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14.9.25

Zuckerberg ( avvocato ) fa causa a Zuckerberg ( Meta ) perchè viene bloccato dagli algoritmi di META

 da  il  Fatto quotidiao  del  14\9\2025  

                            VIRGINIA DELLA SALA

Ha speso circa 11 mila dollari di inserzioni sulle piattaforme di Meta, a partire da Facebook, ma puntualmente la sua pagina è stata buttata giù perché accusata di contenuti fraudolenti. Negli ultimi otto anni è successo almeno cinque volte. La colpa? Chiamarsi Mark Zuckerberg, come il fondatore di Meta. È la lunga storia (perché iniziata nel 2017) di un avvocato dell’indiana specializzato in bancarotta che, come raccontato dal New York Times, ancora oggi non riesce a trovare soluzione nonostante nel corso di un programma televisivo Meta abbia assicurato di essere consapevole del problema di omonimia nel mondo e di star cercando di risolvere la questione quanto prima. I sistemi di rilevazione automa delle piattaforme, infatti, sono abituati a ‘buttare giù’ quasi in automatico i contenuti problematici e poi eventualmente a ripristinarli qualora si vincano i ricors

Ha speso circa 11 mila dollari di inserzioni sulle piattaforme di Meta, a partire da Facebook, ma puntualmente la sua pagina è stata buttata giù perché accusata di contenuti fraudolenti. Negli ultimi otto anni è successo almeno cinque volte. La colpa? Chiamarsi Mark Zuckerberg, come il fondatore di Meta. È la lunga storia (perché iniziata nel 2017) di un avvocato dell’indiana specializzato in bancarotta che, come raccontato dal New York Times, ancora oggi non riesce a trovare soluzione nonostante nel corso di un programma televisivo Meta abbia assicurato di essere consapevole del problema di omonimia nel mondo e di star cercando di risolvere la questione quanto prima. I sistemi di rilevazione automa delle piattaforme, infatti, sono abituati a ‘buttare giù’ quasi in automatico i contenuti problematici e poi eventualmente a ripristinarli qualora si vincano i ricorsi. Il nome di Zuckerberg, come è anche ovvio, deve essere collegato ad accorgimenti particolarmente stringenti. Il problema, pare, è che i soldi delle inserzioni vengono spesso utilizzati anche nel momento in cui le pagine sono sospese. Lo stesso avvocato ha reagito molto “sportivamente”: dice che non augura alcun male a Mark Zuckerberg (quello miliardario, non lui, ed è anche generoso: “Se dovesse attraversare un periodo finanziariamente difficile e dovesse trovarsi in Indiana, sarò lieto di occuparmi del suo caso in onore del nostro eponimo” ha aggiunto. I suoi problemi, ovviamente, vanno oltre internet. Ha raccontato di non poter utilizzare il suo nome quando prenota i ristoranti o per affari “perché la gente pensa che io stia facendo uno scherzo e riattacca il telefono”. Non è certo l’unico caso di problemi di omonimia sui social network. Un’artista qualche anno fa ha visto il suo account Instagram bloccato con la motivazione che stava fingendo di impersonare qualcun altro. In particolare, il suo account, creato molti anni prima, fu rimosso per impersonificazione ma poi ristabilito dopo due giorni: si chiamava @metaverse, come il progetto lanciato da Meta. Oppure accadeva che utenti con cognomi “non convenzionali” come quelli dei discendenti dei nativi americani non superassero l’iter della verifica del nome. Anche in questo caso sono stati necessari aggiornamenti.

8.8.25

Aeneas aiuta a ricostruire i frammenti perduti delle iscrizioni latine con livelli di rapidità ed efficienza impossibili per un solo cervello umano. È un esempio di come algoritmi e reti neurali trasformeranno la nostra conoscenza dell'antichità e il futuro della ricerca

  tramite  il  portale  di mozzilla firefox  leggo    da  https://lucysuimondi.com/  quest articolo  


