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3.7.21

Dalle ginestre la fibra più verde UNA FIBRA SIMILE AL LINO SI ESTRAE DALL’ARBUSTO. E CON GLI SCARTI? SI PRODUCONO BANCHI PER LE SCUOLE ALTRI PREGI: CRESCE CON POCA ACQUA E SENZA BISOGNO DI PESTICIDI

   da  gente   di questra  settimana 

ALLO STUDIO A sinistra, i rami della ginestra dai quali si estrae la fibra. Sotto, il professor Amerigo Beneduci dell’Università della Calabria (sotto) nel suo laboratorio, che ha studiato il tessuto ottenuto dall’arbusto. DAI CAMPI ALL’ATELIER A sinistra, la stilista Flavia Amato lavora su uno scampolo di tessuto sotto l’occhio della sua modella (anche nella pagina a fianco, in un ginestreto) che indossa la prima tuta prodotta con questa stoffa. Sotto, il materiale. (Foto Fotogramma/IPA).

Avolte per andare avanti bisogna tornare indietro, guardare al passato, ripescare vecchie idee. Come quella di ricavare fibre tessili dalle ginestre, trasformando una pianta spontanea in una risorsa per la moda, l’arredo e molto altro. Gli antichi romani lo facevano già, prima di loro i greci; resti di questo tipo di filato sono stati trovati durante gli scavi di Pompei. Oggi la palla è passata al Dipartimento di tecnologie chimiche dell’Università della Calabria, dove il professor Giuseppe Chidichimo e il suo team fanno ricerca in questo senso da almeno dieci anni.

«È iniziato tutto grazie a una collaborazione con il gruppo Fiat, che voleva usare stoffe alla ginestra per i sedili delle auto», racconta il docente. «A noi è stato chiesto di modernizzare l’antico processo di estrazione della fibra dall’arbusto e di renderlo industrializzabile». Più facile a dirsi che a farsi: mentre con il lino basta seccare i rametti e scuoterli per far staccare la parte fibrosa, la ginestra, dove la fibra è presente nelle cuticole delle vermene, cioè dei rami, è cespugliosa e più resistente, e richiede uno sforzo maggiore. «In passato la si metteva in ammollo nell’acqua per quindici giorni per provocare lo sfaldamento della parte interna, poi la si batteva con strumenti di legno: un metodo efficace, ma lento. Così come quello usato negli Anni 40 quando, in pieno regime fascista, smise di arrivare il cotone dall’America e si fece nuovamente ricorso all’arbusto locale, diffusissimo nelle regioni del Sud Italia: all’epoca si scoprì che per sciogliere le sostanze collanti che trattengono la fibra era utile immergere le piante in una soluzione sodata, la stessa dove si mettono le olive per renderle più dolci. Ma anche se la fase di macerazione si era evoluta, non così quella successiva, nella quale la fibra veniva strappata a mano dalle donne». Niente di replicabile su larga scala, insomma. «Con i nostri studi abbiamo fatto molti progressi, persino reso più ecologico il processo eliminando il bagno nel

la soluzione sodata, che abbiamo sostituito con un ciclo di disidratazione e reidratazione suggeritoci dai contadini. È ancora un work in progress, ma abbiamo già iniziato a coinvolgere le aziende».

Le prime a dimostrare interesse sono state quelle della filiera tessile: la Sunfil di Castrovillari, in provincia di Cosenza, ha messo a punto un macchinario apposito per la cardatura (la ginestra ha fibre lunghe, diverse da quelle di lino e canapa), il Linificio Canapificio Nazionale del gruppo Marzotto si è occupato dei filati, il tessuto finito è stato realizzato dalla Tessitura Enrico Sironi di Gallarate, infine l’atelier Malia Lab della stilista calabrese Flavia Amato ha cucito i primi capi, un trench e una tuta palazzo. «Temevamo che il tessuto risultasse ruvido al tatto, irritante per la pelle», ammette il professor Amerigo Beneduci, che con Chidichimo è tra i responsabili dell progetto. «Al contrario, quello che abbiamo ottenuto è morbido, fresco, estremamente versatile. Ricorda il lino ed è perfetto per la bella stagione».

Ma la ginestra ha anche altri vantaggi. «È una pianta che cresce spontaneamente e in maniera molto rapida», riprende Chidichimo. «Non ha bisogno di molta acqua e attecchisce sui terreni collinari, anche aridi, inservibili o quasi per l’agricoltura. Non ruba quindi spazio ad altre coltivazioni, anzi è utile contro gli incendi e, con le sue lunghe radici di 3-4 metri, previene le frane. Ed è pure bella da vedere: quando è in fiore crea una distesa gialla molto gradevole. Inoltre, a differenza del cotone, non ha bisogno di pesticidi inquinanti perché non viene attaccata dai parassiti». Ma quanta ne serve per fare un abito? «Se ipotizziamo di usare circa due chili di tessuto per capo, avremo bisogno di due chili e mezzo di fibra, che si estraggono da 25 chili di ginestra verde. Sembra tanto, ma un ettaro di ginestreto produce 25 tonnellate di arbusti, quindi mille vestiti».

Unico neo, sul vegetale appena tagliato la resa in fibra è piuttosto bassa, del 10-12 per cento. Ma anche in questo caso il problema è presto risolto: gli scarti, cioè la parte legnosa inadatta al tessile, non vengono buttati, ma trovano impiego nei settori più disparati, dalla bioedilizia all’arredo: «Noi li abbiamo forniti alla Sirianni, un’azienda di mobili per le scuole, che ne ha fatto banchi, cattedre e armadi», racconta Beneduci. Ma è anche possibile macinarli e ridurli a polveri vegetali, per integrarli in composti plastici e ridurre l’uso di derivati dal petrolio. Meglio di così!

