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7.9.24

quando è femminicidio e quando violenza di genere . risposta al post<< Rebecca, medaglia crocifissa >> di Daniela Tuscano per Dols

L'ottimo articolo : << Rebecca, medaglia crocifissa >> dell'utente Daniela Tuscano per   Dols magazione \ dols.it mi ha portato a chiedermi quando è femminicidio e quando è violenza di genere ? Non avevo tempo , sono impegnatofra lavoro e come classe di nascita per il comitato per una delle due feste cittadine di settembre dell'anno prossimo ho cerca con copilot ( la IA di Bing.it ) La differenza tra femminicidio e violenza di genere . Ecco la risposta 

è importante da comprendere:
Femminicidio: Si riferisce all’uccisione intenzionale di una donna a causa del suo genere. Esso è la forma più estrema di violenza di genere e spesso avviene in contesti di relazioni affettive, sessuali o familiari. Le motivazioni dietro il femminicidio includono dinamiche di dominio e possesso, dove l’omicida non tollera l’autonomia o l’indipendenza della vittima.
In sintesi, mentre il femminicidio non è un reato autonomo, le leggi italiane riconoscono la gravità della violenza di genere e prevedono misure specifiche per affrontarla.


Ora  su Sharon   Verdeni   io   ci vedo  di  più    ( ovviamentre  senza  sminuire    e  giustificare perchè     sempre  crimine  abbietto   e  turpe    si tratta   )   come  violenza  di genere  .
Ma  soprattutto   (  ovviamente  senza giustificazione  e sminuirlo ) il delitto  è   come evidenziato   da  quello fin qui  emerso   ,  dovuto  al  disagio   psichico  del carnefice  . Infatti   secondo quanto  riporta  l'ultimo  n  del settimanale  Giallo  



<< [.... ] da quello che sta emergendo dalle indagini è il profilo di un uomo che potrebbe aver già fa!o del male ad altre persone e che poteva uccidere ancora. È molto più di una suggestione: le parole della sorella sono una drammatica conferma a questa ipotesi. E allora cominciamo proprio dalla sorella Awa, studentessa di Ingegneria gestionale. La ragazza, in lacrime, ha rivelato come lei e la mamma Kadiatou Diallo, 53 anni, avesero fatto di tutto per fermare Moussa. Avevano presentato tre denunce ai carabinieri, inutilmente. In un verbale datato novembre 2023 si legge: «lo e mia madre ci siamo interessate al !ne di condurlo in una stru"ura di recupero, che ha sempre ri!utato. I controlli ci sono stati, ma solo per una questione di agibilità della casa, dopo l’incendio che c’è stato a luglio di un anno fa. Per mio fratello, invece, nessuno si è mosso. Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per a$darlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre ri!utato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza. Per un eventuale ricovero di mio fratello, invece, ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario». La ragazza è distru"a. Così come la sua mamma, già provata nel fisico da un ictus.
AVEVA DATO IN ESCANDESCENZE
Le denunce delle due donne risalgono a luglio e novembre del 2023 e a maggio del 2024. La prima dopo l’incendio appiccato in casa. La seconda per un episodio di violenza domestica: Moussa aveva dato in escandescenze rompendo un televisore, ribaltando la scrivania della sorella e mettendo a soqquadro la casa. Era stato chiamato il 118, ma lui si era barricato in camera e la cosa era !nita lì. Nel verbale dell’ultima denuncia, in!ne, spunta il coltello. Awa è tornata indietro con la memoria per ricordare questo terribile episodio: «Mi ha raggiunta alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con la lama. Io non mi ero accorta di niente, ma mia mamma, che dopo l’ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se ne è andato, ridendo». L’avvocato Stefano Comi, che assiste le due donne, ha aggiunto: «Moussa andava fermato, era fuori controllo. Picchiava e minacciava. Il sindaco e gli assistenti sociali lo sapevano, almeno un accertamento sanitario andava fa"o». Una vicina, allarmata dall’indole violenta di Moussa, era andata dal sindaco e in un’altra occasione aveva chiamato le forze dell’ordine. Ma niente di concreto era stato fa"o. Moussa non era nemmeno in cura. Com’è possibile che i servizi sociali non siano intervenuti ? >>

quindi   chiedo  a  lei  come  a  tutte le  femministe  di Dols   perchè  per  voi  è tutto   femminicidio   e patriacarto  anche quando  non  lo è ?

  

18.6.24

Le sei wonder women di Tonara: «Gol di tacco? Meglio di testa»Le mamme che hanno preso il timone della storica Polisportiva locale. «Un impegno da affrontare con serietà, una dichiarazione d’amore per il calcio» e Danimarca, la Nazionale di calcio maschile rifiuta l’aumento di stipendio e garantisce la parità salariale per quella femminile



  da  la  la nuova sardegna del  16\6\2024 
Le sei wonder women di Tonara: «Gol di tacco? Meglio di testa»
                         di Alessandro Mele


Le mamme che hanno preso il timone della storica Polisportiva locale. 



