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2.9.24

RAI, DI TUTTO DI MENO.

 RAI, DI TUTTO DI MENO.

Se uno avesse la sventura di trascorrere il mese di agosto in un luogo dove si può vedere solo la Rai, tornerebbe a casa completamente disintossicato dalla tv. I telegiornali - Raiuno e Raidue, Raitre non si vedeva - sono ancora ostaggio dei pastoni politici, orridi collage che mettono insieme dichiarazioni – lette o registrate – secondo un presunto manuale Cencelli: per un mese puoi vedere tutte (tutte!) le sere

Riccardo Magi, segretario di +Europa, mentre entra alla Camera, nella stessa identica sequenza di chiusura del servizio. Dopo un paio di minuti di conflitto in Medio Oriente, altrettanti di Ucraina e il mitico pastone di cui sopra, elegie di governo a seconda dei canali, il resto del tempo è dedicato ai borghi antichi, ai tormentoni musicali o agli influencer di Tiktok. Non un film, non un programma interessante, solo repliche e Techetechetè (unico momento interessante). Non stupisce che gli ascolti delle Reti Rai siano in picchiata.

21.2.21

MAURO BELLUGI, IL PROTAGONISTA di © Daniela Tuscano

 Le aveva tutte Bellugi, anzi aveva perso tutto: prima una gamba, poi l'altra, poi l'intestino, poi è arrivato il Covid e con esso la mazzata finale. Non aveva più niente eppure sembrava così solido, con quella faccia contadina, le rughe profonde, gli occhi da bracco, sempre un po' casuali, come tutti i calciatori anni '70. Non divi ma soldatini di stagno, e le figurine Panini ce li restituivano così, fissi e variopinti. Fuori luogo, perché senza il pallone non esistevano. Bellugi era quel mondo, le domeniche pomeriggio, Novantesimo Minuto, l'Inter, mio padre. Che l'aveva trovato poco tempo fa a Niguarda, in attesa come gli altri, fisso ancora, ambedue le gambe fasciate. Lì Bellugi stava disputando l'ultima partita, nel chiarore di quella sala che sicuramente, ai suoi occhi, appariva un immenso campo di calcio. Un saluto cortese e senza fronzoli, l'annuncio buttato là, che gli avrebbero tagliato pure l'altra gamba, e quel "vediamo", il futuro comunque, perché la vita è un flusso e ti prevarica. Puoi non farcela, ma non devi restare in panchina.



Bellugi giocava ancora. Duramente e spontaneamente, a testa bassa, con una pietas quasi virgiliana. Cose maschili, ché il calcio ai tempi apparteneva a loro; non era però esclusione, semmai completamento. Alla fine, ci si riuniva attorno a un tavolo ed esisteva solo il noi. "Vediamo", il tempo non ci appartiene, ma ci siamo dentro e lo percorriamo tutto.
Bellugi se n'è andato, e con lui il pudore che caratterizzava quel mondo. Quello per cui la stanchezza era una colpa, sempre, di fronte al terribile dono dell'esistere. Anche a brani, smozzicati, cadenti, ma oltre, ma anima, integri dentro, e al cuore nessuno arriva, pur se te lo mangiano.

                                          © Daniela Tuscano 

24.11.20

Terremoto irpinia 1980, parlano le le bambine della foto-simbolo sotto la coperta

 Ci sono   avvenimenti    che  ti  rimangono dentro    anche  se   non gli ha  vissuti direttamente   dal puntoi di vista  cronologico ( avevo 4  anni )    in prima  persona  o  visti in  diretta  \  live    perchè eri  troppo piccolo  . Ed    quello dell'irpinia     è  uno di questi   . 

 Una  dele tante    forse  una   delle  più  belle

https://www.ilmattino.it del  23\11\2020

Inviato a Balvano

La foto che racconta la tragedia e chiama gli italiani alla solidarietà: Balvano 24 novembre 1980, la sera successiva al grande terremoto, nella tendopoli alla periferia del paese intorno ai falò per riscaldarsi tre bambini si nascondono in una coperta e vengono fotografati da un reporter dell'Ansa. Il 26 novembre quella diventa la foto di Fate presto l'urlo del Mattino che scuote il Paese e accelera l'arrivo dei soccorsi. 

I tre bambini sono Gerardo Pietrafesa (7 anni) e le sorelline Giuseppina (5) e Carmela Luongo (8), sotto la coperta - ma non si vede - c'è l'altra sorella Maria. Resta solo un piccolo giallo su Gerardo identificato da una delle sorelle Luongo non si è però lui stesso del tutto riconosciuto.  «Certo che mi ricordo quando ci hanno fatto quella foto». Carmela Luongo non nasconde l'emozione a ripercorrere quelle ore. Lei era in chiesa: a Balvano nel crollo della chiesa madre morirono 66 ragazzi. «Sono una miracolata: quando cominciò a tremare andai verso la luce delle candele dell'altare e mi sono salvata. La mia amica Rosetta mi lasciò la mano e andò verso l'uscita: è morta travolta dalle macerie» ricorda Carmela.