                      L’IA vuole prevedere il passato 

     
                                  Silvia Lazzaris

L’ia Vuole Prevedere Il Passato Cover Lazzaris

Aeneas aiuta a ricostruire i frammenti perduti delle iscrizioni latine con livelli di rapidità ed efficienza impossibili per un solo cervello umano. È un esempio di come algoritmi e reti neurali trasformeranno la nostra conoscenza dell'antichità e il futuro della ricerca.Il futuro degli epigrafisti riguarda tutti, perché ci dice qualcosa su come potrebbe cambiare il modo in cui conosciamo, studiamo e capiamo il mondo. Mi attirerò qualche antipatia per il paragone che sto per fare, ma credo che il lavoro di un epigrafista sia un po’ come una partita di La Ruota della Fortuna, il programma di Mike Bongiorno in cui i concorrenti cercavano di indovinare una frase misteriosa rivelando, una alla volta, le lettere mancanti per vincere un’automobile, un viaggio o qualche altro bottino. Anche l’epigrafista ha davanti a sé un testo interrotto, spezzato, consumato dai millenni. Ma ogni lettera “indovinata” deve essere sorretta da fonti e logica storica. È qui che il paragone con Mike Bongiorno si ferma: quello dell’epigrafista è un lavoro che richiede anni di studio e una pazienza fuori dal tempo. Uno degli strumenti fondamentali per completare un frammento sono i cosiddetti “paralleli”: iscrizioni simili a quella incompleta, che aiutano a intuire cosa potrebbe essere andato perduto. I paralleli contengono somiglianze con il testo misterioso: una terminazione verbale, una formula rituale, un nome imperiale, una certa struttura grammaticale, il riferimento a una persona. A volte si trova il gemello perfetto. Un frammento trovato su una lastra di marmo a Roma potrebbe trovare il suo doppio integro in Anatolia o in Nord Africa. Se due testi si parlano si ricostruisce il senso, si traduce, si può datare, e improvvisamente si può dare voce a quello che era muto. Cent’anni fa per trovare paralleli si faceva affidamento alla propria memoria di ferro: si ricordava un’incisione vista dieci anni prima, il racconto di un collega, magari si apriva d’istinto il libro giusto. Era lavoro artigianale sporco e poetico – dunque anche molto fallibile. Poi sono arrivati i repertori, le banchedati e i motori di ricerca. E adesso c’è lui, il modello, l’algoritmo: Aeneas. Aeneas è un modello di intelligenza artificiale che a partire da un frammento, in pochi secondi, è in grado di suggerire il possibile contenuto mancante di un’iscrizione e poi proporre datazione, geolocalizzazione, e dozzine di “paralleli”. È stato progettato da un team di ricercatori guidato da Yannis Assael di Google DeepMind e dalla storica italiana Thea Sommerschield dell’Università di Nottingham. È allenato su 176.000 iscrizioni latine, e non ne dimentica mai nemmeno una. Al momento della prova ha fatto quello che ci si aspettava: ha lasciato gli umani indietro di decine di punti percentuali. In uno studio pubblicato da poco su «Nature», i ricercatori hanno chiesto a 23 epigrafisti di analizzare iscrizioni con e senza l’ausilio di Aeneas. Quando il modello e gli umani hanno lavorato per conto proprio, l’IA ha superato di gran lunga gli epigrafisti in tutti e tre i compiti: completamento del testo, datazione e attribuzione geografica. Ho chiesto a Sommerschield se questi risultati potessero essere influenzati dal modo in cui si era costruito l’esperimento – gli storici avevano solo due ore per completare lavori per cui solitamente si prenderebbero più tempo – e mi ha risposto che l’obiettivo era mettere alla prova l’utilità del modello come supporto agli studiosi, non misurare la loro obsolescenza. La vera notizia, per Sommerschield, non è la competizione tra umani e algoritmi ma il frutto della loro collaborazione. L’assenza dell’umano non è nemmeno contemplata, senza umani non si va da nessuna parte. “Il risultato che abbiamo ottenuto è il migliore che si potesse desiderare: la sinergia produce i risultati più accurati”. Nel 90% dei casi i partecipanti hanno considerato il modello un buon punto di partenza per la ricerca. Per alcuni di loro Aeneas ha addirittura “completamente cambiato” il modo in cui guardavano le iscrizioni. Forse facciamo fatica ad ammettere che, in molti settori, l’intelligenza artificiale stia mostrando di saper fare meglio di noi proprio quei compiti che da sempre associamo all’unicità del pensiero umano: stabilire nessi, capire il contesto, costruire significati. E sì, senza dubbio serviremo ancora noi per architettare e orchestrare, ma sul piano del lavoro cognitivo non è chiaro chi dei due sarà l’assistente dell’altro. Di certo, per gli epigrafisti, Aeneas è un nuovo tipo di collega. Uno che non invecchia, non dorme, non dimentica e non sbaglia quanto loro. “La capacità di contestualizzazione di Aeneas è veramente interessante” ha commentato Silvia Ferrara, archeologa e filologa classica all’Università di Bologna, che sul coinvolgimento di Google nel progetto e nello studio ha commentato “se è uno strumento per consentire ai ricercatori di fare blue sky research, ricerca scientifica libera da vincoli applicativi o commerciali, mi sembra una cosa favolosa, lodevole”. Ferrara dice che in fondo uno dei motivi per cui l’università italiana ha così pochi fondi è anche che non ha avuto la capacità o la lungimiranza di mettersi in gioco con il