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27.11.25

diario di. bordo n 155 anno III omonimia fastidiosa frutto del colonialismo sel XIX e XX secolo il caso del ADOLF HITLER A RICONFERMA ALLA GUIDA DELLA REGIONE DELL'OMPUNDJA, IN NAMIBIA ., I SOCIAL NETWORK e LE PIATTAFORME ONLINE SONO DIVENTATI I MEDIA CHE PIÙ INFLUENZANO GLI ITALIANI NELL'ACQUISTO DEI LIBRI, SUBITO DIETRO ALLA TELEVISIONE

  

adolf hitler uunona 1

(Adnkronos) - Adolf Hitler si è candidato di nuovo. Nessun errore di battitura, né allucinazione: in Namibia un consigliere regionale dal nome Adolf Hitler Uunona si è ricandidato dopo aver vinto le elezioni in Ompundja con un margine dell'85% sul suo sfidante. Ora è dato come favorito anche per la tornata del 26 novembre prossimo. 

Il suo nome, che puntualmente suscita curiosità e stupore, è il frutto della complessa eredità lasciata dal passato coloniale tedesco in Africa australe. Ma se in Namibia Adolf Hitler può candidarsi e vincere, in Italia la stessa scelta sarebbe stata bloccata dall'anagrafe. Il passato coloniale si riflette nei nomi. 

La Namibia porta ancora i segni della dominazione tedesca. Dal 1884 al 1915, il territorio fu colonia del Reich con il nome di Deutsch-Südwestafrika. I nomi tedeschi, compreso Adolf, non sono rari nel Paese: rappresentano un lascito culturale che sopravvive alla brutalità del genocidio degli Herero e dei Nama, quando la repressione tedesca uccise l'80% della popolazione herero e il 50% dei nama.

adolf hitler uunona 3

 

Uunona ha spiegato che il padre non conosceva la storia del dittatore nazista quando lo battezzò. Anzi: lo stesso consigliere è molto distante dalla ideologia nazista, è un militante del partito Swapo, che governa dal 1990, e ha dedicato la carriera alla lotta contro l'apartheid. 

In Italia Adolf Hitler potrebbe candidarsi? La risposta alla domanda è semplice: in Italia, un Adolf Hitler non solo non potrebbe candidarsi ma non potrebbe mai esistere legalmente, perché nomi del genere sono vietati dalla legge . La normativa che regola l'attribuzione dei nomi ai nuovi nati è chiara: la legge 396/2000, agli articoli 34 e 35, vieta esplicitamente di imporre nomi che possano ''arrecare pregiudizio morale'' o che siano ''ridicoli o vergognosi''. 

Tra i nomi proibiti rientrano quelli che richiamano personaggi storici controversi: Adolf Hitler, Benito Mussolini, Lenin, Osama Bin Laden. L'obiettivo è proteggere i minori da identità che potrebbero segnarne negativamente l'esistenza.Il decreto non dà un elenco completo dei nomi vietati, ma delle regole che stabiliscono quali non si possono affibbiare ai nuovi nati: Oltre al Dpr del 2000, che fissa le regole di base, la giurisprudenza interviene nei casi specifici per definire quali sono i nomi vietati in Italia.

 

adolf hitler uunona 2

Nel dubbio, se avete intenzione di chiamare vostro figlio ''Doraemon'', ''Pokémon'' ''Pollon'', ''Goku'', ''Bender'' o ''Venerdì'' come il giorno della settimana e uno dei personaggi del romanzo Robinson Crusoe di Defoe, sarebbe meglio cambiare idea.  Inoltre, gli ufficiali di stato civile devono rifiutare nomi che coincidano con quelli del padre o di fratelli viventi, cognomi usati come nomi, appellativi di marchi commerciali come Nutella o Ikea, personaggi di fantasia come Goku o Moby Dick. 

Il limite massimo è di tre nomi staccati: ad esempio, ''Gianmaria'' conta come uno solo mentre ''Anna Maria Bianca Rosa'' viene respinto. Se un genitore insiste nonostante l'avvertimento, l'ufficiale registra il nome ma avvia immediatamente una segnalazione al procuratore della Repubblica per la rettifica giudiziaria.La Namibia subì tra il 1904 e il 1908 il primo genocidio del Novecento, perpetrato proprio dai colonizzatori tedeschi contro le popolazioni Herero e Nama.

