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27.11.25

diario di. bordo n 155 anno III omonimia fastidiosa frutto del colonialismo sel XIX e XX secolo il caso del ADOLF HITLER A RICONFERMA ALLA GUIDA DELLA REGIONE DELL'OMPUNDJA, IN NAMIBIA ., I SOCIAL NETWORK e LE PIATTAFORME ONLINE SONO DIVENTATI I MEDIA CHE PIÙ INFLUENZANO GLI ITALIANI NELL'ACQUISTO DEI LIBRI, SUBITO DIETRO ALLA TELEVISIONE

  

adolf hitler uunona 1

(Adnkronos) - Adolf Hitler si è candidato di nuovo. Nessun errore di battitura, né allucinazione: in Namibia un consigliere regionale dal nome Adolf Hitler Uunona si è ricandidato dopo aver vinto le elezioni in Ompundja con un margine dell'85% sul suo sfidante. Ora è dato come favorito anche per la tornata del 26 novembre prossimo. 

Il suo nome, che puntualmente suscita curiosità e stupore, è il frutto della complessa eredità lasciata dal passato coloniale tedesco in Africa australe. Ma se in Namibia Adolf Hitler può candidarsi e vincere, in Italia la stessa scelta sarebbe stata bloccata dall'anagrafe. Il passato coloniale si riflette nei nomi. 

La Namibia porta ancora i segni della dominazione tedesca. Dal 1884 al 1915, il territorio fu colonia del Reich con il nome di Deutsch-Südwestafrika. I nomi tedeschi, compreso Adolf, non sono rari nel Paese: rappresentano un lascito culturale che sopravvive alla brutalità del genocidio degli Herero e dei Nama, quando la repressione tedesca uccise l'80% della popolazione herero e il 50% dei nama.

adolf hitler uunona 3

 

Uunona ha spiegato che il padre non conosceva la storia del dittatore nazista quando lo battezzò. Anzi: lo stesso consigliere è molto distante dalla ideologia nazista, è un militante del partito Swapo, che governa dal 1990, e ha dedicato la carriera alla lotta contro l'apartheid. 

In Italia Adolf Hitler potrebbe candidarsi? La risposta alla domanda è semplice: in Italia, un Adolf Hitler non solo non potrebbe candidarsi ma non potrebbe mai esistere legalmente, perché nomi del genere sono vietati dalla legge . La normativa che regola l'attribuzione dei nomi ai nuovi nati è chiara: la legge 396/2000, agli articoli 34 e 35, vieta esplicitamente di imporre nomi che possano ''arrecare pregiudizio morale'' o che siano ''ridicoli o vergognosi''. 

Tra i nomi proibiti rientrano quelli che richiamano personaggi storici controversi: Adolf Hitler, Benito Mussolini, Lenin, Osama Bin Laden. L'obiettivo è proteggere i minori da identità che potrebbero segnarne negativamente l'esistenza.Il decreto non dà un elenco completo dei nomi vietati, ma delle regole che stabiliscono quali non si possono affibbiare ai nuovi nati: Oltre al Dpr del 2000, che fissa le regole di base, la giurisprudenza interviene nei casi specifici per definire quali sono i nomi vietati in Italia.

 

adolf hitler uunona 2

Nel dubbio, se avete intenzione di chiamare vostro figlio ''Doraemon'', ''Pokémon'' ''Pollon'', ''Goku'', ''Bender'' o ''Venerdì'' come il giorno della settimana e uno dei personaggi del romanzo Robinson Crusoe di Defoe, sarebbe meglio cambiare idea.  Inoltre, gli ufficiali di stato civile devono rifiutare nomi che coincidano con quelli del padre o di fratelli viventi, cognomi usati come nomi, appellativi di marchi commerciali come Nutella o Ikea, personaggi di fantasia come Goku o Moby Dick. 

Il limite massimo è di tre nomi staccati: ad esempio, ''Gianmaria'' conta come uno solo mentre ''Anna Maria Bianca Rosa'' viene respinto. Se un genitore insiste nonostante l'avvertimento, l'ufficiale registra il nome ma avvia immediatamente una segnalazione al procuratore della Repubblica per la rettifica giudiziaria.La Namibia subì tra il 1904 e il 1908 il primo genocidio del Novecento, perpetrato proprio dai colonizzatori tedeschi contro le popolazioni Herero e Nama.

 

adolf hitler 14

L'80% degli Herero e il 50% dei Nama furono sterminati attraverso impiccagioni, fucilazioni, campi di concentramento e l'avvelenamento sistematico dei pozzi d'acqua. Il generale tedesco Lothar von Trotha ordinò lo sterminio completo: ''Ogni Herero, con o senza armi, con o senza bestiame, sarà fucilato''. Quel genocidio, riconosciuto dalla Germania solo nel 2021, anticipò le tecniche che i nazisti avrebbero poi perfezionato nei lager europei.Eppure, nonostante questa brutalità, la Namibia non ha vissuto la tragica esperienza dell'Olocausto. 

