dobbiamo dare atto a nostra mamma di essere stata lei davvero eroica, a tenere insieme i pezzi di una famiglia devastata, con quattro figli che all’epoca avevano un’età tra i 2 e i 17 anni, e che hanno iniziato a fare mille domande, a cui lei non aveva risposta, e neppure lo Stato».
A partire dalla «fuga da Milano», la storia di Amedeo Damiano è densa di coincidenze suggestive e drammatiche. A Saluzzo, il 27 settembre 1920, era nato Carlo Alberto Dalla Chiesa, figlio dell’allora capitano dei carabinieri nella cittadina. Il generale e prefetto, poi assassinato dalla mafia nel 1982, a Milano guidò storiche indagini contro il terrorismo.
Nell’ospedale di Saluzzo, quando era sotto la sua responsabilità, il dottor Damiano aveva fatto appendere ovunque questo cartello: «Le prestazioni mediche e le analisi sono a carico del servizio sanitario nazionale e non devono essere pagate».
9.11.24
Ian Botham, la leggenda del cricket inglese salvata dal rivale australiano: era caduto in acque infestate da coccodrilli
La rivalità sportiva, dopo tanti anni, si trasforma spesso anche in grande amicizia. Un caso particolare è quello di Ian Botham, leggenda del cricket inglese, che è sopravvissuto a una caduta in acque infestate da coccodrilli durante una battuta di pesca nel Territorio del Nord in Australia, salvato dal suo amico e rivale della Nazionale australiana, Merv Hughes.
La battuta di pesca I due stavano attraversando uno specchio d'acqua per raggiungere il resto del gruppo con cui erano partiti, quando Botham, 68 anni, è rimasto impigliato con le infradito in una corda mentre cercava di salire a bordo della barca ed è caduto nel fiume Moyle. È stato tirato fuori dall'acqua da Hughes, 62 anni, suo caro amico da quando si erano ritrovati più volte faccia a faccia sul campo da gioco negli anni '80. Botham ha riportato gravi contusioni sul torso, ma per il resto è uscito illeso da una situazione che poteva essere molto pericolosa. Nel fiume, infatti, vivono anche squali toro, che si nutrono degli scarti lasciati dai coccodrilli. «Alla fine della giornata Crocodile Beefy è sopravvissuto», ha detto al giornale australiano Herald Sun, paragonandosi ad una versione goffa e inglese del popolare personaggio Crocodile Dundee. «Sono uscito dall'acqua più velocemente di quanto ci sono entrato. Un bel po' di occhi mi stavano spiando. Fortunatamente non ho avuto tempo di pensare a cosa ci fosse nell'acqua» ha aggiunto il campione che è anche membro della Camera dei Lord del parlamento britannico.
La battuta di pesca I due stavano attraversando uno specchio d'acqua per raggiungere il resto del gruppo con cui erano partiti, quando Botham, 68 anni, è rimasto impigliato con le infradito in una corda mentre cercava di salire a bordo della barca ed è caduto nel fiume Moyle. È stato tirato fuori dall'acqua da Hughes, 62 anni, suo caro amico da quando si erano ritrovati più volte faccia a faccia sul campo da gioco negli anni '80. Botham ha riportato gravi contusioni sul torso, ma per il resto è uscito illeso da una situazione che poteva essere molto pericolosa. Nel fiume, infatti, vivono anche squali toro, che si nutrono degli scarti lasciati dai coccodrilli. «Alla fine della giornata Crocodile Beefy è sopravvissuto», ha detto al giornale australiano Herald Sun, paragonandosi ad una versione goffa e inglese del popolare personaggio Crocodile Dundee. «Sono uscito dall'acqua più velocemente di quanto ci sono entrato. Un bel po' di occhi mi stavano spiando. Fortunatamente non ho avuto tempo di pensare a cosa ci fosse nell'acqua» ha aggiunto il campione che è anche membro della Camera dei Lord del parlamento britannico.