Tonara Tra quelle montagne ora sono più famose del torrone e il merito se lo sono conquistate, è il caso di dirlo, sul campo. L’esempio calza a pennello perché quello che hanno ottenuto per il loro paese non è cosa da poco: hanno salvato la Polisportiva Tonara. Sei donne, sei storie diverse da raccontare sono diventate sei calci di rigore imparabili. Gol che si moltiplicano se si calcola quanti bambini, quanti giovani, potranno continuare a sventolare maglie e bandiere rossonere. Quante famiglie potranno continuare a contare su un grande supporto sociale, quello di far crescere i propri figli sul manto erboso del proprio paese.
Perché il calcio a Tonara è scuola di vita, è una storia di rispetto reciproco, è storia d’amore per la maglia e per quel senso di appartenenza profondo che da sempre contraddistingue la purezza del dna montagnino. E così, tra le mille cose da organizzare per il settore giovanile e la prima squadra, le nove wonder women hanno il tempo e lo spirito di raccontare chi sono e da dove arriva tutta questa forza fatta di cuori di mamme ingabbiati in un animo da super tifose, quasi da ultras d’altri tempi.
A partire dalla presidentissima Maria Sau, 52 anni e mamma di Greta e Nina. Lavora in Comune nel settore finanziario. «Più che una passione, la sfida del Tonara è un mettersi alla prova – commenta –. Sono una donna del fare e quindi ho risposto “presente” all’esigenza di guidare la polisportiva. Vengo da una famiglia di 4 donne, mio padre ci ha trasmesso l’amore per il calcio e ce lo ha sempre raccontato. È vero, faccio un lavoro impegnativo, ma questo non è da meno. Vivo il calcio come un vero e proprio lavoro, per il Tonara non dormo la notte perché è la mia più grande passione. Inizio a essere stanca, ma mi sento un trattore, anche se non sono ancora andata al mare».
Poi c’è Cristina Sau, anche lei ha 52 anni ed è mamma di due piccole donne, Marika e Camilla. Per lei la passione per il calcio è nata in età più matura: «Ho fatto la fiorista per 13 anni – racconta col sorriso –, da 11 invece mi occupo di una ragazzina portatrice di disabilità. Una delle mie figlie, gioca a calcio da quando ha sei anni, in Serie C; ed è stata lei a trasmettermi questa grande passione. Ormai da 14 anni, la seguo da un campo di calcio all’altro. Sono sempre stata una spettatrice del Tonara, adesso la mia famiglia ha sposato questa sfida bella e totalizzante per tutti. Siamo veramente contenti e fiduciosi».
È la volta di Eleonora Porru, imprenditrice 40enne, è titolare di un torronificio. Ha due gemelli di 7 anni, Simon e Giommaria. «Fino a d oggi ho seguito il calcio solo da lontano – ammette – scegliendo di dedicare la maggior parte del mio tempo al lavoro. Non mi pento di aver scelto di occuparmi del Tonara, perché per me adesso è un modo per lasciare a casa i problemi della vita. D’altronde non c’è tonarese che non tifi questa squadra e io sono qui con l’obiettivo di rendere la polisportiva famosa almeno tanto quanto il nostro prodotto di nicchia che piace a tutti, ossia il torrone».
Noemi Deligia, 31 anni, nata a Belvì, è agente della polizia locale. La nuova stella di Tonara la porta in grembo, è al nono mese di gravidanza. «Sono una ex giocatrice, questo a sottolineare la mia passione per questo sport. Certo – prosegue –, la gravidanza mi ha un po’ allontanato dal campo, ma grazie all’entusiasmo di mio marito sto conciliando tutti gli impegni con serenità. Tifo il Cagliari e sono amante del calcio da sempre, anche in nome di questo desidero trasmettere a mia figlia questa stessa passione».
Tra chi guida la polisportiva c’è chi si deve occupare di tenere i conti e di occuparsi dell’anima degli atleti. È il caso di Maria Stefania Columbu, 57 anni di Ollolai ma residente a Tonara. È una funzionaria regionale nei centri per l’impiego. «Mi occupo di orientamento per i giovani disoccupati – dice – e questo abbiamo fatto anche con i giovani atleti del Tonara in termini di gestione del gruppo. Le donne forse riescono meglio a gestire le dinamiche dello spogliatoio e degli spalti. Ho due figli maschi che parlano solo di calcio e ora sto comprendendo la loro passione. Non so neanche cosa sia il fuorigioco, ma voglio occuparmi del lato umano delle cose».
Tra le sei, anche Rosalba Asoni, 57 anni e impiegata Inps: «Mio figlio gioca in prima squadra e anche io mi dilettavo con piacere. Questo progetto per me è una missione, una vocazione. Utilizzo il tempo che ho per il campo e per i nostri atleti».
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Danimarca, la Nazionale di calcio maschile rifiuta l’aumento di stipendio e garantisce la parità salariale per quella femminile