Nella percezione collettiva locale, il nome Adolf rimanda alla colonizzazione tedesca, non al nazismo, come invece succede in Europa. Nel Paese africano vivono ancora 13.000 tedeschi discendenti dei coloni, parlano tedesco, celebrano l'Oktoberfest, possiedono televisioni e giornali nella lingua di Goethe. I nomi tedeschi, Adolf incluso, fanno parte di questa eredità culturale stratificata, segni di un passato coloniale che non coincide con l'immaginario europeo del nazismo. Lo stesso Adolf Hitler Uunona scherza sul fatto di non avere ''mire espansionistiche di dominio globale'', consapevole della reazione che il suo nome provoca oltre i confini africani.




sempre  dal portale    dagospia



BOOKTOK

(ANSA) - I social network scalano la classifica dei media che più influenzano gli italiani nell'acquisto dei libri: dichiara di aver scelto almeno un titolo da comprare negli ultimi dodici mesi sulla base dei suggerimenti di booktoker e bookinfluencer o altri contenuti sui social il 20% della popolazione 15-74 anni. Meglio fa solo la televisione, con il 24%. A seguire i podcast (15%), la radio (15%) e quindi giornali e inserti culturali (13%).

 

I dati completi su come i media influenzano le scelte di lettori e acquirenti saranno presentati il 6 dicembre a Roma, all'interno del programma professionale di Più libri più liberi, la Fiera nazionale della piccola e media editoria organizzata dall'Associazione Italiana Editori (AIE) dal 4 all'8 dicembre alla Nuvola dell'EUR, durante l'incontro La forma del libro: booksthetic, collezionismo e nuove comunità di lettura, in Sala Aldus alle 15.30.

BOOKTOK

 

Intervengono: Loredana Baldinucci (Il Castoro OFF), Mario Bonaldi (Blackie Edizioni), Vincenzo Campo (Edizioni Henry Beyle). Modera Elisa Buletti (Giornale della Libreria). Nello stesso giorno altri due incontri saranno dedicati all'editoria turistica e ai nuovi generi del romanzo. Gli editori che stanno reinventando il libro di viaggio si tiene alle 13.30 in Sala Aldus, intervengono Vittorio Anastasia (Ediciclo), Pietro Biancardi (The Passenger/Iperborea), Mauro Morellini (Morellini editore), Giulio Perrone (Perrone editore).

booktok

 

Modera Samuele Cafasso (Giornale della Libreria). A seguire, ore 14.30 in Sala Aldus, È l'ora dei romanzi di de-formazione? Un'occasione per osservare la narrativa che cambia pelle nell'era delle traiettorie spezzate e delle identità mutevoli. Intervengono Eugenia Dubini (NN Edizioni), Tiziana Triana (Fandango Libri), Tiziano Cancelli (Mercurio Books). Modera Alessandra Rotondo (Giornale della Libreria).



  




È uno squarcio nell’anima del Paese.
Perché non stiamo parlando di tre folli isolati.
Stiamo parlando ,se tutto verrà confermato, di oltre cento italiani che avrebbero trasformato la guerra in un parco giochi per psicopatici, pagando per “giocare” a fare i cecchini su donne, bambini, civili inermi.
Gente “perbene”, con soldi, con famiglia, con rispettabilità sociale.
Gente che il lunedì mattina tornava in ufficio con la coscienza linda e la camicia stirata, dopo aver passato il weekend a sparare su esseri umani come fossero bersagli di cartone.
Se tutto questo venisse provato, non sarebbe una semplice vergogna: sarebbe una ferita etica nazionale, la dimostrazione lampante che il male non abita solo nei regimi o nei fanatici, ma può covare tranquillo nelle nostre case, nei nostri condomìni, negli stessi luoghi in cui ci illudiamo che la civiltà sia garantita.
E allora sì, che si scavi fino in fondo.
Che non si chiuda un occhio, che non si insabbi nulla, che nessuno si rifugi dietro la comoda foglia di fico del “non sapevo”.
Perché la Verità, quando è così sporca, non si guarda: si affronta.
E se tutto questo sarà confermato, non basteranno scuse, né processi individuali.
Servirà una riflessione collettiva, feroce, onesta, perché una cosa è certa:
non doveva succedere.
Non poteva succedere.
Non in nostro nome.

23.9.25

shantaram di Gregory David Roberts libro sopravalutato ?