6.8.24
Sevval Ilayda Tarhan,la donna cancellata che ha vinto l'argento con Yusuf Dikec ., Le Olimpiadi di Parigi sono state molto pubblicizzate come “le più sostenibili di sempre”, ma un evento così grande può essere davvero sostenibile per l'ambiente?,
da Team Commando 4 h
Lui l’hanno visto praticamente tutti.Lui è il tiratore turco che si è presentato alla gara del Giochi olimpici con la magliettina non stirata, nessuna attrezzatura speciale, le mani in tasca e ha vinto l’argento.
Da quel momento Yusuf Dikec è diventato un meme globale.
Ma c’è un fatto che dovete sapere.
Yusuf Dikec ha vinto l’argento con la collega Sevval Ilayda Tarhan, tiratrice di 24 anni.
Nella narrazione prevalente è stato raccontato come unico vincitore dell’argento. Invece c’era anche lei.
Stessa maglietta, stessa posa, stessa mano in tasca.
Dikec è sempre stato un ottimo tiratore ma per arrivare sul podio olimpico c’è voluta lei (nella gara individuale, Tarhan è arrivata 7°, Dikec 13°)
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da ilpost.it
Le Olimpiadi di Parigi sono state molto pubblicizzate come “le più sostenibili di sempre”, ma un evento così grande può essere davvero sostenibile per l'ambiente?

Negli anni in cui sono state pianificate e organizzate, le Olimpiadi di Parigi hanno molto promosso il proprio proposito di mettere in piedi un grande evento sportivo contenendone l’impatto ambientale. In particolare l’organizzazione si è impegnata a dimezzare le emissioni di gas serra causate da tutte le attività legate ai Giochi rispetto a quelle delle edizioni di Londra 2012 e di Rio de Janeiro 2016, che secondo le stime ammontarono all’equivalente di 3,3 e 3,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2). Più o meno le emissioni annuali di un piccolo paese come Malta.
Le Olimpiadi sono in corso e i dati ufficiali e completi sulle emissioni saranno diffusi in autunno, ma uno studio indipendente di quanto fatto negli anni di preparazione c’è già. Dice che la strategia per contenere le emissioni è «lodevole», ma anche «incompleta», che manca di trasparenza e non è stata comunicata con la chiarezza necessaria per farne comprendere i limiti, soprattutto nei primi tempi, quando era stata promossa in modo ingannevole, ad esempio dicendo che i Giochi di Parigi sarebbero stati «i primi con un impatto positivo sul clima». L’analisi tuttavia mette anche in discussione l’idea che qualsiasi Olimpiade, per come le concepiamo oggi, possa essere “sostenibile”.
Il solo fatto di radunare in una città decine di migliaia di persone che lavorano per i Giochi e di attirarne milioni per assistervi rende i grandi eventi sportivi incompatibili con gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi del 2015. La stessa organizzazione delle Olimpiadi di quest’anno ha stimato che più del 45 per cento delle emissioni prodotte saranno dovute al trasporto e all’alloggio degli atleti e degli spettatori.
Lo studio sulla strategia per il clima delle Olimpiadi di Parigi è stato pubblicato ad aprile ed è stato realizzato da Carbon Market Watch, un’organizzazione di ricerca non profit specializzata che riceve finanziamenti dall’Unione Europea, e dall’associazione francese Éclaircies, che analizza questioni legate all’ambiente per aiutare la collettività a capirle. Per quanto riguarda gli aspetti positivi, hanno riconosciuto alla strategia di sostenibilità delle Olimpiadi di quest’anno tre meriti. Il primo, in sostanza, è il fatto che esista una strategia.
Le Olimpiadi di Parigi sono le prime per cui sia stato fissato un obiettivo di emissioni massime (equivalente a 1,58 milioni di tonnellate di CO2) da rispettare e per cui conseguentemente sia stato elaborato un piano per contenerle. La parte più significativa di tale piano è la decisione di non costruire molte nuove infrastrutture per ospitare i Giochi e di privilegiare materiali da costruzione che comportano basse emissioni, come il legno. È una scelta che ha permesso anche un risparmio economico e che secondo la strategia dell’organizzazione consentirebbe di produrre solo un terzo del budget di emissioni fissato per le infrastrutture. È questo il secondo merito riconosciuto all’organizzazione di Parigi 2024 da Carbon Market Watch ed Éclaircies, sebbene non manchi qualche perplessità.
da ilpost.it
Le Olimpiadi di Parigi sono state molto pubblicizzate come “le più sostenibili di sempre”, ma un evento così grande può essere davvero sostenibile per l'ambiente?
