Visualizzazione post con etichetta Pastori sardi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Pastori sardi. Mostra tutti i post

3.5.20

Nuoro L’epopea di un gruppo di insegnanti che istruiva gli studenti tra monti e campi Dai viaggi in groppa all’asinello alle classi che si radunavano post mungitura



Cambiamo discorso   , non stiamo  sempre  a parlare  di Covid19    \ coronavirus  e notizie  legate direttamente  ed indirettamente  ad  esso legate  . Parliamo d'altro .  Riporto     qui   questo articolo  preso dalla nuova  sardegna del  29\4\2020  . Eccovi una storia d'altri tempi 😢😎😁 quando  ancora  l'analfabetismo   era  una  piaga   che sembra  ritornato in auge  , i  corsi ed  i ricorsi   della storia  .  Ma  ora   bado alle  ciance  veniamo  ala storia   d'oggi



NUORO
Mezzo secolo fa gli insegnanti colmavano le distanze con gambe da scalatori e volontà di ferro, oggi nelle scuole chiuse per decreto a tenere unità e produttiva la classe – ognuno a casa sua – c’è bisogno di un computer e di una linea wi-fi affidabile. Generazioni a confronto con storie e metodologie differenti per affrontare le emergenze. Così, se da una parte gli insegnanti itineranti non conoscevano la fase uno e poi quella due, ignoravano termini come lockdown o altre diavolerie, avevano però un solo credo: faticare tutti i giorni per sconfiggere l'analfabetismo, allora galoppante. Perché tutto quello che possedevano, che non era molto anzi, era quasi nulla – se lo dovevano conquistare con il sudore in tutte le stagioni dell’anno.


Oggi per i pochi maestri rimasti che portavano l’insegnamento in campagna, là dove c’erano gli alunni che mai sarebbero andati a scuola in paese, reduci di una stagione che sembra essere lontana anni luce dalle comodità attuali, vivere quest’era afflitta da un male, il coronavirus, fino a poco tempo fa sconosciuto, sorprende ma non li allarma. Sentendo i loro racconti l’emergenza attuale è davvero poca cosa rispetto alle difficoltà – davvero di ogni tipo – che hanno dovuto affrontare e superare quando andavano a insegnare tra i monti e le campagne del nuorese. Viaggi quotidiani in groppa all’asinello se si era fortunati o a piedi per chilometri per portare la didattica ad una classe di pastori che si radunava dopo la mungitura.
Di quel gruppo nutrito di insegnanti – in Sardegna erano una cinquantina – ne sono oggi rimasti davvero pochi. Una compagine che si è ulteriormente assottigliata dopo la dolorosa perdita di uno di loro, l’apprezzato e compianto, Gianni Berria di Orune, una delle tante vittime di questa malattia fino a poche settimane fa sconosciuta. Il lavoro in prima linea di Berria, ma anche di Giovanni Puggioni, di Giovanni Pala Mundanu e dei loro alunni – pastori spesso coetanei e con voglia di apprendere – non era sfuggito all’Europeo, rivista che nel febbraio del 1960 aveva realizzato un reportage su questo particolare spaccato di vita e lavoro di un’Isola che lottava per emanciparsi.
«Le nostre difficoltà raccontate oggi hanno dell’incredibile. Sembrano irreali. Eppure le abbiamo vissute con fermezza e spirito di adattamento. E con uno stipendio che a mala pena serviva a coprire le spese», racconta Giovanni Puggioni, 81 anni. Gli fa eco dalla sua Orune, costretto in casa come tutti dalle restrizioni nei movimenti imposte dal governo per contrastare il coronavirus, Giovanni Pala Mundanu. Voce ferma e vis ironica ancora intatta, l’ex insegnante dimostra molte stagioni in meno dei suoi 87 anni. «Questo male non ci può spaventare – dice – noi abbiamo superato tutto, qualsiasi malattia, dalla tubercolosi, alla malaria. E poi andare a fare lezione in campagna non era semplice. Un’esperienza che ti temprava e portava anche molte soddisfazioni».
A Oliena vive Monserrato Mereu, che allora pastore quasi ventenne, era uno degli alunni che seguiva le lezioni di Giovanni Puggioni. Anche la sua dichiarazione e foto fu raccolta da Epoca, giornale che custodisce gelosamente in un quadretto.