23.1.16

CASTEGGIO Vittorio Sgarbi attacca le mostre organizzate a Pavia Il critico boccia le recenti retrospettive legate a Picasso e Monet: esposte opere di secondaria importanza solo per fare incasso

si vede  che Lui  è   abituato a presenziare opere      d'arte  che  danno solo visibilità mediatica  Oppure    ignora   che  nell'arte    nelle  arti  non esistono solo opere di primaria importanza ma anche opere minori ,. Io  penso che  esso    ragioni  come la massa contano solo opere maggiori e conosciute  
da http://laprovinciapavese.gelocal.it/tempo-libero/  20\1\2016
 CASTEGGIO

Vittorio Sgarbi attacca le mostre organizzate a Pavia

Il critico boccia le recenti retrospettive legate a Picasso e Monet: esposte opere di secondaria importanza solo per fare incasso
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CASTEGGIO. Localizzare, localizzare, localizzare. Niente più Picasso, niente più Monet, niente più opere secondarie di grandi artisti stranieri. In un paese dal patrimonio storico-artistico straordinario come l'Italia, non ha senso proporre mostre pretenziose ma di scarso contenuto, attirare l'attenzione dei visitatori con nomi altisonanti e opere poco interessanti: è questa l'opinione di Vittorio Sgarbi, ospite questa sera, mercoledì 20, alle ore 21 alla Certosa Cantù di Casteggio dove presenterà il catalogo della mostra "Il tesoro d'Italia", da lui curata nel periodo di Expo all'interno del padiglione di Eataly. Inutile, per il noto critico d'arte, discutere sui numeri dei visitatori (come hanno fatto in questi giorni a Pavia l'amministrazione uscente e la giunta attuale) perché la preoccupazione di chi organizza una mostra dovrebbe essere innanzitutto quella di offrire una proposta di qualità che sia anche coerente con l'identità del territorio.
Professore, cominciamo proprio dalla polemica degli ultimi giorni. Al di là di chi ha torto e chi ha ragione, ha senso discutere sul numero di visitatori di una mostra? È da questo che si giudica il suo valore?
«Certo il risultato di una mostra è interessante perché permette di capire se si è arrivati al pareggio dei costi, ma ovviamente non è questa l'unica chiave di lettura. Una mostra si giudica innanzitutto dalle opere che la compongono e dalla coerenza con il luogo in cui viene presentata. Viviamo in un'epoca in cui con pochi euro puoi andare a vedere i capolavori di Monet ad Amsterdam o quelli di Picasso a Madrid, portare in Italia le loro opere minori non ha alcun tipo di senso».
Sono pur sempre Monet e Picasso...
«Si, certo, e infatti chi sta a Pavia e dintorni può anche essere contento in mancanza d'altro di andare a vedere un più o meno interessante Monet o Picasso. Stiamo parlando però di mostre prefabbricate che sfruttano i grandi nomi senza includere le loro opere migliori, mostre assolutamente evitabili che chi ha un minimo di preparazione infatti difficilmente visita. Per farla breve, in pochi verrebbero a vederle da fuori: tanto varrebbe, quindi, proporre qualcosa che interessi davvero a chi vive sul territorio e non qualcosa che si va a vedere per puro intrattenimento».
Insomma, queste mostre proprio non le piacciono.
«Non è questione di piacere o non piacere, si tratta di una politica culturale sbagliata. La politica dei grandi nomi (che cominciò Marco Goldin, critico e curatore d'arte, con gli Impressionisti) è un modo per attrarre persone che vanno a vedere una cosa solo perché già la conoscono e perché è divertente. Divertente come può esserlo un film di Stanlio e Olio ma niente di più, perchè le opere in mostra sono necessariamente modeste. Piuttosto, se proprio si vuole portare i grandi nomi, si porti un unico quadro importante e si promuova solo quello».
Cosa farebbe lei a Pavia?
«Cose che riguardino la città e in generale l'area lombarda: la grande scultura della Certosa di Pavia, la scultura del Quattrocento, il Bergognone (che è già stata fatta, una magnifica mostra), la pittura dell'Ottocento o del Novecento. Insomma, gli argomenti non mancano, come è stato per il caso dell’Arazzo della Battaglia, ed è questa la strada che bisogna seguire».
È la strada che ha seguito lei per "Il tesoro d'Italia"?
«Esatto, e anche se è stata criticata da molti io rimango convinto che sia la più bella mostra mai organizzata in Italia dai tempi del Fascismo, e certamente la cosa più interessante da vedere all'Expo. Ovviamente era una mostra celebrativa, per la quale mi è stato chiesto di selezionare alcune opere che rappresentassero le regioni italiane: il risultato è stato una specie di Brera, l'unico museo italiano che ha tutte le scuole perchè lo fece Napoleone esattamente come aveva fatto il Louvre».
Nel suo caso, però, l'ha voluta Farinetti.
«E meno male che c'era lui, perchè altrimenti avremmo avuto un Expo con l'albero della vita e altre quattro puttanate senza nessun significato».
Da poco lei ha visitato il castello di Voghera: lo definirebbe un tesoro nascosto?
«Più che un tesoro nascosto, quello è un tesoro chiuso. Il castello di Voghera è straordinario perchè ha gli affreschi del Bramantino, meravigliosi anche se non integralmente restaurati».

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...