Negli anni in cui sono state pianificate e organizzate, le Olimpiadi di Parigi hanno molto promosso il proprio proposito di mettere in piedi un grande evento sportivo contenendone l’impatto ambientale. In particolare l’organizzazione si è impegnata a dimezzare le emissioni di gas serra causate da tutte le attività legate ai Giochi rispetto a quelle delle edizioni di Londra 2012 e di Rio de Janeiro 2016, che secondo le stime ammontarono all’equivalente di 3,3 e 3,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2). Più o meno le emissioni annuali di un piccolo paese come Malta.
Le Olimpiadi sono in corso e i dati ufficiali e completi sulle emissioni saranno diffusi in autunno, ma uno studio indipendente di quanto fatto negli anni di preparazione c’è già. Dice che la strategia per contenere le emissioni è «lodevole», ma anche «incompleta», che manca di trasparenza e non è stata comunicata con la chiarezza necessaria per farne comprendere i limiti, soprattutto nei primi tempi, quando era stata promossa in modo ingannevole, ad esempio dicendo che i Giochi di Parigi sarebbero stati «i primi con un impatto positivo sul clima». L’analisi tuttavia mette anche in discussione l’idea che qualsiasi Olimpiade, per come le concepiamo oggi, possa essere “sostenibile”.
Il solo fatto di radunare in una città decine di migliaia di persone che lavorano per i Giochi e di attirarne milioni per assistervi rende i grandi eventi sportivi incompatibili con gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi del 2015. La stessa organizzazione delle Olimpiadi di quest’anno ha stimato che più del 45 per cento delle emissioni prodotte saranno dovute al trasporto e all’alloggio degli atleti e degli spettatori.
Lo studio sulla strategia per il clima delle Olimpiadi di Parigi è stato pubblicato ad aprile ed è stato realizzato da Carbon Market Watch, un’organizzazione di ricerca non profit specializzata che riceve finanziamenti dall’Unione Europea, e dall’associazione francese Éclaircies, che analizza questioni legate all’ambiente per aiutare la collettività a capirle. Per quanto riguarda gli aspetti positivi, hanno riconosciuto alla strategia di sostenibilità delle Olimpiadi di quest’anno tre meriti. Il primo, in sostanza, è il fatto che esista una strategia.
Le Olimpiadi di Parigi sono le prime per cui sia stato fissato un obiettivo di emissioni massime (equivalente a 1,58 milioni di tonnellate di CO2) da rispettare e per cui conseguentemente sia stato elaborato un piano per contenerle. La parte più significativa di tale piano è la decisione di non costruire molte nuove infrastrutture per ospitare i Giochi e di privilegiare materiali da costruzione che comportano basse emissioni, come il legno. È una scelta che ha permesso anche un risparmio economico e che secondo la strategia dell’organizzazione consentirebbe di produrre solo un terzo del budget di emissioni fissato per le infrastrutture. È questo il secondo merito riconosciuto all’organizzazione di Parigi 2024 da Carbon Market Watch ed Éclaircies, sebbene non manchi qualche perplessità.
Il 95 per cento degli spazi usati per i Giochi esisteva già oppure è una struttura temporanea che poi sarà smontata, ha detto l’organizzazione. Gli unici edifici che sono stati costruiti per l’occasione sono il Villaggio Olimpico, che ora ospita gli atleti, l’Aquatics Centre, dove si fanno le gare di nuoto artistico, pallanuoto e tuffi, una struttura per l’arrampicata e una che ospita i giornalisti nelle ore di lavoro. Tutti continueranno a essere utilizzati dopo la fine delle Olimpiadi, secondo i piani. In particolare, il Villaggio Olimpico diventerà un complesso di case e uffici e l’Aquatics Centre diventerà un impianto sportivo per il dipartimento Senna-Saint-Denis, a nord di Parigi. Sul tetto dell’Aquatics Centre sono inoltre stati installati dei pannelli fotovoltaici, grazie a cui la struttura è indipendente a livello energetico.