«Il maestro era una gran brava persona e mi aiutò tantissimo» rimarca l’anziano che grazie a quei primi insegnamenti riuscì a prendere la licenza elementare. Oggi invece in questa situazione di tempo sospeso la didattica online dà un aiuto importante, anche se ritrovare la scuola e i suoi spazi sarebbe tutt’altra cosa. «Tra gli estremi rimedi rientra sicuramente la didattica a distanza. Essendoci trovati noi tutti scaraventati in una realtà surreale quale quella causata dal covid-19, l’utilizzo degli strumenti tecnologici per l’insegnamento non lasciava scampo. Ma sono tanti i contro di questo mezzo, primo tra tutti il venire a mancare di tutto il sistema scuola e il suo riconoscimento da parte dell’alunno come luogo non solo di apprendimento e di studio, ma anche e soprattutto come spazio protetto e sicuro, un luogo di accoglienza non solo intellettiva ma soprattutto emotiva – spiega Ivana Dore, insegnante e psicologa – È venuta a mancare la motivazione e il coinvolgimento nelle attività a causa della distanza fisica, della relazione. Anche per gli insegnanti e per tutti gli operatori che utilizzano questo strumento non è semplice, si incombe in tante distrazioni, si rischia di lasciare indietro chi anche all’interno della classe aveva bisogno di maggior attenzione e un grande vuoto si apre per i bisogni educativi speciali) e per chi ha una diagnosi precisa»

14.10.12

finalmente i pastori sardi lo hanno capito Presentata a Nuoro l'aggregazione mirata ad adeguare le produzioni alle richiesteI pastori uniti vanno in ReteAllevatori, caseifici, coop e venditori sfidano il mercato


dall'unione  sarda  Edizione di sabato 13 ottobre 2012 - Economia (Pagina 15)  Presentata a Nuoro l'aggregazione mirata ad adeguare le produzioni alle richieste  Tra i promotori Prolat, Agriexport, Agrifidi e le coop Allevatori uniti Sardegna, Concordia di Pattada, Armentizia di Siniscola e Rinascita di Oliena.

«Lavorare in sinergia sulle diseconomie: negli ultimi cinque anni nel comparto non ha guadagnato nessuno. Abbiamo perso tutti in un settore al collasso». Albino Cubeddu, amministratore della Prolat, dall'alto della sua esperienza commerciale (è arrivato a esportare negli Stati Uniti anche centomila quintali di pecorino romano), lancia un messaggio preciso a Nuoro durante la presentazione della Rete di imprese del comparto lattiero-caseario ovino.
I PROTAGONISTI Iniziativa che vede i pastori unirsi per aggregare il prodotto, le cooperative mettere a disposizione strutture di trasformazione modernissime e la Prolat giocare la partita fondamentale del mercato programmando le produzioni seguendo le esigenze e i gusti del consumatore. Invita i pastori a unirsi e «far valere il loro potere d'acquisto», Albino Cubeddu: confrontandosi con Francesco Dore, presidente di Copagri e della cooperativa Agrifidi, ipotizza già con una serie di interventi coordinati un risparmio di dieci centesimi al litro e fa intravedere l'obiettivo di un prezzo del latte «stabilito mese per mese». Senza demonizzare il Romano, ma «adeguando al mercato gli standard qualitativi». La Rete ha già messo insieme «senza la politica soggetti diversi che - dice Dore - dovranno pensare ognuno a fare bene la propria parte». Il commerciale con la Prolat (oltre 11 milioni di fatturato) interfacciato con 3100 aziende zootecniche e i caseifici cooperativi di Agriexport, Concordia di Pattada, Armentizia di Siniscola e Rinascita di Oliena (50 milioni di giro d'affari).
COOP PROTAGONISTE Totoni Sanna, presidente di Legacoop Nuoro parla di «proposta aperta» e sottolinea il ruolo-guida della cooperazione, prima protagonista con i suoi caseifici e i 2600 soci e la Allevatori Uniti Sardegna. Ogni soggetto porta «esigenze diverse con una finalità comune: immettere sul mercato un prodotto certificato che garantisca valore aggiunto», sottolinea Toto Meloni che con la società Meeting segue ricerca, sviluppo e rapporti istituzionali. Gli allevatori per la prima volta sfidano il mercato, dividendo il rischio d'impresa e, si spera, gli utili.
VOGLIA DI UNITÀ Ne è convinto Salvatore Palitta, presidente del consorzio Agriexport, individuando nella Rete tutti gli strumenti fondamentali per «superare un sistema produttivo frammentato e inadeguato». Con impianti di trasformazione tecnologicamente all'avanguardia e capaci di garantire l'eccellenza certificata, Palitta guarda proprio alla commercializzazione, alla razionalizzazione di un sistema fatto da troppi che si fanno concorrenza svilendo il prezzo.
Michele Tatti

