RAI, DI TUTTO DI MENO.
Riccardo Magi, segretario di +Europa, mentre entra alla Camera, nella stessa identica sequenza di chiusura del servizio. Dopo un paio di minuti di conflitto in Medio Oriente, altrettanti di Ucraina e il mitico pastone di cui sopra, elegie di governo a seconda dei canali, il resto del tempo è dedicato ai borghi antichi, ai tormentoni musicali o agli influencer di Tiktok. Non un film, non un programma interessante, solo repliche e Techetechetè (unico momento interessante). Non stupisce che gli ascolti delle Reti Rai siano in picchiata.Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
2.9.24
21.2.21
MAURO BELLUGI, IL PROTAGONISTA di © Daniela Tuscano
Le aveva tutte Bellugi, anzi aveva perso tutto: prima una gamba, poi l'altra, poi l'intestino, poi è arrivato il Covid e con esso la mazzata finale. Non aveva più niente eppure sembrava così solido, con quella faccia contadina, le rughe profonde, gli occhi da bracco, sempre un po' casuali, come tutti i calciatori anni '70. Non divi ma soldatini di stagno, e le figurine Panini ce li restituivano così, fissi e variopinti. Fuori luogo, perché senza il pallone non esistevano. Bellugi era quel mondo, le domeniche pomeriggio, Novantesimo Minuto, l'Inter, mio padre. Che l'aveva trovato poco tempo fa a Niguarda, in attesa come gli altri, fisso ancora, ambedue le gambe fasciate. Lì Bellugi stava disputando l'ultima partita, nel chiarore di quella sala che sicuramente, ai suoi occhi, appariva un immenso campo di calcio. Un saluto cortese e senza fronzoli, l'annuncio buttato là, che gli avrebbero tagliato pure l'altra gamba, e quel "vediamo", il futuro comunque, perché la vita è un flusso e ti prevarica. Puoi non farcela, ma non devi restare in panchina.
Bellugi giocava ancora. Duramente e spontaneamente, a testa bassa, con una pietas quasi virgiliana. Cose maschili, ché il calcio ai tempi apparteneva a loro; non era però esclusione, semmai completamento. Alla fine, ci si riuniva attorno a un tavolo ed esisteva solo il noi. "Vediamo", il tempo non ci appartiene, ma ci siamo dentro e lo percorriamo tutto.
Bellugi se n'è andato, e con lui il pudore che caratterizzava quel mondo. Quello per cui la stanchezza era una colpa, sempre, di fronte al terribile dono dell'esistere. Anche a brani, smozzicati, cadenti, ma oltre, ma anima, integri dentro, e al cuore nessuno arriva, pur se te lo mangiano.
© Daniela Tuscano
24.11.20
Terremoto irpinia 1980, parlano le le bambine della foto-simbolo sotto la coperta
Ci sono avvenimenti che ti rimangono dentro anche se non gli ha vissuti direttamente dal puntoi di vista cronologico ( avevo 4 anni ) in prima persona o visti in diretta \ live perchè eri troppo piccolo . Ed quello dell'irpinia è uno di questi .
Una dele tante forse una delle più belle
https://www.ilmattino.it del 23\11\2020
Inviato a Balvano
La foto che racconta la tragedia e chiama gli italiani alla solidarietà: Balvano 24 novembre 1980, la sera successiva al grande terremoto, nella tendopoli alla periferia del paese intorno ai falò per riscaldarsi tre bambini si nascondono in una coperta e vengono fotografati da un reporter dell'Ansa. Il 26 novembre quella diventa la foto di Fate presto l'urlo del Mattino che scuote il Paese e accelera l'arrivo dei soccorsi.
