avrebbe imposto uno stile nuovo nella politica, negli affari e persino nel tifo. Invece sempre più spesso ci tocca leggere di ragazzine a capo di una gang, e di madri assatanate contro qualsiasi autorità, dall’insegnante all’arbitro, si interponga tra il successo e i loro figli. Donne che, nel linguaggio e nei gesti, sembrano ispirarsi al più becero degli schemi maschili. Mi ostino a pensare che di modello ne esista un altro, basato sull’accoglienza e sul rifiuto della competitività ossessiva. Un modello femminile, si può dire? La vera rivoluzione consisterebbe nell’aderirvi tutti, anche i maschi.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
12.3.25
la parità sarà veramente tale quando smetteremo di stupirci se una donna compie le stesse azioni orribili che siamo abituati ad associare a un maschio: rivolgere un insulto sessista a una ragazzina
avrebbe imposto uno stile nuovo nella politica, negli affari e persino nel tifo. Invece sempre più spesso ci tocca leggere di ragazzine a capo di una gang, e di madri assatanate contro qualsiasi autorità, dall’insegnante all’arbitro, si interponga tra il successo e i loro figli. Donne che, nel linguaggio e nei gesti, sembrano ispirarsi al più becero degli schemi maschili. Mi ostino a pensare che di modello ne esista un altro, basato sull’accoglienza e sul rifiuto della competitività ossessiva. Un modello femminile, si può dire? La vera rivoluzione consisterebbe nell’aderirvi tutti, anche i maschi.
7.9.24
quando è femminicidio e quando violenza di genere . risposta al post<< Rebecca, medaglia crocifissa >> di Daniela Tuscano per Dols
è importante da comprendere:Femminicidio: Si riferisce all’uccisione intenzionale di una donna a causa del suo genere. Esso è la forma più estrema di violenza di genere e spesso avviene in contesti di relazioni affettive, sessuali o familiari. Le motivazioni dietro il femminicidio includono dinamiche di dominio e possesso, dove l’omicida non tollera l’autonomia o l’indipendenza della vittima.È un termine più ampio che include tutte le forme di violenza dirette contro una persona a causa del suo genere. Questo può includere violenza fisica, sessuale, psicologica, economica, matrimoni forzati, stalking e altre forme di abuso. La violenza di genere non riguarda solo le donne, ma può colpire anche uomini, bambini, anziani e persone LGBTQ+In Italia, il termine femminicidio non è specificamente definito come un reato autonomo nel codice penale. Tuttavia, il concetto di femminicidio è utilizzato per descrivere l’uccisione di una donna a causa del suo genere, spesso in contesti di relazioni affettive o familiari.Infatti nel Nel 2013, è stata introdotta una legge specifica per contrastare il femminicidio e la violenza di genere, nota come Codice Rosso. Questa legge prevede una serie di misure per prevenire e combattere la violenza contro le donne, inclusi l’inasprimento delle pene per reati come lo stalking e la violenza sessuale, e l’introduzione di aggravanti specifiche quando la vittima è una donna.In sintesi, mentre il femminicidio non è un reato autonomo, le leggi italiane riconoscono la gravità della violenza di genere e prevedono misure specifiche per affrontarla.
Ora su Sharon Verdeni io ci vedo di più ( ovviamentre senza sminuire e giustificare perchè sempre crimine abbietto e turpe si tratta ) come violenza di genere .
Ma soprattutto ( ovviamente senza giustificazione e sminuirlo ) il delitto è come evidenziato da quello fin qui emerso , dovuto al disagio psichico del carnefice . Infatti secondo quanto riporta l'ultimo n del settimanale Giallo
<< [.... ] da quello che sta emergendo dalle indagini è il profilo di un uomo che potrebbe aver già fa!o del male ad altre persone e che poteva uccidere ancora. È molto più di una suggestione: le parole della sorella sono una drammatica conferma a questa ipotesi. E allora cominciamo proprio dalla sorella Awa, studentessa di Ingegneria gestionale. La ragazza, in lacrime, ha rivelato come lei e la mamma Kadiatou Diallo, 53 anni, avesero fatto di tutto per fermare Moussa. Avevano presentato tre denunce ai carabinieri, inutilmente. In un verbale datato novembre 2023 si legge: «lo e mia madre ci siamo interessate al !ne di condurlo in una stru"ura di recupero, che ha sempre ri!utato. I controlli ci sono stati, ma solo per una questione di agibilità della casa, dopo l’incendio che c’è stato a luglio di un anno fa. Per mio fratello, invece, nessuno si è mosso. Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per a$darlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre ri!utato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza. Per un eventuale ricovero di mio fratello, invece, ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario». La ragazza è distru"a. Così come la sua mamma, già provata nel fisico da un ictus.