Parte dei pannelli fotovoltaici sul tetto dell’Aquatics Centre delle Olimpiadi di Parigi, il 28 dicembre 2023 a Saint-Denis (AP Photo/Lewis Joly)
La Société de livraison des ouvrages olympiques (SOLIDEO), l’impresa che ha costruito le nuove strutture, si era posta come obiettivo di emettere al massimo l’equivalente di 650 chili di anidride carbonica per metro quadrato, che sono meno della metà delle emissioni medie prodotte in Francia per costruire case e uffici. L’uso prioritario di materiali a basso impatto avrebbe dovuto consentirlo: finora però non sono state condivise pubblicamente abbastanza informazioni sui lavori per verificare in modo indipendente che l’obiettivo sia stato raggiunto, quindi Carbon Market Watch ed Éclaircies non hanno potuto esprimersi in merito.
La stima complessiva delle emissioni andrà comunque rivista perché il progetto del Villaggio Olimpico non prevedeva un sistema di aria condizionata ma un sistema di raffrescamento geotermico, che però non è stato giudicato adeguato da molte delegazioni atletiche del mondo col risultato che l’organizzazione ha poi installato 2.500 condizionatori portatili.
Il terzo merito riconosciuto da Carbon Market Watch ed Éclaircies all’organizzazione delle Olimpiadi di Parigi è di aver concentrato i siti della maggior parte delle competizioni in un’area relativamente ristretta: l’80 per cento delle strutture usate per le gare si trova in un raggio di 10 chilometri intorno al Villaggio Olimpico e l’85 per cento degli atleti può raggiungere i siti delle competizioni in cui è coinvolto in meno di 30 minuti. Inoltre sia gli atleti sia una piccola parte delle persone che lavorano ai Giochi può spostarsi usando dei veicoli a basse emissioni messi a disposizione dall’organizzazione.
Le cose sarebbero andate ancora meglio se, come da progetto, fossero state completate alcune nuove linee di trasporto pubblico che avrebbero reso tutte le strutture delle gare a Parigi raggiungibili senza automobile.
Ci sono poi vari altri aspetti della strategia per contenere le emissioni delle Olimpiadi di Parigi che secondo Carbon Market Watch ed Éclaircies non sono soddisfacenti.
Il primo è che non è chiaro come mai l’organizzazione si sia posta l’obiettivo di dimezzare le emissioni rispetto alle edizioni di Londra e di Rio de Janeiro (che si stimano essere state le più inquinanti di sempre nella storia delle Olimpiadi) e se sia stato fatto un qualche calcolo legato agli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi. È inoltre più grave che non sia stato trovato un sistema trasparente per confrontare le emissioni di queste Olimpiadi con quelle delle Olimpiadi passate né che sia stato messo in piedi un sistema di monitoraggio delle emissioni nel tempo.
In aggiunta a tutto ciò, tolto il settore dell’edilizia, la strategia per il clima non si occupa in modo sufficiente del resto delle fonti di emissioni, che complessivamente sarebbero i due terzi del totale secondo la stessa organizzazione delle Olimpiadi.

Il Villaggio Olimpico di Parigi, il 23 luglio 2024 (AP Photo/Rebecca Blackwell)
È vero che sempre nell’ottica di ridurre le emissioni è stato deciso per esempio che più del 60 per cento del cibo servito al Villaggio Olimpico fosse vegetale; e che per realizzare molti oggetti usati nei Giochi sono stati usati materiali riciclati (medaglie comprese: è stato sfruttato ferro scartato dalla Torre Eiffel). Ma secondo l’analisi delle due organizzazioni esperte di ecologia non si sarebbe fatto abbastanza. L’organizzazione delle Olimpiadi ha imposto ai propri fornitori di rispettare dei criteri di «neutralità carbonica» per i prodotti e i servizi acquistati dai Giochi, ma non ne ha dato una definizione precisa: per questo non è possibile stabilire davvero l’impatto di tutti gli oggetti usati nel Villaggio Olimpico e nelle altre strutture.
