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Valeria, un mese dopo: Venezia ricorda la ragazza uccisa a Parigi
Il papà della Solesin: "Tre religioni insieme, convinti della nostra scelta". Decine di richieste per borse di studio e iniziative in memoria della ricercatrice morta al Bataclandi Francesco Furlan
VENEZIA. «Abbiamo fatto quel che credevamo giusto di dover fare, e credo che la nostra scelta possa aver avuto un senso nella misura in cui sono stati tantissimi gli attestati di vicinanza e partecipazione che abbiamo ricevuto. Forse qualche corda e qualche cuore siamo riusciti a toccarli». Alberto Solesin è il padre di Valeria, la studentessa di 28 anni, dottoranda alla Sorbona, uccisa dai terroristi un mese fa nell’attentato del teatro Bataclan, e salutata il 24 novembre con una cerimonia civile in Piazza San Marco, con la partecipazione dei rappresentanti delle tre religioni monoteiste, oltre che i rappresentanti delle istituzioni, a partire dalla carica più alta dello Stato, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Una scelta che la famiglia Solesin aveva fatto per dare un messaggio di pace dopo un attentato dichiarato nel nome di Allah, una scelta di cui, come racconta il padre di Valeria, «restiamo fortemente convinti. Anche la messa a disposizione di Piazza San Marco da parte delle istituzioni è stata una cosa eccezionale, straordinaria». Cerimonia civile e non laica - come ha spiegato più volte la famiglia - proprio per non dare l’idea da tagliare fuori i credenti, cattolici, ebrei o musulmani che fossero. Ora l’idea del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro è di fare di Alberto Solesin, con un ruolo che dovrà essere maggiormente definito, un testimone per il dialogo e per la promozione della pace.
«Se il sindaco o chi per lui ritiene che da questa disgrazia si possa trarre un esempio o un insegnamento», aggiunge Alberto Solesin, «faccia la sua proposta e noi la valuteremo. Per me e per la mia famiglia però adesso è ancora troppo presto per ragionare di queste cose. Riceviamo quotidianamente proposte di borse di studio intitolate a Valeria o proposte di altre iniziative, e non riusciamo a tenere il conto di tutte». Tanto che la famiglia si augura che possa esserci una forma di coordinamento anche se è chiaro che in questa fase non possano essere loro a ricoprire questo ruolo.
Ma le tante richieste che arrivano alla famiglia per ricordare Valeria sono la prova della vicinanza e dell’affetto di tante istituzioni differenti, di moltissime persone e di tanti che, anche non conoscendo personalmente Valeria Solesin, hanno visto in lei e nel modo in cui la sua famiglia ha affrontato la tragedia, senza mai cedere alla rabbia e all’odio nei confronti degli altri, un esempio e un modello. Anche dopo il discorso letto da Solesin durante la cerimonia civile davanti a centinaia di persone in Piazza, a milioni davanti ai televisori per la scelta di molti canali di trasmetterlo in diretta.
«Qualcuno ci ha detto in questi giorni che la nostra famiglia ha rappresentato un esempio di compostezza e dignità quasi che noi potessimo significare un esempio per molti», disse Solesin, con la moglie Luciana Milani a sostenerlo, «e se questo è appena lontanamente vero, dico che questo era dovuto e dedicato a tutte le Valerie e Andrea che lavorano, studiano, soffrono e non si arrendono». Un messaggio a non arrendersi raccolto anche da coloro che vogliono continuare a coltivare i valori che ispiravano la vita di Valeria, ricordati dal padre nei giorni della tragedia: il lavoro (il lavoro femminile era la sua materia di studio all’istituto di Demografia), la solidarietà, la voglia di partecipazione e il coraggio di continuare. Valori che le erano stato trasmessi dalla sua famiglia, e che in molti adesso non vogliono dimenticare.