AVEVA DATO IN ESCANDESCENZE
Le denunce delle due donne risalgono a luglio e novembre del 2023 e a maggio del 2024. La prima dopo l’incendio appiccato in casa. La seconda per un episodio di violenza domestica: Moussa aveva dato in escandescenze rompendo un televisore, ribaltando la scrivania della sorella e mettendo a soqquadro la casa. Era stato chiamato il 118, ma lui si era barricato in camera e la cosa era !nita lì. Nel verbale dell’ultima denuncia, in!ne, spunta il coltello. Awa è tornata indietro con la memoria per ricordare questo terribile episodio: «Mi ha raggiunta alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con la lama. Io non mi ero accorta di niente, ma mia mamma, che dopo l’ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se ne è andato, ridendo». L’avvocato Stefano Comi, che assiste le due donne, ha aggiunto: «Moussa andava fermato, era fuori controllo. Picchiava e minacciava. Il sindaco e gli assistenti sociali lo sapevano, almeno un accertamento sanitario andava fa"o». Una vicina, allarmata dall’indole violenta di Moussa, era andata dal sindaco e in un’altra occasione aveva chiamato le forze dell’ordine. Ma niente di concreto era stato fa"o. Moussa non era nemmeno in cura. Com’è possibile che i servizi sociali non siano intervenuti ? >>
quindi chiedo a lei come a tutte le femministe di Dols perchè per voi è tutto femminicidio e patriacarto anche quando non lo è ?
18.6.24
Le sei wonder women di Tonara: «Gol di tacco? Meglio di testa»Le mamme che hanno preso il timone della storica Polisportiva locale. «Un impegno da affrontare con serietà, una dichiarazione d’amore per il calcio» e Danimarca, la Nazionale di calcio maschile rifiuta l’aumento di stipendio e garantisce la parità salariale per quella femminile
da la la nuova sardegna del 16\6\2024
Le sei wonder women di Tonara: «Gol di tacco? Meglio di testa»
di Alessandro Mele

Le mamme che hanno preso il timone della storica Polisportiva locale.
Tonara Tra quelle montagne ora sono più famose del torrone e il merito se lo sono conquistate, è il caso di dirlo, sul campo. L’esempio calza a pennello perché quello che hanno ottenuto per il loro paese non è cosa da poco: hanno salvato la Polisportiva Tonara. Sei donne, sei storie diverse da raccontare sono diventate sei calci di rigore imparabili. Gol che si moltiplicano se si calcola quanti bambini, quanti giovani, potranno continuare a sventolare maglie e bandiere rossonere. Quante famiglie potranno continuare a contare su un grande supporto sociale, quello di far crescere i propri figli sul manto erboso del proprio paese.
Perché il calcio a Tonara è scuola di vita, è una storia di rispetto reciproco, è storia d’amore per la maglia e per quel senso di appartenenza profondo che da sempre contraddistingue la purezza del dna montagnino. E così, tra le mille cose da organizzare per il settore giovanile e la prima squadra, le nove wonder women hanno il tempo e lo spirito di raccontare chi sono e da dove arriva tutta questa forza fatta di cuori di mamme ingabbiati in un animo da super tifose, quasi da ultras d’altri tempi.