La stessa espressione «neutralità carbonica», che indica la condizione in cui si emette nell’atmosfera una quantità di gas serra pari a quella che si riesce ad assorbire, è ritenuta sensata solo quando si considerano le emissioni annuali di un paese o del mondo e per questo non dovrebbe essere usata in riferimento a prodotti, servizi o eventi. Lo dicono anche le linee guida del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) per ridurre l’impatto ambientale dei Giochi. Per questo usarla in altri contesti è considerata una forma di “greenwashing”, cioè di marketing che presenta in modo ingannevole un prodotto come positivo per l’ambiente o il clima.
Carbon Market Watch ed Éclaircies hanno anche segnalato che le aziende sponsor delle Olimpiadi non sono state selezionate tenendo conto delle iniziative per ridurre il loro impatto sul clima. Uno dei partner è ArcelorMittal, il grande gruppo produttore di acciaio, uno dei materiali a cui si devono più emissioni. «L’assenza di criteri relativi al clima per selezionare gli sponsor è un’occasione mancata per influenzare le grandi aziende», hanno scritto nella loro analisi.
Un altro grosso limite della strategia climatica delle Olimpiadi di Parigi è che non ha previsto un modo efficace per ridurre l’impatto dei numerosissimi viaggi aerei necessari per fare arrivare gli atleti e altri lavoratori a Parigi (o nella Polinesia francese per le gare di surf), per non parlare dei turisti. L’organizzazione aveva detto che avrebbe «incoraggiato, raccomandato o invitato» i visitatori a raggiungere Parigi in treno, ma senza dare ulteriori dettagli e senza impegnarsi con iniziative più impegnative.
Infine anche per quanto riguarda il consumo di energia elettrica c’è una pecca nella strategia per il clima delle Olimpiadi. L’organizzazione ha detto che tutta l’energia che sarà usata durante i Giochi è stata prodotta con fonti rinnovabili, ma senza specificare bene in che senso.
«Alimentata con il 100% di energia da fonti rinnovabili» infatti può voler dire cose diverse. Di solito quest’espressione si usa per indicare che sono state acquistate delle garanzie d’origine (GO), cioè dei certificati che provano che una certa quantità di energia da fonti rinnovabili è stata immessa nella rete elettrica: un fornitore può vendere sia energia prodotta direttamente con fonti fossili che “energia pulita” comprando queste garanzie d’origine. Ma le GO non garantiscono che l’acquisto di questa energia abbia stimolato una produzione di energia da fonti rinnovabili che altrimenti non sarebbe avvenuta. Il discorso è diverso se l’energia è acquistata da aziende che producono in proprio energia da fonti rinnovabili. Per sapere esattamente che energia viene usata a Parigi servirebbe una maggiore trasparenza da parte dell’organizzazione dei Giochi.
Al di là di queste valutazioni secondo Carbon Market Watch ed Éclaircies, ma anche secondo vari altri esperti di questioni ecologiche che criticano le Olimpiadi (come lo studioso statunitense Jules Boykoff, per cui i Giochi di Parigi sono «una lezione di greenwashing»), è lo stesso concetto che c’è dietro a essere poco sostenibile. Questi critici propongono di provare a ripensare i grandi eventi sportivi internazionali, mettendo in discussione l’idea di organizzarli in un’unica città o quasi, e considerando invece di distribuire le gare in vari paesi per ridurre i viaggi aerei necessari. Per farlo in modo equo si potrebbe ideare un sistema di sorteggio per evitare che gli sport più seguiti siano ospitati sempre dagli stessi paesi.
In alternativa si potrebbe pensare di organizzarli sempre nelle stesse tre o quattro città, in modo da usare sempre le stesse infrastrutture. Questo potrebbe limitare l’accessibilità ai Giochi in quanto pubblico per gran parte della popolazione mondiale, ma del resto già oggi per i paesi con meno risorse economiche è difficile prendere in considerazione l’idea di ospitare le Olimpiadi.