Con un gesto simbolico, ma anche tremendamente concreto, i giocatori della Nazionale danese che stanno disputando l’Europeo in Germania hanno rifiutato un aumento di retribuzione da parte della Federazione per garantire la parità salariale con la Nazionale femminile. In pratica, a partire da dopo Euro 2024, rinunceranno al 15% dei compensi destinati alla squadra maschile, grazie a cui saranno aumentati del 50% quelli delle calciatrici donne. Hanno fatto, cioè, da soli quello che né la Federazione né il mercato chiedeva loro. E sarà pure un piccolo gesto, ma di questi tempi, e visto da queste latitudini, non scontato, esemplare, da sottolineare e ammirare.
IL bel gesto da parte della Nazionale di calcio maschile della Danimarca che rifiuta l’aumento di stipendio e così garantisce la parità salariale per quella femminile: un compenso equo annunciato dallo stesso sindacato Fifpro. Non è passato inosservato il rifiuto da parte della
Nazionale di calcio della Danimarca  sull’aumento di stipendio che, così, garantirà la parità del salario per la squadra femminile: un consenso che è partito da veterani ma che è stato accolto di buon grado da tutta la rosa
La Nazionale maschile, dunque, percepirà la stessa retribuzione di base di quella femminile: assicurando così la parità di guadagno e maggiori diritti anche alle calciatrici. Un gesto che segna la recente storia della Nazionale calcistica e che sottolinea un valore etico e uno spessore umano non comune.
A confermare quanto accaduto lo stesso sindacato Fifpro che ha dichiarato come la Nazionale maschile al termine di Euro 2024 avvierà un contratto quadriennale senza alcun cambiamento nello stipendio e una riduzione della propria copertura assicurativa:
“In Danimarca la Nazionale femminile ha firmato un accordo con la federazione che le garantirà un compenso equo con la squadra maschile. Il contratto quadriennale, in vigore al termine degli Europei, prevede che i calciatori della Danimarca accettino una riduzione della propria copertura assicurativa: non solo, hanno rifiutato un aumento salariale per poter ridistribuire equamente le risorse anche alla squadra femminile”.


Una riduzione che, in sostanza, prevede un taglio del 15% sulla copertura assicurativa per la squadra maschile e che permetterà al contempo di aumentare la copertura assicurativa di quella femminile del 50% in più rispetto al contratto precedente.
A giovare di questo gesto, però, non ci sarà soltanto la Nazionale calcistica femminile ma anche quella dell’Under 21 maschile che potrà usufruire di una copertura assicurativa del 40% in più rispetto al precedente accordo.
Michael Sahl Hansen, direttore del sindacato danese Spillerforeningen, ha poi chiarito quanto sia importante questo passo ai fini della contribuzione per migliorare le condizioni generali della Nazionale femminile: “È un passo straordinario per contribuire a migliorare le condizioni delle nazionali femminili. Quindi, invece di cercare condizioni migliori per se stesse, i giocatori hanno pensato di sostenere la squadra femminile. Quando abbiamo presentato il piano al team, composto da Andreas Christensen, Thomas Delaney, Christian Eriksen, Pierre-Emile Højbjerg, Simon Kjær e Kasper Schmeichel, erano molto soddisfatti”.

9.3.24

Donna,vita, libertà contro la cultura della guerra e della morte /e basta retorica alla mimosa…. di Pier Luigi Raccagni

 Piccolo contributo alla giornata dell’ emancipazione femminile in tutte le forme storiche ed esistenziali acquisite.Hanno ragione le militanti del movimento a reclamare meno mimose e più attenzione ai bisogni.Lo sfruttamento della forza lavoro femminile,ad esempio,in Italia non si è mai fermato, così come il senso di una società patriarcale a misura padronale e di possesso.E i femminicidi non sono di certo diminuiti,dopo il caso orrendo di Giulia Cecchettin.
E lo stupro delle donne israeliane ? E il massacro delle donne palestinesi? E le donne iraniane uccise per un velo? E Ilaria Salis in catene? L’ 8 marzo è  anche un dolore che deve essere condiviso, un invito  poi all’ unica rivoluzione possibile.E poi,poi ci sarebbe da sfoderare la retorica solita,di cui non si può fare a meno per cui da decenni l’8 marzo  è venduto come qualsiasi altro prodotto,con suggestioni più mercantili che culturali.Ma le donne,le ragazze sanno quello che devono fare .

25.9.23

quando la moda non esalta la perfezione assoluta dei corpi , ma ti accetta per come sei

 

 

Odio  la  moda  e cerco  di esserne  succube   e  di  farmi influnzare  il meno possibile  . Infatti  concordo  con   questo interessante  articolo   (  da  cui  ho preso la  foto  del  post  )  

di  https://www.facebook.com/alfemminile

 Anni e anni di pubblicità, cartelloni appesi per la città e sfilate ci hanno abituate e abituati all’idea che solo un determinato corpo potesse (e meritasse) di sentirsi sexy e a proprio agio in intimo. D’altronde, ancora oggi, è difficile che modelle dai corpi non convenzionalmente magri vengano scelte (specie dai grandi marchi della moda) per indossare lingerie o costumi da bagno. Questa mancata rappresentazione finisce, quindi, per convincerci dell’esclusività di determinati capi, la cui possibilità di essere indossati si trasforma così in privilegio. Un privilegio che ieri, durante la Milano Fashion Week, Dolce e Gabbana ha reso diritto, facendo sfilare in lingerie corpi diversi ma ugualmente (e sapientemente) valorizzati da mise che di norma vengono associate a un’unica taglia. Anche se di strada da percorrere ce n’è ancora tanta, e di passerelle da calcare altrettante, ci auguriamo un futuro quanto più prossimo in cui trovare la propria taglia di reggiseno non sia più impresa ardua e dove chiunque possa disporre del diritto a sentirsi felicemente a proprio agio con la propria sensualità, se lo desidera, ma soprattutto con il proprio corpo, qualunque cosa indossi. 