Lo che  mi  mancano  ancora  300  pagine  e  qualcosa  .  per  finire   Shantaram  romanzo autobiografico avvincente scritto dall’autore australiano Gregory David Roberts, pubblicato per la prima volta nel 2003. È una storia intensa, filosofica e piena d’azione, basata sulle esperienze reali dell’autore ,  ma  avendone letto    abbastanza  credo  che si  possa  fare  una recensione   anche se   secondo alcuni  dovrei aspettare ad  arrivare  alla fine . Ma sapendo dove  l'autore  ti vuole  portare    è  una  recensione fattibile   .Dalle pagine lette     fin ora   confermo    quanto  dice  « Un capolavoro… un romanzo che tocca la mente e il cuore, che appassiona e fa pensare.» il  Daily Telegraph.
 Infatti l'autore    <<  [...] fa di  Bombay   quello  che  Loren Durrel  ha  fatto per  Alessandria  o Melville  per  il mari  del   Sud  ( Pat  conroy  ) . Un Uno di quei rari romanzi in cui l'ostinata ricerca del
bene tocca realmente la mente e il cuore. un autobiografia  romanzata  della  vita   già di per se  avventurosa  dell'autore . Scritta  talmente  bene  da  non riuscire a  distinguere  , se  on a  fatica ,  cosa c'è  di  vero e  cosa c'è  'inventato   cioè  di letterario  . Un libro   che ti va  viaggiare   senza  muoverti   da casa .  Infatti  nelle sue  descrizioni della città    ,  dei locali  , delle strade ,    delle  baraccopoli, anche detti anche   slum o  bidonville   per  chi  ama  i  termini  stranieri  , sembra    di essere  li    e  vivere  le  storie   che racconta   insieme  alla sua   e  alle persone  che diventeranno suoi amici   e suoi nemici  . e  di mangiare  i piatti  e  le  pietanze  di cui   parla  .  Leggendo le  descrizioni   della  gente  e   delle strade mi sembra   d'ascoltare un  disco di De andrè  .  Infatti las vita di Gregory David Roberts, avventuriero dannato e redento, è talmente travagliata da sembrare un romanzo d'appendice, una storia coinvolgente che sembra nata per il cinema peccato   che   non sia  andato  a  buon fine  . Infatti   I diritti per lo sfruttamento cinematografico dell'opera letteraria sono stati acquistati dall'attore Johnny Depp e la Warner Bros. produrrà per il cinema Shantaram, con lo stesso Depp nei panni del protagonista. L'inizio delle riprese era stato annunciato per settembre 2008 ma in seguito il progetto venne abbandonato a causa di insormontabili difficoltà economiche legate alla produzione. Tuttavia Apple tv ne acquisì i diritti per farne una serie tv uscita sulla specifica piattaforma nell'ottobre 2022; la serie è stata però abbandonata dopo la prima stagione di dodici episodi  . Poca  pazienza  o   poco coraggio  ?  visto che    ci  sono  state  serie   iniziative  male  e  poi evolutesi  benissimo   come  esempio   la serie   Ray Donovan è una serie televisiva creata da Ann Biderman per Showtime,   o  lo  spin off   spin-off  Better Call Saul.   della serie   Breaking Bad, conosciuto anche col titolo Breaking Bad - Reazioni collaterali in Italia  solo per    fare    quelli che  mi vengono  in mente  . Forse perchè  non si è ancora  completamente  pronti      alle  tematiche  chje il  romanzo  affronta: Spiritualità e Islam: Attraverso il suo mentore Abdel Khader Khan, Lin riflette su Dio e sull’esistenza. ., Ambiguità morale: Lin è costantemente tormentato dal senso di colpa, dalla ricerca di redenzione e dalle conseguenze delle sue scelte. Secondo   alcuni   utenti di     https://www.reddit.com/r/literature/  in particolare     Biggiegreen   ( qui  l'intero articolo )Shantaram è il libro più sopravvalutato.

Ho letto 850/940 pagine del libro, e non continuerò perché non voglio far parte del gruppo di persone che ha letto questo libro dalla prima all'ultima pagina. Nel testo che segue, massacrerò il libro, e non voglio che nessuno dica "ma allora perché hai letto tutto il libro?", perché non l'ho fatto!I bravi scrittori possono rendere intrigante una trama banale; finisci il libro, ed è il miglior libro che tu abbia mai letto, ma fai fatica a descrivere qual era la trama perché era così insignificante, e non riesci a capire cosa ti sia piaciuto esattamente del libro. Gli scrittori scadenti, d'altra parte, riescono nell'impresa impressionante di rendere una storia straordinaria noiosa e lenta.Avevo davvero grandi speranze per il libro; un rapinatore di banca/eroinomane australiano fugge da un carcere di massima sicurezza e vola a Bombay con un passaporto rubato e viene trascinato nella mafia di Bombay negli anni '80. Voglio dire, cosa c'è che non può piacere della premessa? [...] 