I tre bambini sono Gerardo Pietrafesa (7 anni) e le sorelline Giuseppina (5) e Carmela Luongo (8), sotto la coperta - ma non si vede - c'è l'altra sorella Maria. Resta solo un piccolo giallo su Gerardo identificato da una delle sorelle Luongo non si è però lui stesso del tutto riconosciuto. «Certo che mi ricordo quando ci hanno fatto quella foto». Carmela Luongo non nasconde l'emozione a ripercorrere quelle ore. Lei era in chiesa: a Balvano nel crollo della chiesa madre morirono 66 ragazzi. «Sono una miracolata: quando cominciò a tremare andai verso la luce delle candele dell'altare e mi sono salvata. La mia amica Rosetta mi lasciò la mano e andò verso l'uscita: è morta travolta dalle macerie» ricorda Carmela.
Quarantanni dopo Balvano è avvolto nel silenzio di una sera di autunno, quasi inverno, battuto da una fastidiosa pioggia fitta. Risuonano solo le campane della nuova (e brutta) chiesa madre. In giro non c'è quasi nessuno, che da queste parti significa 4-5 persone. Ma non è colpa del Covid: qui c'è poca gente e quella poca, con il freddo, resta a casa. Anche senza il virus.Le sorelle Luongo da Balvano sono andate via sul finire degli anni 90, in Piemonte a Novi Ligure per trovare il lavoro.Il dramma di Balvano è il crollo della chiesa che si porta via 66 bambini: erano alla messa della sera perché c'erano i padri redentoristi per una missione di evangelizzazione.In chiesa c'era Carmela e il fratello. Giuseppina era davanti casa a giocare, l'altra sorella era a casa. Il papà, come tanti da queste parti, lavorava in Germania.«Mamma affidò me e Maria a una ragazzina poco più grandicella che ci portò in uno spiazzo al sicuro - ricorda Giuseppina - e lei andò verso la chiesa a cercare gli altri due fratelli. Ero troppo piccola: mi sono rimaste immagini spezzate. Ci portarono in questo grande spiazzo, raccolsero lì tutto il paese, almeno quello che era rimasto. Arrivarono le tende e arrivò pure il freddo. Dopo qualche giorno arrivò papà dalla Germania e non è più andato via».Nel buio, nella polvere, tra le urla disperate dei feriti sotto le macerie e delle mamme accorse a cercare i figli, invece, vengono ritrovate Carmela e il fratello.«Tutto era distrutto - spiega - fili elettrici che penzolavano, parti di case che continuavano a cadere ma ci ritrovammo tutti».«Dopo i primi giorni in tenda, con la neve e il freddo, ce ne siamo andati in una casa in campagna che aveva resistito alle scosse e siamo rimasti lì molti mesi fin quando non ci hanno dato un prefabbricato», rivede quei mesi Giuseppina. «Nessuno di noi scendeva in paese - ricorda - non c'era più niente: solo mamma scendeva di tanto in tanto per prendere qualcosa a casa e tornava sempre più sconfortata: avevano rubato tutto anche il suo vestito da sposa».Della foto Giuseppina non ricorda nulla, ma è certa che il bambino è Gerardo. Gerardo che, invece, vive a Balvano non è sicuro di essere lui: «Avevo un braccio fasciato, perché la scossa mi aveva fatto cadere, e qui non si vede. Ma potrebbe pure essere. In quei giorni eravamo tutti confusi e terrorizzati». Il terremoto è stato uno spartiacque nella vita di questa comunità: «Prima il paese era una sola famiglia - spiega Giuseppina - ora non lo so». Piano piano le strade di queste ragazze hanno preso altre direzioni. «Abbiamo studiato qui fino alle medie - ricorda - poi le superiori a Potenza e Carmela l'università a Salerno. Ma non c'erano prospettive e siamo andate tutte vie. Noi tre ragazze qui a Novi Ligure, mio fratello in Germania. E se non fossi andata via io con mio marito, che è pure di Balvano, sarebbero andati via ora i nostri figli. Qui non c'è niente».«L'immagine che mi è rimasta? Quella delle bare portate via dal paese» chiude amara Carmela.
