lo so che tale evento è prassi normale come il cane che si morde la coda , e quindi non c'è ninte di nuovo . Maa se lo trova un richiedente asilo o un immigrato com 'è successo nella storia che leggete sotto allora ci sono dei commenti idioti e tendenti al razzismo ed alla exenofoibia come questo trovato sul msn.it \ bing da cui ho preso la notizia :
Gianfranco Torgani
Questa naturalmente è una messa in scena creata dalla sinistra per difendere quei poveri immigrati così maltrattati ! Ma non fatemi ridere !
PISA.
«Questa è la più bella risposta a chi, lo scorso novembre, lo ha aggredito senza un motivo. Questo dimostra che c’è ancora speranza, che ci sono giovani che un domani saranno uomini sui quali fare affidamento. E “Zack” ne è un esempio».
Una stretta di mano ha messo il lieto fine su una vicenda che perMauro Rocchi, 74enne pensionato pisano, sarebbe potuta trasformarsi in un’odissea. Ma non solo. Perché perZackaria “Zack” Oubamou, quella stretta di mano ha significato anche una rinnovata fiducia nella città che lo ha sostenuto dopo essere rimasto vittima di un brutale pestaggio in piazza Dante. Lui, studente-lavoratore di 18 anni, che ha trasformato in senso civico lo spirito di vendetta, anche questa volta non si è girato dall’altra parte. Quando ha visto un portafogli abbandonato nel bagno del bar di Borgo Stretto dove lavora, il “Casino dei nobili”, non ci ha pensato due volte: è andato dai carabinieri per consegnarlo ed, eventualmente, metterlo a disposizione di chi lo aveva perso. Quel portafogli, ormai “privo” dei pochi contanti che conteneva, era il “bottino” di un furto consumato pochi minuti prima a poche decine di metri dal locale in cui Oubamou lavora.
«Ero seduto su una panchina in Borgo Stretto quando mi sono reso conto che mi avevano rubato il portafogli – racconta Rocchi –. Arrabbiatissimo vado in questura per sporgere denuncia, non tanto per i soldi (solo trenta euro) ma per i documenti». Carte e tesserini che avrebbero costretto il 74enne ad una lunga trafila burocratica per riottenerli. «Niente di nuovo – aggiunge Rocchi –, episodi che capitano quotidianamente». Questa volta, però, con un finale diverso. «Due giorni dopo il furto, sono stato contattato dai carabinieri per avvertirmi che il mio portafogli era stato consegnato in caserma da un ragazzo. Ho chiesto di far aspettare la persona che lo aveva portato perché volevo ringraziarlo in qualche modo». In caserma il primo incontro, al bar di Borgo Stretto la stretta di mano. «L’ho ringraziato e offerto anche una piccola ricompensa che ha però rifiutato – continua il 74enne –: ennesimo gesto semplice, ma di grande valore, di un giovane che fa dell’educazione e della coscienza pilastri di una vita che qualcuno ha provato, senza motivo, a scalfire». Dopo il furto, il malvivente si era nascosto nel bagno del bar a caccia dei contanti conservati nel portafogli, poi abbandonato nel locale. «L’ho visto e non ci ho pensato due volte, l’ho consegnato alle forze dell’ordine – commenta il diciottenne –. Penso tutti avrebbero fatto lo stesso: l’ho fatto con il cuore perché mi sono messo nei panni dell’altro, pensando ad effetti personali che sarebbero andati persi per sempre e a un dispiacere che il furto di un portafogli può provocare».
Senso civico che Rocchi evidenzia «perché non scontato, soprattutto in un’epoca in cui si sente parlare dei giovani quasi sempre in maniera negativa». «La maggioranza dei giovani è invece come “Zack” – conclude il 74enne –: ragazzi che un domani saranno uomini sui quali fare affidamento».
La prima storia viene da Sassari da la nuovasardegna del 11\2\2025
Sassari «Mi sono bastate due settimane per capire che la gente ha ancora piacere a comprare un quotidiano, un settimanale un cruciverba». Originario di.una famiglia di commercianti, î nonni vendevano dolci e cioccolato al Corso, Marco Ginanneschi, sassarese di 37 anni, gestisce da dieci annila piccola tabaccheria di via Margherita di Castelvì,la stradina che parte da via Duomo e si affaccia su piazza Mazzotti, nel centro storico. Una quindicina di giorni fa, ha deciso di offrire un nuovo servizio ai suoi clienti: la vendita dei quotidiani.la tabaccheria di via Margherita di Castelvì, la stradina che parte da via Duomo e si affaccia su piazza Mazzotti, nel centro storico.