  Ora   è  vero  che  il  libro    , come  tutti   chi non  ne  ha    dei   difetti   ma  la  trama  avvincente    ti  trascina  fino alla  fine   .  C'è  Bella rappresentazione dell'India. Ti fa venire voglia di bere qualcosa al Café Leopold e passeggiare per Colaba. O fare un viaggio in treno in campagna. Mi è piaciuta la  descrizione    della città    e  degli slum  ,  il passaggio in cui Lin è andato al villaggio di Prabaker e hanno dovuto prendere un treno e assumere un tipo grosso per trasportare i loro bagagli e scortare Lin attraverso la folla. Mi  piace  , anche  se  a  volte  è un po' pensate  ,  le  parti  in cui  si auto analizza    e   descrive  i  suoi     tormenti e sensi  di colpa   .  E' vero       che  i certi   tratti     c'è   pesantezza    come afferma   l'articolo     di reddit   precedentemente   citato   :  <<  La parte peggiore del libro è la prospettiva META, ovvero che il libro è presumibilmente una biografia della vita dello scrittore, eppure si ritrae come il più grande essere umano che abbia mai calpestato la terra. Non è solo coraggioso e saggio, è santo. Risparmia Madam Zhou e Ranjan per una profonda nobiltà morale, trasforma il padre di Prabaker in modo che tratti gli animali con gentilezza e sopporta orribili pestaggi in prigione senza battere ciglio, ovviamente, pur mantenendo la sua umiltà. Ogni situazione diventa un'occasione per mostrare la sua virtù, l'abnegazione o la perspicacia filosofica. Il libro è pieno di Lin che pratica un gergo quasi filosofico. Gran parte di ciò che dice suona filosofico, ma in realtà è solo un ragionamento circolare come "Amiamo perché non possiamo non amare", o banalità mascherate ("Il dolore ci rende forti - ma ci spezza anche"). Come se non bastassero le sole sessioni filosofiche di Lin, Khaderbais è raffigurato come un guru della filosofia che sa tutto, ma le sue idee sono solo le idee a metà dello scrittore che in realtà non hanno alcun senso. E poi ci sono Lin e Khaderbhai, seduti lì a guardarsi con aria compiaciuta e a convalidare l'intelletto e le filosofie reciproche (l'intelletto degli scrittori).Ogni descrizione è paragoni assolutamente snervanti come "Le sue labbra erano morbide come le dune del deserto al tramonto cazzate cazzate cazzate". Secondo me, è al suo peggio quando cerca di descrivere la sua stessa felicità (o una sorta di "illuminazione"). Anche le scene di sesso sono... piuttosto fottutamente imbarazzanti. Ti fa chiedere se il tizio abbia mai fatto sesso? >> . Non    concordo     quando la definisce   lla  parte peggiore  ,  però allo  stesso non lo biasimo troppo , perché c'è del  vero    . Infatti     è come  se  in ogni capitolo seguisse uno schema quasi maniacale: introduzione, 5-10 pagine in cui Lin riflette su qualcosa di "profondo": la vita, l'amore, la sofferenza, l'India, l'anima, il fuoco, le nuvole, gli occhi. Sempre con metafore sovraccariche e spesso completamente scollegate o quasi dalla trama reale. Sempre  secondo  la  fonte  citata   precedentemente  : << Una fase del libro in cui Lin e i suoi ragazzi della mafia vanno in Afghanistan per partecipare a una guerra/fornire armi/medicine ai talebani. Questa parte può sembrare   noiosa, strana e non aggiunge nulla alla storia,  per  chi  non  è abituato  alle storie  lente  (   aggiunta  mia  )  ,  eppure arriva nel momento più cruciale del libro, dove la tensione dovrebbe culminare., solo alla fine succede qualcosa: una fuga, un tradimento, una lotta, una conversazione. È spesso solo allora che, come lettore, ti senti come se ti stessi effettivamente muovendo in avanti. >>  .  Ma   tutto    sommato   non  è male   ed  molto avvincente   in quanto    c'è  un equilibrio    tra    pregi e  difetti   . credo  che  m'incuriosisce     sapere  come  va  a finire la  sua  vicenda    continuo ella  lettura  e   mi prenderò    il  secondo  The Mountain Shadow è il seguito di Shantaram, scritto sempre da Gregory David Roberts e pubblicato nel 2015.  e   Il terzo libro della saga di Shantaram di Gregory David Roberts è atteso da tempo, ma al momento non è stato pubblicato ufficialmente. Roberts aveva annunciato l’intenzione di scrivere una trilogia, con Shantaram. concludo  consigliandolo a  coloro  che vogliono  o   hanno il  piacere   il  coraggio di mettersi in discussione  e filosofare  sul mondo e  su  stessi    ed  i  propri  fantasmi e  sensi di  colpa  .

19.8.25

IL MIO OSSERVATORIO (6520). Piccolo racconto domenicale di Mario Guerini

 

Abbiamo molto da imparare dagli anziani .  Ecco un esempio tratto  dal web 

  da  Mario Guerrini
IL MIO OSSERVATORIO (6520). Piccolo racconto domenicale. Lei compare ogni santa mattina. Qui a Bonaria, residenziale quartiere cagliaritano. Ha sempre, immancabilmente, un libro con sé. È una distinta signora novantenne. Dall'aria colta. Ora che la stagione lo consente, si siede in uno dei tavolini esterni, sul marciapiede, del "Cafè de buena aria". Per il rito mattutino della colazione. Trascorre il tempo, solitaria, leggendo il libro. E lo fa con quella che appare come una insaziabile sete di sapere e di conoscere. Che non si placa, nonostante la sua età, splendidamente e signorilmente portata. Per questo mi ha molto incuriosito. È affabile. Mi ha spiegato che il libro è da sempre il suo compagno di viaggio, nella quotidianità. A casa ha circa 3 mila 500 volumi. Una immensità. Lei si chiama Mirella Varone. È milanese di