A partire dalla presidentissima Maria Sau, 52 anni e mamma di Greta e Nina. Lavora in Comune nel settore finanziario. «Più che una passione, la sfida del Tonara è un mettersi alla prova – commenta –. Sono una donna del fare e quindi ho risposto “presente” all’esigenza di guidare la polisportiva. Vengo da una famiglia di 4 donne, mio padre ci ha trasmesso l’amore per il calcio e ce lo ha sempre raccontato. È vero, faccio un lavoro impegnativo, ma questo non è da meno. Vivo il calcio come un vero e proprio lavoro, per il Tonara non dormo la notte perché è la mia più grande passione. Inizio a essere stanca, ma mi sento un trattore, anche se non sono ancora andata al mare».
Poi c’è Cristina Sau, anche lei ha 52 anni ed è mamma di due piccole donne, Marika e Camilla. Per lei la passione per il calcio è nata in età più matura: «Ho fatto la fiorista per 13 anni – racconta col sorriso –, da 11 invece mi occupo di una ragazzina portatrice di disabilità. Una delle mie figlie, gioca a calcio da quando ha sei anni, in Serie C; ed è stata lei a trasmettermi questa grande passione. Ormai da 14 anni, la seguo da un campo di calcio all’altro. Sono sempre stata una spettatrice del Tonara, adesso la mia famiglia ha sposato questa sfida bella e totalizzante per tutti. Siamo veramente contenti e fiduciosi».
È la volta di Eleonora Porru, imprenditrice 40enne, è titolare di un torronificio. Ha due gemelli di 7 anni, Simon e Giommaria. «Fino a d oggi ho seguito il calcio solo da lontano – ammette – scegliendo di dedicare la maggior parte del mio tempo al lavoro. Non mi pento di aver scelto di occuparmi del Tonara, perché per me adesso è un modo per lasciare a casa i problemi della vita. D’altronde non c’è tonarese che non tifi questa squadra e io sono qui con l’obiettivo di rendere la polisportiva famosa almeno tanto quanto il nostro prodotto di nicchia che piace a tutti, ossia il torrone».
Noemi Deligia, 31 anni, nata a Belvì, è agente della polizia locale. La nuova stella di Tonara la porta in grembo, è al nono mese di gravidanza. «Sono una ex giocatrice, questo a sottolineare la mia passione per questo sport. Certo – prosegue –, la gravidanza mi ha un po’ allontanato dal campo, ma grazie all’entusiasmo di mio marito sto conciliando tutti gli impegni con serenità. Tifo il Cagliari e sono amante del calcio da sempre, anche in nome di questo desidero trasmettere a mia figlia questa stessa passione».
Tra chi guida la polisportiva c’è chi si deve occupare di tenere i conti e di occuparsi dell’anima degli atleti. È il caso di Maria Stefania Columbu, 57 anni di Ollolai ma residente a Tonara. È una funzionaria regionale nei centri per l’impiego. «Mi occupo di orientamento per i giovani disoccupati – dice – e questo abbiamo fatto anche con i giovani atleti del Tonara in termini di gestione del gruppo. Le donne forse riescono meglio a gestire le dinamiche dello spogliatoio e degli spalti. Ho due figli maschi che parlano solo di calcio e ora sto comprendendo la loro passione. Non so neanche cosa sia il fuorigioco, ma voglio occuparmi del lato umano delle cose».
Tra le sei, anche Rosalba Asoni, 57 anni e impiegata Inps: «Mio figlio gioca in prima squadra e anche io mi dilettavo con piacere. Questo progetto per me è una missione, una vocazione. Utilizzo il tempo che ho per il campo e per i nostri atleti».
Danimarca, la Nazionale di calcio maschile rifiuta l’aumento di stipendio e garantisce la parità salariale per quella femminile
Una riduzione che, in sostanza, prevede un taglio del 15% sulla copertura assicurativa per la squadra maschile e che permetterà al contempo di aumentare la copertura assicurativa di quella femminile del 50% in più rispetto al contratto precedente.
A giovare di questo gesto, però, non ci sarà soltanto la Nazionale calcistica femminile ma anche quella dell’Under 21 maschile che potrà usufruire di una copertura assicurativa del 40% in più rispetto al precedente accordo.