 

adolf hitler 14

L'80% degli Herero e il 50% dei Nama furono sterminati attraverso impiccagioni, fucilazioni, campi di concentramento e l'avvelenamento sistematico dei pozzi d'acqua. Il generale tedesco Lothar von Trotha ordinò lo sterminio completo: ''Ogni Herero, con o senza armi, con o senza bestiame, sarà fucilato''. Quel genocidio, riconosciuto dalla Germania solo nel 2021, anticipò le tecniche che i nazisti avrebbero poi perfezionato nei lager europei.Eppure, nonostante questa brutalità, la Namibia non ha vissuto la tragica esperienza dell'Olocausto. 

Nella percezione collettiva locale, il nome Adolf rimanda alla colonizzazione tedesca, non al nazismo, come invece succede in Europa. Nel Paese africano vivono ancora 13.000 tedeschi discendenti dei coloni, parlano tedesco, celebrano l'Oktoberfest, possiedono televisioni e giornali nella lingua di Goethe. I nomi tedeschi, Adolf incluso, fanno parte di questa eredità culturale stratificata, segni di un passato coloniale che non coincide con l'immaginario europeo del nazismo. Lo stesso Adolf Hitler Uunona scherza sul fatto di non avere ''mire espansionistiche di dominio globale'', consapevole della reazione che il suo nome provoca oltre i confini africani.




sempre  dal portale    dagospia



BOOKTOK

(ANSA) - I social network scalano la classifica dei media che più influenzano gli italiani nell'acquisto dei libri: dichiara di aver scelto almeno un titolo da comprare negli ultimi dodici mesi sulla base dei suggerimenti di booktoker e bookinfluencer o altri contenuti sui social il 20% della popolazione 15-74 anni. Meglio fa solo la televisione, con il 24%. A seguire i podcast (15%), la radio (15%) e quindi giornali e inserti culturali (13%).

 

I dati completi su come i media influenzano le scelte di lettori e acquirenti saranno presentati il 6 dicembre a Roma, all'interno del programma professionale di Più libri più liberi, la Fiera nazionale della piccola e media editoria organizzata dall'Associazione Italiana Editori (AIE) dal 4 all'8 dicembre alla Nuvola dell'EUR, durante l'incontro La forma del libro: booksthetic, collezionismo e nuove comunità di lettura, in Sala Aldus alle 15.30.

BOOKTOK

 

Intervengono: Loredana Baldinucci (Il Castoro OFF), Mario Bonaldi (Blackie Edizioni), Vincenzo Campo (Edizioni Henry Beyle). Modera Elisa Buletti (Giornale della Libreria). Nello stesso giorno altri due incontri saranno dedicati all'editoria turistica e ai nuovi generi del romanzo. Gli editori che stanno reinventando il libro di viaggio si tiene alle 13.30 in Sala Aldus, intervengono Vittorio Anastasia (Ediciclo), Pietro Biancardi (The Passenger/Iperborea), Mauro Morellini (Morellini editore), Giulio Perrone (Perrone editore).

booktok

 

Modera Samuele Cafasso (Giornale della Libreria). A seguire, ore 14.30 in Sala Aldus, È l'ora dei romanzi di de-formazione? Un'occasione per osservare la narrativa che cambia pelle nell'era delle traiettorie spezzate e delle identità mutevoli. Intervengono Eugenia Dubini (NN Edizioni), Tiziana Triana (Fandango Libri), Tiziano Cancelli (Mercurio Books). Modera Alessandra Rotondo (Giornale della Libreria).



  




È uno squarcio nell’anima del Paese.
Perché non stiamo parlando di tre folli isolati.
Stiamo parlando ,se tutto verrà confermato, di oltre cento italiani che avrebbero trasformato la guerra in un parco giochi per psicopatici, pagando per “giocare” a fare i cecchini su donne, bambini, civili inermi.
Gente “perbene”, con soldi, con famiglia, con rispettabilità sociale.
Gente che il lunedì mattina tornava in ufficio con la coscienza linda e la camicia stirata, dopo aver passato il weekend a sparare su esseri umani come fossero bersagli di cartone.
Se tutto questo venisse provato, non sarebbe una semplice vergogna: sarebbe una ferita etica nazionale, la dimostrazione lampante che il male non abita solo nei regimi o nei fanatici, ma può covare tranquillo nelle nostre case, nei nostri condomìni, negli stessi luoghi in cui ci illudiamo che la civiltà sia garantita.
E allora sì, che si scavi fino in fondo.
Che non si chiuda un occhio, che non si insabbi nulla, che nessuno si rifugi dietro la comoda foglia di fico del “non sapevo”.
Perché la Verità, quando è così sporca, non si guarda: si affronta.
E se tutto questo sarà confermato, non basteranno scuse, né processi individuali.
Servirà una riflessione collettiva, feroce, onesta, perché una cosa è certa:
non doveva succedere.
Non poteva succedere.
Non in nostro nome.