 
 
 

Quarantanni dopo Balvano è avvolto nel silenzio di una sera di autunno, quasi inverno, battuto da una fastidiosa pioggia fitta. Risuonano solo le campane della nuova (e brutta) chiesa madre. In giro non c'è quasi nessuno, che da queste parti significa 4-5 persone. Ma non è colpa del Covid: qui c'è poca gente e quella poca, con il freddo, resta a casa. Anche senza il virus.Le sorelle Luongo da Balvano sono andate via sul finire degli anni 90, in Piemonte a Novi Ligure per trovare il lavoro.Il dramma di Balvano è il crollo della chiesa che si porta via 66 bambini: erano alla messa della sera perché c'erano i padri redentoristi per una missione di evangelizzazione.In chiesa c'era Carmela e il fratello. Giuseppina era davanti casa a giocare, l'altra sorella era a casa. Il papà, come tanti da queste parti, lavorava in Germania.«Mamma affidò me e Maria a una ragazzina poco più grandicella che ci portò in uno spiazzo al sicuro - ricorda Giuseppina - e lei andò verso la chiesa a cercare gli altri due fratelli. Ero troppo piccola: mi sono rimaste immagini spezzate. Ci portarono in questo grande spiazzo, raccolsero lì tutto il paese, almeno quello che era rimasto. Arrivarono le tende e arrivò pure il freddo. Dopo qualche giorno arrivò papà dalla Germania e non è più andato via».Nel buio, nella polvere, tra le urla disperate dei feriti sotto le macerie e delle mamme accorse a cercare i figli, invece, vengono ritrovate Carmela e il fratello.«Tutto era distrutto - spiega - fili elettrici che penzolavano, parti di case che continuavano a cadere ma ci ritrovammo tutti».«Dopo i primi giorni in tenda, con la neve e il freddo, ce ne siamo andati in una casa in campagna che aveva resistito alle scosse e siamo rimasti lì molti mesi fin quando non ci hanno dato un prefabbricato», rivede quei mesi Giuseppina. «Nessuno di noi scendeva in paese - ricorda - non c'era più niente: solo mamma scendeva di tanto in tanto per prendere qualcosa a casa e tornava sempre più sconfortata: avevano rubato tutto anche il suo vestito da sposa».Della foto Giuseppina non ricorda nulla, ma è certa che il bambino è Gerardo. Gerardo che, invece, vive a Balvano non è sicuro di essere lui: «Avevo un braccio fasciato, perché la scossa mi aveva fatto cadere, e qui non si vede. Ma potrebbe pure essere. In quei giorni eravamo tutti confusi e terrorizzati». Il terremoto è stato uno spartiacque nella vita di questa comunità: «Prima il paese era una sola famiglia - spiega Giuseppina - ora non lo so». Piano piano le strade di queste ragazze hanno preso altre direzioni. «Abbiamo studiato qui fino alle medie - ricorda - poi le superiori a Potenza e Carmela l'università a Salerno. Ma non c'erano prospettive e siamo andate tutte vie. Noi tre ragazze qui a Novi Ligure, mio fratello in Germania. E se non fossi andata via io con mio marito, che è pure di Balvano, sarebbero andati via ora i nostri figli. Qui non c'è niente».«L'immagine che mi è rimasta? Quella delle bare portate via dal paese» chiude amara Carmela.

3.5.20

Nuoro L’epopea di un gruppo di insegnanti che istruiva gli studenti tra monti e campi Dai viaggi in groppa all’asinello alle classi che si radunavano post mungitura



Cambiamo discorso   , non stiamo  sempre  a parlare  di Covid19    \ coronavirus  e notizie  legate direttamente  ed indirettamente  ad  esso legate  . Parliamo d'altro .  Riporto     qui   questo articolo  preso dalla nuova  sardegna del  29\4\2020  . Eccovi una storia d'altri tempi 😢😎😁 quando  ancora  l'analfabetismo   era  una  piaga   che sembra  ritornato in auge  , i  corsi ed  i ricorsi   della storia  .  Ma  ora   bado alle  ciance  veniamo  ala storia   d'oggi



NUORO
Mezzo secolo fa gli insegnanti colmavano le distanze con gambe da scalatori e volontà di ferro, oggi nelle scuole chiuse per decreto a tenere unità e produttiva la classe – ognuno a casa sua – c’è bisogno di un computer e di una linea wi-fi affidabile. Generazioni a confronto con storie e metodologie differenti per affrontare le emergenze. Così, se da una parte gli insegnanti itineranti non conoscevano la fase uno e poi quella due, ignoravano termini come lockdown o altre diavolerie, avevano però un solo credo: faticare tutti i giorni per sconfiggere l'analfabetismo, allora galoppante. Perché tutto quello che possedevano, che non era molto anzi, era quasi nulla – se lo dovevano conquistare con il sudore in tutte le stagioni dell’anno.


Oggi per i pochi maestri rimasti che portavano l’insegnamento in campagna, là dove c’erano gli alunni che mai sarebbero andati a scuola in paese, reduci di una stagione che sembra essere lontana anni luce dalle comodità attuali, vivere quest’era afflitta da un male, il coronavirus, fino a poco tempo fa sconosciuto, sorprende ma non li allarma. Sentendo i loro racconti l’emergenza attuale è davvero poca cosa rispetto alle difficoltà – davvero di ogni tipo – che hanno dovuto affrontare e superare quando andavano a insegnare tra i monti e le campagne del nuorese. Viaggi quotidiani in groppa all’asinello se si era fortunati o a piedi per chilometri per portare la didattica ad una classe di pastori che si radunava dopo la mungitura.
Di quel gruppo nutrito di insegnanti – in Sardegna erano una cinquantina – ne sono oggi rimasti davvero pochi. Una compagine che si è ulteriormente assottigliata dopo la dolorosa perdita di uno di loro, l’apprezzato e compianto, Gianni Berria di Orune, una delle tante vittime di questa malattia fino a poche settimane fa sconosciuta. Il lavoro in prima linea di Berria, ma anche di Giovanni Puggioni, di Giovanni Pala Mundanu e dei loro alunni – pastori spesso coetanei e con voglia di apprendere – non era sfuggito all’Europeo, rivista che nel febbraio del 1960 aveva realizzato un reportage su questo particolare spaccato di vita e lavoro di un’Isola che lottava per emanciparsi.
«Le nostre difficoltà raccontate oggi hanno dell’incredibile. Sembrano irreali. Eppure le abbiamo vissute con fermezza e spirito di adattamento. E con uno stipendio che a mala pena serviva a coprire le spese», racconta Giovanni Puggioni, 81 anni. Gli fa eco dalla sua Orune, costretto in casa come tutti dalle restrizioni nei movimenti imposte dal governo per contrastare il coronavirus, Giovanni Pala Mundanu. Voce ferma e vis ironica ancora intatta, l’ex insegnante dimostra molte stagioni in meno dei suoi 87 anni. «Questo male non ci può spaventare – dice – noi abbiamo superato tutto, qualsiasi malattia, dalla tubercolosi, alla malaria. E poi andare a fare lezione in campagna non era semplice. Un’esperienza che ti temprava e portava anche molte soddisfazioni».
A Oliena vive Monserrato Mereu, che allora pastore quasi ventenne, era uno degli alunni che seguiva le lezioni di Giovanni Puggioni. Anche la sua dichiarazione e foto fu raccolta da Epoca, giornale che custodisce gelosamente in un quadretto.