14.6.23

1943. Nella #polonia invasa dai #nazisti brilla la stella di #mariannabiernacka, sacrificatasi al posto della #nuora giovane e #incinta da https://www.dols.it/

 

Di Daniela Tuscano

“Se proprio ci tieni, vecchia”.

La donna cui l’ufficiale nazista scaglia in faccia quest’epiteto ha solo 55 anni, età che oggi nessuna, almeno nell’opulento Occidente, assocerebbe al tramonto della vita. Al massimo al periodo maturo, ancor rigoglioso di fascino e lusinghe. Vecchio, qui da noi, non è del resto più nessuno: la parola viene ritenuta scorretta e offensiva proprio come al tempo delle dittature, che disprezzavano i corpi in declino e magnificavano i fisici freschi e atletici, salvo poi mandarli a morire in guerra. Ma Marianna Biernacka (1888-1943) della vecchiaia non ha paura. La sua è una generazione concreta. Consunta anche, certamente.  Sa che il tempo ha pochi spazi e ci vive dentro, nelle stagioni e tra le fatiche. E poi, a vederla, dimostra almeno dieci anni di più. Vecchia, d’accordo. E allora? Il suo periodo è quello, è madre, suocera, nonna, e fuori impazzano le bombe e la sua Polonia è invasa dalle truppe di Hitler. Marianna abita in due stanze assieme al figlio, alla moglie di lui e a una loro bimba piccola. Non si sono potuti permettere un appartamento proprio, sono poveri, e non si capacitano nemmeno della furia tedesca: oltre a non possedere nulla, non si occupano di politica e sono sempre stati devoti e modesti. Alcuni partigiani polacchi, rifugiatisi nei pressi, hanno ucciso in un attentato membri della Wehrmacht e per rappresaglia questi ultimi hanno preso a caso, o a casaccio, i primi civili sotto tiro. La sorte cade proprio sulla famiglia di Marianna. Solo che la sua richiesta suona bislacca anche al gerarca, forse la considera davvero una vecchia rimbambita. D’altronde, a chi importa? Se tanto ci tiene, la “vecchia” sarà accontentata. E la vecchia “tiene” a uno scambio di persona. I nazisti hanno deciso di fucilare suo figlio e sua nuora incinta. Marianna non riesce a proteggere lui. Ma, se si accontentassero d’una vecchia, se davvero contassero una per due, lei sì, ci “terrebbe”. Stranamente, la “proposta” è accettata. Marianna viene arrestata e passata per le armi, assieme al figlio, il giorno dopo.Gli agiografi trovano affinità tra la sua vicenda e quella del “gigante polacco”, il francescano Massimiliano Kolbe

, martire ad Auschwitz, che donò la vita per un padre di famiglia. Noi preferiamo accostarla a Noemi, la suocera che, secondo il racconto della Bibbia, si prese cura della nuora straniera, Rut la moabita, e a lei rimase legata l’intera vita, nella gioia e nelle sofferenze. Noemi ribaltò una volta per tutte lo stereotipo maschilista-patriarcale dell’inimicizia tra suocera e nuora e, in generale, della mancata solidarietà fra donne, ritenute incapaci di legami profondi e di quella che i greci chiamavano phylia, l’intima comunione di anime e corpi di cui solo gli uomini, superiori in quanto simili a dèi, potevano provare. Ma Noemi non era greca, era ebrea e, pur immersa in un contesto fortemente patriarcale, percepiva, anzi viveva Dio dentro di sé, sapeva istintivamente che anch’essa era immagine di Dio (non il dio-riflesso dei maschi della tradizione greca e dei ministri del sacro). Per questo si sentiva figlia e vedeva nell’altra una sorella prima ancora che una parente acquisita o “imposta”, e non le interessava fosse straniera; l’universalità di Dio già si affaccia nelle pagine del Primo Testamento e trova compiutezza in Gesù di Nazareth, nella cui fede Marianna Biernacka, la Noemi polacca, crebbe e visse.Marianna non era teologa, non ne aveva bisogno. Come Noemi, Dio l’aveva dentro, la inabitava, come la cucina, come la casa. Come una madre: perché c’era anche un bimbo lì, un bimbo che ancora non vedeva, un fanciullo nascosto che premeva la vita più di quello partorito dalle sue stesse viscere; e capì che toccava proprio a lei, alla “vecchia” ormai sterile, generarlo di nuovo, biblicamente pure allora, e non esitò. Mentre sembrava trionfare la furia diabolica che spezzava ogni vita, mentre l’invidia dei maschi squarciava le donne e i loro grembi, tante piccole, sconosciute Davidi emergevano dal buio e mondavano il mondo.