9.10.11

La pastora, i silenzi e la politica tra lacrimogeni e scontri di piazza

Unione  sarda  del 9\10\2011di GIORGIO PISANO


Cosa fosse un lacrimogeno l'ha capito una mattina dell'anno scorso in via Roma, a Cagliari. La polizia era schierata in assetto antisommossa. E lei - madre di famiglia - guardava con curiosità, quasi fosse in televisione, una scena che non la riguardava. Distante, lontana. Confusa tra i manifestanti, tutti con la stessa maglietta azzurra del Movimento pastori, si sentiva intoccabile, irraggiungibile, sicura. D'un tratto un sibilo ha spezzato il silenzio «e io mi sono ritrovata questo coso tra i piedi, dentro una nuvola di fumo acre». Respirava a fatica ma ha provato a reagire, calpestarlo, allontanarlo con un calcio. Poi ha capito cosa prescrive la tattica del popolo blu in questi casi: ritirata. Ritirata velocissima tra le stradine che circondano il Consiglio regionale e i poliziotti, zavorrati nello scafandro d'ordinanza, dietro. Urla, respiro corto, il frastuono dei passi assordante come quello di una mandria.Graziella Ninu, 44 anni, di Silanus, ha scoperto all'improvviso una faccia sconosciuta della vita. Dieci anni prima aveva dovuto imparare a mungere, diventare giorno dopo giorno, e in fretta, pastora. Pensare che aveva alle spalle studi al liceo scientifico e il sogno (mai abbandonato) d'una laurea in Lettere classiche. Il destino le ha cambiato copione in un lampo. Oggi ha due figlie, un marito (Pietro) che lavora in una coop, presente e futuro di guerra: nel senso che il gregge è diventato la sua vita. Assieme alle battaglie di piazza. Ha 150 pecore («il massimo possibile per una sola persona») in un tancato enorme sulle colline di Silanus, avamposto sospeso fra il cielo e la sterminata piana di Dualchi. Spettacolo straordinario della natura. Qui, a Pedra Niedda, si lavora tutti i giorni, nessuno escluso. A dare una mano c'è Carlotta, primogenita, quart'anno di Giurisprudenza a Sassari: lei e la mamma fanno tutto quello che nei pascoli vicini è lavoro da uomini. Si comincia alle sei del mattino. Cioè al buio o quasi, estate e inverno. La giornata finisce quando la porcilaia è a posto, la sala mungitura pulita, il fienile riordinato, i gatti liberi di andare a caccia di topi. Conferiscono tra i sedici e i diciassettemila litri di latte l'anno. «Puntiamo sull'igiene e sulla qualità piuttosto che sulla quantità». Mantenere una pecora costa un euro e diciannove centesimi al giorno. Il latte viene venduto a 0,65 (molto meno della metà di un litro di benzina) mentre nel resto d'Italia spunta un euro. Tre-industriali-tre sono in grado di imporre il prezzo a una categoria che coinvolge circa centomila addetti in oltre ventimila aziende. Fatturato complessivo: mezzo miliardo di euro. E fame, miseria e crisi come mai.Graziella è molto determinata, non si piange addosso. Le mani, lunghe e ben curate, le servono per disegnare in aria gli scenari dell'infinita vertenza della sua categoria, le speranze e i precipizi, le missioni in strade di città mai viste prima. Adopera un italiano preciso, tagliente. A tratti sembra un amministratore delegato che riferisce ai soci. Intorno però ha solo balle di fieno, allineate in piccole torri fino a sembrare una fortezza.
La prima volta in campagna?«Avevo trentaquattro anni. Mi occupavo di famiglia e non l'avevo messo in conto. Ma un lutto ha scompaginato tutto. Ho fatto in fretta a imparare. Solo che ogni giorno mi tormentava sempre la stessa domanda: ce la farò?»
Beh, ha imparato anche a mungere.«Non è difficile se qualcuno te lo spiega. Qualche problema, semmai, me lo dava doverlo fare all'aperto, senza un tetto. I tempi sono quelli, non ci puoi fare nulla. Pronta e operativa alle quattro del mattino se passa il camion del latte, alle sei in altri periodi. Unica donna in un ambiente totalmente maschile».