Tornando a Parigi, l’organizzazione è comunque consapevole che la strategia per il clima poteva essere migliore. «Volevamo dimostrare che un altro modello era possibile e creare un lascito per altri grandi eventi sportivi», ha detto Georgina Grenon, direttrice “dell’eccellenza ambientale” per le Olimpiadi di quest’anno: «Non sosteniamo di essere perfetti, ma vogliamo mostrare che le cose si possono fare in modo diverso rispetto al passato».
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quando uno sport dipenmde dal mare
Difficilmente si trova uno sport che dipenda così tanto da un singolo fattore incontrollabile, come il surf dipende dal mare. I surfisti si sfidano uno contro uno in round di mezz'ora (35 minuti nelle finali) in cui possono prendere tutte le onde che vogliono, avendo una volta a testa la priorità per scegliere l'onda migliore, e i giudici danno loro dei punteggi sulla base di varie cose che riescono a fare dentro e sopra l'onda. E se l'onda non arriva? Eh.

Parte dei pannelli fotovoltaici sul tetto dell’Aquatics Centre delle Olimpiadi di Parigi, il 28 dicembre 2023 a Saint-Denis (AP Photo/Lewis Joly)
La Société de livraison des ouvrages olympiques (SOLIDEO), l’impresa che ha costruito le nuove strutture, si era posta come obiettivo di emettere al massimo l’equivalente di 650 chili di anidride carbonica per metro quadrato, che sono meno della metà delle emissioni medie prodotte in Francia per costruire case e uffici. L’uso prioritario di materiali a basso impatto avrebbe dovuto consentirlo: finora però non sono state condivise pubblicamente abbastanza informazioni sui lavori per verificare in modo indipendente che l’obiettivo sia stato raggiunto, quindi Carbon Market Watch ed Éclaircies non hanno potuto esprimersi in merito.
La stima complessiva delle emissioni andrà comunque rivista perché il progetto del Villaggio Olimpico non prevedeva un sistema di aria condizionata ma un sistema di raffrescamento geotermico, che però non è stato giudicato adeguato da molte delegazioni atletiche del mondo col risultato che l’organizzazione ha poi installato 2.500 condizionatori portatili.
Il terzo merito riconosciuto da Carbon Market Watch ed Éclaircies all’organizzazione delle Olimpiadi di Parigi è di aver concentrato i siti della maggior parte delle competizioni in un’area relativamente ristretta: l’80 per cento delle strutture usate per le gare si trova in un raggio di 10 chilometri intorno al Villaggio Olimpico e l’85 per cento degli atleti può raggiungere i siti delle competizioni in cui è coinvolto in meno di 30 minuti. Inoltre sia gli atleti sia una piccola parte delle persone che lavorano ai Giochi può spostarsi usando dei veicoli a basse emissioni messi a disposizione dall’organizzazione.
Le cose sarebbero andate ancora meglio se, come da progetto, fossero state completate alcune nuove linee di trasporto pubblico che avrebbero reso tutte le strutture delle gare a Parigi raggiungibili senza automobile.
Ci sono poi vari altri aspetti della strategia per contenere le emissioni delle Olimpiadi di Parigi che secondo Carbon Market Watch ed Éclaircies non sono soddisfacenti.
Il primo è che non è chiaro come mai l’organizzazione si sia posta l’obiettivo di dimezzare le emissioni rispetto alle edizioni di Londra e di Rio de Janeiro (che si stimano essere state le più inquinanti di sempre nella storia delle Olimpiadi) e se sia stato fatto un qualche calcolo legato agli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi. È inoltre più grave che non sia stato trovato un sistema trasparente per confrontare le emissioni di queste Olimpiadi con quelle delle Olimpiadi passate né che sia stato messo in piedi un sistema di monitoraggio delle emissioni nel tempo.
In aggiunta a tutto ciò, tolto il settore dell’edilizia, la strategia per il clima non si occupa in modo sufficiente del resto delle fonti di emissioni, che complessivamente sarebbero i due terzi del totale secondo la stessa organizzazione delle Olimpiadi.