origine. Il cognome è quello acquisito dal marito napoletano. Che non è più. Lei è ormai una figura familiare per chi frequenta quella zona di via Milano. "Vengo in questo bar perché è come quelli di un tempo", mi dice. "Ci si incontra, ci si conosce, si parla. E Michele (il titolare) e le sue ragazze offrono un servizio eccellente. Sempre sorridenti e premurosi". Un incontro pieno di garbo, quello con Mirella Varone. Ma fugace. Perché io in compagnia di Luna, la mia compagna a 4 zampe, durante la prima uscita della giornata. Sono stato attratto dalla forza intellettuale che esprime questa donna, con la applicazione alla lettura. Alla sua età matura di novantenne. Mirella Varone è una straordinaria enciclopedia vivente. In una Società in cui la tecnologia sembrerebbe inconciliabile, ma non è così, per fortuna, con le pagine di un libro. Buona domenica. Mario Guerrini.

8.3.25

DIARIO DI BORDO SPECIALE 8 MARZO parte 1 ANNO Ⅲ .Storie didonne Silvia Baldussu, la pilota delle Poste «Non esistono lavori per solo uomini» Romana con radici nell'isola, 48 anni, due figli, è primo ufficiale su Bocing 737 ., Grazia Pinna in campo nel 1979: «Sono stata la prima ad arbitrare in Italia» ., I dimenticati dell’arte: storia di Luisa Giaconi ( 1870-1908 ), la poetessa silenziosa ., Cinque straordinarie donne per ragionare sull’8 marzo “Womeness” ocumentario in onda su Sky

  canzone  suggerita     
Pane  e rose  -  Casa  del vento

 Visto    che  è  un   po' difficile  per  me  uomo,  che  pur  combattendo  anche interiormente   il proprio sessimo \  maschilismo  e   riportando post    contro ua  cultura  misogina  e sessista   perchè le  done siano trattate meglio,  parlare  \  scrvere un pensiero   compiuto e non retorico   \ banale sulla  giornata  del 8 marzo   che in realtà dovrebbe essere  tutto l'anno non  solo una  giornata  ,  raccontero   delle  storie prese  dalla rete  . Più  precisamnte     da  la nuova   sardegna    e     dalla  già citata  su  queste  pagine  della  rivista   arttribune 
una piattaforma di contenuti e servizi dedicata all’arte e alla cultura contemporanea, nata nel 2011 grazie all’esperienza decennale nel campo dell’editoria, del giornalismo e delle nuove tecnologie.





Grazia Pinna in campo nel 1979: «Sono stata la prima ad arbitrare in Italia»



Cagliari
 «Se credi che il mio arbitraggio non vada bene, il fischietto prendilo tu». Grazia Pinna, 81 anni, natali a Carloforte e fiorentina d’adozione «per amore», quarantasei anni fa è diventata così la prima donna arbitro d’Italia. «Negli anni Settanta ero presidente della squadra che aveva appena disputato la partita di un torneo dilettantistico della Uisp. La provocazione del direttore di gara, seduto al tavolino del mio bar a Campi Bisenzio, non mi spaventò. Andai all’Unione italiana sport per tutti, mi iscrissi al corso per arbitri, e dopo un anno ero sul campo di Firenze a dirigere la mia prima partita, in mezzo agli uomini che quel giorno me ne dissero di tutti i colori».
Correva l’anno 1979, la notizia, per l’epoca, era sensazionale: «Arrivarono duecento giornalisti da tutta la provincia. Mi chiamavano l’arbitro col rossetto». Il primo fischio d’inizio partita, al femminile, fu quella domenica al “Barco” di Firenze, per Castello–Fiorenza. Divisa nera, pantaloncini che lasciavano ammirare le gambe più sexy della domenica, moneta verso il cielo, palla al centro: «Tutto è iniziato quando il direttore di gara di una partita dove giocava la mia squadra mi lanciò la sfida perché gli contestai un rigore. Mi disse “fallo tu visto che sei tanto brava”. E io non persi tempo». Grazia Pinna, che vive ancora a Firenze, al contrario della sorella gemella Vittoria che ha sempre vissuto a Cagliari, non nega di esserne stata molto orgogliosa: «La Figc non accettava donne, le porte erano chiuse, mentre alla Uisp si potevano fare i corsi». La prima volta in campo? «Una grande emozione, era un avvenimento per tutti, soprattutto per i giornalisti che si precipitarono allo stadio per scrivere di me. I primi minuti sono stati terribili, avevo paura di condizionare la partita, poi credo di essere entrata perfettamente nel ruolo».Non sono mancati pregiudizi e scorrettezze: «Uno spettatore mi insultò dicendomi che come donna potevo essere brava soltanto a letto. Mi girai, lo guardai dritto negli occhi e gli dissi “sì può darsi, ma certamente non con te”. L’ispettore mi disse che era vietato replicare al pubblico, però ormai era andata». Sotto la pioggia e sotto la neve, la bella Grazia non si tirava indietro: «Mai. Quando mi chiamavano ero sempre pronta a partire. Devo dire che sono stata sempre molto severa, anche se i giocatori non si sono mai lamentati. Piuttosto il pubblico sì, dagli spalti sentivo spesso borbottare». I cronisti sportivi erano tutti a bordo campo: «Quel giorno si dimenticarono di darmi penna e cartellino, dunque scordai di segnare il primo gol. La partita si concluse due a uno, ma io ero talmente stordita dall’emozione che non mi resi conto quale squadra vinse». “L’arbitro col fondotinta”, “l’arbitro col rossetto”: «I titoli dei giornali erano spesso così, io però non mi sono mai offesa, anzi, in partita portavo anche i gioielli».La passione per il calcio l’ha sempre avuta fin da ragazzina: «Il mio idolo era ovviamente il grande Gigi Riva, ma seguivo anche l’arbitraggio di Sergio Gonella. Io ho portato in campo la mia sensibilità, insegnando ai ragazzi la sportività di una stretta di mano a fine partita. E quando entravano in campo dicevo loro di salutare il pubblico». La celebrità le ha fatto arrivare lettere di ammiratori da tutto il mondo, oltre che dall’Italia: «Mi scrissero perfino dal Messico. Volevano sposarmi, ma anche se all’epoca ero vedova non mi interessava».Fra i corteggiatori avvocati e professori: «Qualcuno mi mandò il biglietto aereo per raggiungerlo». Le donne arbitro? «Se oggi sono importanti, anche a livello internazionale, forse un pochino lo devono al mio coraggio di indossare i pantaloncini corti e fischiare qualche rigore. Avrei voluto tanto arbitrare in Serie A, ma all’epoca le porte erano blindate, non ci volevano». Ora che le donne arbitro scendono in tutti i campi di Serie A e non solo e sono numerose anche in Sardegna, Grazia Pinna è felice: «Quando iniziai avevo 36 anni. Non vorrei essere presuntuosa, penso che sia un po’ anche merito mio: sono stata la prima in Italia».
                                      (ilenia mura)