30.8.25

gli sphigati

fra gli editoriali sul caso phica.eu \ net ed affini quelllo più azzeccato è questo preso dall unione sarda del 29\8\2025 di Celestino TabASSO . che conferma la battuta de bambino  che    chiede : <<  mamma chi sono i maniaci sessuali >> e la   mamma : <<  l'espresso , panorama >> mi pare di Ellekappa
In quanto   poichè  tira  di più  un pelo di figa   o due   tette  ,  che    un bambino che muore  . Infatti  grosse responsabilità morali  vengono    das  certe  trasmissioni tv ,  dalle  pubblicita ,  dalle  copertine dei settimanali ( adesso  di meno )  e  da   certi siti  internet acchiappalike  , ecc 

 Gli sfigati sono come gli zombie: uno fa senso, in massa fanno paura. Sulla pagina Phica e su chi ci sbavava sopra stanno già dicendo tecnicamente la loro psichiatri e penalisti; vista dal balconcino di una rubrica, sembra una patria sommersa per maschi terrorizzati dal potere e dal valore femminile. Non a caso a venire dossierate e poi commentate come frisone in fiera erano spesso donne con ruoli prestigiosi. Lo sphigato, che a tu per tu con ciascuna avrebbe balbettato in soggezione, esorcizzava la propria inferiorità riducendole a pezzi di carne, lombate da valutare con competenza cannibale. Il disastro è che ha potuto farlo in coro e più o meno alla luce del sole. E già che resta un pizzico di righe, diciamo due cose pure sull’ipocrisia dei giornali. Primo: il giochino grafico del Ph è bastato perché tutti scrivessero serenamente il nome Phica. Iniziasse con la F, nove testate su dieci lo chiamerebbero vittorianamente “quel sito” (e il decimo ci aprirebbe per tre giorni la prima pagina, appellandosi sornione al diritto di cronaca). Secondo: non bisogna essere Matusalemme (a proposito di patriarchi) per ricordare quando sui quotidiani a ogni inizio di legislatura si faceva un pezzo per designare Miss Montecitorio o Miss Consiglio, dopo pensosa valutazione delle rappresentanti del popolo. Pezzo di colore, lo chiamavamo, o di alleggerimento. Invece era pesante.


 

18.6.23

si è artisti in vita ma i media e a massa non s'occorgono salvo qualche barlume . il caso del fotografo Paolo di Paolo

     in  sottofondo     

  
 Tutti i media   eran  occupati   dalle  morti    di  alcune  celebrità politiche  e culturali  . Tanto  da  far  passare  in secondo  piano  la  morte (  salvo  qualche trafiletto   nella  pagina  della  cultura  o riviste  specialistiche  d'arte  e  di  fotografia )   di  uno   dei fotografi italiani , Paolo di Paolo ,  più  importanti  degli ultimi 60  anni  della storia  del  costume    Italiano  . Si può morire dimenticati   (  salvo  da  pochi appassionati    delle  sue  opere  ) o   nell'indifferenza  (  vedere  canzone  in  sottofondo )   , si può morire cercando di  restare fino all’ultimo sulla scena, si può morire lontani dal mondo e si può morire con la sensazione illusione  che si verrà ricordati.
In questi giorni  come   ricorda il  giornalista  
Mario Calabresi  riporto  sotto  l'articolo     delll'ultimo n   della  Newsletters    altre storie     in  quanto  è  grazie   a   lui  che   l'ho scoperto    ed  ho  identificato  alcune  foto    che   avevo    visto   su  alcune riviste   ed  in alcuni siti  <<    ci hanno lasciato molte persone che hanno incrociato le nostre vite e che ci sembrava di conoscere, da Silvio Berlusconi a Francesco Nuti, da Flavia Franzoni Prodi allo scrittore americano Cormac McCarthy. Quest’ultimo aveva 89 anni, ma da tanto tempo era scomparso e viveva come un monaco di clausura a Santa Fe in New Mexico. A parlare per lui c’erano però i suoi potentissimi libri. Ma c’è un uomo, che è scomparso a 98 anni la stessa mattina di Berlusconi, che voglio ricordare per molti motivi: stima, amicizia e perché ha avuto l’occasione di nascere due volte, la seconda quando aveva novant’anni. Grazie a sua figlia. >>