Un servizio fondamenta-le,inuna zona dove negli ultimi tempi troppe serrandesi sono abbassate: già da qualche anno ha chiuso l'eicola di piazza Colonna Mariana, e di recente è cessata l'attività anche in quel le di piazza Azuni.e porta Sant'Antonio, Così il commerciante,che dopo un periodo di lavoro da MeBDonald's a 27 anni aveva scommesso sulla.tabaccheria del centro, ora hadeciso di vendere anche quotidianie riviste.
«La scelta è stata fortunata-spiega Marco-in pochi giorni in tanti si stanno avvicinando alla tabaccheria per comprare La Nuova Sardegna».Grande tifoso. del Napoli per via di una passione giovanile per. Maradona, il 37enne, padre di due bambini, ha sistemato quotidiani, periodici e qualche cruciverba proprio all'ingresso dell'antica tabaccheria le cui mura e le antiche volte ad arco sono fatte di tufo.Dovunque, alle pareti, ricmami alla squadra del Cuore: sci azzurre, foto e il volto del Pibede Oro.«L'insegna che c'è fuori,con la seritta “Giornali” —spiega con soddisfazione —me l’ha regalata un cliente». La novità nel quartiere antico della città è stata ac-colta positivamente,, e .il commerciante ha deciso.Anche di offrire qualcosa in più ai suoi clienti. «Ho voluto aggiungere anche il servizio di consegna dei quotidiani
— spiega Marco Ginanneschi — per le attività commerciali della zona, ma anche ora gli anziani che non riescono ad arrivare da me. Devo alzarmi dal letto un po' prima lamattina, ma ne vale la pena. Il rapporto quotidiano con i clienti — prosegue -, poter commentare la prima pagina della Nuova Sardegna e i fatti principali è una bella novità a cui non ero abituato». inanne: Ginanneschi ha pochi dubbi: « la carta, leggere il quotidiano e toccarlo con le mani è tutta un' altra cosa rispetto a farlo con il telefono o computer». La sua nuova avventura ha anche un valore sociale . «Sono innamorato del centro storico—conclude il neo edicolante - spero nel mio piccolo, con questo servizio, a dare una mano al mio Quartiere. Serve però un impegno anche da parte dei sassaresi per non lasciare morire questa zona della città»
la seconda dalla mia cittadina dala nuova sardegna e da web
dopo quasi 70 anni di cui 20 dalla gestione di Raffaele ( foto nell'articolo sotto ) ha chiuso un edicola storica del mio paese
Da qualche giorno l’edicola del Corso ha cessato la sua attività. Non solo non vende più riviste e giornali, cosa che ha fatto per più di 70 anni, ma non esiste proprio più. Cessata l’attività e dismessa dal vecchio titolare, è stata fisicamente rimossa. A notarne la mancanza sono tanti tempiesi, ai quali quella rimozione di un tassello del loro recente passato non poteva, certo, passare inosservato.
Tanto più che, con la chiusura della storica edicola di corso Matteotti, scompare uno dei punti di ritrovo tra i più simbolici per più generazioni di tempiesi. Ma non solo: di edicole, oggi, ce n’è solo una – quella di piazza Gallura – oltre a due punti di rivendita che assolvono la stessa funzione commerciale. In pochi anni si è ridotto drasticamente il numero di esercizi in cui poter acquistare riviste, fumetti e quotidiani.
In passato, la città ne ha avuto quattro, più altri locali adibiti alla rivendita di
materiale editoriale. Ora il loro numero, in pochi anni, si è più che dimezzato. Le ragioni e la portata del fenomeno sono note e riguardano l’intero Paese.
In un comunicato di Unioncamere del gennaio 2024 si legge, ad esempio, che negli ultimi quattro anni, sono state ben 2.700 le edicole che hanno chiuso i battenti. I numeri si fanno più impressionanti se si considera che, a partire dal 2003, i punti vendita si sono ridotti a meno di un terzo, passando da 36 a 11mila.