infatti sempre da la nuova venezia
Borsa di studio in memoria di Valeria
Mille euro per un alunno dell’istituto San Girolamo. La madre ringrazia: «La scuola è il luogo in cui si creano i cittadini»gli interventi sanitari, non solo quelli di emergenza, ma anche in favore di chi non ha protezione sanitaria
A riceverlo, dalle mani del presidente della «Misericordia» Giuseppe Mazzariol, Luciana Milani, la madre di Valeria: «Ringrazio non solo per la grande e umana comprensione, ma anche per il gesto fattivo in memoria di Valeria», ha detto Luciana. «Voglio ricordare», ha proseguito, «che sia io sia mio marito siamo impegnati nella scuola, un luogo importante perchè serve ad educare, a imparare a socializzare, a creare i cittadini».
Prima di lei è intervenuto il presidente Mazzariol, il quale ha ricordato uno degli interventi più citati del presidente Usa Franklin Delano Roosevelt, il quale aveva elencato l’importanza delle quattro libertà e, l’ultima, era quella dalla paura. «Alla morte», ha sottolineato chiaramente emozionato, «si risponde con la vita».
Prima ha spiegato che il corso di primo soccorso appena concluso è stato l’undicesimo e il prossimo anno, sicuramente, comincerà il dodicesimo. A parteciparvi (sono 18-20 lezioni) numerosi giovani. A tenerlo 18 docenti, tra cui 12 medici, quindi infermieri professionali e una capo sala, a dirigerlo è il dottor Lodovico Pietrosanti, ex dirigente del 118, e il coordinatore è anco Osti, ex primario Pronto soccorso San Donà. Le lezioni teoriche sono seguite a fine corso da una parte dedicata alla pratica, con simulate seguite da infermieri del Suem.
Ogni lezione è condotta da un professionista. Gianluigi Da Campo, traumatologo, parla di lussazioni e ferite;Maurizio Morgantin, anestesista, spiega in cosa consistono le alterazioni dell'apparato respiratorio. Lo stesso Pietrosanti illustra il corretto uso del defibrillatore.
Infine, hanno preso la parola il consigliere comunale Maurizio Crovato, in rappresentanza del sindaco che si trova a San Pietroburgo, il quale ha ricordato la sua eperienza dei 18 mesi di vigile del fuoco di leva: «Grazie proprio al corso di pronto soccorso credo dei aver salvato almeno tre o quattro vite». Quindi ha preso la parola don Dino Pistolato, in rappresentanza del Patriarca, e ha fatto riferimento all’anno giubilare della Misericordia indetto da papa Francesco. Infine il direttore generale dell’Asl 12 Giuseppe Dal Ben ha fatto l’elogio dei volontari della Misericordia che spesso operano accanto a medici e infermieri del Suem in una città difficile e unica per i soccorsi come Venezia. Infine, ha preannunciato che in previsione c’è l’inserimento dei volontari della Misericordia nel Pronto soccorso degli ospedali veneziani. In Italia le Misericordie nascono a seguito della saggia decisione di Napoleone di seppellire i morti fuori dai centri abitati per questioni sanitarie. A Venezia prima fu adibita l’isola di San Cristoforo poi quella di San Michele e nel 1824 proprio per evitare che si
perdesse il culto del suffragio dei morti nacque il primo sodalizio. Lentamente, poi, gli obiettivi sono cambiati e al primo posto della Misericordia sono gli interventi sanitari, non solo quelli di emergenza, ma anche in favore di chi non ha protezione sanitaria.
da http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cronaca/2015/12/15/
La volontaria trentina si racconta: «La mia lotta a Ebola e la rivincita di Nubia»
L’infermiera Rosa Crestani, di Albiano, da 10 anni con Medici senza frontiere. Una battaglia premiata dalla nascita dell’unica bimba sopravvissuta al virus
di Sandra Mattei
TRENTO.
Vent’anni dalla prima esperienza in Africa e dieci in Medici senza frontiere, in lotta contro le malattie infettive e, da due anni a questa parte, contro la più devastante, Ebola.