Michael Sahl Hansen, direttore del sindacato danese Spillerforeningen, ha poi chiarito quanto sia importante questo passo ai fini della contribuzione per migliorare le condizioni generali della Nazionale femminile: “È un passo straordinario per contribuire a migliorare le condizioni delle nazionali femminili. Quindi, invece di cercare condizioni migliori per se stesse, i giocatori hanno pensato di sostenere la squadra femminile. Quando abbiamo presentato il piano al team, composto da Andreas Christensen, Thomas Delaney, Christian Eriksen, Pierre-Emile Højbjerg, Simon Kjær e Kasper Schmeichel, erano molto soddisfatti”.
9.3.24
Donna,vita, libertà contro la cultura della guerra e della morte /e basta retorica alla mimosa…. di Pier Luigi Raccagni
Piccolo contributo alla giornata dell’ emancipazione femminile in tutte le forme storiche ed esistenziali acquisite.Hanno ragione le militanti del movimento a reclamare meno mimose e più attenzione ai bisogni.Lo sfruttamento della forza lavoro femminile,ad esempio,in Italia non si è mai fermato, così come il senso di una società patriarcale a misura padronale e di possesso.E i femminicidi non sono di certo diminuiti,dopo il caso orrendo di Giulia Cecchettin.
E lo stupro delle donne israeliane ? E il massacro delle donne palestinesi? E le donne iraniane uccise per un velo? E Ilaria Salis in catene? L’ 8 marzo è anche un dolore che deve essere condiviso, un invito poi all’ unica rivoluzione possibile.E poi,poi ci sarebbe da sfoderare la retorica solita,di cui non si può fare a meno per cui da decenni l’8 marzo è venduto come qualsiasi altro prodotto,con suggestioni più mercantili che culturali.Ma le donne,le ragazze sanno quello che devono fare .
6.3.24
8 marzo . tessendo l'amore storia dell'associazione pugliese le costantine
25.9.23
quando la moda non esalta la perfezione assoluta dei corpi , ma ti accetta per come sei
Odio la moda e cerco di esserne succube e di farmi influnzare il meno possibile . Infatti concordo con questo interessante articolo ( da cui ho preso la foto del post )
di https://www.facebook.com/alfemminile
Anni e anni di pubblicità, cartelloni appesi per la città e sfilate ci hanno abituate e abituati all’idea che solo un determinato corpo potesse (e meritasse) di sentirsi sexy e a proprio agio in intimo. D’altronde, ancora oggi, è difficile che modelle dai corpi non convenzionalmente magri vengano scelte (specie dai grandi marchi della moda) per indossare lingerie o costumi da bagno. Questa mancata rappresentazione finisce, quindi, per convincerci dell’esclusività di determinati capi, la cui possibilità di essere indossati si trasforma così in privilegio. Un privilegio che ieri, durante la Milano Fashion Week, Dolce e Gabbana ha reso diritto, facendo sfilare in lingerie corpi diversi ma ugualmente (e sapientemente) valorizzati da mise che di norma vengono associate a un’unica taglia. Anche se di strada da percorrere ce n’è ancora tanta, e di passerelle da calcare altrettante, ci auguriamo un futuro quanto più prossimo in cui trovare la propria taglia di reggiseno non sia più impresa ardua e dove chiunque possa disporre del diritto a sentirsi felicemente a proprio agio con la propria sensualità, se lo desidera, ma soprattutto con il proprio corpo, qualunque cosa indossi.
14.6.23
1943. Nella #polonia invasa dai #nazisti brilla la stella di #mariannabiernacka, sacrificatasi al posto della #nuora giovane e #incinta da https://www.dols.it/
“Se proprio ci tieni, vecchia”.