A Tempio però l’edicola del corso non è stata solo un esercizio commerciale. Lo si capisce dai tanti post con i quali nei social si è voluta commentare la notizia. Le opinioni sono le più varie, ma tutte hanno un elemento comune: la nostalgia per qualcosa che non potrà più esserci. E così c’è chi ricorda che, negli anni ‘60, l’edicola del corso riforniva di fogli protocollo tutti gli studenti attesi da un compito in classe. Molti hanno ancora presente la figura del primo titolare, Ziu Gino e della moglie , recentemente scomparsi e poi el figlio Marco , nel quale quel luogo di ritrovo veniva identificato. «C’idimu i ledicola di Ziu Gino», è stato il motto di generazioni di tempiesi che si davano appuntamento lì per poi passeggiare al corso o in piazza don Minzoni ed lo stato anche sotto Raffaele .
I commenti
C'è anche chi crede che la chiusura di una delle ultime edicole della città sîa attribuibile alla crisi che investe, come tutti i piccoli paesi della Sardegna e del sud d'italia, Tempio, attribuendonela responsabilità a chi gli amministratori, nella fattispecie non saprebbero guardare con lungimiranza a ciò che accade in
città.La considerazione di gran lunga più apprezzata, è però quella di chi fa notare che se tutti ì commentatori avessero comprato unquotidiano al giorno, anziché condividere gli articoli sui social come facebook, “a scrocco” e spesso in viola-
zione dei diritti delle testate, la serrata delle edicole avrebbe sicuramente regi-
Ripropongo questa foto, perchè la chiusura e la scomparsa dell'edicola ha emozionato tutti gli abituali frequentatori di uno spazio familiare, dove un sorriso ed una chiacchiera, scambiati con simpatia, offrivano momenti di allegria e serenità. Grazie Raffaele e auguri per la nuova scelta di vita.
Un È un altro pezzo di epoca chiude, Voglio ringraziare Raffaele per la gentilezza e la disponibilità, l'ironia e e le risate , mai sentito dire una parola male ,grande Raffaele una brava persona.
ringrazio Gianni Solinas del gruppo fb sei di tempio se ..... . per avermi riportato e ricordato la storia di Buon destino Lutzu ( foto sotto a centro )
*** Un grave incidente di qualche anno fa***.
Il 14 dicembre 1960 muore in un incidente aereo nei pressi di Villafranca di Verona il giovanissimo ufficiale d'aviazione Buondestino Lutzu, tempiese non ancora venticinquenne. Durante un volo d'addestramento con il caccia 84-F un improvviso inconveniente gli fa temere che l'aereo possa andare a schiantarsi contro una grossa fabbrica e disattendendo l' ordine della torre di controllo rinuncia ad azionare il dispositivo di sicurezza che lo avrebbe sicuramente salvato e opta per una lunga virata che porta il suo aereo in aperta campagna. Muore sul colpo vittima di un altruismo che sfiora l'eroismo. La sua scomparsa suscitò in città un enorme commozione!
Non ho figli o nipoti e quindi mi baso su osservazioni empiriche ed indirette cioè da figli e nipoti d'amici\che o dalle cronache dei media che vedono come protagonisti i giovani d'oggi , ma do ragione all'autore dell'articolo usciuto il 13\11\2022 sula nuova sardegna
Cercando , non ricordo cosa sono capitato su questa canzone del mio passato
In effetti riascoltandola come sottofondo alla lettura della storia che trovate sotto , mi sono reso conto che : << ...Solo mettendosi in gioco per migliorare un poco la vita si riuscirà a “sconfiggere” la morte". Viva la vida, muera la muerte! è la frase con cui i rappresentanti delle comunità zapatiste del Chiapas chiudono i loro discorsi di benvenuto agli ospiti che considerano loro amici. da La Grande Famiglia >> ed ciò che fanno certe persone come quella di cui riporto la storia
Repubblica 21\1\20120 dal nostro inviato FABIO TONACCI
L’italiana che cura i traumi dei bambini dell’Isis: “Li aiuto a uscire dal buio”
Anna Pelamatti, ex docente universitaria di Psicologia a
Trieste, ora lavora nel centro di Salute mentale per l’infanzia di
Duhok: uno dei pochi presidi in Medio Oriente, venti campi assistiti,
con un progetto sulla salute mentale per bambini e adolescenti affetti
da sindrome post-traumatica da stress.
DUHOK
- Li vedi cercare un equilibrio precario su una tavoletta di legno
nelle stanze colorate del centro di Salute Mentale di Duhok, e ti viene
naturale pensare che stiano giocando. Invece stanno provando a sentire
di nuovo il proprio corpo, irrigidito dalle morti, dalle bombe,
dall'Isis. Dalla paura che ancora li possiede e li costringe a farsi la
pipì addosso quando i rumori attorno assomigliano al fucile che spara.