LA STORIA

L’uomo che nacque due volte

di Mario Calabresi


Si può morire dimenticati, si può morire cercando di restare fino all’ultimo sulla scena, si può morire lontani dal mondo e si può morire con la sensazione che si verrà ricordati. In questi giorni ci hanno lasciato molte persone che hanno incrociato le nostre vite e che ci sembrava di conoscere, da Silvio Berlusconi a Francesco Nuti, da Flavia Franzoni Prodi allo scrittore americano Cormac McCarthy. Quest’ultimo aveva 89 anni, ma da tanto tempo era scomparso e viveva come un monaco di clausura a Santa Fe in New Mexico. A parlare per lui c’erano però i suoi potentissimi libri. Ma c’è un uomo, che è scomparso a 98 anni la stessa mattina di Berlusconi, che voglio ricordare per molti motivi: stima, amicizia e perché ha avuto l’occasione di nascere due volte, la seconda quando aveva novant’anni. Grazie a sua figlia.

La prima volta al mare, Rimini 1959 ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

Si chiamava Paolo Di Paolo, era nato in Molise nel 1925, si era trasferito a Roma per studiare al liceo classico e poi filosofia all’Università. Nel dopoguerra aveva frequentato il mondo artistico romano ed era rimasto affascinato dalla fotografia, così aveva cominciato a “scattare per diletto” (questo per lui era il senso vero della parola “dilettante”) ma presto quel passatempo era diventato un lavoro e il settimanale “Il Mondo” di Pannunzio la sua casa.

Dal 1954 al 1968 è stato uno dei più grandi narratori per immagini della trasformazione dell’Italia, ha raccontato il boom industriale, la Dolce Vita, il mondo del cinema, ha percorso tutte le coste del nostro Paese per raccontare le vacanze degli italiani insieme a Pier Paolo Pasolini (estate 1959) regalandoci un reportage indimenticabile. Un’Italia in cui convivevano giovani donne a capo velato che a Campobasso portavano le ceste sulla testa e ragazze in mini short sul lungomare di Viareggio, nuove linee aeree e trasporti a dorso d’asino, l’autostrada del Sole e la civiltà contadina. Era un tempo di speranza, in cui la fame reale lasciava il posto alla fame di sapere, conoscere e alla voglia di voltare definitivamente pagina.

Il padre della sposa. Trani, Puglia, 1959 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Fuoriserie al Gargano, 1959 ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo ha un modo di lavorare rigoroso, molto etico e profondamente rispettoso delle persone che fotografa. Negli anni Sessanta il tema della privacy emerge per la prima volta, i “paparazzi” rompono qualunque codice esistente, violando intimità e tradizioni. Nulla sembra essere più sacro, anche se con gli occhi di oggi non possiamo che sorridere di fronte a chi riteneva lecita qualunque intromissione nella vita dei personaggi pubblici quando apparivano sulla scena. Il presente di questo nuovo Millennio ci racconta di violazioni che arrivano dentro il letto di casa, ma la società di allora viveva il cambio di paradigma come un terremoto. Di Paolo invece è l’uomo delle intimità rispettate. In un’epoca in cui la macchina al collo era diventata un’arma e il titolo di “fotografo” non era propriamente esaltante, lui sceglie il garbo, preferisce fare un passo indietro quando capisce che pubblicare significherebbe creare dolore o rompere un rapporto di fiducia.

Marcello Mastroianni e Faye Dunaway, 1968 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

Le immagini che meglio testimoniano questo approccio alla vita e al lavoro non sono quelle dei tanti divi che ha ritratto ma il servizio fatto al Circeo ad Anna Magnani e a suo figlio. Il bambino era poliomielitico e non era mai stato fotografato, questo aveva scatenato la morbosità e la caccia allo scoop, la Magnani viveva la situazione con disperazione e in continua fuga. Finché decise di giocare d’anticipo e, conoscendo lo stile di Di Paolo, lo invitò nella villa di Punta Rossa per bruciare i paparazzi e chiudere la caccia. Si fece trovare con un costume nero e il cane, il figlio era in acqua che nuotava benissimo. Gli disse soltanto: “Sei tu il fotografo? Ahò datte da fà”. Realizzò un servizio unico, di intimità e tenerezza mai viste. In quegli stessi anni fotografò Oriana Fallaci che giocava a fare la diva sulla spiaggia del Lido di Venezia, ma quelle foto non verranno mai pubblicate.