3.5.20
Nuoro L’epopea di un gruppo di insegnanti che istruiva gli studenti tra monti e campi Dai viaggi in groppa all’asinello alle classi che si radunavano post mungitura
Cambiamo discorso , non stiamo sempre a parlare di Covid19 \ coronavirus e notizie legate direttamente ed indirettamente ad esso legate . Parliamo d'altro . Riporto qui questo articolo preso dalla nuova sardegna del 29\4\2020 . Eccovi una storia d'altri tempi 😢😎😁 quando ancora l'analfabetismo era una piaga che sembra ritornato in auge , i corsi ed i ricorsi della storia . Ma ora bado alle ciance veniamo ala storia d'oggi
NUORO
Mezzo secolo fa gli insegnanti colmavano le distanze con gambe da scalatori e volontà di ferro, oggi nelle scuole chiuse per decreto a tenere unità e produttiva la classe – ognuno a casa sua – c’è bisogno di un computer e di una linea wi-fi affidabile. Generazioni a confronto con storie e metodologie differenti per affrontare le emergenze. Così, se da una parte gli insegnanti itineranti non conoscevano la fase uno e poi quella due, ignoravano termini come lockdown o altre diavolerie, avevano però un solo credo: faticare tutti i giorni per sconfiggere l'analfabetismo, allora galoppante. Perché tutto quello che possedevano, che non era molto anzi, era quasi nulla – se lo dovevano conquistare con il sudore in tutte le stagioni dell’anno.
28.2.20
I 200 negozi di dischi che resistono alla crisi “Salvati dal vinile"
da repubblica del Febbraio 27.2. 2020
I pomeriggi ad ascoltare musica. Quei pomeriggi erano qualcosa di più, la scoperta miracolosa di un mondo magico destinato però a scomparire. Finiva la scuola e si diventava grandi, mentre tutto cambiava. I dischi di vinile morivano, soppiantati dai compact disc. La pirateria, che già aveva invaso il mercato, prese subito confidenza con il nuovo mezzo e dilagò. Le cabine sparirono, qualche negozio falliva e chiudeva. Poi, un bel giorno, arrivò internet e fu il patatrac.
Confesercenti dice che nel 2006 i negozi indipendenti che vendevano dischi e video in Italia erano 1.391. Di quelli ne sarebbero rimasti secondo gli ultimi dati disponibili, 258. Ma i dati di cui parliamo sono del 2017. E come per le librerie e per le edicole, neppure questa emorragia si è arrestata. Con una differenza non da poco: perché la chiusura delle edicole ha a che fare con la crisi della carta stampata e quella delle librerie è anche la conseguenza logica di un Paese che non ama la lettura, la musica non è affatto in difficoltà. Tutt’altro.
L’ultimo a chiudere è stato lo storico rivenditore di dischi di Chivasso, città piemontese di 27 mila abitanti. Non va meglio tuttavia nelle metropoli. «Qui a Milano», dice Mario Buscemi che gestisce una rivendita in Corso Magenta, «il nostro è praticamente l’unico negozio indipendente rimasto, se si eccettua qualcuno che vende dischi usati».
Il suo negozio ha cinquant’anni. Ma Buscemi sa che durerà fino a quando dietro il bancone ci sarà lui: «Per me è come fosse una sfida. Il mestiere mi piace e vado avanti finché me la sento. Non penso però di lasciare l’attività a qualcuno in condizioni di continuarla, una volta che sarò andato in pensione». La situazione si è fatta per molti insostenibile. «Il fatturato sarà sì e no il 30 per cento di quello di un tempo. La musica non si ascolta quasi più dai supporti fisici. La scaricano da internet con costi modestissimi senza dire della pirateria. E quello che si compra, si compra per corrispondenza da Amazon, che ha ormai la metà del mercato italiano. Ma il fatto è che la crisi», insiste Buscemi, «va avanti da più di vent’anni».