Dalla diffidenza, che li sprofonda in un angolo della tenda, nel
silenzio. Bambini che sopravvivono nei campi profughi, bambini figli di
uno stupro, bambini che l'Isis aveva addestrato a fare il soldato,
bambini cui hanno rubato l'infanzia. La guerra li ha talmente violati
che non lo sanno più dire ciò che provano. Lo disegnano, al massimo. Una
casa in fiamme, un cuore spezzato, un viso rigato dalle lacrime.
Emozioni minime eppure enormi. "Ma un poco alla volta li tireremo fuori
dal buio", dice la psicologa Anna Pelamatti, che vive nel Kurdistan
iracheno in missione per Aispo, l'ong legata all'ospedale San Raffaele
di Milano, specializzata in interventi di cooperazione sanitaria e
presente in Iraq dal 2013.
Anna Pelamatti è una di quelle persone che ti fanno pensare che, in
fondo, la speranza è più potente dei missili. Sessantasei anni, ex
docente di psicologia, per dieci anni direttrice della Scuola di
specializzazione in neuropsicologia clinica a Trieste. Poteva godersi la
pensione, invece è qui nel centro medico di Duhok, in una terra
martoriata dai conflitti: venti campi assistiti, migliaia di casi
trattati, in sostanza uno dei rari progetti sulla salute mentale di
bambini e adolescenti dell'intero Medio Oriente.
Anna, come è nata la sua scelta?
"Sono andata in pensione nel 2016, a 63 anni. Potevo rimanere fino a 70
anni in quanto professore ordinario, ma ho voluto dare spazio ai
giovani. Due anni dopo mi contatta un amico che lavora a Duhok per
Aispo. Mi dice che il Direttorato della Salute locale ha bisogno di
aiuto perché la situazione era disperata. Nei campi profughi c'erano
adolescenti che si davano fuoco".
Non venivano curati?
"Qui non esiste la neuropsichiatria infantile e nemmeno una seria formazione in psicologia"
Perché ha contattato lei?
"I servizi sanitari a Trieste sono di tradizione basagliana. Per la
diagnosi e il trattamento usiamo il modello bio-psico-sociale che
integra i fattori biologici, sociali e relazionali col contesto
famigliare. Lavoriamo con gli amici e la famiglia del paziente, in altre
parole. In Kurdistan questo è fondamentale, perché lo stigma è ancora
forte..."
Lo stigma?
"Sebbene i curdi siano laici, democratici e attenti alla parità di
genere, rifiutano la malattia psicologica. Se ne vergognano, un po' come
in Italia 50 anni fa. Preferiscono rivolgersi all'autorità religiosa
piuttosto che a psicologi e psichiatri"
Quando è arrivata a Duhok?
"Nel febbraio del 2018 per una prima valutazione di 15 giorni. Mi sono
accorta che i bambini del Centro risultavano essere soprattutto
autistici o con ritardi mentali, ma solo perché gli strumenti
diagnostici erano tarati sull'Occidente. Era necessario un lavoro di
adattamento culturale dei test e dei questionari con cui si misurano il
quoziente intellettivo, il disagio sociale, i comportamenti a rischio.
Ero convinta di poter davvero aiutare questo gruppo di dottori curdi e
allora mi sono trasferita".
Si immaginava così la pensione?
"Avevo deciso di continuare a insegnare gratuitamente al dipartimento di
Trieste, però il progetto curdo mi ha conquistato. Sto bene e vivo
bene".
Quanto tempo passa qui?
"Otto mesi nel 2019. L'appartamento dove stiamo è in un palazzo
orribile, ma per lo meno c'è l'elettricità tutto il giorno ed è
controllato da un servizio di sicurezza armato. Dopo l'attacco
missilistico iraniano, ci è stato vietato di andare al campo di
Bardarash perché vicino alla base americana"
È sposata?
"No, e non ho figli. Ho un compagno"
Concorda con la sua scelta?
"Sì, l'abbiamo presa insieme. Il mio team è composto da cinque donne. I
nostri compagni non riescono a capire perché talvolta non riusciamo
neanche a fare una telefonata per un saluto, ma è perché usciamo di casa
alle 8.30 e rientriamo tardi. Dopo la guerra turca ai curdi del Rojava,
c'è un nuovo campo rifugiati con una popolazione che, per il 60 per
cento, ha meno di 15 anni. Immaginatevi quanto lavoro abbiamo da fare"
Che tipo di patologie mentali hanno?