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I dimenticati dell’arte: storia di Luisa Giaconi, (1870-1908)
la poetessa silenziosa Originaria di Firenze, morì solo a 38 anni. La sua poesia, che affascinava Dino Campana, attende ancora di essere riscoperta. Anche dagli editori


Per guadagnarsi da vivere copiava le opere degli artisti del passato, mentre in segreto scriveva liriche intense e appassionate nella Firenze di fine Ottocento, che piacevano a Dino Campana
Schiva e riservata, Luisa Giaconi (1870-1908) era nata in una famiglia aristocratica ma non agiata.Il padre Carlo discendeva dalla nobiltà sassone ed aveva sposato Emma Guarducci, ma era un semplice insegnante di matematica, che si spostava in diverse città italiane per il suo lavoro. Soltanto alla sua morte Luisa poté tornare nella natia Firenze, dove terminò i suoi studi all’Accademia di Belle Arti. Dopo il diploma trascorreva le sue giornate nei musei fiorentini a copiare i capolavori, mentre affinava la sua sensibilità poetica, anche grazie all’amicizia con il suo vicino di casa Enrico Nencioni, critico letterario ed esperto di letteratura inglese. Erano “taciturne giornate”, come le aveva definite il suo caro amico Angiolo Orvieto, fondatore della rivista Il Marzocco, dove uscirono i suoi primi versi a partire dal 1899, a seguito della delusione causata dal fallimento della casa editrice Paggi, dove Luisa aveva a lungo sperato di pubblicare le sue poesie.
Nello stesso anno la Giaconi iniziò una relazione amorosa con il giornalista e professore di letteratura inglese Giuseppe Saverio Gargàno, che collaborava con la stessa rivista. “L’interesse di Giaconi”, scrive Nicolò Bindi, “sta nell’invisibile, nel tentativo di rappresentare ciò che l’occhio, o l’orecchio, può arrivare ad intuire, ma non a vedere o sentire concretamente. Da qui, il legame con la dimensione onirica, chimerica, nel desiderio di un’altra dimensione priva dei dolori e del rumore tipici della modernità”. I suoi componimenti, di evidente matrice simbolista, risentono di letture variegate, che vanno da Dante a Leopardi fino all’ Ecclesiaste, con un interesse spiccato per la filosofia di Schopenhauer. Tra i suoi pochi ammiratori spicca Dino Campana, colpito da versi come “Li autunni non furon che eterne primavere velate di pianto; e la vita fu sogno e l’amore fu sogno, e parvero sogni le luci delli astri, e la dolcezza dei fiori, ed il tempo, e la morte. Poi che noi siamo sogni”. Tra le poesie più note di Giaconi figura Dianora: Campana lo propose al suo editore, che lo inserì per errore in una raccolta del poeta.  