Anna Magnani al Circeo ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Oriana Fallaci ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

Poi “Il Mondo” chiude, i “paparazzi” la fanno da padroni, i direttori dei giornali cominciano a chiedere “scoop” e scandali e lui non si sente più a casa. A 43 anni, nel 1968, decide di lasciare tutto e di uscire di scena. Si trasferisce a vivere in campagna insieme alla giovane moglie, prendono otto cani e Paolo si rimette a studiare. Nella sua nuova vita ci saranno libri di storia e l’ideazione dei calendari dei Carabinieri, ma mai più una sola fotografia.

Per trent’anni i suoi scatti restano chiusi in cantina, nessuno li vede più, finché un giorno, alla fine degli anni Novanta, la figlia Silvia ci si imbatte cercando un paio di scarponi da sci. «Avevo notato incuriosita - racconterà - una cassettiera e uno scaffale stipati di scatole arancioni. Erano piene di negativi e di stampe fotografiche. Poi c’era uno schedario in cui erano classificati, in ordine alfabetico, nomi di artisti, attori e scrittori… Ho iniziato ad aprire le scatole e sono rimasta folgorata da quelle stampe, così sono corsa da papà felicissima per chiedergli chi le avesse fatte. Mi rispose a mezza voce: “Sono mie, le ho fatte io, un tempo sono stato fotografo. È roba passata, non mi va di parlarne”».

Pierpaolo Pasolini ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Paolo Di Paolo con la figlia Silvia - Roma, 2017 © Bruce Weber

Piano piano, però, si scioglie e comincia a raccontare, Silvia pensa che quella storia vada condivisa, si guarda tutti i 250mila negativi e si convince che le sue foto meritino una mostra, ma prima che ciò accada passano altri vent’anni. Quando ho incontrato Paolo Di Paolo la prima volta sono rimasto incantato dal suo stile, dalla sua cortesia, dal piacere che aveva nel ricordare le persone e un “mondo perduto” (questo sarà poi il titolo della grande mostra che gli dedicherà il MAXXI di Roma nel 2019) e dall’amore per il lavoro che aveva fatto finché non gli era stato chiesto di scendere a compromessi.

Lo ricordo all’inaugurazione, emozionato e felice, camminare dritto con un dolcevita rosso e la giacca blu. Non poteva credere di essere stato riscoperto, di aver potuto riaprire una pagina che era stata voltata mezzo secolo prima. Stringeva le mani e rispondeva a televisioni e giornalisti, sorridendo a tutti con una solarità invidiabile. Aveva 93 anni.

Contadina, funerali di Palmiro Togliatti, 25 agosto 1964 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo

L’ultima volta che ci siamo incontrati gli ho chiesto quale immagine sceglierebbe se potesse salvarne una sola. Mi ha risposto senza esitazioni: quella scattata ai funerali di Palmiro Togliatti, dove nella grandiosità di un evento di massa emerge il dolore di una donna del popolo. Una donna con i capelli bianchi, un foulard in testa e dei fiori tra le mani. Paolo Di Paolo era rimasto convinto fino alla fine che gli esseri umani e i loro sentimenti dovessero essere al centro della storia.



31.10.22

Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna

 (ANSA) - CAGLIARI, 31 OTT 
 E' considerato un fine educatore che fa interagire la pedagogia con la didattica. Ha compiuto 84 anni il 2 aprile, Bernardo De Muro, maestro di retorica, poeta, intellettuale, drammaturgo, docente.