«Il maestro era una gran brava persona e mi aiutò tantissimo» rimarca l’anziano che grazie a quei primi insegnamenti riuscì a prendere la licenza elementare. Oggi invece in questa situazione di tempo sospeso la didattica online dà un aiuto importante, anche se ritrovare la scuola e i suoi spazi sarebbe tutt’altra cosa. «Tra gli estremi rimedi rientra sicuramente la didattica a distanza. Essendoci trovati noi tutti scaraventati in una realtà surreale quale quella causata dal covid-19, l’utilizzo degli strumenti tecnologici per l’insegnamento non lasciava scampo. Ma sono tanti i contro di questo mezzo, primo tra tutti il venire a mancare di tutto il sistema scuola e il suo riconoscimento da parte dell’alunno come luogo non solo di apprendimento e di studio, ma anche e soprattutto come spazio protetto e sicuro, un luogo di accoglienza non solo intellettiva ma soprattutto emotiva – spiega Ivana Dore, insegnante e psicologa – È venuta a mancare la motivazione e il coinvolgimento nelle attività a causa della distanza fisica, della relazione. Anche per gli insegnanti e per tutti gli operatori che utilizzano questo strumento non è semplice, si incombe in tante distrazioni, si rischia di lasciare indietro chi anche all’interno della classe aveva bisogno di maggior attenzione e un grande vuoto si apre per i bisogni educativi speciali) e per chi ha una diagnosi precisa»

28.2.20

I 200 negozi di dischi che resistono alla crisi “Salvati dal vinile"

 da repubblica del  Febbraio 27.2. 2020

Da Internet agli acquisti su Amazon, la contrazione nelle vendite va avanti da più di vent’anni. Senza parlare della pirateria
Passavamo i pomeriggi da Consorti, come si chiamava quel negozio che vendeva dischi in viale Giulio Cesare, a Roma. In quelle cabine con sottili pareti di vetro si stava ore, seduti a terra, ad ascoltare dischi appena usciti, o magari soltanto sfuggiti alla bulimia musicale che negli anni Settanta contagiava tutti i ragazzi. Un long playing a 33 giri costava fra 4 e 5 mila lire. Una discreta sommetta: rapportata a oggi, una quarantina di euro. Ne compravamo uno di tanto in tanto, e quando su...
Passavamo i pomeriggi da Consorti, come si chiamava quel negozio che vendeva dischi in viale Giulio Cesare, a Roma. In quelle cabine con sottili pareti di vetro si stava ore, seduti a terra, ad ascoltare dischi appena usciti, o magari soltanto sfuggiti alla bulimia musicale che negli anni Settanta contagiava tutti i ragazzi. Un long playing a 33 giri costava fra 4 e 5 mila lire. Una discreta sommetta: rapportata a oggi, una quarantina di euro. Ne compravamo uno di tanto in tanto, e quando succedeva sembrava una grande conquista.
I pomeriggi ad ascoltare musica. Quei pomeriggi erano qualcosa di più, la scoperta miracolosa di un mondo magico destinato però a scomparire. Finiva la scuola e si diventava grandi, mentre tutto cambiava. I dischi di vinile morivano, soppiantati dai compact disc. La pirateria, che già aveva invaso il mercato, prese subito confidenza con il nuovo mezzo e dilagò. Le cabine sparirono, qualche negozio falliva e chiudeva. Poi, un bel giorno, arrivò internet e fu il patatrac.
Confesercenti dice che nel 2006 i negozi indipendenti che vendevano dischi e video in Italia erano 1.391. Di quelli ne sarebbero rimasti secondo gli ultimi dati disponibili, 258. Ma i dati di cui parliamo sono del 2017. E come per le librerie e per le edicole, neppure questa emorragia si è arrestata. Con una differenza non da poco: perché la chiusura delle edicole ha a che fare con la crisi della carta stampata e quella delle librerie è anche la conseguenza logica di un Paese che non ama la lettura, la musica non è affatto in difficoltà. Tutt’altro.
L’ultimo a chiudere è stato lo storico rivenditore di dischi di Chivasso, città piemontese di 27 mila abitanti. Non va meglio tuttavia nelle metropoli. «Qui a Milano», dice Mario Buscemi che gestisce una rivendita in Corso Magenta, «il nostro è praticamente l’unico negozio indipendente rimasto, se si eccettua qualcuno che vende dischi usati».
Il suo negozio ha cinquant’anni. Ma Buscemi sa che durerà fino a quando dietro il bancone ci sarà lui: «Per me è come fosse una sfida. Il mestiere mi piace e vado avanti finché me la sento. Non penso però di lasciare l’attività a qualcuno in condizioni di continuarla, una volta che sarò andato in pensione». La situazione si è fatta per molti insostenibile. «Il fatturato sarà sì e no il 30 per cento di quello di un tempo. La musica non si ascolta quasi più dai supporti fisici. La scaricano da internet con costi modestissimi senza dire della pirateria. E quello che si compra, si compra per corrispondenza da Amazon, che ha ormai la metà del mercato italiano. Ma il fatto è che la crisi», insiste Buscemi, «va avanti da più di vent’anni».