La donna cui l’ufficiale nazista scaglia in faccia quest’epiteto ha solo 55 anni, età che oggi nessuna, almeno nell’opulento Occidente, assocerebbe al tramonto della vita. Al massimo al periodo maturo, ancor rigoglioso di fascino e lusinghe. Vecchio, qui da noi, non è del resto più nessuno: la parola viene ritenuta scorretta e offensiva proprio come al tempo delle dittature, che disprezzavano i corpi in declino e magnificavano i fisici freschi e atletici, salvo poi mandarli a morire in guerra. Ma Marianna Biernacka (1888-1943) della vecchiaia non ha paura. La sua è una generazione concreta. Consunta anche, certamente. Sa che il tempo ha pochi spazi e ci vive dentro, nelle stagioni e tra le fatiche. E poi, a vederla, dimostra almeno dieci anni di più. Vecchia, d’accordo. E allora? Il suo periodo è quello, è madre, suocera, nonna, e fuori impazzano le bombe e la sua Polonia è invasa dalle truppe di Hitler. Marianna abita in due stanze assieme al figlio, alla moglie di lui e a una loro bimba piccola. Non si sono potuti permettere un appartamento proprio, sono poveri, e non si capacitano nemmeno della furia tedesca: oltre a non possedere nulla, non si occupano di politica e sono sempre stati devoti e modesti. Alcuni partigiani polacchi, rifugiatisi nei pressi, hanno ucciso in un attentato membri della Wehrmacht e per rappresaglia questi ultimi hanno preso a caso, o a casaccio, i primi civili sotto tiro. La sorte cade proprio sulla famiglia di Marianna. Solo che la sua richiesta suona bislacca anche al gerarca, forse la considera davvero una vecchia rimbambita. D’altronde, a chi importa? Se tanto ci tiene, la “vecchia” sarà accontentata. E la vecchia “tiene” a uno scambio di persona. I nazisti hanno deciso di fucilare suo figlio e sua nuora incinta. Marianna non riesce a proteggere lui. Ma, se si accontentassero d’una vecchia, se davvero contassero una per due, lei sì, ci “terrebbe”. Stranamente, la “proposta” è accettata. Marianna viene arrestata e passata per le armi, assieme al figlio, il giorno dopo.Gli agiografi trovano affinità tra la sua vicenda e quella del “gigante polacco”, il francescano Massimiliano Kolbe
, martire ad Auschwitz, che donò la vita per un padre di famiglia. Noi preferiamo accostarla a Noemi, la suocera che, secondo il racconto della Bibbia, si prese cura della nuora straniera, Rut la moabita, e a lei rimase legata l’intera vita, nella gioia e nelle sofferenze. Noemi ribaltò una volta per tutte lo stereotipo maschilista-patriarcale dell’inimicizia tra suocera e nuora e, in generale, della mancata solidarietà fra donne, ritenute incapaci di legami profondi e di quella che i greci chiamavano phylia, l’intima comunione di anime e corpi di cui solo gli uomini, superiori in quanto simili a dèi, potevano provare. Ma Noemi non era greca, era ebrea e, pur immersa in un contesto fortemente patriarcale, percepiva, anzi viveva Dio dentro di sé, sapeva istintivamente che anch’essa era immagine di Dio (non il dio-riflesso dei maschi della tradizione greca e dei ministri del sacro). Per questo si sentiva figlia e vedeva nell’altra una sorella prima ancora che una parente acquisita o “imposta”, e non le interessava fosse straniera; l’universalità di Dio già si affaccia nelle pagine del Primo Testamento e trova compiutezza in Gesù di Nazareth, nella cui fede Marianna Biernacka, la Noemi polacca, crebbe e visse.Marianna non era teologa, non ne aveva bisogno. Come Noemi, Dio l’aveva dentro, la inabitava, come la cucina, come la casa. Come una madre: perché c’era anche un bimbo lì, un bimbo che ancora non vedeva, un fanciullo nascosto che premeva la vita più di quello partorito dalle sue stesse viscere; e capì che toccava proprio a lei, alla “vecchia” ormai sterile, generarlo di nuovo, biblicamente pure allora, e non esitò. Mentre sembrava trionfare la furia diabolica che spezzava ogni vita, mentre l’invidia dei maschi squarciava le donne e i loro grembi, tante piccole, sconosciute Davidi emergevano dal buio e mondavano il mondo.