Il Villaggio Olimpico di Parigi, il 23 luglio 2024 (AP Photo/Rebecca Blackwell)
È vero che sempre nell’ottica di ridurre le emissioni è stato deciso per esempio che più del 60 per cento del cibo servito al Villaggio Olimpico fosse vegetale; e che per realizzare molti oggetti usati nei Giochi sono stati usati materiali riciclati (medaglie comprese: è stato sfruttato ferro scartato dalla Torre Eiffel). Ma secondo l’analisi delle due organizzazioni esperte di ecologia non si sarebbe fatto abbastanza. L’organizzazione delle Olimpiadi ha imposto ai propri fornitori di rispettare dei criteri di «neutralità carbonica» per i prodotti e i servizi acquistati dai Giochi, ma non ne ha dato una definizione precisa: per questo non è possibile stabilire davvero l’impatto di tutti gli oggetti usati nel Villaggio Olimpico e nelle altre strutture.
La stessa espressione «neutralità carbonica», che indica la condizione in cui si emette nell’atmosfera una quantità di gas serra pari a quella che si riesce ad assorbire, è ritenuta sensata solo quando si considerano le emissioni annuali di un paese o del mondo e per questo non dovrebbe essere usata in riferimento a prodotti, servizi o eventi. Lo dicono anche le linee guida del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) per ridurre l’impatto ambientale dei Giochi. Per questo usarla in altri contesti è considerata una forma di “greenwashing”, cioè di marketing che presenta in modo ingannevole un prodotto come positivo per l’ambiente o il clima.
Carbon Market Watch ed Éclaircies hanno anche segnalato che le aziende sponsor delle Olimpiadi non sono state selezionate tenendo conto delle iniziative per ridurre il loro impatto sul clima. Uno dei partner è ArcelorMittal, il grande gruppo produttore di acciaio, uno dei materiali a cui si devono più emissioni. «L’assenza di criteri relativi al clima per selezionare gli sponsor è un’occasione mancata per influenzare le grandi aziende», hanno scritto nella loro analisi.
Un altro grosso limite della strategia climatica delle Olimpiadi di Parigi è che non ha previsto un modo efficace per ridurre l’impatto dei numerosissimi viaggi aerei necessari per fare arrivare gli atleti e altri lavoratori a Parigi (o nella Polinesia francese per le gare di surf), per non parlare dei turisti. L’organizzazione aveva detto che avrebbe «incoraggiato, raccomandato o invitato» i visitatori a raggiungere Parigi in treno, ma senza dare ulteriori dettagli e senza impegnarsi con iniziative più impegnative.
Infine anche per quanto riguarda il consumo di energia elettrica c’è una pecca nella strategia per il clima delle Olimpiadi. L’organizzazione ha detto che tutta l’energia che sarà usata durante i Giochi è stata prodotta con fonti rinnovabili, ma senza specificare bene in che senso.
«Alimentata con il 100% di energia da fonti rinnovabili» infatti può voler dire cose diverse. Di solito quest’espressione si usa per indicare che sono state acquistate delle garanzie d’origine (GO), cioè dei certificati che provano che una certa quantità di energia da fonti rinnovabili è stata immessa nella rete elettrica: un fornitore può vendere sia energia prodotta direttamente con fonti fossili che “energia pulita” comprando queste garanzie d’origine. Ma le GO non garantiscono che l’acquisto di questa energia abbia stimolato una produzione di energia da fonti rinnovabili che altrimenti non sarebbe avvenuta. Il discorso è diverso se l’energia è acquistata da aziende che producono in proprio energia da fonti rinnovabili. Per sapere esattamente che energia viene usata a Parigi servirebbe una maggiore trasparenza da parte dell’organizzazione dei Giochi.
Al di là di queste valutazioni secondo Carbon Market Watch ed Éclaircies, ma anche secondo vari altri esperti di questioni ecologiche che criticano le Olimpiadi (come lo studioso statunitense Jules Boykoff, per cui i Giochi di Parigi sono «una lezione di greenwashing»), è lo stesso concetto che c’è dietro a essere poco sostenibile. Questi critici propongono di provare a ripensare i grandi eventi sportivi internazionali, mettendo in discussione l’idea di organizzarli in un’unica città o quasi, e considerando invece di distribuire le gare in vari paesi per ridurre i viaggi aerei necessari. Per farlo in modo equo si potrebbe ideare un sistema di sorteggio per evitare che gli sport più seguiti siano ospitati sempre dagli stessi paesi.