"Presentano tutti la sindrome post-traumatica da stress. Si fanno la
pipì addosso durante la notte, o quando sentono un rumore che associano
alle bombe o agli spari. Poi attacchi acuti d'ansia o di panico, non
dormono, alcuni sono depressi. Nel campo di Bardarash ci sono bambini
che non riescono ad uscire dalle tende. 'Se esco arriva l'uomo col
fucile e mi spara', mi dicono".
I casi più gravi?
"I bambini yazidi. Hanno visto le loro madri stuprate e rapite
dall'Isis, e i loro padri assassinati. Ho conosciuto una donna yazida
che ha tre figli: uno è nato da uno stupro e la sua famiglia non lo
accetta, per cui lei dice che stava meglio quando era prigioniera dello
Stato Islamico perché allora le violenze avevano una causa. Il figlio
più grande ha 14 anni ed è stato un bambino soldato: ora non ha più
desideri, non parla, ha reazioni aggressive. L'Isis gli ha fatto il
lavaggio del cervello, dandogli anche un nome nuovo. È un bambino
intriso della violenza che gli hanno imposto. Considera l'angolo della
tenda il suo territorio, e non vuole che nessuno lo violi"
Come si curano adolescenti così provati?
"Bisogna farli ripartire da dove si erano fermati. Per prima cosa devono
ricominciare a sentire il proprio corpo, irrigidito da quanto hanno
passato. Gli facciamo fare esercizi di equilibrio in piedi su una
tavoletta basculante, ad esempio"
E per rieducarli alla socialità?
"Ci vuole molta pazienza. All'inizio li mettiamo accanto a un compagno,
schiena contro schiena, per recuperare la sensazione del contatto,
dell'esistenza dell'altro. Poi li facciamo respirare insieme per creare
un contatto più profondo, e li facciamo descrivere le emozioni"
E come, se non parlano?
"Lavorando attraverso il corpo, importantissimo veicolo dei sintomi
traumatici. Abbiamo un'artista curda che li aiuta a raffigurare le
emozioni con il disegno, con i suoni e con i gesti."
Riuscite a recuperarli veramente?
"Non si può parlare di guarigione, non tornano quelli di prima. Il vero
successo è che arrivino a riconoscere emozioni nuove e a pensare di
poter avere un futuro. L'approccio clinico integrato sembra dare buoni
risultati. Stanno uscendo dall'abisso in cui sono sprofondati. Piano
piano, un po' alla volta".
I fiori davanti alla stazione Farnese dei carabinieri dove prestava servizio Mario Cerciello Rega
anche se è un giornale vicino al pd stavolta repubblica ha ragione e concordo con il titolo
“Bestie straniere” e “lavori forzati”. Sul carabiniere ucciso propaganda sovranista senza freni I politici sparano subito le loro sentenze. Salvini inventa pene non previste, Di Maio chiede che i responsabili siano espulsi, Meloni batte tutti: "Basta far approdare animali". E l'onda web segue: "Colpa di Carola"
a chi mi manderà insulti , a chi si rimuoverà dai miei contatti social o smetterà di ricevere gli aggiornamenti del blog . dico solo questo Essere soddisfatti della verità che emerge non potrà mai oltraggiare la vittima quanto lo sciacallaggio attuato con la menzogna. Anzi, proprio il contrario. Mi trova infatti d'accordo
La soddisfazione che non fossero neri, africani e arrivati con i barconi ma bianchi, americani e arrivati con un volo di linea, sta mettendo un pelo in ombra la questione di un poveraccio ammazzato per niente.
Quel sorriso gongolante stona ai funerali, ve lo assicuro.
