Aeneas aiuta a ricostruire i frammenti perduti delle iscrizioni
latine con livelli di rapidità ed efficienza impossibili per un solo
cervello umano. È un esempio di come algoritmi e reti neurali
trasformeranno la nostra conoscenza dell'antichità e il futuro della
ricerca.Il futuro degli epigrafisti riguarda tutti, perché ci
dice qualcosa su come potrebbe cambiare il modo in cui conosciamo,
studiamo e capiamo il mondo. Mi attirerò qualche antipatia per il
paragone che sto per fare, ma credo che il lavoro di un epigrafista sia
un po’ come una partita di La Ruota della Fortuna, il programma di Mike
Bongiorno in cui i concorrenti cercavano di indovinare una frase
misteriosa rivelando, una alla volta, le lettere mancanti per vincere
un’automobile, un viaggio o qualche altro bottino. Anche l’epigrafista
ha davanti a sé un testo interrotto, spezzato, consumato dai millenni.
Ma ogni lettera “indovinata” deve essere sorretta da fonti e logica
storica. È qui che il paragone con Mike Bongiorno si ferma: quello
dell’epigrafista è un lavoro che richiede anni di studio e una pazienza
fuori dal tempo. Uno degli strumenti fondamentali per completare un
frammento sono i cosiddetti “paralleli”: iscrizioni simili a quella
incompleta, che aiutano a intuire cosa potrebbe essere andato perduto. I
paralleli contengono somiglianze con il testo misterioso: una
terminazione verbale, una formula rituale, un nome imperiale, una certa
struttura grammaticale, il riferimento a una persona. A volte si trova
il gemello perfetto. Un frammento trovato su una lastra di marmo a Roma
potrebbe trovare il suo doppio integro in Anatolia o in Nord Africa. Se
due testi si parlano si ricostruisce il senso, si traduce, si può
datare, e improvvisamente si può dare voce a quello che era muto.
Cent’anni fa per trovare paralleli si faceva affidamento alla propria
memoria di ferro: si ricordava un’incisione vista dieci anni prima, il
racconto di un collega, magari si apriva d’istinto il libro giusto. Era
lavoro artigianale sporco e poetico – dunque anche molto fallibile. Poi
sono arrivati i repertori, le banchedati e i motori di ricerca. E
adesso c’è lui, il modello, l’algoritmo: Aeneas. Aeneas è un modello di intelligenza artificiale che a
partire da un frammento, in pochi secondi, è in grado di suggerire il
possibile contenuto mancante di un’iscrizione e poi proporre datazione,
geolocalizzazione, e dozzine di “paralleli”. È stato progettato da un
team di ricercatori guidato da Yannis Assael di Google DeepMind e dalla
storica italiana Thea Sommerschield dell’Università di Nottingham. È
allenato su 176.000 iscrizioni latine, e non ne dimentica mai nemmeno
una. Al momento della prova ha fatto quello che ci si aspettava: ha
lasciato gli umani indietro di decine di punti percentuali. In uno studio pubblicato da poco su «Nature»,
i ricercatori hanno chiesto a 23 epigrafisti di analizzare iscrizioni
con e senza l’ausilio di Aeneas. Quando il modello e gli umani hanno
lavorato per conto proprio, l’IA ha superato di gran lunga gli
epigrafisti in tutti e tre i compiti: completamento del testo, datazione
e attribuzione geografica. Ho chiesto a Sommerschield se questi
risultati potessero essere influenzati dal modo in cui si era costruito
l’esperimento – gli storici avevano solo due ore per completare lavori
per cui solitamente si prenderebbero più tempo – e mi ha risposto che
l’obiettivo era mettere alla prova l’utilità del modello come supporto
agli studiosi, non misurare la loro obsolescenza. La vera notizia, per
Sommerschield, non è la competizione tra umani e algoritmi ma il frutto
della loro collaborazione. L’assenza dell’umano non è nemmeno
contemplata, senza umani non si va da nessuna parte. “Il risultato che
abbiamo ottenuto è il migliore che si potesse desiderare: la sinergia
produce i risultati più accurati”. Nel 90% dei casi i partecipanti hanno
considerato il modello un buon punto di partenza per la ricerca. Per
alcuni di loro Aeneas ha addirittura “completamente cambiato” il modo in
cui guardavano le iscrizioni. Forse facciamo fatica ad ammettere che,
in molti settori, l’intelligenza artificiale stia mostrando di saper