Imbarazzo?«Mai. Anche perché speravo di trarne un reddito. Non si lavora per la gloria. Per me le pecore sono lavoro, non ho il senso poetico della fatica».
E allora?«Finita la prima stagione di mungitura, mi sono detta che dovevo assolutamente rendere tutto meno duro. Ho comprato una mungitrice elettrica e un refrigeratore, ho ricostruito il fienile e il ricovero per le pecore. Mi sono lanciata nell'imprenditoria».
E in famiglia?«In famiglia nessun problema: sono sempre riuscita a conciliare casa, marito e figlie».
Paura?«In campagna? No. Mi capita di provarne pensando a Carlotta, che sgobba quanto me; a Francesca, la più piccola, che ha una grande sensibilità per gli animali. Succede che restiamo nel tancato fino a sera inoltrata: mai avuto paura, però»
Basta seguire una regola: non vedere, non sentire.«Diciamo pure che la campagna non è un mercato, questo è sicuro. Quando arrivo a Pedra Niedda di solito è buio pesto: non vedo e non incontro nessuno».
Dicono che i pastori conoscano le loro pecore una per una.«Non esageriamo, non sono la loro mamma. Ho imparato a governarle, questo sì. Segnalo la mia presenza, appena aperto il cancello, con un colpetto di clacson».
Solitudine?«A tempo pieno, non compresa nel prezzo del latte. Ma non ne ho risentito. Anzi, ogni tanto lo cerco proprio, il silenzio: e allora mi piazzo qui, in alto, a guardare la piana come se fossi a teatro. Questo è il posto dove ricarico le batterie, dove vengo a cercare conforto e forza per andare avanti. Sono un po' strana».In che senso?«Più che parlare mi piace scrivere. Tengo un diario da quando stavo alle elementari. Ho bisogno di annotare pensieri, riflessioni, piccoli episodi. Ogni tanto sfoglio qualche pagina e mi faccio prendere dai ricordi».
La offende essere chiamata pastora?«E perché mai? Ho amiche laureate che mi invidiano per la semplicissima ragione che ho un lavoro. Un lavoro che non rende quanto dovrebbe, che non pareggia il bilancio tra impegno e fatica, ma ce l'ho».
Giornata-tipo.«Raccontiamone una normale. Sveglia alle 6. Operazione numero uno: accendere la tivù, La7, Rainews, per sapere che succede nel mondo. Intanto io e Carlotta ci prepariamo. Il tancato dista una decina di minuti da casa. Le pecore ci sentono arrivare, sanno che stiamo per aprire la sala-mensa».
Poi?«Le chiudiamo nel recinto a gruppi di 28, che non è un numero a caso ma quello delle gabbie utilizzate per la mungitrice. Terminiamo nel giro di un'ora e un quarto. A quel punto le porto al pascolo mentre Carlotta si occupa delle pulizie nei locali della mungitura».
Carlotta ha 24 anni (  con la madre  a  destra  )   
Sposata, un figlio. Dice che all'università, quando le domandano cosa fa, risponde: lavoro in campagna. Seccante parlare di gregge, di pecore? «Questo discorso poteva valere anni fa. I tempi sono cambiati. Il mondo agropastorale è affollato di giovani che studiano. Ho colleghe che sono figlie di pastori e non si vergognano affatto». Nessun complesso d'inferiorità, dunque: semmai apprensione per il futuro, per la sorte di un comparto che sta scivolando lentamente verso il fallimento. A dispetto degli oltre tre milioni di capi ovini a cui si aggiungono trecentomila capre. Adesso c'è molta attesa per le decisioni che prenderà la Commissione per le Politiche agricole di Bruxelles. Il leader del Movimento dei pastori sardi, Felice Floris, ha denunciato gli industriali caseari all'Antitrust per ben due volte. Nel frattempo? Graziella non vede alternative alla piazza.