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7.6.23

Quelle "signorine per bene che giocavano a calcio" e sfidarono il duce: la prima squadra di football femminile



da  https://cultura.tiscali.it/storie/articoli/


Nasceva novant'anni fa a Milano. Libri, articoli e uno spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che sta girando l'Italia raccontano la vicenda del Gruppo Femminile Calcistico milanese

                                     di    Francesca Mulas


“Si può essere signorine per bene e da casa e praticare al puro scopo ginnasstico lo sport del calcio”. Così la giovane milanese Losanna Stringaro difendeva novant'anni fa, sulle pagine del quotidiano Il Littorio, il suo Gruppo Femminile Calciatrici, la prima squadra di calcio femminile nata in Italia. L'esperimento, come lo chiamarono le stesse fondatrici, durò poco meno di un anno ma rivoluzionò per sempre la visione dello sport italiano e fu una preziosa prova di coraggio e libertà nel tempo in cui il fascismo imponeva la sua visione autoritaria e oppressiva sulle donne.





La storia, ancora poco nota, è stata ben raccontata dalla giornalista Federica Seneghini che tre anni fa ha dato alle stampe per le edizioni Solferino "Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce", un saggio che ripercorre la vicenda di Rosetta, Giovanna, Marta, Elena e le altre donne coraggiose che, appassionate di calcio, scelsero di dare vita a una squadra tutta al femminile sfidando i pregiudizi e gli stereotipi che volevano le donne chiuse in casa mentre gli uomini si occupavano di politica, cultura, lavoro e sport.

 Oggi quello stesso incredibile coraggio è al centro di "Le fuorigioco", spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che racconta la storia del GFC, il Gruppo Femminile Calcistico milanese nato tra il 1932 e il 1933; lo spettacolo, che da mesi sta girando il Paese, andrà in scena il prossimo 23 giugno a Sestu, provincia di Cagliari, per il festival “Storie di donne, donne e la storia”.



                                 L'attore Michele Vargiu nello spettacolo "Le fuorigioco"

Era l'autunno del 1932 quando un gruppo di ragazze fondò la squadra per sole donne. Nonostante allora questo sport fosse roba da uomini, le intenzioni delle giovani erano serissime: crearono un programma con regole ben precise e lo inviarono a tutti i giornali perché lo pubblicassero, con l'obiettivo di cercare altre donne interessate a entrare in squadra. Il gioco era diverso da quello maschile: le partite erano divise in due tempi da 15 minuti l'uno, si calciava rasoterra e il pallone era "poco più grande di una palla di gomma, di quelle con cui giocano i bambini". Insieme alla nota stampa le "tifosine", come loro stesse si chiamavano, allegarono anche una foto di gruppo realizzata in uno studio fotografico.
Il 26 marzo 1933, davanti a un pubblico di parenti e amiche, ci fu il primo allenamento della squadra, mentre a fine maggio il giornale "Il Calcio Illustrato", l'unico che prese sul serio l'idea e diede spazio alle notizie del GFC, dedicò un'ampio spazio a interviste, commenti, opinioni intitolato "Un'ora con le calciatrici milanesi". Il giornalista notò un gioco piuttosto lento, scarsa abilità e parecchia inesperienza, tuttavia il suo era un punto di vista finalmente serio a fronte di tanti commentatori sarcastici, e sottolineava "poca agilità in corsa, cadute che erano dei crolli, assenza di dribbling, abuso del colpo di punta al pallone, pochissimi i colpi di testa e gli shoots" nel gioco delle ragazze, come riporta lo studioso Marco Giani nell'articolo "'Amo moltissimo il giuoco del calcio'. Storia e retorica del primo esperimento di calcio femminile in Italia" pubblicato nella rivista La Camera Blu del 2017. "Costituiamo una famiglia sempre in aumento, ci vogliamo bene, e continueremo", così Losanna Stringaro al giornalista de Il Calcio illustrato.



Arrivava nel frattempo l'autorizzazione al gioco da parte di Leandro Arpinati, che in quei mesi presiedeva il Coni e la Figc, a patto però che le ragazze giocassero a porte chiuse; le calciatrici furono costrette a chiedere un certificato medico a Nicola Pende, direttore dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi di Genova, allora considerato tra i medici più autorevoli dal fascismo, che diede il suo consenso: "Io credo che dal lato medico - scrisse - nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile. Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione!".
Conquistato il sì dalle autorità politiche e sanitarie, non restava alle ragazze che giocare: la prima partita ufficiale si disputò l'11 giugno 1933 nel campo milanese Paolo Filzi tra le milanesi "G.S. Ambrosiano" e il "G.S, Cinzano" che conquistò la vittoria con una rete a zero su gol di Mina Bolzoni; sugli spalti, un migliaio di persone. Pochi mesi dopo Leandro Arpinati lasciò la presidenza del Coni e il suo posto venne occupato da Achille Starace, gerarca fascista e uomo meno incline alle sperimentazioni rispetto al suo predecessore, che impose la fine del Gfc suggerendo altri sport "più consoni" al genere femminile.
L'esperienza di Elena Cappella, la più piccola della squadra ad appena 14 anni, Giovanna, Gina, Rosetta e Marta Boccalini, Losanna Stringaro, Brunilde Amodeo, Maria Lucchese e le altre giovani coraggiose si concluse così. Se le partite erano terminate restava invece eterno l'esempio del gruppo di coraggiose che scelsero di rompere gli stereotipi e mostrare al Paese che le donne potevano liberarsi dal ruolo di angeli del focolare e cercare divertimento e libertà in un campo sportivo. A queste donne pochi anni fa il Comune di Milano ha intitolato una strada nella zona di Parco Sempione.