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   sempre  dalla  stessa  fonte  


Cinque straordinarie donne per ragionare sull’8 marzo

“Womeness”, in onda in prima visione su Sky Arte sabato 8 marzo, è il docu-film che descrive cinque influenti donne del nostro tempo a partire dal tema del corpo, inteso come “catalizzatore di accadimenti”


                                    Setsuko Klossowska de Rola con Yvonne Sci


Sono la scrittrice Dacia Maraini, la politica e attivista per i diritti civili Emma Bonino, l’artista verbo visiva Tomaso Binga, la pittrice e scultrice giapponese (moglie del pittore Balthus) Setsuko Klossowska de Rola e la compositrice e cantante iraniana (in esilio) Sussan Deyhim le cinque protagoniste di Womeness, il docu-film in onda – in prima visione – su Sky Arte sabato 8 marzo. In occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne, Sky Arte propone dunque la terza opera scritta e diretta dall’attrice e regista Yvonne Sciò, che prosegue così il proprio itinerario alla scoperta dell’universo femminile.Su Sky Arte una prima visione al femminile per l’8 marzoLe voci scelte appartengono a quelle di “cinque donne autentiche, diverse per nazionalità, estrazione e vissuto, ma uguali nel sentire” spiega la regista, motivando la selezione compiuta per Womeness. “Mi piaceva, in particolare, l’idea che le loro parole, a distanza, fluissero in un unico filo conduttore del racconto. Da una parte Dacia Maraini, Tomaso Binga ed Emma Bonino raccontano sé stesse, la loro infanzia e

Emma Bonino con Yvonne Sciò
le loro conquiste, che hanno intriso gli ultimi sessant’anni della nostra storia recente, e tirano le somme della condizione femminile nell’Italia che è stata gettando uno sguardo verso quella che sarà” prosegue Sciò. 
In relazione, infine, alle due presenze internazionali, la regista afferma: “Sussan Deyhim, cantante e performer iraniana, mi racconta quei momenti drammatici della rivoluzione in Iran e dell’impossibilita di poter tornare nel suo Paese, in quanto donna ed artista, e apre al ricordo della sua collaborazione con Shirin Neshat e Richard Horowitz, suo compagno e Golden Globe awarded scomparso durante la post produzione del film.” Con Setsuko Klossowska de Rola, Sciò raggiunge Villa Medici, a Roma, alla ricerca delle tracce del tempo trascorso dall’artista in quella storica sede: “sono poi infinitamente grata a Setsuko di avermi regalato il racconto della sua vita e della sua rivoluzione silenziosa fatta da giovanissima seguendo in Italia, contro ogni pregiudizio, il pittore Balthus” conclude la regista.
I contenuti del sito di Sky Arte sono curati da Artribune. Scoprite a questo link tutte le novità di palinsesto e le news che arricchiscono il portale.  






7.6.23

Quelle "signorine per bene che giocavano a calcio" e sfidarono il duce: la prima squadra di football femminile



da  https://cultura.tiscali.it/storie/articoli/


Nasceva novant'anni fa a Milano. Libri, articoli e uno spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che sta girando l'Italia raccontano la vicenda del Gruppo Femminile Calcistico milanese

                                     di    Francesca Mulas


“Si può essere signorine per bene e da casa e praticare al puro scopo ginnasstico lo sport del calcio”. Così la giovane milanese Losanna Stringaro difendeva novant'anni fa, sulle pagine del quotidiano Il Littorio, il suo Gruppo Femminile Calciatrici, la prima squadra di calcio femminile nata in Italia. L'esperimento, come lo chiamarono le stesse fondatrici, durò poco meno di un anno ma rivoluzionò per sempre la visione dello sport italiano e fu una preziosa prova di coraggio e libertà nel tempo in cui il fascismo imponeva la sua visione autoritaria e oppressiva sulle donne.





La storia, ancora poco nota, è stata ben raccontata dalla giornalista Federica Seneghini che tre anni fa ha dato alle stampe per le edizioni Solferino "Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce", un saggio che ripercorre la vicenda di Rosetta, Giovanna, Marta, Elena e le altre donne coraggiose che, appassionate di calcio, scelsero di dare vita a una squadra tutta al femminile sfidando i pregiudizi e gli stereotipi che volevano le donne chiuse in casa mentre gli uomini si occupavano di politica, cultura, lavoro e sport.

 Oggi quello stesso incredibile coraggio è al centro di "Le fuorigioco", spettacolo teatrale prodotto dalle compagnie Meridiano Zero, Teatro Tabasco, Compagnia Vaga per la regia di Laura Garau scritto e interpretato da Michele Vargiu che racconta la storia del GFC, il Gruppo Femminile Calcistico milanese nato tra il 1932 e il 1933; lo spettacolo, che da mesi sta girando il Paese, andrà in scena il prossimo 23 giugno a Sestu, provincia di Cagliari, per il festival “Storie di donne, donne e la storia”.