Multinazionali contro negozi
Risale a quell’epoca l’appello all’Antitrust del Forum cultura e spettacolo dei Verdi che denunciavano un accordo delle grandi multinazionali sul prezzo dei dischi in grado di danneggiare i piccoli negozi. La denuncia aveva preso le mosse da un procedimento innescato in 28 stati americani nei confronti delle stesse multinazionali. Ma già nel 1997 l’Antitrust italiano aveva sanzionato con una multa di 8 miliardi di lire il cartello ritenuto responsabile, come ricordò un articolo di Carlo Moretti su Affari&Finanza di Repubblica nel 2003, di aver falsato “in maniera consistente la concorrenza sul mercato discografico in Italia mediante la definizione di una struttura e un livello uniforme dei prezzi praticati ai rivenditori”.
La crociata contro la pirateria
E nel 2002 fu la Confesercenti a tentare di avviare una crociata contro la pirateria, rivelando che in Italia il 20 per cento del mercato dei compact disc era controllato dalla contraffazione. L’anno seguente la crisi era già conclamata, con chiusure a ripetizione dei negozi specializzati. Allora il fenomeno di Amazon non si era ancora palesato, e i rivenditori indipendenti puntavano il dito contro la grande distribuzione. Al punto che Norina Rossi, già presidente del comparto che fa capo alla stessa Confesercenti, avanzò la proposta di vendere i dischi anche nelle edicole: non potendo immaginare quello che sarebbe accaduto in seguito alla rivendite dei giornali.
Oggi anche lei, titolare di un negozio di Arezzo, dice che «la crisi è nella lettera A, quella di Amazon». E poi la contraffazione, «che è diventata un meccanismo perfetto». Il bilancio: «in Toscana siamo rimasti una dozzina di negozi indipendenti. Sono spariti a Siena, sono spariti a Viareggio, stanno sparendo a Pisa. Il fenomeno è così serio che a questo punto non so cosa debba accadere perché se ne occupi il governo».
Una piccola boccata d’ossigeno è venuta dalla riscoperta del vinile. Che però, avverte Buscemi, «è comunque un fenomeno limitato, e certo non compensa la paurosa flessione delle vendite». C’è quindi chi cerca di tenersi a galla organizzando incontri con musicisti e cantanti. E intorno a questi eventi si è costruito anche un discreto mercato. Ma non può essere questa la soluzione.
La verità è che siamo di fronte a una questione di portata globale. Sul Sole 24 Ore Simone Filippetti ha raccontato sei mesi fa che a Londra, nella centralissima Oxford street, ha chiuso nientemeno che Hmv: His master’s voice. Per gli italiani, la Voce del padrone. Era il più famoso negozio di dischi della capitale britannica, fondato addirittura nel 1921. Ha resistito finché ha potuto, più di Megastore di Richard Branson, e decisamente più di Tower records, che ha abbassato le saracinesche ormai da più di un decennio.
In Italia la resistenza ha provato a sfondare con il Fisco. Finora però inutilmente. All’inizio del 1997, per decisione del primo governo di Romano Prodi che oltre ad aver introdotto l’eurotassa stava raschiando il fondo del barile per riuscire a entrare nel gruppo di testa della moneta unica, l’Iva su dischi e compact venne portata dal 9 al 20 per cento. Le case discografiche lamentarono subito che avrebbe quindi fatto impennare anche i prezzi. Senza esito.
L’appello contro l’Iva
Cinque anni più tardi, con un appello al presidente del consiglio Silvio Berlusconi e ai ministri dell’Economia e dei Beni culturali Giulio Tremonti e Giuliano Urbani, 150 artisti, da Salvatore Accardo a Zucchero Fornaciari, chiesero di abbattere l’Iva su dischi e compact disc dal 20 al 4 per cento. Portandola allo stesso livello dell’imposta applicata su giornali e libri. «Sembra un paradosso», scrivevano, «ma ad un libro che racconta la vita di Giuseppe Verdi si applica il 4 per cento di Iva; tuttavia, se volessimo acquistare un disco che contiene l’opera del grande compositore italiano, dovremmo pagare un’Iva del 20 per cento». Ma pure quello, nonostante il peso di tutti quei nomi, fu un buco nell’acqua.