Questa storia la racconta Rosa Crestani, 46 anni, di Albiano, proiettata da quando ne aveva 26 in una dimensione dove carestie, guerre e malattie sono lo scenario quotidiano. E dove, qualche volta, succedono anche i miracoli, come quello della neonata Nubia, la prima mai guarita da una mamma malata.
«Tra agosto e settembre 2014 c'è stato l'apice della diffusione del virus Ebola ed ora, dopo più di 20 mesi di lavoro, si è entrati nella fase finale. In quei due mesi lavoravo in sede a Bruxelles 20 ore al giorno per seguire gli 11 progetti Ebola nei 3 Paesi colpiti ed allestire a Monrovia, in Liberia, il più grande ospedale mai realizzato, con 400 posti letto». Lei, che aveva sempre sperato di fare la volontaria in Africa, è riuscita a farne un lavoro, quando è entrata in Medici senza frontiere.
Quando è iniziato il suo impegno in Africa?
Dopo il diploma, ho lavorato per due anni all'ospedale Santa Chiara e sono quindi andata nel ’96 come volontaria nella Repubblica Centroafricana con un'organizzazione cattolica, le Caterinette, missionarie laiche dell'ordine di Santa Caterina, che cercava infermiere. Ho iniziato a lavorare in un ospedale con 100 posti letto, ma sul territorio c'erano 20 dispensari da controllare. Lì ho imparato tutto quello che so sulle malattie tropicali, ma ho anche seguito l’organizzazione dell'ospedale e dato una mano alle donne locali per avviare delle piccole attività commerciali. Sono stata in Repubblica Centrafricana 4 anni. Sono tornata nel 2000 ed ho fatto domanda in dicembre per entrare in Medici senza frontiere. Nel gennaio 2001 sono partita.
Come si sta evolvendo l'emergenza di Ebola?
Siamo entrati finalmente nella fase di declino. La Sierra Leone è già stata dichiarata libera da Ebola (quando per più di 42 giorni non ci sono nuovi casi), in Liberia il termine sarà verso metà gennaio (se non ci saranno casi) e in Guinea abbiamo appena rilasciato una bella bimba di nome Nubia, nata nel nostro centro e sopravvissuta al virus: è la prima volta nei 40 anni di storia di Ebola che un nuovo nato riesce a sopravvivere! Una bella bimba ritornata nella sua famiglia da un paio di settimane. Se tutto va bene anche la Guinea sarà debellata dal virus .
Come è stato possibile?
La madre, positiva, era arrivata in ospedale convinta di essere incinta di sette mesi. Purtroppo lei è morta poco dopo la nascita, ma la bambina non solo non era prematura, ma aveva buoni riflessi. Così tutto lo staff si è concentrato per salvare la piccola.
Come si è formata in questa specializzazione?
Mi hanno inviata in Ciad, dove c'era un'epidemia di morbillo e poi di meningite. Dovevo stare 2 mesi, invece sono rimasta 7 continuando un lavoro di sorveglianza nutrizionale dopo che le due epidemie erano terminate. In seguito sono partita come coordinatrice di progetti in Burundi per rispondere alle emergenze di crisi nutrizionali e per gli sfollati vittime di attacchi di ribelli. Dal 2005 sono entrata nell'équipe per le emergenze della sezione belga di Msf. Nei primi 14 mesi sono partita in 7 missioni, sempre nell'ambito di emergenze mediche e umanitarie soprattutto in Africa dove sono ancora diffuse la peste, il colera, il morbillo, la meningite, la Dengue ed Ebola. Ma le emergenze di cui si occupa l'organizzazione sono su tre fronti: da quelle sanitarie, alle catastrofi naturali a quelle provocate dall'uomo: guerre, sfollati, rifugiati. In questo momento mi occupo direttamente dei progetti in Ucraina, dei progetti post-terremoto in Nepal e supporto parte dell’azione nel soccorso in mare.
Come si sostiene Medici senza frontiere e come interviene?