                                 L'attore Michele Vargiu nello spettacolo "Le fuorigioco"

Era l'autunno del 1932 quando un gruppo di ragazze fondò la squadra per sole donne. Nonostante allora questo sport fosse roba da uomini, le intenzioni delle giovani erano serissime: crearono un programma con regole ben precise e lo inviarono a tutti i giornali perché lo pubblicassero, con l'obiettivo di cercare altre donne interessate a entrare in squadra. Il gioco era diverso da quello maschile: le partite erano divise in due tempi da 15 minuti l'uno, si calciava rasoterra e il pallone era "poco più grande di una palla di gomma, di quelle con cui giocano i bambini". Insieme alla nota stampa le "tifosine", come loro stesse si chiamavano, allegarono anche una foto di gruppo realizzata in uno studio fotografico.
Il 26 marzo 1933, davanti a un pubblico di parenti e amiche, ci fu il primo allenamento della squadra, mentre a fine maggio il giornale "Il Calcio Illustrato", l'unico che prese sul serio l'idea e diede spazio alle notizie del GFC, dedicò un'ampio spazio a interviste, commenti, opinioni intitolato "Un'ora con le calciatrici milanesi". Il giornalista notò un gioco piuttosto lento, scarsa abilità e parecchia inesperienza, tuttavia il suo era un punto di vista finalmente serio a fronte di tanti commentatori sarcastici, e sottolineava "poca agilità in corsa, cadute che erano dei crolli, assenza di dribbling, abuso del colpo di punta al pallone, pochissimi i colpi di testa e gli shoots" nel gioco delle ragazze, come riporta lo studioso Marco Giani nell'articolo "'Amo moltissimo il giuoco del calcio'. Storia e retorica del primo esperimento di calcio femminile in Italia" pubblicato nella rivista La Camera Blu del 2017. "Costituiamo una famiglia sempre in aumento, ci vogliamo bene, e continueremo", così Losanna Stringaro al giornalista de Il Calcio illustrato.



Arrivava nel frattempo l'autorizzazione al gioco da parte di Leandro Arpinati, che in quei mesi presiedeva il Coni e la Figc, a patto però che le ragazze giocassero a porte chiuse; le calciatrici furono costrette a chiedere un certificato medico a Nicola Pende, direttore dell’Istituto di biotipologia individuale e ortogenesi di Genova, allora considerato tra i medici più autorevoli dal fascismo, che diede il suo consenso: "Io credo che dal lato medico - scrisse - nessun danno può venire né alla linea estetica del corpo, né allo statico degli organi addominali femminili e sessuali in ispecie, da un gioco del calcio razionalizzato e non mirante a campionato, che richiede sforzi di esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile. Giuoco del calcio dunque, sì, ma per puro diletto e con moderazione!".
Conquistato il sì dalle autorità politiche e sanitarie, non restava alle ragazze che giocare: la prima partita ufficiale si disputò l'11 giugno 1933 nel campo milanese Paolo Filzi tra le milanesi "G.S. Ambrosiano" e il "G.S, Cinzano" che conquistò la vittoria con una rete a zero su gol di Mina Bolzoni; sugli spalti, un migliaio di persone. Pochi mesi dopo Leandro Arpinati lasciò la presidenza del Coni e il suo posto venne occupato da Achille Starace, gerarca fascista e uomo meno incline alle sperimentazioni rispetto al suo predecessore, che impose la fine del Gfc suggerendo altri sport "più consoni" al genere femminile.
L'esperienza di Elena Cappella, la più piccola della squadra ad appena 14 anni, Giovanna, Gina, Rosetta e Marta Boccalini, Losanna Stringaro, Brunilde Amodeo, Maria Lucchese e le altre giovani coraggiose si concluse così. Se le partite erano terminate restava invece eterno l'esempio del gruppo di coraggiose che scelsero di rompere gli stereotipi e mostrare al Paese che le donne potevano liberarsi dal ruolo di angeli del focolare e cercare divertimento e libertà in un campo sportivo. A queste donne pochi anni fa il Comune di Milano ha intitolato una strada nella zona di Parco Sempione.

4.3.23

Tutti contro la serie tv su Lidia Poët, dopo i critici ed i familiari dell’avvocata anche l’autrice del libro attacca: «Immagine distorta» eppure ha avuto un grosso successo di pubblico

 Leggendo le  critiche   e le  stroncature    sulla ,  per me    discreta  (  ho visto   cose  peggiori    che non ti lasciano niente   ed  sono effimere  )     serie  tv  di netflix   linda poet    in particolare      quest  articolo  di   Open mi  sono detto     : <<  ma  insomma non è piaciuta nessuno . In Italia la fantasia e l'immaginazione sui fatti i le persone storiche sembra bandita.

Mentre il potere politico mediatico \ culturale riscrive la storia vedi #10febbraio #25aprile e nessuno o quasi s'indigna o si lamenta >> Ma poi il commento sagace , che condivido , di

Gianpaolo Pio
Grande successo di pubblico, le atmosfere vittoriane stile London, Whitechapel, tutto proibito e peccaminoso, Sherlock Holmes, assenzio oppio e sesso. Ci sta, come sempre tutto, anche l'indignazione di parenti e serpenti. Sembra come per Elly Schlein, il voto popolare ribalta il voto di partito e tutti a strapparsi vesti e capelli. Potere al popolo.


 



Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...