Finché a gennaio del 2005 un deputato dell’opposizione di centrosinistra presentò una proposta di legge per accogliere quell’appello. Il suo nome? Dario Franceschini, attuale ministro dei Beni culturali. Anche la sua proposta cadde però nel vuoto. Da allora la pratica è finita nei fatti su un binario morto. Con il risultato che l’Iva sui dischi e i cd attualmente è al 22 per cento, il livello più alto d’Europa.
2.9.19
cosa è il viaggio ? è ascoltare e condividere storie di gente , di mestieri , di passioni
strumentalizzate \ usate politicamente per scopi elettorali e di propaganda . Ma anche Storie che stanno sbiadendo nelle nebbie della memoria o che anche resistono al martellare costante degli avvenimenti quotidiani che cancella immediatamente la memoria del giorno precedente. Infatti molto spesso n on sappiamo più da dove veniamo, quale è stato il nostro passato e lentamente la nostra storia si cancella. Queste pagine parleranno di persone comuni che nel loro piccolo hanno contribuito a costruire la nostra società. Perché è vero la storia è fatta dai grandi personaggi, ma è altrettanto vero che la storia siamo noi con le nostre piccole o grandi scelte scelte.
Storie che stanno sbiadendo nelle nebbie della memoria. Non sappiamo più da dove veniamo, quale è stato il nostro passato e lentamente la nostra storia si cancella. La storia siamo noi con le nostre piccole o grandi scelte nel bene e nel male , con rimpianti e sensi di colpa .
6.2.19
grazie Peppino Englaro e Marco Cappato che si può morire con dignità
Grazie anche a suo padre , Ricordo ancora quando venne , ne ho parlato in queste pagine cercate nell'archivio oppure godetevi questo stralcio da me girato
11.11.18
mostra permanente della fotografa Marianne Sin-Pfältzer, per le vie di Gofo Aranci
Purtroppo per problemi di salute , di mia madre ( ha difficoltà a camminare a lungo ) ne ho viste solo alcune che sono quelle fotografate da me qui sotto
Le altre le trova in questo video qui sotto
e qui sempre dalla stessa pagina le testimonianze dei bambini all'epoca ritratti in foto le trovate qui sulla pagina fb dell'evento insieme ad altri articoli che parlano appunto di tale fatto
Una mostra che vale essere vista in quanto Marianne Sin-Pfältzer è una fotografa tedesca che negli anni '50 arrivò in Sardegna rimanendo colpita da luoghi e paesaggi così antichi e dall'accoglienza delle persone.
A Golfo Aranci per le strade del vecchio borgo dei pescatori sono ora esposte alcune gigantografie delle sue fotografie. Un ottima modo per ricoprdarla in quanto è morta proprio in sardegna , dove aveva scelto ri trascorrere il resto della siua vitra . Inffatti fu Investita da un'auto il 10 agosto 2015, il 27 dello stesso mese è deceduta all'ospedale di Nuoro, all'età di 89 anni.[
Una esposizione perenne a cielo aperto che permette di valorizzare questo interessante patrimonio e fare memoria del passato della cittadina gallurese.Un patrimonio ormai scomparso e tecnologiccato la traformazione del paese da piccolo borgo di pescatori a una città mal costruita .