Multinazionali contro negozi
Risale a quell’epoca l’appello all’Antitrust del Forum cultura e spettacolo dei Verdi che denunciavano un accordo delle grandi multinazionali sul prezzo dei dischi in grado di danneggiare i piccoli negozi. La denuncia aveva preso le mosse da un procedimento innescato in 28 stati americani nei confronti delle stesse multinazionali. Ma già nel 1997 l’Antitrust italiano aveva sanzionato con una multa di 8 miliardi di lire il cartello ritenuto responsabile, come ricordò un articolo di Carlo Moretti su Affari&Finanza di Repubblica nel 2003, di aver falsato “in maniera consistente la concorrenza sul mercato discografico in Italia mediante la definizione di una struttura e un livello uniforme dei prezzi praticati ai rivenditori”.

La crociata contro la pirateria
E nel 2002 fu la Confesercenti a tentare di avviare una crociata contro la pirateria, rivelando che in Italia il 20 per cento del mercato dei compact disc era controllato dalla contraffazione. L’anno seguente la crisi era già conclamata, con chiusure a ripetizione dei negozi specializzati. Allora il fenomeno di Amazon non si era ancora palesato, e i rivenditori indipendenti puntavano il dito contro la grande distribuzione. Al punto che Norina Rossi, già presidente del comparto che fa capo alla stessa Confesercenti, avanzò la proposta di vendere i dischi anche nelle edicole: non potendo immaginare quello che sarebbe accaduto in seguito alla rivendite dei giornali.
Oggi anche lei, titolare di un negozio di Arezzo, dice che «la crisi è nella lettera A, quella di Amazon». E poi la contraffazione, «che è diventata un meccanismo perfetto». Il bilancio: «in Toscana siamo rimasti una dozzina di negozi indipendenti. Sono spariti a Siena, sono spariti a Viareggio, stanno sparendo a Pisa. Il fenomeno è così serio che a questo punto non so cosa debba accadere perché se ne occupi il governo».
Una piccola boccata d’ossigeno è venuta dalla riscoperta del vinile. Che però, avverte Buscemi, «è comunque un fenomeno limitato, e certo non compensa la paurosa flessione delle vendite». C’è quindi chi cerca di tenersi a galla organizzando incontri con musicisti e cantanti. E intorno a questi eventi si è costruito anche un discreto mercato. Ma non può essere questa la soluzione.
La verità è che siamo di fronte a una questione di portata globale. Sul Sole 24 Ore Simone Filippetti ha raccontato sei mesi fa che a Londra, nella centralissima Oxford street, ha chiuso nientemeno che Hmv: His master’s voice. Per gli italiani, la Voce del padrone. Era il più famoso negozio di dischi della capitale britannica, fondato addirittura nel 1921. Ha resistito finché ha potuto, più di Megastore di Richard Branson, e decisamente più di Tower records, che ha abbassato le saracinesche ormai da più di un decennio.
In Italia la resistenza ha provato a sfondare con il Fisco. Finora però inutilmente. All’inizio del 1997, per decisione del primo governo di Romano Prodi che oltre ad aver introdotto l’eurotassa stava raschiando il fondo del barile per riuscire a entrare nel gruppo di testa della moneta unica, l’Iva su dischi e compact venne portata dal 9 al 20 per cento. Le case discografiche lamentarono subito che avrebbe quindi fatto impennare anche i prezzi. Senza esito.

L’appello contro l’Iva
Cinque anni più tardi, con un appello al presidente del consiglio Silvio Berlusconi e ai ministri dell’Economia e dei Beni culturali Giulio Tremonti e Giuliano Urbani, 150 artisti, da Salvatore Accardo a Zucchero Fornaciari, chiesero di abbattere l’Iva su dischi e compact disc dal 20 al 4 per cento. Portandola allo stesso livello dell’imposta applicata su giornali e libri. «Sembra un paradosso», scrivevano, «ma ad un libro che racconta la vita di Giuseppe Verdi si applica il 4 per cento di Iva; tuttavia, se volessimo acquistare un disco che contiene l’opera del grande compositore italiano, dovremmo pagare un’Iva del 20 per cento». Ma pure quello, nonostante il peso di tutti quei nomi, fu un buco nell’acqua.
Finché a gennaio del 2005 un deputato dell’opposizione di centrosinistra presentò una proposta di legge per accogliere quell’appello. Il suo nome? Dario Franceschini, attuale ministro dei Beni culturali. Anche la sua proposta cadde però nel vuoto. Da allora la pratica è finita nei fatti su un binario morto. Con il risultato che l’Iva sui dischi e i cd attualmente è al 22 per cento, il livello più alto d’Europa.                                                                         

2.9.19

cosa è il viaggio ? è ascoltare e condividere storie di gente , di mestieri , di passioni

Riporto  quello che  ho scritto  per  la  pagina e  l'account  di  fb  ,  visto che molti nei  commenti    e  in messanger    mi reputano strano  ne  approfitto  per   rinnovare  ed  aggiornare  le  FAQ 