fare meglio di noi proprio quei compiti che da sempre associamo
all’unicità del pensiero umano: stabilire nessi, capire il contesto,
costruire significati. E sì, senza dubbio serviremo ancora noi per
architettare e orchestrare, ma sul piano del lavoro cognitivo non è
chiaro chi dei due sarà l’assistente dell’altro. Di certo, per gli
epigrafisti, Aeneas è un nuovo tipo di collega. Uno che non invecchia,
non dorme, non dimentica e non sbaglia quanto loro. “La capacità di contestualizzazione di Aeneas è veramente
interessante” ha commentato Silvia Ferrara, archeologa e filologa
classica all’Università di Bologna, che sul coinvolgimento di Google nel
progetto e nello studio ha commentato “se è uno strumento per
consentire ai ricercatori di fare blue sky research, ricerca
scientifica libera da vincoli applicativi o commerciali, mi sembra una
cosa favolosa, lodevole”. Ferrara dice che in fondo uno dei motivi per
cui l’università italiana ha così pochi fondi è anche che non ha avuto
la capacità o la lungimiranza di mettersi in gioco con il privato. Ben
vengano le collaborazioni con chi può investire sul sapere, purchè,
ovviamente – e questo Ferrara lo ripete molte volte – la ricerca sia blue sky. Senza limiti come il cielo. “Aeneas è
allenato su 176.000 iscrizioni latine, e non ne dimentica mai nemmeno
una. Per gli epigrafisti è un nuovo tipo di collega. Uno che non
invecchia, non dorme, non sbaglia quanto loro”.Prevedere-il-passato è il nome del sito lanciato insieme allo studio pubblicato su «Nature»: predictingthepast.com.
Un sito che oltre a Aeneas rende gratuito e aperto a tutti anche Ithaca
(un antenato di Aeneas specializzato sui testi della Grecia antica,
appena aggiornato con il progresso algoritmico di Aeneas), per la gioia
di ricercatori, studenti, insegnanti, curatori museali ed epigrafisti
autodidatti. Prevedere-il-passato è un nome paradossale ma efficace
perché ricostruire l’antichità, quando è così remota e frammentaria, non
è tanto diverso da prevedere il futuro. Richiede gli stessi azzardi, lo
stesso coraggio e la stessa presunzione. Ed è particolarmente difficile
quando non si parla di imperatori e conquiste ma di quello che
succedeva alla maggior parte delle persone – la vita vera. “Il motivo
per cui faccio epigrafia è che è una delle uniche fonti del mondo antico
che riporta le voci dirette delle persone” dice Sommerschield. “Anche
gli strati sociali più bassi potevano commissionare un’iscrizione
elementare”. Non le voci dei generali né quelle dei filosofi. Voci che
dicevano ti amo, sono nato qui, ti ricorderò per sempre, mi devi questi
soldi, vieni al mio compleanno. “La vita delle donne e degli schiavi nel
mondo romano non la raccontano Tucidide o Tacito” aggiunge
Sommerschield, “la raccontano le iscrizioni”.I ricercatori però non hanno resistito alla tentazione di
vedere come Aeneas se la sarebbe cavata con la madre di tutte le
iscrizioni latine: la Res Gestae Divi Augusti. Una lastra di
propaganda incisa nella pietra per rendere eterno un mito. Il racconto
in prima persona di Ottaviano, poi diventato Augusto, primo imperatore
di Roma, e poi diventato divino. “Volevamo testare il modello
sull’iscrizione più famosa, era troppo bello per non provarci e siamo
contenti dei risultati” dice Sommerschield. Le Res Gestae hanno fatto
dannare gli storici per secoli: quando sono state scritte? Davvero prima
che Augusto morisse, dettate da lui come vuole la leggenda? O dopo,
magari decenni dopo, quando a dettare il tono era qualcun altro? Se
fossero state scritte dopo allora non sarebbe Augusto a parlare. Magari
Tiberio, per legittimare il suo regime rievocando un’epoca fondativa
idealizzata. Aeneas ha studiato, confrontato centinaia di migliaia di
testi, e nel giro di pochi secondi si è espresso. Sul portale gratuito e
aperto a tutti possiamo scrutare il ragionamento del modello: si è
concentrato per esempio sullo spelling di “aheneis”, che diventa
“aeneis” nel primo secolo dopo Cristo e che quindi consente di
diagnosticare che questo testo dovesse essere stato scritto prima. Ha
fatto ragionamenti classici da storico, ma con la potenza di calcolo di
centinaia di cervelli. E ha formulato due ipotesi coerenti con il