Ora << avete un motivo in più per visitare questa località balneare /anche dopo il 31 agosto.>> coem consiglia il bellissimo account fb di https://www.facebook.com/unsardoingiro
Non riuscendo a trovare le parole per concludere lascio le parole a questo post di una mia amic a facebookiana
Barbara Piccinnu
Mi incanto a vedere gli scatti splendidi ...di questa donna, storie vere quotidiane, che oggi ci mancano e ci fanno sperare che si torni a una vita semplice, senza tutte le pretese vane dei tempi attuali. Ha colto l'attimo della bellezza assoluta seppur sofferta. Oggi chi siamo? Forse persone che vogliono far credere tutt'altro....è volata la semplicità...
3.2.18
Forbici, rasoio e chitarra: l’ultimo “Barber” ed altre storie che scompaiono o sopravvivono come nel caso della morra attraverso applicazione per cellulari
http://www.vastospa.it/html/tradizione/me_varivire.htm
Ispirato dal post dell'altro giorno riporto qui , sempre riguardo a tradizioni che si perdono ( la prima ) o che rsi rinnovano ( la seconda grazie attraverso le app , alcune storie
La prima preesa da la nuova sardegna del 02 febbraio 2018
Angelo Maresca racconta come e perché ad Alghero è nata la tradizione dei coiffeur che compongono canzoni popolari
di Gian Mario Sias
da http://www.academia.edu/7917110/I_barbieri_maestri_di_musica |
Mestieri Antichi di Vasto:
Lu Varivìre (Il Barbiere)
da "Lunarie de lu Uašte" - edizioni varie
Ecco i famosi
"Calendarietti"
dalle più svariate fragranze, con argomentazioni più o meno piccanti
e comunque molto accattivanti
che li varivìre nelle feste natalizie e di fine e principio d' anno, regalavano ai propri clienti
alla fine dell' opera e dopo "l'immancabile spazzolata sulle spalle"
Li varivìre
Erano, e forse ancora sono, personaggi quasi sempre brillanti, allegri, versatili, accattivanti, beninformati.
I barbieri di qualche tempo fa (barbieri, badate! non parrucchieri) erano poi persone eccezionali, che alternavano all'esercizio delle forbici quello della chitarra o del mandolino o addirittura degli attrezzi da cerusico. Maestri del rasoio da ricordare sono: Zannutille senior, La Scemnie, Cellescacazze, La Vozze,Sciarlotte, Minanze, Ricciuleine, Pasquale Celenza (Passalàcche), Paolo De Guglielmo(Cappucciàlle), Peppino Melle, Angelo De Innocentis, Angelo Miscione, Giovanni Monteferrante (Pan' e fraffe) e Claudio Crisci. Leonardo D'Adamo, comunemente noto come Nardìcce, era uno di questi ed aveva la putéche (la bottega) all'angolo di corso Palizzi con corso Dante. Da lui sono transitate generazioni di apprendisti, tra i quali Tonino Pollutri, ed una clientela tra le più qualificate che annoverava il maestro Aniello Polsi, il poeta Peppino Perrozzi, il pittore Vincenzo Canci e don Salvatore Pepe. Leonardo aveva una spiccata sensibilità musicale riconosciutagli dallo stesso Polsi, che non disdegnava di sottoporgli ogni tanto qualche composizione, chiedendogli poi sornione: «Huè Nardì, che ne pìnze?» |
Il Museo del Barbiere
Lino Delli Benedetti ha un vero e proprio culto per il mestiere di barbiere, che esercita, si può dire, da bambino.Lo testimonia la cura che ha messo nel raccogliere memorie legate all'esercizio del suo lavoro confluite in un simpatico opuscolo pubblicato in occasione dei 25 anni di attività ed adesso la realizzazione, all'interno della bottega, di un vero e proprio angolo della memoria dedicato all'arte dell'acconciatura e della rasatura. Un piccolo museo, verrebbe da dire, nel quale si possono ritrovare ben ordinati sullo scaffale pettini, forbici, pennelli, rasoi, ampolle ed anche una bella poltrona d'altri tempi. stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2014 | ||
Lu Varivìre, n’arta liggìre
un volumetto sui Saloni dei barbieri, sponsorizzato da Nicolino Delli Benedetti | ||
Per i tipi della Q Editrice è stato stampato un gustosissimo volumetto dal titolo “Lu Varivìre, n’arta liggìre”, che rievoca l’atmosfera dei Saloni d’una volta con una piccola storia di “quando i barbieri non erano coiffeurs”. Il libricino, sponsorizzato da Nicolino Delli Benedetti, acconciatore al numero 50 di corso Italia - Vasto, per festeggiare il 25° di attività, è stato scritto da Giuseppe Tagliente e si può richiedere direttamente allo sponsor oppure presso la libreria Di Lanciano, in piazza Pudente, e l’edicola Tognoni, in piazzale Rodi, alla Marina. Il simpatico volumetto, che contiene anche foto d’epoca assolutamente inedite, viene distribuito ad offerta a beneficio della Ass. Chiara - onlus che si occupa dell’assistenza ai malati oncologici.