Cagliaritano di nascita e tempiese di origini, il suo cavallo di battaglia è l'arte di sedurre, incantare, persuadere con la parola credibile, onesta, essenziale, immaginifica."Contro l'impoverimento del lessico e l'appiattimento del linguaggio e per porre un freno al diluvio di parole ridondanti", spiega all'ANSA il letterato comunicatore, propugnatore della "circolarità del sapere e della conoscenza" e che, all'etimo del silenzio, ha dedicato un saggio. "La creatività nasce nel silenzio di ascolto - afferma De Muro - ho imparato a farmi guidare dallo stesso istinto che governa gerridi, api e ragni". A lui, tra l'altro, si deve la scelta del nome di una storica automobile della Fiat, la Croma. Per 40 anni ha insegnato retorica antica e arte oratoria a liceali, universitari, professionisti, manager. Da laico insegna ai giovani sacerdoti come rendere leggere le omelie. Al suo attivo conta
oltre 400 seminari su questa antica disciplina con la nuova retorica. Tanti i riconoscimenti, uno su tutti, primo premio internazionale sul tema della mitologia a Boston con l'opera "Apodiòniso figlio di Agenore".
Esperto di logopedia, ha superato grazie alla determinazione la sua balbuzie, "le mie corde vocali erano serpenti a sonagli", ricorda. E' vasta la sua produzione in narrativa, saggistica, teatro, poesia - sonetti, haiku - favolistica, aforismi. Apprezzatissimo tra gli altri il suo "Genova-Cantico del ponte Morandi" e il suo prezioso e originale saggio "Dizionario: l'albero della parola". "Ciò che colpisce nell'atto di parola e scrittura di De Muro - ha detto di lui Bachisio Bandinu - è il fascino intrigante dell'eloquenza come tensione interiore". "L'ho visto condurre quegli adolescenti, rapiti, silenti e sorpresi dal suo logos raffinato e comprensibile nel contempo", ricorda Roberta Soggia, docente di filosofia.La sua ultima fatica è un affascinante romanzo, "Storie e misteri nella Valle dei Nuraghi", ma sta per dare alle stampe "C'era una volta il punto e la virgola". "Stupore e meraviglia sono le chiavi per guardare in alto attraverso le parole del profondo", chiarisce il "chirurgo della parola". Il suo nome lo deve al grande tenore, suo omonimo e zio. Del compianto cantante a cui ha dedicato una monografia, "Bernardo De Muro parla di Bernardo De Muro", in occasione dei 130 anni dalla sua nascita, ricorda che fu lui a suggerire a suo padre, per l'11esimo e penultimo figlio, il nome. "Bernardo De Muro - sottolinea - è il nome che mi porto da 84 fresche primavere. E, da appassionato e critico musicale, non posso che andarne fiero".

Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna
Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna© Provided by ANSA

A 84 anni il suo ricco curriculum è un work in progress. Del resto "Per diventare giovani - recita un suo aforisma- ci vuole molto molto tempo".

15.8.21

si riuscira a realizzare un informazione corretta alle paraolimpiadi ?



si riuscirà a realizzarlo ed a creare un precedente nell'informazione applicando tale proposito anche a fatti di cronaca nera e di femminicidio ? Speriamo di si .