dibattito storico: una colloca la stesura del testo a pochi anni prima
della morte di Augusto, l’altra fino a sei anni dopo. Insomma il modello
non ha risolto il dibattito, lo ha confermato. Ma il punto cruciale è
che solo a partire dal linguaggio, in pochi secondi, Aeneas sia arrivato
a formulare le stesse ipotesi su cui gli storici lavorano da secoli. Su
altri testi di cui abbiamo la datazione precisa il margine di errore
medio di Aeneas è stato di tredici anni. Non male per documenti vecchi
di duemila anni. La media per gli epigrafisti, nello studio, è stata di
trentuno – impressionante pure quella, a pensarci bene.Certo le iscrizioni usate per testare Aeneas venivano dallo
stesso corpus di addestramento del modello. Non è un dettaglio da poco. È
come interrogare un allievo poco dopo avergli fatto una lezione che gli
forniva tutti i materiali utili per l’interrogazione. I dati di
addestramento erano naturalmente separati da quelli per i test, ma la
matrice, l’universo di interpretazione testuale, era quello. “Abbiamo
lavorato tantissimo a pulire i dati, armonizzarli, eliminare i
duplicati” racconta Sommerschield. “È stato un lavoro molto intenso. I
dati sono fondamentali alla performance del modello”. E se i dati non ci
fossero? Se ci fosse da lavorare su iscrizioni nuove, sporche,
ignorate? Aeneas sarebbe ancora così brillante? “Non lo abbiamo
ancora testato su iscrizioni inedite, perché un’analisi credibile
avrebbe richiesto tempo, rigore e lavoro sul campo: bisogna esaminare
l’iscrizione dal vivo, confrontarla con fonti specialistiche, costruire
un’interpretazione solida. Senza contare che magari qualcuno ha un
parallelo chiuso dentro una scatola dimenticata e io non lo so. Possono
volerci anni. In questo caso volevamo mostrare l’utilità di Aeneas ai
ricercatori il prima possibile.” L’epigrafe dentro una scatola
dimenticata è un dettaglio rivelatore: Aeneas è tanto intelligente
quanto i dati che riceve. E la digitalizzazione delle epigrafi oggi la
fanno a mano volontari, studenti, ragazzi che passano pomeriggi a
catalogare iscrizioni dimenticate in qualche archivio italiano. “In
questo momento la copertura storica e geografica è tutt’altro che
completa,” ammette Sommerschield, “senza i dati digitalizzati dagli
studenti delle università non esisterebbe nessuna intelligenza
artificiale”.“Nelle discipline umanistiche resta ancora forte l’idea del genio
isolato, dell’intuizione folgorante e individuale, dell’esperto
solitario che interpreta e firma. Nelle discipline STEM è scontato da
tempo che la conoscenza sia un processo collettivo e iterativo.
L’intelligenza artificiale potrebbe erodere quel confine rigido tra
umanisti e scienziati, alzato nell’Ottocento e rafforzato nel Novecento,
che separa chi studia la storia da chi risolve le equazioni”.C’è anche chi sta lavorando a un tipo di intelligenza
artificiale che aiuti a cominciare il lavoro epigrafico e non solo a
rivisitarlo o completarlo. Ci sono casi in cui i testi sono
indecifrabili e indecifrati. Vediamo solo segni, e quei segni non ci
dicono nulla. Capirci qualcosa è parte del lavoro di Silvia Ferrara. Con
il suo gruppo di ricerca sta addestrando un algoritmo per studiare le
iscrizioni cipro-minoiche, tra le scritture più misteriose del mondo
antico. Un sillabario che non abbiamo mai capito e quindi una lingua che
non abbiamo mai letto – e che potrebbe aiutarci a rileggere
l’antichità. A differenza di Aeneas, che lavora in un campo coltivato e
sorvegliato, il modello di Ferrara opera quasi alla cieca. Cerca
strutture e pattern. Cerca una logica da zero. “Voglio capire che
diamine scrivevano a Cipro migliaia di anni fa” dice Ferrara. Le dico
che mi ricorda Louise Banks, la linguista interpretata da Amy Adams che
nel film Arrival è incaricata di decifrare la lingua degli
alieni. “Ho visto il film sette volte. Quella maledetta di Amy Adams mi
ha rubato il ruolo”. Il sogno di Ferrara è vedere la nascita di nuove
discipline: lo studio dei testi minoici, delle iscrizioni dell’Isola di
Pasqua, della Valle dell’Indo, cioè “far parlare testi che non ci
parlavano più da millenni”. Non tutti però applaudono all’arrivo di questi strumenti.