Compagnidistrada
Pubblicato da Giuseppe Scano19 min

 trovate nei post continua qui nel blog oppure clicca sopra per poter continuare a leggere ) e nella sua appendice https://www.facebook.com/compagnidistrada/ ) non raccontiamo e non riportiamo le solite favole, ma storie vere, storie di persone, di paesi, di città ai margini dei media ufficiali o d'esse
strumentalizzate \ usate politicamente per scopi elettorali e di propaganda . Ma anche Storie che stanno sbiadendo nelle nebbie della memoria o che anche resistono al martellare costante degli avvenimenti quotidiani che cancella immediatamente la memoria del giorno precedente. Infatti molto spesso n on sappiamo più da dove veniamo, quale è stato il nostro passato e lentamente la nostra storia si cancella. Queste pagine parleranno di persone comuni che nel loro piccolo hanno contribuito a costruire la nostra società. Perché è vero la storia è fatta dai grandi personaggi, ma è altrettanto vero che la storia siamo noi con le nostre piccole o grandi scelte scelte.
Storie che stanno sbiadendo nelle nebbie della memoria. Non sappiamo più da dove veniamo, quale è stato il nostro passato e lentamente la nostra storia si cancella. La storia siamo noi con le nostre piccole o grandi scelte nel bene e nel male , con rimpianti e sensi di colpa .

6.2.19

grazie Peppino Englaro e Marco Cappato che si può morire con dignità


anche se fra mille ostacoli  adesso  si può   . la tua morte è servita . lo sciacallaggio e la speculazione politica che dovesti subire non sono stati   inutili   

Grazie  anche   a suo padre  ,  Ricordo ancora    quando  venne  ,  ne  ho parlato    in queste pagine   cercate  nell'archivio   oppure    godetevi  questo  stralcio    da   me  girato

11.11.18

mostra permanente della fotografa Marianne Sin-Pfältzer, per le vie di Gofo Aranci

Ieri   ho approfittato  di  una riunione     con il parentame  materno    a  Golfo  Aranci  per   olttre  che  fare  un giro   per  vedere   la mostra intinerante   Marianne Sin Pfältzer
 Purtroppo  per  problemi  di  salute  ,  di mia madre  (  ha  difficoltà   a camminare  a lungo  )   ne  ho  viste  solo alcune   che  sono quelle  fotografate    da me  qui  sotto 








Le  altre  le  trova  in questo  video  qui  sotto 



 e qui  sempre  dalla stessa pagina    le  testimonianze  dei bambini all'epoca  ritratti in foto  le  trovate  qui  sulla pagina fb dell'evento insieme ad  altri articoli che parlano appunto  di  tale  fatto

 Una mostra  che  vale  essere  vista in quanto Marianne Sin-Pfältzer è una  fotografa tedesca che negli anni '50 arrivò in Sardegna rimanendo colpita da luoghi e paesaggi così antichi e dall'accoglienza delle persone.
A Golfo Aranci per le strade del vecchio borgo dei pescatori sono ora esposte alcune gigantografie delle sue fotografie. Un ottima  modo per  ricoprdarla  in quanto  è morta  proprio in sardegna    ,   dove  aveva  scelto  ri trascorrere  il resto  della  siua  vitra  . Inffatti     fu  Investita da un'auto il 10 agosto 2015, il 27 dello stesso mese è deceduta all'ospedale di Nuoro, all'età di 89 anni.[
Una esposizione   perenne a cielo aperto che permette di valorizzare questo interessante patrimonio e fare memoria del passato della cittadina gallurese.Un patrimonio ormai  scomparso   e tecnologiccato  la  traformazione  del paese   da piccolo  borgo di pescatori   a una  città  mal  costruita  .
Ora   <<  avete un motivo in più per visitare questa località balneare  /anche dopo il 31 agosto.>>  coem  consiglia   il bellissimo  account  fb di  https://www.facebook.com/unsardoingiro

 Non riuscendo  a  trovare  le parole  per  concludere  lascio  le parole   a questo post  di  una  mia  amic a   facebookiana



Barbara Piccinnu
 Mi incanto a vedere gli scatti splendidi ...di questa donna, storie vere quotidiane, che oggi ci mancano e ci fanno sperare che si torni a una vita semplice, senza tutte le pretese vane dei tempi attuali. Ha colto l'attimo della bellezza assoluta seppur sofferta. Oggi chi siamo? Forse persone che vogliono far credere tutt'altro....è volata la semplicità... 

 con questgo  è  tutto  alla  prossima




3.2.18

Forbici, rasoio e chitarra: l’ultimo “Barber” ed altre storie che scompaiono o sopravvivono come nel caso della morra attraverso applicazione per cellulari

  ti potrebbe interessare 
http://www.vastospa.it/html/tradizione/me_varivire.htm

Ispirato dal post    dell'altro   giorno riporto qui   , sempre  riguardo  a     tradizioni    che  si perdono  (  la prima   )  o  che  rsi rinnovano    ( la seconda  grazie  attraverso  le app , alcune  storie
La  prima preesa     da la nuova sardegna del 02 febbraio 2018

Angelo Maresca racconta come e perché ad Alghero è nata la tradizione dei coiffeur che compongono canzoni popolari
                                 di Gian Mario Sias                 
