stralcio da art. apparso sul giornale "Qui Quotidiano"
- Vasto - pubblicazione gratuita - n. 21 del 9 febbr. 2010 | ||
(.....) di http://www.vastospa.it/html/tradizione/me_varivire.htm La second a storia riguarda un gioco particolare La morra o sa murra come la si chiama in sardegna sempre dala nuova sardegna del 19\1\2018 i primi due e del 2\02\2018 l'ultimo
Sa Murra non è un esclusiva della Sardegna. Anzi. Il gioco che prevede un rapido calcolo matematico basato sull’intuito e sulla strategia viene praticato in Slovenia, Croazia, Tunisia, Francia, Spagna e che in alcune regioni, come la Sicilia, il Veneto, la Valle d’Aosta, la Corsica e la Catalunya, anche la Comunità valenciana, l’Aragona, la Savoia e l’area di Nizza e un passatempo molto praticato. E come per tutti i giochi, esiste una convention in cui i partecipanti si danno appuntamento e si sfidano per eleggere i migliori. Con la morra c’è qualche difficoltà perché le regole variano a seconda della nazione di provenienza dei giocatori. I sardi, ad esempio, sono temutissimi: giocano a velocità elevatissime rispetto ai concorrenti e sono abilissimi nel prevedere le mosse degli sfidanti. Sono i Messi della morra, per fare un esempio che calza sia con l’abilità sia con la location dell’ultimo campionato mondiale di morra che, infatti, è stato ospitato in Catalogna, a Sant Carles de la Rapita, un centinaio di chilometri a sud di Tarragona. L’occasione d’incontro, lo scorso anno, coincideva con una ricorrenza particolare per l’associazione che si occupa di preservare il gioco e che lo scorso anno ha spento 35 candeline e che da dieci anni organizza il campionato. E gli ospiti d’onore della scorsa edizione erano proprio i ragazzi sardi che hanno rivoluzionato la morra dando i natali alla prima versione digitale del gioco che, c’è da scommetterci, aiuterà i giocatori a tenersi allenati e in contatto tra loro. In attesa che il gioco che anima le retrovie delle feste paesane in tutta la Sardegna, e che si trascina una nomea non proprio nobile per colpa degli epiloghi di alcune sfide fin troppo accese, diventi un’attività praticabile anche dallo schermo del cellulare.