 da  https://it.notizie.yahoo.com/   sab 14 agosto 2021, 5:23 PM

'O anche no': su Raidue le paralimpiadi raccontate con garbo
 di  Valeria Iorio






AGI - "Buona educazione, cortesia e informazioni. Niente pornografia del dolore, ma non solo supereroi". Così la giornalista e conduttrice Rai, Paola Severini Melograni racconta all'AGI lo spirito del programma 'O anche no', striscia quotidiana che racconterà le Paralimpiadi in onda su Raidue dal 25 agosto al 4 settembre, intorno alle 18. Il programma nasce nel 2019 da un'intuizione di Carlo Freccero che viene ripresa da Ludovico Di Meo "a cui devo tutta la mia gratitudine".
Un modo diverso di fare informazione, per raccontare la vita di tutti i giorni con professionalità e garbo. "Certi temi - sottolinea la giornalista - vanno trattati con delicatezza e correttezza. Il tema del sociale è il più importante perché è il fulcro del servizio pubblico. Sulle Paralimpiadi di Tokyo la Rai non solo ha anche i diritti internet, come nel suo intero portafoglio, ma detiene i diritti esclusivi multipiattaforma Free e Pay”.
"Racconteremo come è cambiata la società italiana e mondiale dagli anni '30 a oggi - spiega Severini - quando i disabili erano una pietra di scarto, totalmente residuali. Racconteremo tutta la storia della Paralimpiadi partendo dalla vicenda dell'ideatore, il dottor Ludwig Guttmann, un noto neurologo tedesco, probabilmente il medico più famoso della Germania, però ebreo".
"Dopo la Notte dei Cristalli - racconta la giornalista - avendo intuito che nemmeno la sua scienza lo avrebbe salvato, dovette scappare in Inghilterra dove avviò una grande rivoluzione: quando arrivò all'ospedale di Stoke Mandeville nel Berkshire, nel 1944, decise che i soldati parapleggici feriti in guerra, non avrebbero mai più dovuto incontrare commiserazione". Normalmente i paraplegici morivano dopo sei settimane a causa delle infezioni urinarie e delle piaghe da decubito, ma "Guttmann trovò nello sport - dice Severini - un nuovo approccio alle cure, una nuova motivazione, un cambiamento".
Ogni puntata vedrà l'intervento di ospiti speciali: Maria Stella Maglio (vedova di Antonio Maglio, l'italiano che battezzò ufficialmente le Paralimpiadi nel 1960 a Roma) Claudio Arrigoni del Corriere della Sera, Massimiliano Castellani e Adam Smulevich, autori del libro 'Un calcio al razzismo', Italo Cucci, Vito Cozzoli, presidente di Sport e Salute e Gabriele Gravina, presidente della Figc e Giampiero Spirito. "Abbiamo invitato, e speriamo di averlo tra gli ospiti, il figlio di Primo Levi, Renzo" racconta Severini.
Un programma di dieci minuti, che nasce dal lavoro di squadra "di una grande redazione: dal capo autore di 'O anche no' Maurizio Gianotti, all'autrice Giovanna Scatena, la produttrice Anna Santopadre. Uniremo diverse reti e diverse direzioni Rai - aggiunge - Rai per il sociale, Rai pubblica utilità, Rai sport, RadioRAi, Gr Parlamento che la mattina alle 11 riproporrà in formato audio la nostra trasmissione. Ma un ringraziamento va anche all'Inail oltre che Luca Pancalli del Comitato Paralimpico".

Ogni puntata verrà arricchita con la lettura di un estratto del libro 'Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann inventore delle Paralimpiadi' di Roberto Riccardi "un libro strepitoso, che non racconta solo la vita di un personaggio straordinario, ma è la vita dell'Europa" conclude Severini.











24.2.21

care donne è inutile che fate maifestazioni o altro contro i femminicidio e la cultura sessista . quando anche voi usate la loro stessa cultura . l'articolo indegno di di Gaia Piccardi corriere della sera su Larissa Mey Iapichino

  concordo     con   Idapaola Sozzani : << Il neocolonialismo e il razzismo nazistoide che trasuda dal commento ( non a caso si cita la genetica, la razza caucasica e l'addomesticamento dei giamaicani) é qui perfino peggiore dell'aspetto sessista >> del gruppo facebook I-Dee questo pezzo " riciclato " e riaddatato , qui l'articolo completo nella versione politicamente corretta    , l'articolo compare 9 agosto 2018 (modifica il 21 febbraio 2021 )  qui  l'articolo originale  nel  caso non si leggesse  lo troviate  qui  su  https://www.giornalettismo.com/larissa-iapichino-articolo-corriere-cromosomi-caucasici/


    è  grave   ,  e  poi   fanno per  pulirsi la  coscienza   manifestazioni  contro il femminicidio  \  violenza di genere   ,  in  quanto : 1) l'articolista  è  una  donna  ., 2) la  non reazione   degli interessati  .

23.1.16

CASTEGGIO Vittorio Sgarbi attacca le mostre organizzate a Pavia Il critico boccia le recenti retrospettive legate a Picasso e Monet: esposte opere di secondaria importanza solo per fare incasso

si vede  che Lui  è   abituato a presenziare opere      d'arte  che  danno solo visibilità mediatica  Oppure    ignora   che  nell'arte    nelle  arti  non esistono solo opere di primaria importanza ma anche opere minori ,. Io  penso che  esso    ragioni  come la massa contano solo opere maggiori e conosciute  
da http://laprovinciapavese.gelocal.it/tempo-libero/  20\1\2016
 CASTEGGIO