ALGHERO. Quando Alghero stava ancora dentro quella che oggi è la città vecchia, la barberia era il centro dell’universo. Prima dei bar, il luogo di ritrovo era quello. Dal barbiere passava di tutto. Gli algheresi che vivevano nelle campagne, o fuori città per lavoro, se volevano sapere come girasse il mondo (ammesso che a qualche algherese sia mai interessato cosa succede lontano dalla Riviera del Corallo) andavano lì a cercare notizie. La domenica mattina, quando tutto chiudeva, i barbieri erano aperti. I forestieri e i ricchi si mischiavano nelle vecchie botteghe tra via Columbano e piazza Civica con il popolo, tra racconti, risate e storie inventate di sana pianta. Niente che non succedesse anche altrove. Niente che non succeda ancora oggi. A rendere così caratteristici e unici quei posti era la musica. Tra un taglio di capelli e una rasatura, tra una battuta e un aneddoto, ma anche nel bel mezzo di un racconto, i barbieri cantavano. Improvvisavano, componevano, davano un ritmo a ogni storia. Questa leggenda è arrivata sino a oggi in maniera un po’ sbiadita. Il mito dei “barbieri cantanti” è quasi in estinzione. E tra un po’ nessuno saprà più come è nato, perché, chi ne sia stato il più autorevole esponente, di questa schiera di barbieri che hanno fatto la storia della canzone algherese. Tutto questo ad Angelo Maresca, ultimo superstite di una tradizione che si perde nel tempo e resiste ancora, dispiace un po’. “Lo Barber”, come è conosciuto da tutti il titolare del salone da uomo di largo San Francesco, autore, interprete e chitarrista, non si è mai sentito come il discendente di una stirpe in via di sparizione. Ma se si ferma a pensarci, si dispiace anziché compiacersi di questo status che dovrebbe gratificarlo. «Che peccato, finisce che questa tradizione si perde e con lei rischia di perdersi anche questa lingua meravigliosa, poetica, musicale».
Il primo gennaio Angelo Maresca ha fatto 74 anni. Nasconde la calvizie sotto un borsalino scuro e lascia che qualche capello bianco gli copra il collo. La sua vita si è sempre divisa tra due grandi passioni, la musica e il lavoro di barbiere. Le ha coltivate insieme, contemporaneamente, nello stesso posto. Merito di sua madre. «Mio padre era pescatore, a volte mi portava con lui, ma mamma si è imposta», racconta signor Angelo in attesa del primo appuntamento pomeridiano. Si toglie il cappello e per non sentirsi troppo nudo inforca la chitarra e strimpella, chiudendo di tanto in tanto gli occhi appresso a qualche verso d’amore per Alghero. «Mamma non voleva che facessi lavori pericolosi, quello del pescatore all’epoca lo era – ricorda “lo barber” – lei era sarta e mi portò con lei, provai, ma a stare piegato mi veniva mal di testa». Il babbo stava fuori anche per dieci giorni di fila, quando era la stagione della pesca, e sapeva che sacrifici aveva chiesto alla moglie. Così, quando Angelo Maresca chiese di andare a fare il ragazzo di bottega da qualche barbiere, il padre acconsentì. «Non voglio far piangere altre donne per colpa mia», disse, dando il suo benestare. A sette anni “lo barber” iniziò a respirare quell’aria, andava a fare delle piccole commissioni in cambio di qualche spicciolo per il cinema della domenica. «A casa non c’erano soldi, così a quindici anni ho iniziato a lavorare davvero, ho fatto la mia prima barba», dice Angelo Maresca con il sorriso perso nei ricordi.

Ha iniziato alla bottega di Salvatore Masala, detto “Pomodoro”, in via Gilbert Ferret. Poi è stato da Gerolamo Biosa in via Principe Umberto, e da Raimondo Cossu, sassarese, in via Manzoni. Alla fine è arrivato in via Columbano, da “Buttiguetta”, Mario Melis. «Aveva un complessino, in negozio c’era sempre la chitarra – spiega Maresca – è stato lui a spiegarmi perché questo fosse così frequente nelle barberie algheresi». In pratica, «i barbieri avevano un’associazione di mutuo soccorso e di assistenza sociale tra loro, e il mutuo soccorso aveva anche la banda musicale, perciò tutti i barbieri studiavano musica per suonarci», ricorda. «“Alguer Mia”, da molti considerato l’inno di Alghero, l’ha scritta il barbiere Antonio Dalerci, e “La Cardenera” è di Giuseppe Loi, noto “Musconi”, anche lui barbiere, così come Antonio Cao, autore di “Pais me”, e Badalotti, che ha scritto “Miñona Murena”», snocciola lui tutto d’un fiato. «Ma erano barbieri anche i cantanti Angelino Caria, detto “Battorina”, Giovanni Gavini, detto “Pasteta”, e suo figlio Berto», continua. 
In via Columbano, a servizio da “Buttiguetta”, Angelo Maresca diventa “Lo Barber”. Inizia a strimpellare la chitarra, e nei lunghissimi pomeriggi di quell’apprendistato di vita e di lavoro scrive la sua prima canzone: “Al carrer de la pretura”. Da lì in poi non ha mai smesso di radere barbe e scrivere canzoni, di tagliare cappelli e cantare, incidendo un disco proprio l’anno scorso con otto brani tradizionali e dieci suoi, e partecipando a inizio anno al progetto “Mans manetes”, una sorta di libro-disco che la Piattaforma per la lingua sta distribuendo in tutte le scuole, utilizzando le filastrocche e le ninnenanne per bambini come strumento didattico per l’insegnamento dell’algherese. «Nel 1967 ho aperto la mia bottega in via XX settembre e nel 1981 mi sono trasferito qui, in largo San Francesco», è l’ultima riflessione. 

da
 http://www.academia.edu/7917110/I_barbieri_maestri_di_musica

Mario Palomba, che lo affianca dal 1983 ma che non canta e non suona – «altrimenti i clienti scappano», si schernisce – lo ascolta e annuisce. ua moglie Carmelina, 71 anni, e suoi figli Maurizio e Marina, 45 e 43 anni, hanno sempre dovuto dividerlo con queste due passioni. E sarà così ancora a lungo. «Sto preparando un nuovo disco – annuncia “lo barber – e naturalmente ci sarà anche un rap».