Certo, l’aggregazione
sociale e i coloriti modi di dire che accompagnano le giocate non sono riproducibili attraverso lo smartphone ma non tutto può essere digitalizzato. Il gusto delle vittoria, invece, resta lo stesso anche quando il concorrente è connesso da migliaia di chilometri di distanza. Infatti adesso SASSARI. Gli ingredienti per realizzare un progetto di successo ci sono tutti: il gioco è semplice, lo conoscono praticamente tutti e ha un retrogusto didattico che lo rende appetibile anche a chi inizia a far di conto. Trasformare “Sa Murra” in un’applicazione di successo, dunque, è praticamente un riflesso condizionato per chi ha assistito a centinaia di partite ed è cresciuto con il ritmo delle chiamate nelle orecchie. E così anche la versione sarda della morra è diventata un gioco virtuale disponibile gratuitamente nei negozi on line aperti agli smartphone. L’idea è di Davide Onida, 31enne di Abbasanta, che l’ha covata per 5 anni prima di dare alla luce la versione definitiva, dove è possibile confrontarsi con altri giocatori ma anche con un’intelligenza artificiale travestita da abile giocatore di morra e in grado di sfidare i concorrenti di turno in un match composto da tre roun contro i sedici del gioco tradizionale. I creatori. «La verità è che sono un mediocre giocatore della versione live – scherza Davide Onida, il padre dell’app Sa Murra – e quindi ho provato a digitalizzare il gioco per ottenere risultati migliori». I riscontri sono arrivati, ma non erano legati ai progressi di Davide: «Grazie a un amico, Giovanni Arixi, abbiamo realizzato un primo prototipo che girava su Facebook e che abbiamo presentato a Sinnova16, con ottimi risultati». Una volta ottenuti i riscontri che cercavano, Sa Murra era pronta a diventare un’app a tutti gli effetti, scaricabile gratuitamente in pochi istanti e soprattutto funzionale e intuitiva. In sostanza, per imparare a giocare anche on line ci vuole veramente un attimo: «Io sono fondamentalmente un designer – spiega ancora Davide Onida –, per questo ho coinvolto un altro amico e collega, un vero giovane talento sardo, Davide Mainas, con cui ho lavorato per altri progetti e che considero tra i più promettenti programmatori dell’isola. Nel giro di qualche mese Davide ha sviluppato le app per Android e iOS in React Native, una nuova tecnologia sviluppata ed usata da Facebook». L’applicazione. Per Davide è quasi un hobby ma se Sa Murra dovesse continuare a crescere non è detto che possa diventare qualcosa di più: «Dopo essermi laureato a Bologna, faccio l’art director e frontend developer (la figura professionale che sviluppa i siti internet per conto dei clienti, ndr) nell’azienda Softfobia, ma faccio anche parte di alcune startup nate e cresciute a Cagliari. Inoltre porto avanti diversi progetti personali e Sa Murra è uno di questi». Pur non avendo investito nemmeno un euro in pubblicità, l’applicazione ha iniziato a camminare da sola: «Merito del passaparola virtuale, perché si gioca soprattutto contro sfidanti che si trovano su Facebook. E condividendo i risultati il nome della nostra applicazione si è diffuso on line – spiega il giovane designer – perché nel mondo delle app la parola d’ordine è il contenimento dei costi e, soprattutto, il miglioramento del prodotto». E quando a Sa Murra è stata aggiunta l’intelligenza artificiale, il bot nel gergo dei programmatori, che permette le sfide contro il computer, il gioco è salito sulla cresta dell’onda aumentando il numero dei download e diventando un fenomeno di costume tra gli appassionati: «Perché Sa Murra non si gioca solo in Sardegna – conclude Davide Onida –. Ce ne siamo accorti quando siamo stati invitati a Murramundo, una convention di giocatori che arrivano da tutto il Mediterraneo e giudicano la murra per quello che è: un gioco nobile e colto che speriamo di aiutare a riscoprire anche con la nostra app». quindo non vi preoccupate se Rissa tra ragazzi? No, sfida a morra
Se passate davanti ai giardini pubblici e sentite dei ragazzi urlare, non c’è da preoccuparsi: nessuna rissa. Molti studenti, soprattutto provenienti dall’hinterland, si ritrovano e si sfidano a...
Se passate davanti ai giardini pubblici e sentite dei ragazzi urlare, non c’è da preoccuparsi: nessuna rissa. Molti studenti, soprattutto provenienti dall’hinterland, si ritrovano e si sfidano a colpi di morra. E, come da tradizione, non lesinano certamente sul volume. |
Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.
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