7.3.23

Giornata della donna, nel lavoro e nel diritto al voto affondano le radici dell’emancipazione




ha  perfettamente  ragione     l'articolo riportato sotto. L'8 marzo     fa parte  del  calendario    civile  italiano  .


 di Luca Casarotti*


Rappresentanza politica, occupazione, uguaglianza. Sono i capisaldi su cui si sono basate e si basano le rivendicazioni femminili. Dal movimento operaio del primo ’900 alla Resistenza e alla Costituzione repubblicana. Fino a oggi, con gli scioperi dell’8 marzo


Rappresentanza politica, occupazione, uguaglianza. Sono i capisaldi su cui si sono basate e si basano le rivendicazioni femminili. Dal movimento operaio del primo ’900 alla Resistenza e alla Costituzione repubblicana. Fino a oggi, con gli scioperi dell’8 marzo
Nel 1977 Bianca Guidetti Serra pubblica “Compagne”, un libro che avrebbe fatto epoca, come l’anno in cui è uscito. Avvocata, partigiana (a lei Primo Levi ha indirizzato l’unico biglietto spedito dalla prigionia), militante della sinistra comunista, Guidetti Serra mette in pagina, con una cura speciale per la varietà del parlato, le interviste che da qualche tempo va raccogliendo tra le donne torinesi che hanno fatto la Resistenza. Donne diverse, ma tutte accomunate dall’aver variamente vissuto il partigianato e dalla consapevolezza che a determinarne la scelta antifascista siano state due fondamentali rivendicazioni: il lavoro e il diritto di voto.
Dignità della vita attraverso il lavoro, dunque, e rappresentanza politica: era questa l’impostazione della questione femminile in seno al movimento operaio primo-novecentesco, come la si legge negli atti dei congressi della seconda Internazionale e nella cui storia è la genesi stessa dell’8 marzo. L’8 marzo 1917, appunto, a Mosca un’imponente manifestazione per i diritti delle donne aveva anticipato la Rivoluzione d’ottobre.
La Costituzione italiana nomina la condizione della donna in tre punti. Rispetto al principio d’eguaglianza, che non ammette distinzioni di sesso: affermazione tanto importante da venire al primo posto, nel catalogo delle discriminazioni bandite dall’articolo 3. Rispetto ai diritti del lavoratore riconosciuti all’articolo 36, che il 37 precisa essere diritti anche della donna lavoratrice. Rispetto all’elettorato, attivo e passivo, e alla capacità di ricoprire gli uffici pubblici, da garantire in condizione di parità a donne e uomini (articoli 48, 51 e 117).
Ancora una volta: dignità della vita attraverso il lavoro e partecipazione alla cosa pubblica nel segno dell’uguaglianza sostanziale. Prova, da un lato, che la temperie raccontata nel libro di Guidetti Serra ha un corrispettivo nella Carta fondamentale, nel momento in cui l’antifascismo è chiamato a farsi esperienza costituente. E prova, dall’altro, che la società che esprime la Costituzione è innervata da quelle disuguaglianze: non ci sarebbe stato altrimenti bisogno di nominarle, di auspicarne il superamento fin dal patto fondativo dello Stato nuovo.
Settantacinque anni dopo, alcune organizzazioni del movimento operaio hanno cambiato pelle, non solo in Italia: talvolta hanno disconosciuto l’identità precedente. Un esempio: a rivendicare di aver sfondato il soffitto di cristallo è una presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che proviene da una tradizione opposta a quella del partigianato che ha scritto in Costituzione la parità di genere, anche in politica. Gli studi sul lavoro povero hanno accertato che l’occupazione non è sempre uno strumento sufficiente di emancipazione, una garanzia di salvezza dall’indigenza: specie per le donne, specie se sole e con figli. Contrariamente a quanto si dice, le politiche dell’impiego e quelle assistenziali non sono alternative, ma complementari.
Nonostante i mutamenti, però, l’origine della Giornata della donna nella storia delle lotte operaie non smette di esercitare la sua forza sul presente. La dimostrazione è nello strumento che i movimenti femministi hanno praticato negli ultimi anni per l’8 marzo: lo sciopero.