Tale fenomeno era  molto comune   in italia specie  nel sud  (  I  II  ed  altri link che trovi  sopra  al  post  ) . Infatti  nel mio paese  c'erano diversi barbieri  che  erano   musicisti  suonavano ilmandorlio  personalmente  ne  ho conosciuto  e   ho visto  suonare  l'ultimo  d'essi  scomparso ad  85\88  due  anni  fa  .   In quanto  il barbiere  ( ora  parrucchiere  )  erano   il centro della vita  dei piccoli paesi  ma  anche  non come  testimonia     questo estratto 

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Mestieri Antichi di Vasto:
Lu Varivìre (Il Barbiere)
da "Lunarie de lu Uašte" - edizioni varie



Ecco i famosi
"Calendarietti"
dalle più svariate fragranze, con argomentazioni più o meno piccanti
e comunque molto accattivanti
che li varivìre nelle feste natalizie e di fine e principio d' anno, regalavano ai propri clienti
alla fine dell' opera e dopo "l'immancabile spazzolata sulle spalle"






Li varivìre
Erano, e forse ancora sono, personaggi quasi sempre brillanti, allegri, versatili, accattivanti, beninformati.
barbieri di qualche tempo fa (barbieri, badate! non parrucchieri) erano poi persone eccezionali, che alternavano all'esercizio delle forbici quello della chitarra o del mandolino 
o addirittura degli attrezzi da cerusico.
Maestri del rasoio da ricordare sono: Zannutille senior, La Scemnie, Cellescacazze, La Vozze,Sciarlotte, Minanze, Ricciuleine, Pasquale Celenza (Passalàcche), Paolo De Guglielmo(Cappucciàlle), Peppino Melle, 
Angelo De Innocentis, Angelo Miscione, Giovanni Monteferrante (Pan' e fraffe) e Claudio Crisci.
Leonardo D'Adamo, comunemente noto come Nardìcce, era uno di questi ed aveva la putéche (la bottega) all'angolo di corso Palizzi con corso Dante. Da lui sono transitate generazioni di apprendisti, tra i quali Tonino Pollutri, ed una clientela tra le più qualificate che annoverava il maestro Aniello Polsi, il poeta Peppino Perrozzi, il pittore Vincenzo Canci e don Salvatore Pepe. Leonardo aveva una spiccata sensibilità musicale riconosciutagli dallo stesso Polsi, che non disdegnava di sottoporgli ogni tanto qualche composizione, chiedendogli poi sornione: 
«Huè Nardì, che ne pìnze


Il Museo del Barbiere
Lino Delli Benedetti ha un vero e proprio culto per il mestiere di barbiere, che esercita, si può dire, da bambino.
Lo testimonia la cura che ha messo nel raccogliere memorie legate all'esercizio del suo lavoro confluite in un simpatico opuscolo pubblicato in occasione dei 25 anni di attività ed adesso la realizzazione, all'interno della bottega, di un vero e proprio angolo della memoria dedicato all'arte dell'acconciatura e della rasatura.
Un piccolo museo, verrebbe da dire, nel quale si possono ritrovare ben ordinati sullo scaffale pettini, forbici, pennelli, rasoi, ampolle ed anche una bella poltrona d'altri tempi.


stralcio da "Lunarie de lu Uašte" - ed. 2014


Lu Varivìre, n’arta liggìre
un volumetto sui Saloni dei barbieri, sponsorizzato da Nicolino Delli Benedetti
Per i tipi della Q Editrice è stato stampato un gustosissimo volumetto dal titolo “Lu Varivìre, n’arta liggìre”, che rievoca l’atmosfera dei Saloni d’una volta con una piccola storia di 
“quando i barbieri non erano coiffeurs”
.
Il libricino, sponsorizzato da Nicolino Delli Benedetti, acconciatore al numero 50 di corso Italia - Vasto, per festeggiare il 25° di attività,
è stato scritto da Giuseppe Tagliente e si può richiedere direttamente allo sponsor oppure presso la libreria Di Lanciano, in piazza Pudente, e l’edicola Tognoni, in piazzale Rodi, alla Marina.
Il simpatico volumetto, che contiene anche foto d’epoca assolutamente inedite, viene distribuito ad offerta a beneficio della Ass. Chiara - onlus che si occupa dell’assistenza ai malati oncologici.

stralcio da art. apparso sul giornale "Qui Quotidiano"
- Vasto - pubblicazione gratuita - n. 21 del 9 febbr. 2010

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di  http://www.vastospa.it/html/tradizione/me_varivire.htm



La    second a storia      riguarda  un gioco particolare   La  morra     o sa  murra    come la si chiama  in sardegna 
  sempre  dala  nuova    sardegna  del 19\1\2018 i  primi due      e  del  2\02\2018  l'ultimo