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7.6.23
Quelle "signorine per bene che giocavano a calcio" e sfidarono il duce: la prima squadra di football femminile
da https://cultura.tiscali.it/storie/articoli/
Nasceva novant'anni fa a Milano. Libri, articoli e uno spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che sta girando l'Italia raccontano la vicenda del Gruppo Femminile Calcistico milanese
“Si può essere signorine per bene e da casa e praticare al puro scopo ginnasstico lo sport del calcio”. Così la giovane milanese Losanna Stringaro difendeva novant'anni fa, sulle pagine del quotidiano Il Littorio, il suo Gruppo Femminile Calciatrici, la prima squadra di calcio femminile nata in Italia. L'esperimento, come lo chiamarono le stesse fondatrici, durò poco meno di un anno ma rivoluzionò per sempre la visione dello sport italiano e fu una preziosa prova di coraggio e libertà nel tempo in cui il fascismo imponeva la sua visione autoritaria e oppressiva sulle donne.

La storia, ancora poco nota, è stata ben raccontata dalla giornalista Federica Seneghini che tre anni fa ha dato alle stampe per le edizioni Solferino "Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce", un saggio che ripercorre la vicenda di Rosetta, Giovanna, Marta, Elena e le altre donne coraggiose che, appassionate di calcio, scelsero di dare vita a una squadra tutta al femminile sfidando i pregiudizi e gli stereotipi che volevano le donne chiuse in casa mentre gli uomini si occupavano di politica, cultura, lavoro e sport.
Oggi quello stesso incredibile coraggio è al centro di "Le fuorigioco", spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che racconta la storia del GFC, il Gruppo Femminile Calcistico milanese nato tra il 1932 e il 1933; lo spettacolo, che da mesi sta girando il Paese, andrà in scena il prossimo 23 giugno a Sestu, provincia di Cagliari, per il festival “Storie di donne, donne e la storia”.

L'attore Michele Vargiu nello spettacolo "Le fuorigioco"
Era l'autunno del 1932 quando un gruppo di ragazze fondò la squadra per sole donne. Nonostante allora questo sport fosse roba da uomini, le intenzioni delle giovani erano serissime: crearono un programma con regole ben precise e lo inviarono a tutti i giornali perché lo pubblicassero, con l'obiettivo di cercare altre donne interessate a entrare in squadra. Il gioco era diverso da quello maschile: le partite erano divise in due tempi da 15 minuti l'uno, si calciava rasoterra e il pallone era "poco più grande di una palla di gomma, di quelle con cui giocano i bambini". Insieme alla nota stampa le "tifosine", come loro stesse si chiamavano, allegarono anche una foto di gruppo realizzata in uno studio fotografico.
Il 26 marzo 1933, davanti a un pubblico di parenti e amiche, ci fu il primo allenamento della squadra, mentre a fine maggio il giornale "Il Calcio Illustrato", l'unico che prese sul serio l'idea e diede spazio alle notizie del GFC, dedicò un'ampio spazio a interviste, commenti, opinioni intitolato "Un'ora con le calciatrici milanesi". Il giornalista notò un gioco piuttosto lento, scarsa abilità e parecchia inesperienza, tuttavia il suo era un punto di vista finalmente serio a fronte di tanti commentatori sarcastici, e sottolineava "poca agilità in corsa, cadute che erano dei crolli, assenza di dribbling, abuso del colpo di punta al pallone, pochissimi i colpi di testa e gli shoots" nel gioco delle ragazze, come riporta lo studioso Marco Giani nell'articolo "'Amo moltissimo il giuoco del calcio'. Storia e retorica del primo esperimento di calcio femminile in Italia" pubblicato nella rivista La Camera Blu del 2017. "Costituiamo una famiglia sempre in aumento, ci vogliamo bene, e continueremo", così Losanna Stringaro al giornalista de Il Calcio illustrato.

Arrivava nel frattempo l'autorizzazione al gioco da parte di Leandro Arpinati, che in quei mesi presiedeva il Coni e la Figc, a patto però che le ragazze giocassero a porte chiuse; le calciatrici furono costrette a chiedere un certificato medico a Nicola Pende, direttore dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi di Genova, allora considerato tra i medici più autorevoli dal fascismo, che diede il suo consenso: "Io credo che dal lato medico - scrisse - nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile. Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione!".