*
Quello di Luca Casarotti, presidente di Anpi Pavia Centro, è il quarto degli interventi sulle date fondanti della Repubblica affidati all’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea

3.2.23

Clara Immerwahr, scienziata ebrea, che decise di togliersi la vita per protestare contro l'uso dei gas asfissianti inventati da suo marito, Fritz Haber da Piero Gurrieri tra la gente



 Grazie  a   Piero Gurrieri tra la gente  per   questa    bellissima storia  
 
 · Clara si era laureata in Chimica a Breslavia, la prima donna in Germania, sposando poi Fritz Haber, altro chimico. Due scienziati che lavoravano insieme, cui si deve l'invenzione della sintesi dell’ammoniaca da idrogeno e azoto atmosferico.
Clara però non voleva essere solo la "spalla" di Fritz: "È sempre stato il mio modo di pensare che una vita valga la pena di essere vissuta solo se si è fatto pieno uso di tutte le proprie abilità e si è cercato di vivere ogni tipo di esperienza che la vita umana ha da offrire. È stato sotto questo impulso, tra le altre cose, che ho deciso di sposarmi in quel momento, la vita che ho avuto è stata molto breve e le ragioni
principali sono il modo oppressivo di Fritz di mettersi al primo posto in tutto, così che una personalità meno spietatamente auto-assertiva è stata semplicemente distrutta."
Scoppia la guerra, il governo tedesco commissiona a Fritz i gas asfissianti per l'ndustria bellica, lui acconsente, nonostante le proteste di lei. L'Iprite è la prima arma di distruzione di massa, 5mila morti a Yprès.
Nella notte dell'1 maggio 1915, Clara si suicida, sparandosi con la pistola di ordinanza del marito: un modo per dichiararsi "non complice dello sterminio".
Non ne parlò nessuno, ma sei giorni dopo il giornale locale riferì che “la moglie del Dr. H. dei Servizi Segreti, attualmente al fronte, ha messo fine alla sua vita sparandosi. Le ragioni del gesto infelice della donna sono sconosciute.”
Haber continuò, inventando anche lo Zyklon, che fu usato nelle camere a gas dei lager nazisti. Se avesse ascoltato sua moglie Clara, e non lo fece, forse la storia sarebbe andata in modo diverso.
Onore a questa grande donna.

18.1.23

in una regione in cui la sanità pubblica e ormai in mano ai privati Una notizia bella, da un ospedale sardo…

 da   Maria Giuseppina Careddu 


Il casco refrigerante per chi fa chemioterapia e permette di non perdere i capelli…… due pazienti sulle tante , potranno usufruirne: grazie a contributi pubblici e privati! Elogio e plauso a chi ha permesso questa opportunità. Con l’augurio che diventino di più e che tutte le donne possano usufruirne


In realtà perdere i capelli è nulla , di fronte al rischio di perdere la vita…
Ma è un trauma, perché rende visibile la fragilità della malattia a tutti…
Un trauma, pur sapendo che poi i capelli ricrescono…
🌺
Esiste ancora la generosa comprensione!
❤️❤️❤️👏🏽👏🏽👏🏽❤️❤️❤️

16.1.23

Perché da ex maschio alfa parlo di femminicidi e d'argomento femminili

In realtà  il post  d'oggi avrebbe dovuto essere  un altro    . Ma   visto   l'ennesimo  femminicidio    visto   che   Teresa di Tondo di  44 anni ed era un'educatrice. Il marito l'ha fatta a pezzi con un coltello. E dolore nel dolore, a trovarla sul pavimento di casa è stata la figlia diciassettenne. Ma  visto    che ,   è notizia  di  qualche  ora   fa  ,  lui   è  stato  trovato impiccato  ,   e  quindi   si  parlerà  di  omicidio  suicidio .  Femminicidio  o   omicidio   .-  suicidio  sempre  di  violenza    di genee   o  sulle  donne  si tratta  .  Ho deciso  il titolo  del  post      ,  visti    i  commenti  poi  rimossi     e non  pubblicati    in attesa  di  moderazione  ( ecco  uno  dei motivi     per  cui   uso la moderazione   )    a tali argomenti  o   a semplici post    \  storie   od  argomenti  femminili    mi   si  replica  

"Eh, ma non parli d'altro, sei monotematica" come se la colpa fosse mia se questa cosa accade tutti i giorni, diverse volte al giorno in ogni luogo del mondo in cui nascere femmina ti espone ad una maggiore possibilità di morire in modo violento per mano maschile.

Purtroppo    nel mio  piccolo     sia   che  me ne  occupi  come  ora    in  maniera  diretta    o  indiretta  ,  lasciando  che  siano le  utenti  a parlarne  ,    d'evitare     cosa  purtroppo     ormai  sta  prendendo  sempre  più     di    evitare    il  fatto che  

Ci stiamo "abituando", tra una forchettata di spaghetti e un sorso d'acqua, al tg annunciano una morte violenta, fanno il resoconto di quante da 1 gennaio ad oggi, entrano in particolari privati della vita di vittime e carnefici e noi, scuotiamo il capo
per disappunto e passiamo al secondo . [...] Il dramma è questo : svegliarsi e quasi ogni mattina venire a sapere che da qualche parte un uomo ha ucciso la moglie, la compagna, o la fidanzata. Teresa di Tondo aveva 44 anni ed era un'educatrice. Come me, mi viene da dire. Il marito l'ha fatta a pezzi con un coltello.E dolore nel dolore, a trovarla sul pavimento di casa è stata la figlia diciassettenne. [...]