Msf è attiva ovunque ci sia qualche emergenza. Siamo intervenuti in Myanmar e Siria, anche se in quest'ultimo paese abbiamo dovuto lasciare, per ragioni di sicurezza. Anche in Eritrea e Somalia non abbiamo accesso (qui abbiamo perso amici e colleghi): lavoriamo in più di 60 paesi. Ci sono cinque centri operativi a Bruxelles, Parigi, Amsterdam, Ginevra e Barcellona e ci sono 23 centri nazionali collegati alle operazioni (sia per reclutare volontari che per raccolta fondi). L’ufficio
di Roma, ad esempio, gestisce progetti direttamente ed è partner di Bruxelles, dove io lavoro. Per quanto riguarda i fondi, i finanziamenti di Msf sono all'88% di privati, non vogliamo finanziamenti da istituzioni governative, perché vogliamo mantenere la neutralità e la nostra indipendenza.
da http://laprovinciapavese.gelocal.it/pavia/cronaca/2015/12/15/
RONI
Rinuncia al regalo di Natale per aiutare i bambini africani
Il 13enne ha deciso di devolvere la paghetta ad Amref e sta promuovendo una raccolta di fondi in classe
BRONI. Ha rinunciato al suo regalo di Natale, una canna da pesca, per donare i suoi soldi, 150 euro, ad un’associazione di volontariato e adesso sta promuovendo nella sua classe, la seconda B delle medie Contardo Ferrini, una raccolta fondi per aiutare un compagno appena arrivato dal Camerun. Pietro Busi, 13 anni, è il protagonista di questi atti di generosità, semplici ma al contempo molto significativi in un momento in cui il mondo è lacerato da divisioni e odio. Nei giorni scorsi, il ragazzo si è presentato al banchetto allestito in piazza Garibaldi dal Gruppo amici di Amref, un’associazione benefica che sostiene progetti di sviluppo in Africa, per consegnare una busta contenente la sua offerta.
«In quinta elementare – spiega Pietro – avevamo fatto un progetto insieme ad Amref, che prevedeva lo scambio di disegni con alcune scuole del Kenya. Mi ha colpito molto questa cosa e allora ho deciso di dare i miei soldi ad Amref. Ho già iniziato la raccolta anche per l’anno prossimo». L’associazione promuove da alcuni anni uno scambio culturale tra gli studenti di Broni e quelli del distretto di Malindi, in Kenya. Ma la generosità del 13enne non si ferma qui. Nelle scorse settimane nella classe di Pietro è arrivato un ragazzo originario del Camerun, che purtroppo non dispone del materiale per disegnare: «E’ in classe da poco, saranno due – tre mesi – dice Pietro – abbiamo deciso di fare una colletta per acquistargli compassi, matite, pennarelli. Tutti hanno accettato con entusiasmo.
Domani pomeriggio, andremo insieme in una cartoleria per comperare tutto». Hai rinunciato a qualcosa per donare i soldi ad Amref? «A qualcosina sì – risponde - ma l’ho fatto con piacere». Pensi un domani di dedicarti al volontariato? «Sicuramente penso che da grande farò il volontario – dice - Voglio aiutare i bambini più sfortunati, credo che mi avvicinerò ad Amref perché mi ha colpito molto». «Vista la situazione del mondo in questo momento – spiegano Bruno Busi e Giuseppina Vinzoni, i genitori – è una bellissima cosa avere dei figli che accolgono spontaneamente le persone più sfortunate. Si è presentato con la sua busta e l’ha consegnata alle volontarie dell’associazione. Ci ha detto: "La canna da pesca me la porterà Babbo Natale e io preferisco dare questi soldi a chi è in difficoltà". E’ molto coinvolto in queste iniziative e siamo felicissimi perché siamo una famiglia
aperta». Il gesto ha commosso tutte le volontarie: «Grazie ancora alla generosità di Pietro – spiega Ornella Daturi, presidente del Gruppo amici di Amref - e alla sua famiglia che lo ha educato a grandi valori senza pregiudizi di razza nè di colore della pelle».
Franco Scabrosetti