Conquistato il sì dalle autorità politiche e sanitarie, non restava alle ragazze che giocare: la prima partita ufficiale si disputò l'11 giugno 1933 nel campo milanese Paolo Filzi tra le milanesi "G.S. Ambrosiano" e il "G.S, Cinzano" che conquistò la vittoria con una rete a zero su gol di Mina Bolzoni; sugli spalti, un migliaio di persone. Pochi mesi dopo Leandro Arpinati lasciò la presidenza del Coni e il suo posto venne occupato da Achille Starace, gerarca fascista e uomo meno incline alle sperimentazioni rispetto al suo predecessore, che impose la fine del Gfc suggerendo altri sport "più consoni" al genere femminile.
L'esperienza di Elena Cappella, la più piccola della squadra ad appena 14 anni, Giovanna, Gina, Rosetta e Marta Boccalini, Losanna Stringaro, Brunilde Amodeo, Maria Lucchese e le altre giovani coraggiose si concluse così. Se le partite erano terminate restava invece eterno l'esempio del gruppo di coraggiose che scelsero di rompere gli stereotipi e mostrare al Paese che le donne potevano liberarsi dal ruolo di angeli del focolare e cercare divertimento e libertà in un campo sportivo. A queste donne pochi anni fa il Comune di Milano ha intitolato una strada nella zona di Parco Sempione.
7.3.23
Giornata della donna, nel lavoro e nel diritto al voto affondano le radici dell’emancipazione
3.2.23
Clara Immerwahr, scienziata ebrea, che decise di togliersi la vita per protestare contro l'uso dei gas asfissianti inventati da suo marito, Fritz Haber da Piero Gurrieri tra la gente
Grazie a Piero Gurrieri tra la gente per questa bellissima storia · Clara si era laureata in Chimica a Breslavia, la prima donna in Germania, sposando poi Fritz Haber, altro chimico. Due scienziati che lavoravano insieme, cui si deve l'invenzione della sintesi dell’ammoniaca da idrogeno e azoto atmosferico.
Clara però non voleva essere solo la "spalla" di Fritz: "È sempre stato il mio modo di pensare che una vita valga la pena di essere vissuta solo se si è fatto pieno uso di tutte le proprie abilità e si è cercato di vivere ogni tipo di esperienza che la vita umana ha da offrire. È stato sotto questo impulso, tra le altre cose, che ho deciso di sposarmi in quel momento, la vita che ho avuto è stata molto breve e le ragioni principali sono il modo oppressivo di Fritz di mettersi al primo posto in tutto, così che una personalità meno spietatamente auto-assertiva è stata semplicemente distrutta."
Scoppia la guerra, il governo tedesco commissiona a Fritz i gas asfissianti per l'ndustria bellica, lui acconsente, nonostante le proteste di lei. L'Iprite è la prima arma di distruzione di massa, 5mila morti a Yprès.
Nella notte dell'1 maggio 1915, Clara si suicida, sparandosi con la pistola di ordinanza del marito: un modo per dichiararsi "non complice dello sterminio".
Non ne parlò nessuno, ma sei giorni dopo il giornale locale riferì che “la moglie del Dr. H. dei Servizi Segreti, attualmente al fronte, ha messo fine alla sua vita sparandosi. Le ragioni del gesto infelice della donna sono sconosciute.”
Haber continuò, inventando anche lo Zyklon, che fu usato nelle camere a gas dei lager nazisti. Se avesse ascoltato sua moglie Clara, e non lo fece, forse la storia sarebbe andata in modo diverso.
Onore a questa grande donna.