Non vedo prese di posizione, non sento la responsabilità di una messa in discussione collettiva, corale, di un sistema che non può più essere tollerato e che andrebbe perseguito con la medesima e indomita determinazione che si riserva alle stragi di mafia e terrorismo. Niente, queste vite spezzate sono un soffio in cronaca che si disperde un attimo dopo. Fanno parte di un sistema, ma vengono trattate come episodi accidentali e isolati, e la violenza è conflitto familiare. Senza leggi, senza tutela, carne al macello.Finché non cambieranno i criteri educativi e culturali che puntano ad insegnare la supremazia , la prevaricazione , il sorpasso ed infine la fagocitosi dell ' uno sull' altro in particolare del maschio sulla femmina , non se ne verrà mai a capo.Il problema sta nella prevenzione. Non credo che un uomo, nell' atto di compiere un omicidio d' impeto, pensi alle conseguenze. Dovrebbe esistere un meccanismo tale che, alle prime avvisaglie, isoli il potenziale omicida, scongiurando che il fattaccio accada. Ma ciò è complicato perché le leggi potrebbero contrastare e perché sono interpretabili    a  vantaggio dell'accusato  .  Come dimostra la  vicenda    dell'amica   Patrizia  (  la stessa  del post  citato  )



   


 Basta  un buon azzeccagarbugli  . Ma  soprattutto    dal  fatto  che  una  richiesta  di   un educazione sentimentale    diventi  per la  classe politico legislativo  battaglia  ideologica  e  non di  civiltà   .   Ed  intanto   lo  stillicidio giornaliero  continua  

  concludo  con  questa      frase   Virginia Woolf

Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.

27.11.22

Al telaio contro la guerra Guernica per il Man dalle tessitrici di Sarule dello studio Pratha La designer Laura Lai: «I simboli di Picasso, studiati e resi con la lana»


Mentre  cercavo qualcosa    con cui  distrarmi    e  rimanere fedele   ai mio proposito   di boicotaggio  anti mondiali     ho letto  sulla  nuova   Sardegna d'oggi   di  questa  bellissima  iniziativa  a  cura  di   Graziella Carta: «Una sapienza da salvare che parla ancora come un’arte moderna» . 

 Infatti  Essa  insieme  ad  altre tessitrici  (    di Alberta Pinna, Lucia Piredda, Lucia Todde, Gonaria Todde e Rosaria Ladu  )    hanno  creato Sei grandi tessuti  che  raffigurano  Guernica    di Picasso  ora  in esposizione  al  museo Man  di Nuoro .

  dall'articolo   del  giornale  

Un lavoro minuzioso, un’arte antichissima e una creatività attuale si sono incontrate, per urlare ancora contro la sopraffazione, nelle tessiture per “Picasso e Guernica. Contro tutte le guerre”, mostra al Man (a cura di Michele Tavola) visitabile fino al 19 febbraio prossimo. Un’esposizione imperdibile che propone il reportage fotografico di Dora Maar sulla creazione dello storico dipinto di Picasso oltre una notevole collezione di incisioni del maestro spagnolo e di documenti dell’epoca. Il rapporto con il territorio che propone il Man – e una chiamata all’impegno pacifista – è l’animazione dell’artista nuorese Manuelle Mureddu e i sei tessuti dello studio Pratha di Sarule dedicati a Guernica. «Tutto nasce da un’intuizione di Chiara Gatti, direttrice del Man» spiega Graziella Carta, imprenditrice nuorese innamorata dell’arte e impegnata nel recupero della straordinaria tradizione del telaio sardo. «Chiara ci ha conosciute in occasione del Nuovo Bahaus europeo 2022. Evento che aveva selezionato il nostro lavoro e che, citando la storica scuola di design, ha come obiettivo i valori della bellezza, sostenibilità e inclusività – racconta Carta –. Così è nato il progetto della nostra designer». Entra in campo un altro eclettico talento: Laura Lai, designer, artista, ingegnere, cantante e compositrice musicale – partita dall’Italia per intraprendere la sua carriera creativa a Londra, per quasi dieci anni – attualmente lavora a Singapore. «Per Guernica tutto è nato dall’analisi dell’opera, i punti essenziali e la simbologia – spiega Laura Lai – così è nata la selezione delle sei immagini che si vedono riproposte al Man, analizzando le gradazioni di grigio e estrapolando gli elementi più rappresentativi. Ho riprodotto l’opera al computer, una griglia per le tessitrici, (ad ogni quadratino corrispondono un certo numero di fili). Colorando ogni quadratino nella giusta tonalità di grigio si è ottenuta una rappresentazione fedele all’originale. Una palette di colori naturali, con qualche piccola aggiunta di sfumature di nero per poter rimanere fedele a Picasso. La stampa che ne consegue è su misure originali, in modo da poter agevolare il lavoro delle tessitrici ed assicurare una risultato ottimale anche quando il design di alcune opere, come questa, risulta alquanto complesso per la riproduzione al telaio». Al telaio, verticale, senza spola, ma solo ordito e trama, le mani esperte di Alberta Pinna, Lucia Piredda, Lucia Todde, Gonaria Todde, Rosaria Ladu. «Un progetto sul capolavoro di Picasso – conclude Graziella Carta – ma anche delle opere che parlano di noi, perfino nei profumi delle erbe tintorie, nella consistenza della lana. Una cosa tutta nostra che nessuno può imitare. Perché sono convinta che sia l’unicità dell’arte la cosa più preziosa».

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...