La protesta è una politica vincente?«Non so se sia vincente ma non ci sono altre strade. Anche se qualche volta va male, com'è successo a Civitavecchia, quando la polizia, appena siamo sbarcati, ci ha chiusi in angolo, assediato».E voi?«Beh, diciamo che per superare il blocco non abbiamo bussato ma è stata davvero pesante. Ora puntiamo su Bruxelles: se non ti vedono e non ti sentono, non si ricordano che esisti. Io l'ho scoperto col mio sindacato».
Cioè?«Lasciamo stare le sigle, non voglio fare polemica. Avevo un sindacato di riferimento che preferiva vie sotterranee di trattativa. Un giorno, per curiosità, sono andata a Tramatza a sentire che dicevano i pastori e mi si è aperto un mondo».
Per una donna fare questo lavoro è peggio?«A livello di testa, noi donne siamo più concrete di voi. L'handicap è la forza fisica: ce ne vuole tanta. Fortuna che abbiamo ottimi rapporti coi vicini di pascolo: ci aiutano, ci danno consigli. Studio anche su un manuale ma non ha la stessa saggezza di un vecchio pastore».
La solidarietà esiste sul serio o è un luogo comune?«Tutt'e due. La solidarietà la tocchi con mano quando ti aiutano a scaricare i bidoni del latte. Per il resto, la categoria è unita e disunita»
Sarebbe voluta nascere altrove?«No. Silanus è un paese che, nei momenti difficili, riesce ad esserti vicino»
.Questo è il bello. Il peggio?«Non lo dico. Scelgo la via dell'omertà».
Ferie, vacanze.«Non esistono. Manco Natale. Il massimo che ho fatto è una puntata al mare, partenza e rientro in giornata. Un viaggio, un viaggio vero che non so neppure dove perché mi vengono in testa cento posti meravigliosi, prima o poi lo farò. Me lo sono giurata».
Quanto guadagna mediamente in un mese?«Tra i 1.200 e i 1.900 euro. Che, ovviamente, non bastano. Ma io sono contenta così: vivo per le mie figlie. Che altro deve fare una madre?»
Come si sopravvive vendendo il latte a 0,65?«Non rinnoviamo le macchine, non facciamo lavori di ristrutturazione, non investiamo un euro in nulla. Aspettiamo. Grazie ai premi comunitari tiriamo avanti e speriamo che piova. Io sono pure fortunata perché in casa arriva lo stipendio di Pietro. Quando penso alle famiglie monoreddito mi vengono i brividi».
Com'è possibile che tre-industriali-tre pieghino ventimila pastori?«Secondo le regole del mercato, a definire un prezzo congruo dovremmo essere noi e gli acquirenti. Invece a decidere, a cantarsela e a suonarsela, sono solo loro».
Vuol dire che siete tanti ma non avete peso contrattuale?«Non siamo uniti, è questo il vero problema. Sa cosa farei io? Bloccherei totalmente la produzione, non conferirei neanche una goccia agli industriali: vediamo quanto reggono. Il guaio è che a quel punto comprano il latte dalla Romania e lo rivendono come sardo. E noi? Noi sempre peggio».
Dove finisce il latte del suo gregge?«Prima facevo capo anch'io ad un'industria. Ho smesso quando ho scoperto che pagava 80 centesimi ai pastori che avevano mille capi e 0,60 a piccoli allevatori come me. Capito? Ci dividono per governarci meglio».
Quale sarebbe il prezzo giusto?«Un euro. Anche perché intanto i mangimi sono aumentati del 40 per cento, un quintale di granturco è passato da 20 a 32 euro. Mica si può durare, così».
I rapporti con la politica: ci crede?«Ho smesso da un pezzo. E sa perché? Perché mi vergogno di un Consiglio regionale che, a voto segreto, boccia la legge per ridurre il numero degli onorevoli. Mi vergogno di un Consiglio regionale pieno di indagati. Mi vergogno di gente che pensa soltanto a riempirsi la pancia».
E la crisi?«La crisi sono loro. Questa è la verità».

                                                  pisano@unionesarda.it

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...