Sa Murra non è un esclusiva della Sardegna. Anzi. Il gioco che prevede un rapido calcolo matematico basato sull’intuito e sulla strategia viene praticato in Slovenia, Croazia, Tunisia, Francia, Spagna e che in alcune regioni, come la Sicilia, il Veneto, la Valle d’Aosta, la Corsica e la Catalunya, anche la Comunità valenciana, l’Aragona, la Savoia e l’area di Nizza e un passatempo molto praticato. E come per tutti i giochi, esiste una convention in cui i partecipanti si danno appuntamento e si sfidano per eleggere i migliori. Con la morra c’è qualche difficoltà perché le regole variano a seconda della nazione di provenienza dei giocatori. I sardi, ad esempio, sono temutissimi: giocano a velocità elevatissime rispetto ai concorrenti e sono abilissimi nel prevedere le mosse degli sfidanti. Sono i Messi della morra, per fare un esempio che calza sia con l’abilità sia con la location dell’ultimo campionato mondiale di morra che, infatti, è stato ospitato in Catalogna, a Sant Carles de la Rapita, un centinaio di chilometri a sud di Tarragona. L’occasione d’incontro, lo scorso anno, coincideva con una ricorrenza particolare per l’associazione che si occupa di preservare il gioco e che lo scorso anno ha spento 35 candeline e che da dieci anni organizza il campionato. E gli ospiti d’onore della scorsa edizione erano proprio i ragazzi sardi che hanno rivoluzionato la morra dando i natali alla prima versione digitale del gioco che, c’è da scommetterci, aiuterà i giocatori a tenersi allenati e in contatto tra loro. In attesa che il gioco che anima le retrovie delle feste paesane in tutta la Sardegna, e che si trascina una nomea non proprio nobile per colpa degli epiloghi di alcune sfide fin troppo accese, diventi un’attività praticabile anche dallo schermo del cellulare. 
Certo, l’aggregazione
sociale e i coloriti modi di dire che accompagnano le giocate non sono riproducibili attraverso lo smartphone ma non tutto può essere digitalizzato. Il gusto delle vittoria, invece, resta lo stesso anche quando il concorrente è connesso da migliaia di chilometri di distanza.

Infatti  adesso





SASSARI. Gli ingredienti per realizzare un progetto di successo ci sono tutti: il gioco è semplice, lo conoscono praticamente tutti e ha un retrogusto didattico che lo rende appetibile anche a chi inizia a far di conto. Trasformare “Sa Murra” in un’applicazione di successo, dunque, è praticamente un riflesso condizionato per chi ha assistito a centinaia di partite ed è cresciuto con il ritmo delle chiamate nelle orecchie. E così anche la versione sarda della morra è diventata un gioco virtuale disponibile gratuitamente nei negozi on line aperti agli smartphone. L’idea è di Davide Onida, 31enne di Abbasanta, che l’ha covata per 5 anni prima di dare alla luce la versione definitiva, dove è possibile confrontarsi con altri giocatori ma anche con un’intelligenza artificiale travestita da abile giocatore di morra e in grado di sfidare i concorrenti di turno in un match composto da tre roun contro i sedici del gioco tradizionale.
I creatori. «La verità è che sono un mediocre giocatore della versione live – scherza Davide Onida, il padre dell’app Sa Murra – e quindi ho provato a digitalizzare il gioco per ottenere risultati migliori». I riscontri sono arrivati, ma non erano legati ai progressi di Davide: «Grazie a un amico, Giovanni Arixi, abbiamo realizzato un primo prototipo che girava su Facebook e che abbiamo presentato a Sinnova16, con ottimi risultati». Una volta ottenuti i riscontri che cercavano, Sa Murra era pronta a diventare un’app a tutti gli effetti, scaricabile gratuitamente in pochi istanti e soprattutto funzionale e intuitiva. In sostanza, per imparare a giocare anche on line ci vuole veramente un attimo: «Io sono fondamentalmente un designer – spiega ancora Davide Onida –, per questo ho coinvolto un altro amico e collega, un vero giovane talento sardo, Davide Mainas, con cui ho lavorato per altri progetti e che considero tra i più promettenti programmatori dell’isola. Nel giro di qualche mese Davide ha sviluppato le app per Android e iOS in React Native, una nuova tecnologia sviluppata ed usata da Facebook».
L’applicazione. Per Davide è quasi un hobby ma se Sa Murra dovesse continuare a crescere non è detto che possa diventare qualcosa di più: «Dopo essermi laureato a Bologna, faccio l’art director e frontend developer (la figura professionale che sviluppa i siti internet per conto dei clienti, ndr) nell’azienda Softfobia, ma faccio anche parte di alcune startup nate e cresciute a Cagliari. Inoltre porto avanti diversi progetti personali e Sa Murra è uno di questi». Pur non avendo investito nemmeno un euro in pubblicità, l’applicazione ha iniziato a camminare da sola: «Merito del passaparola virtuale, perché si gioca soprattutto contro sfidanti che si trovano su Facebook. E condividendo i risultati il nome della nostra applicazione si è diffuso on line – spiega il giovane designer – perché nel mondo delle app la parola d’ordine è il contenimento dei costi e, soprattutto, il miglioramento del prodotto». E quando a Sa Murra è stata aggiunta l’intelligenza artificiale, il bot nel gergo dei programmatori, che permette le sfide contro il computer, il gioco è salito sulla cresta dell’onda aumentando il numero dei download e diventando un fenomeno di costume tra gli appassionati: «Perché Sa Murra non si gioca solo in Sardegna
– conclude Davide Onida –. Ce ne siamo accorti quando siamo stati invitati a Murramundo, una convention di giocatori che arrivano da tutto il Mediterraneo e giudicano la murra per quello che è: un gioco nobile e colto che speriamo di aiutare a riscoprire anche con la nostra app».



quindo non vi preoccupate se

Rissa tra ragazzi? No, sfida a morra

Se passate davanti ai giardini pubblici e sentite dei ragazzi urlare, non c’è da preoccuparsi: nessuna rissa. Molti studenti, soprattutto provenienti dall’hinterland, si ritrovano e si sfidano a...





Se passate davanti ai giardini pubblici e sentite dei ragazzi urlare, non c’è da preoccuparsi: nessuna rissa. Molti studenti, soprattutto provenienti dall’hinterland, si ritrovano e si sfidano a colpi di morra. E, come da tradizione, non lesinano certamente sul volume.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...