Vittorio Sgarbi attacca le mostre organizzate a Pavia

Il critico boccia le recenti retrospettive legate a Picasso e Monet: esposte opere di secondaria importanza solo per fare incasso
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CASTEGGIO. Localizzare, localizzare, localizzare. Niente più Picasso, niente più Monet, niente più opere secondarie di grandi artisti stranieri. In un paese dal patrimonio storico-artistico straordinario come l'Italia, non ha senso proporre mostre pretenziose ma di scarso contenuto, attirare l'attenzione dei visitatori con nomi altisonanti e opere poco interessanti: è questa l'opinione di Vittorio Sgarbi, ospite questa sera, mercoledì 20, alle ore 21 alla Certosa Cantù di Casteggio dove presenterà il catalogo della mostra "Il tesoro d'Italia", da lui curata nel periodo di Expo all'interno del padiglione di Eataly. Inutile, per il noto critico d'arte, discutere sui numeri dei visitatori (come hanno fatto in questi giorni a Pavia l'amministrazione uscente e la giunta attuale) perché la preoccupazione di chi organizza una mostra dovrebbe essere innanzitutto quella di offrire una proposta di qualità che sia anche coerente con l'identità del territorio.
Professore, cominciamo proprio dalla polemica degli ultimi giorni. Al di là di chi ha torto e chi ha ragione, ha senso discutere sul numero di visitatori di una mostra? È da questo che si giudica il suo valore?
«Certo il risultato di una mostra è interessante perché permette di capire se si è arrivati al pareggio dei costi, ma ovviamente non è questa l'unica chiave di lettura. Una mostra si giudica innanzitutto dalle opere che la compongono e dalla coerenza con il luogo in cui viene presentata. Viviamo in un'epoca in cui con pochi euro puoi andare a vedere i capolavori di Monet ad Amsterdam o quelli di Picasso a Madrid, portare in Italia le loro opere minori non ha alcun tipo di senso».
Sono pur sempre Monet e Picasso...
«Si, certo, e infatti chi sta a Pavia e dintorni può anche essere contento in mancanza d'altro di andare a vedere un più o meno interessante Monet o Picasso. Stiamo parlando però di mostre prefabbricate che sfruttano i grandi nomi senza includere le loro opere migliori, mostre assolutamente evitabili che chi ha un minimo di preparazione infatti difficilmente visita. Per farla breve, in pochi verrebbero a vederle da fuori: tanto varrebbe, quindi, proporre qualcosa che interessi davvero a chi vive sul territorio e non qualcosa che si va a vedere per puro intrattenimento».
Insomma, queste mostre proprio non le piacciono.
«Non è questione di piacere o non piacere, si tratta di una politica culturale sbagliata. La politica dei grandi nomi (che cominciò Marco Goldin, critico e curatore d'arte, con gli Impressionisti) è un modo per attrarre persone che vanno a vedere una cosa solo perché già la conoscono e perché è divertente. Divertente come può esserlo un film di Stanlio e Olio ma niente di più, perchè le opere in mostra sono necessariamente modeste. Piuttosto, se proprio si vuole portare i grandi nomi, si porti un unico quadro importante e si promuova solo quello».
Cosa farebbe lei a Pavia?
«Cose che riguardino la città e in generale l'area lombarda: la grande scultura della Certosa di Pavia, la scultura del Quattrocento, il Bergognone (che è già stata fatta, una magnifica mostra), la pittura dell'Ottocento o del Novecento. Insomma, gli argomenti non mancano, come è stato per il caso dell’Arazzo della Battaglia, ed è questa la strada che bisogna seguire».
È la strada che ha seguito lei per "Il tesoro d'Italia"?
«Esatto, e anche se è stata criticata da molti io rimango convinto che sia la più bella mostra mai organizzata in Italia dai tempi del Fascismo, e certamente la cosa più interessante da vedere all'Expo. Ovviamente era una mostra celebrativa, per la quale mi è stato chiesto di selezionare alcune opere che rappresentassero le regioni italiane: il risultato è stato una specie di Brera, l'unico museo italiano che ha tutte le scuole perchè lo fece Napoleone esattamente come aveva fatto il Louvre».
Nel suo caso, però, l'ha voluta Farinetti.
«E meno male che c'era lui, perchè altrimenti avremmo avuto un Expo con l'albero della vita e altre quattro puttanate senza nessun significato».
Da poco lei ha visitato il castello di Voghera: lo definirebbe un tesoro nascosto?
«Più che un tesoro nascosto, quello è un tesoro chiuso. Il castello di Voghera è straordinario perchè ha gli affreschi del Bramantino, meravigliosi anche se non integralmente restaurati».

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