18.1.23
in una regione in cui la sanità pubblica e ormai in mano ai privati Una notizia bella, da un ospedale sardo…
Il casco refrigerante per chi fa chemioterapia e permette di non perdere i capelli…… due pazienti sulle tante , potranno usufruirne: grazie a contributi pubblici e privati! Elogio e plauso a chi ha permesso questa opportunità. Con l’augurio che diventino di più e che tutte le donne possano usufruirne










16.1.23
Perché da ex maschio alfa parlo di femminicidi e d'argomento femminili
In realtà il post d'oggi avrebbe dovuto essere un altro . Ma visto l'ennesimo femminicidio visto che Teresa di Tondo di 44 anni ed era un'educatrice. Il marito l'ha fatta a pezzi con un coltello. E dolore nel dolore, a trovarla sul pavimento di casa è stata la figlia diciassettenne. Ma visto che , è notizia di qualche ora fa , lui è stato trovato impiccato , e quindi si parlerà di omicidio suicidio . Femminicidio o omicidio .- suicidio sempre di violenza di genee o sulle donne si tratta . Ho deciso il titolo del post , visti i commenti poi rimossi e non pubblicati in attesa di moderazione ( ecco uno dei motivi per cui uso la moderazione ) a tali argomenti o a semplici post \ storie od argomenti femminili mi si replica
"Eh, ma non parli d'altro, sei monotematica" come se la colpa fosse mia se questa cosa accade tutti i giorni, diverse volte al giorno in ogni luogo del mondo in cui nascere femmina ti espone ad una maggiore possibilità di morire in modo violento per mano maschile.
Purtroppo nel mio piccolo sia che me ne occupi come ora in maniera diretta o indiretta , lasciando che siano le utenti a parlarne , d'evitare cosa purtroppo ormai sta prendendo sempre più di evitare il fatto che
Ci stiamo "abituando", tra una forchettata di spaghetti e un sorso d'acqua, al tg annunciano una morte violenta, fanno il resoconto di quante da 1 gennaio ad oggi, entrano in particolari privati della vita di vittime e carnefici e noi, scuotiamo il capoper disappunto e passiamo al secondo . [...] Il dramma è questo : svegliarsi e quasi ogni mattina venire a sapere che da qualche parte un uomo ha ucciso la moglie, la compagna, o la fidanzata. Teresa di Tondo aveva 44 anni ed era un'educatrice. Come me, mi viene da dire. Il marito l'ha fatta a pezzi con un coltello.E dolore nel dolore, a trovarla sul pavimento di casa è stata la figlia diciassettenne. [...]
Non vedo prese di posizione, non sento la responsabilità di una messa in discussione collettiva, corale, di un sistema che non può più essere tollerato e che andrebbe perseguito con la medesima e indomita determinazione che si riserva alle stragi di mafia e terrorismo. Niente, queste vite spezzate sono un soffio in cronaca che si disperde un attimo dopo. Fanno parte di un sistema, ma vengono trattate come episodi accidentali e isolati, e la violenza è conflitto familiare. Senza leggi, senza tutela, carne al macello.Finché non cambieranno i criteri educativi e culturali che puntano ad insegnare la supremazia , la prevaricazione , il sorpasso ed infine la fagocitosi dell ' uno sull' altro in particolare del maschio sulla femmina , non se ne verrà mai a capo.Il problema sta nella prevenzione. Non credo che un uomo, nell' atto di compiere un omicidio d' impeto, pensi alle conseguenze. Dovrebbe esistere un meccanismo tale che, alle prime avvisaglie, isoli il potenziale omicida, scongiurando che il fattaccio accada. Ma ciò è complicato perché le leggi potrebbero contrastare e perché sono interpretabili a vantaggio dell'accusato . Come dimostra la vicenda dell'amica Patrizia ( la stessa del post citato )
Basta un buon azzeccagarbugli . Ma soprattutto dal fatto che una richiesta di un educazione sentimentale diventi per la classe politico legislativo battaglia ideologica e non di civiltà . Ed intanto lo stillicidio giornaliero continua
concludo con questa frase Virginia Woolf
targa speciale degi alfieri della repubblica a una classe del Parini di Torino «Con gli occhi e un puntatore comunichiamo con il nostro compagno disabile»
I media nazionali parlando degli Alfieri della Repubblica si sono dimenticati o hanno fatto passare in secondo piano questa notizia...
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