MAURO BELLUGI, IL PROTAGONISTA di © Daniela Tuscano
Le aveva tutte Bellugi, anzi aveva perso tutto: prima una gamba, poi l'altra, poi l'intestino, poi è arrivato il Covid e con esso la mazzata finale. Non aveva più niente eppure sembrava così solido, con quella faccia contadina, le rughe profonde, gli occhi da bracco, sempre un po' casuali, come tutti i calciatori anni '70. Non divi ma soldatini di stagno, e le figurine Panini ce li restituivano così, fissi e variopinti. Fuori luogo, perché senza il pallone non esistevano. Bellugi era quel mondo, le domeniche pomeriggio, Novantesimo Minuto, l'Inter, mio padre. Che l'aveva trovato poco tempo fa a Niguarda, in attesa come gli altri, fisso ancora, ambedue le gambe fasciate. Lì Bellugi stava disputando l'ultima partita, nel chiarore di quella sala che sicuramente, ai suoi occhi, appariva un immenso campo di calcio. Un saluto cortese e senza fronzoli, l'annuncio buttato là, che gli avrebbero tagliato pure l'altra gamba, e quel "vediamo", il fut