Molti storcono il naso. L’epigrafia, come molte discipline, si è nutrita
nei decenni del lavoro di studiosi sempre più specializzati. Un
epigrafista potrebbe passare la sua intera carriera a studiare
iscrizioni funerarie latine del II secolo dopo Cristo trovate in Sicilia
orientale. Capiamo bene che quando uno passa la sua vita a studiare un
pezzetto, i suoi colleghi si vedranno bene dal contraddirlo proprio su
quello. Ma è così che nascono anche gli errori e i pregiudizi, che si
incrostano e si ripetono.A un certo punto in Arrival, Amy Adams cita lo
psicologo statunitense Abraham Maslow: “Se l’unica cosa che hai è un
martello, suppongo sia allettante trattare tutto come se fosse un
chiodo”. Per molto tempo il martello sono state le singole teorie degli
esperti, con tutti i rischi che comporta una voce iper-specializzata e
incontestabile. Ora quel martello si è trasformato in una rete neurale,
con la potenza di centinaia se non migliaia di cervelli messi insieme.
Ma dovremmo chiederci: stiamo costruendo un nuovo strumento capace di
farci vedere le iscrizioni con uno sguardo più sfaccettato (per smettere
di vedere solo chiodi)? O stiamo semplicemente colpendo più forte con
lo stesso martello? Il rischio più insidioso è che l’errore e il pregiudizio,
una volta appreso da un modello come Aeneas, diventi norma. Se un
modello apprende una lettura sbagliata e la riproduce all’infinito,
quella lettura rischia di cristallizzarsi ancora di più come verità.
L’autorità algoritmica può trasformare una teoria in dogma senza che
nessuno se ne accorga. Ma se quel modello riceve in pasto idee diverse,
interpretazioni diverse, scuole di pensiero diverse, allora questo
rischio si riduce. Secondo Sommerschield, modelli come Aeneas possono
“contribuire a democratizzare la ricerca, rendendola accessibile anche
al di fuori dei percorsi tradizionali dell’epigrafia”. Con percorsi
tradizionali s’intende lo studio diretto dei monumenti sul campo, la
consultazione di archivi e biblioteche specializzati – un lavoro che
rimane fondamentale ma per cui oggi molti studiosi faticano a reperire
fondi. “Strumenti come Aeneas possono offrire un supporto concreto a chi
non ha sempre la possibilità di lavorare direttamente sui monumenti,
aiutando a trovare connessioni tra testi e contesti finora difficili da
immaginare”.In un contesto accademico in cui l’intelligenza artificiale è
ancora, per molti, sinonimo di sciatteria e mancanza di pensiero
originale, questo è un esempio di come tutto dipende da come la usiamo.
Può diventare una stampella che ci aiuta a fare il minimo indispensabile
e ci accompagna lentamente verso la nostra obsolescenza, o una leva che
ci consente di guardare più lontano, immaginare l’impossibile, trovare
nuove strategie per la nostra rilevanza. Certo, usare questi strumenti
significherà non affezionarsi troppo alle proprie teorie. “Ho delle idee
e delle ipotesi, se riuscissimo a validarle o anche solo a falsificarle
io sarei felicissima” dice Ferrara.Modelli come questi potrebbero restituire vitalità proprio a
quelle discipline che più temono di esserne travolte. Nelle discipline
umanistiche resta ancora forte l’idea del genio isolato, dell’intuizione
folgorante e individuale, dell’esperto solitario che interpreta e
firma. Nelle discipline STEM è scontato da tempo che la conoscenza sia
un processo collettivo e iterativo. L’intelligenza artificiale potrebbe
erodere quel confine rigido tra umanisti e scienziati, alzato
nell’Ottocento e rafforzato nel Novecento, che separa chi studia la
storia da chi risolve le equazioni. “Sono una delle persone che pensa
che chiamarle humanities non abbia assolutamente senso” dice
Sommerschield. Forse, chissà, l’era dell’intelligenza artificiale ci
restituirà gli studiosi poliedrici. E forse, in questa era, gli
indispensabili saranno gli umili. Di sicuro saranno i curiosi. “Molti
pensano che se usi strumenti di intelligenza artificiale hai abbandonato
il tuo seminato. Ma a me gli stimoli più grandi sono sempre arrivati da
fuori” dice Ferrara. “Ogni tanto per farsi venire le idee migliori
bisogna cambiare pollaio”.