In alternativa si potrebbe pensare di organizzarli sempre nelle stesse tre o quattro città, in modo da usare sempre le stesse infrastrutture. Questo potrebbe limitare l’accessibilità ai Giochi in quanto pubblico per gran parte della popolazione mondiale, ma del resto già oggi per i paesi con meno risorse economiche è difficile prendere in considerazione l’idea di ospitare le Olimpiadi.
Tornando a Parigi, l’organizzazione è comunque consapevole che la strategia per il clima poteva essere migliore. «Volevamo dimostrare che un altro modello era possibile e creare un lascito per altri grandi eventi sportivi», ha detto Georgina Grenon, direttrice “dell’eccellenza ambientale” per le Olimpiadi di quest’anno: «Non sosteniamo di essere perfetti, ma vogliamo mostrare che le cose si possono fare in modo diverso rispetto al passato».
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quando uno sport dipenmde dal mare
Difficilmente si trova uno sport che dipenda così tanto da un singolo fattore incontrollabile, come il surf dipende dal mare. I surfisti si sfidano uno contro uno in round di mezz'ora (35 minuti nelle finali) in cui possono prendere tutte le onde che vogliono, avendo una volta a testa la priorità per scegliere l'onda migliore, e i giudici danno loro dei punteggi sulla base di varie cose che riescono a fare dentro e sopra l'onda. E se l'onda non arriva? Eh.
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È successo ieri al brasiliano Gabriel Medina, tre volte campione del mondo e tra i favoritissimi di queste Olimpiadi (è quello di questa foto), che durante la sua semifinale è riuscito a prendere in mezz'ora un'onda soltanto, e non particolarmente buona. Ha perso senza poterci fare niente. Subito dopo è iniziata la prima semifinale femminile e le onde sono tornate. Se la gara di Medina si fosse tenuta qualche minuto più tardi, è probabile che sarebbe finita in modo diverso. Alla fine Medina ha comunque vinto il bronzo nella finale per il terzo posto.
Seguire le gare di surf a queste Olimpiadi – a Tahiti, uno dei posti migliori al mondo per surfare – è stato particolare, come assistere a un rituale collettivo in cui si invocano il mare e l'onda. I telecronisti hanno detto di continuo cose come «serve che il mare ti dia qualcosa», o «il mare non ne vuole sapere». E quando proprio non ne vuole sapere, può succedere che hai guardato per mezz'ora due persone ferme su una tavola in mezzo al mare. Tutta questa attesa però rende allo stesso tempo esaltante il momento in cui l'onda arriva veramente: sempre che una balena non interferisca con la gara ( vedere mio post precedente per il video ) Il surf di Parigi 2024 si è concluso stanotte: ha vinto il francese Kauli Vaast nel maschile e la statunitense Caroline Marks nel femminile.
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Mentre grandi nazioni come gli Stati Uniti o la Cina, per citarne un paio, accumulano centinaia di medaglie d'oro, alcuni Paesi si distinguono per avere un unico trionfo olimpico. Questi straordinari atleti hanno reso orgogliosa la loro nazione, conquistando l'oro e mettendo il loro Paese sulla mappa dei vincitori ai Giochi Olimpici. Siete curiosi di conoscere questi momenti storici e i campioni che li hanno resi possibili? Scoprite le storie affascinanti degli eroi che hanno portato a casa l'unica medaglia d'oro del loro Paese! N.b per no appensatire troppo il post ne ho scelto due ( le alòtre le trovate Stars Insider )
1) Il nuotatore Joseph Schooling fece la Storia a Rio 2016. Non solo vinse la prima e unica medaglia d'oro di Singapore, ma lo fece battendo Michael Phelps nei 100m farfalla !
2) La Siria ha un totale di quattro medaglie olimpiche, ma i Giochi del 1996 ad Atlanta sono particolarmente speciali per questo Paese per via dell'oro dell'eptatleta Ghada Shouaa.
Dopo essere salita sul podio, Shouaa
è diventata la migliore eptatleta del mondo per due anni consecutivi ed è considerata una delle migliori atlete arabe di tutti i tempi.
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