"Le parole sono importanti", diceva Nanni Moretti a bordo piscina, in Palombella Rossa. Scusate se lo ripeto ma in tempi in cui : << (.... ) Mio fratello vede tutto e il suo occhio non distingue\mio fratello vede tutto \ma il ricordo si confonde\urlano teorie\ rincorrono morali\la propaganda vince \con frasi sempre uguali \ Mio fratello ha rinunciato ad avere un'opinione\mio fratello ha rinunciato \ in cambio di un padrone \che sceglie al suo posto e che non può sbagliare \perchè ormai nessuno\ lo riesce a giudicare (....) >> ( cit ModenaCityramblers in oltre la guerra e la paura ) è ancora a ttuale
Lascio la parola al bellissimo articolo di DI CONCETTO VECCHIO su repubblica del 26\7\2019
Quelle che usiamo dicono quasi tutto di noi. Alle 9,10 di ieri, quando le agenzie hanno battuto da un quarto d'ora la notizia dell'uccisione del vicebrigadiere Mario Rega Cerciello, il ministro dell'Interno Matteo Salvini twitta: "Caccia all'uomo per fermare il bastardo, lavori forzati in carcere finché campa".
Ora, i lavori forzati non sono ancora previsti dal nostro ordinamento, né, in quel momento, è ancora chiaro chi sono gli assassini che hanno stroncato la giovane vita di un uomo che stava svolgendo il proprio dovere di servitore dello Stato, ma Luigi Di Maio, per non essere da meno di Salvini, dice, come recitando uno slogan orecchiato: "Se sono stranieri devono scontare il carcere a casa loro". E perché non in un penitenziario italiano?
È una giornata che ricorda un po' la tragedia del ponte di Genova. I populisti al governo non pesano le parole, non mostrano senso dello Stato, che sarebbe quello di assicurare quanto prima alla giustizia l'assassino.
"Bestie!" scrive sui social Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia. "L'Italia non può essere punto di approdo di certe bestie, spero questi animali vengano presi e marciscano in galera". Al Giornale Radio delle 11 Salvini chiama gli assassini "i due bastardi".
La ministra della Difesa Elisabetta Trenta scrive: "Tolleranza zero per i delinquenti". Persino una figura moderata come il sottosegretario M5S Stefano Buffagni su Facebook scrive senza continenza: "Tolleranza zero per questi vigliacchi assassini! Questi criminali devono marcire in carcere!". "Bastardi, vi troveremo!", dichiara Licia Ronzulli (Forza Italia). Anche Ignazio La Russa li chiama "bastardi".
Durante la Prima Repubblica, chi era al governo sapeva che la politica era un continuo esercizio di pedagogia. "La Dc", ha scritto una volta Marco Follini, "sapeva che doveva apparire più moderata" della pancia del Paese, invece che vellicarne gli istinti.
Tra i pochi sembra ricordarsene il premier Conte: "La morte del giovane vice brigadiere Mario Cerciello Rega è una profonda ferita per lo Stato. Faremo il massimo per assicurare i responsabili alla giustizia. La mia vicinanza alla famiglia e all'intera Arma dei Carabinieri" twitta. E il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: "Nel confidare che si arrivi rapidamente alla cattura dei criminali responsabili, desidero esprimere a lei, signor comandante generale, e all'Arma dei Carabinieri, la mia solidale vicinanza, rinnovando i sentimenti di considerazione e riconoscenza per il quotidiano impegno degli operatori dell'Arma a servizio dei cittadini".
Il comico Luca Bizzarri ha fatto un tweet che merita di essere riprodotto: "Sono figlio di un carabiniere. Un abbraccio immenso a chi soffre. Spero che l'assassino di stanotte sia arrestato, che sia processato in tempi brevi, che gli sia assicurata una difesa, che venga giudicato secondo la legge, che sconti la sua pensa in un carcere, non in una topaia".
Nel tardo pomeriggio trapela la notizia che sono stati arrestati due americani. Daniele Capezzone, figura di riferimento dei sovranisti, che in mattinata aveva accusato "i giornaloni di non dire la verità sul fatto che si tratta due nordafricani", cancella il tweet e ne scrive un altro: "Mentre stamattina gli identikit riguardavano possibili responsabili nordafricani dell'omicidio del carabiniere, ora pare che i maggiori sospettati, in stato di fermo, siano due cittadini americani".
Francesco Storace è sicuro del fatto che c'è chi brinda "perché sono stati fermati due americani". Per tutto il giorno, nei commenti ai tweet dei capi populisti, si insulta Carola: "È colpa sua se questi vengono in Italia". Salvini ritwitta un ragazzo che gli aveva dato "del lurido coglione", e rilancia quello di un tizio che ipotizza che l'assassino si possa essere difeso "dalla prepotenza delle forze dell'ordine". Un ministro dell'Interno che perde il suo tempo così. L'Italia, oggi.
non aggiungo altro perché due parole sono troppo e una è poco