privato. Ben vengano le collaborazioni con chi può investire sul sapere, purchè, ovviamente – e questo Ferrara lo ripete molte volte – la ricerca sia blue sky. Senza limiti come il cielo. “Aeneas è allenato su 176.000 iscrizioni latine, e non ne dimentica mai nemmeno una. Per gli epigrafisti è un nuovo tipo di collega. Uno che non invecchia, non dorme, non sbaglia quanto loro”.Prevedere-il-passato è il nome del sito lanciato insieme allo studio pubblicato su «Nature»: predictingthepast.com. Un sito che oltre a Aeneas rende gratuito e aperto a tutti anche Ithaca (un antenato di Aeneas specializzato sui testi della Grecia antica, appena aggiornato con il progresso algoritmico di Aeneas), per la gioia di ricercatori, studenti, insegnanti, curatori museali ed epigrafisti autodidatti. Prevedere-il-passato è un nome paradossale ma efficace perché ricostruire l’antichità, quando è così remota e frammentaria, non è tanto diverso da prevedere il futuro. Richiede gli stessi azzardi, lo stesso coraggio e la stessa presunzione. Ed è particolarmente difficile quando non si parla di imperatori e conquiste ma di quello che succedeva alla maggior parte delle persone – la vita vera. “Il motivo per cui faccio epigrafia è che è una delle uniche fonti del mondo antico che riporta le voci dirette delle persone” dice Sommerschield. “Anche gli strati sociali più bassi potevano commissionare un’iscrizione elementare”. Non le voci dei generali né quelle dei filosofi. Voci che dicevano ti amo, sono nato qui, ti ricorderò per sempre, mi devi questi soldi, vieni al mio compleanno. “La vita delle donne e degli schiavi nel mondo romano non la raccontano Tucidide o Tacito” aggiunge Sommerschield, “la raccontano le iscrizioni”.I ricercatori però non hanno resistito alla tentazione di vedere come Aeneas se la sarebbe cavata con la madre di tutte le iscrizioni latine: la Res Gestae Divi Augusti. Una lastra di propaganda incisa nella pietra per rendere eterno un mito. Il racconto in prima persona di Ottaviano, poi diventato Augusto, primo imperatore di Roma, e poi diventato divino. “Volevamo testare il modello sull’iscrizione più famosa, era troppo bello per non provarci e siamo contenti dei risultati” dice Sommerschield. Le Res Gestae hanno fatto dannare gli storici per secoli: quando sono state scritte? Davvero prima che Augusto morisse, dettate da lui come vuole la leggenda? O dopo, magari decenni dopo, quando a dettare il tono era qualcun altro? Se fossero state scritte dopo allora non sarebbe Augusto a parlare. Magari Tiberio, per legittimare il suo regime rievocando un’epoca fondativa idealizzata. Aeneas ha studiato, confrontato centinaia di migliaia di testi, e nel giro di pochi secondi si è espresso. Sul portale gratuito e aperto a tutti possiamo scrutare il ragionamento del modello: si è concentrato per esempio sullo spelling di “aheneis”, che diventa “aeneis” nel primo secolo dopo Cristo e che quindi consente di diagnosticare che questo testo dovesse essere stato scritto prima. Ha fatto ragionamenti classici da storico, ma con la potenza di calcolo di centinaia di cervelli. E ha formulato due ipotesi coerenti con il dibattito storico: una colloca la stesura del testo a pochi anni prima della morte di Augusto, l’altra fino a sei anni dopo. Insomma il modello non ha risolto il dibattito, lo ha confermato. Ma il punto cruciale è che solo a partire dal linguaggio, in pochi secondi, Aeneas sia arrivato a formulare le stesse ipotesi su cui gli storici lavorano da secoli. Su altri testi di cui abbiamo la datazione precisa il margine di errore medio di Aeneas è stato di tredici anni. Non male per documenti vecchi di duemila anni. La media per gli epigrafisti, nello studio, è stata di trentuno – impressionante pure quella, a pensarci bene.Certo le iscrizioni usate per testare Aeneas venivano dallo stesso corpus di addestramento del modello. Non è un dettaglio da poco. È come interrogare un allievo poco dopo avergli fatto una lezione che gli forniva tutti i materiali utili per l’interrogazione. I dati di addestramento erano naturalmente separati da quelli per i test, ma la matrice, l’universo di interpretazione testuale, era quello. “Abbiamo lavorato tantissimo a pulire i dati, armonizzarli, eliminare i duplicati” racconta Sommerschield. “È stato un lavoro molto intenso. I dati sono fondamentali alla performance del modello”. E se i dati non ci fossero? Se ci fosse da lavorare su iscrizioni nuove, sporche, ignorate? Aeneas sarebbe ancora così brillante?  “Non lo abbiamo ancora testato su iscrizioni inedite, perché un’analisi credibile avrebbe richiesto tempo, rigore e lavoro sul campo: bisogna esaminare l’iscrizione dal vivo, confrontarla con fonti specialistiche, costruire un’interpretazione solida. Senza contare che magari qualcuno ha un parallelo chiuso dentro una scatola dimenticata e io non lo so. Possono volerci anni. In questo caso volevamo mostrare l’utilità di Aeneas ai ricercatori il prima possibile.” L’epigrafe dentro una scatola dimenticata è un dettaglio rivelatore: Aeneas è tanto intelligente quanto i dati che riceve. E la digitalizzazione delle epigrafi oggi la fanno a mano volontari, studenti, ragazzi che passano pomeriggi a catalogare iscrizioni dimenticate in qualche archivio italiano. “In questo momento la copertura storica e geografica è tutt’altro che completa,” ammette Sommerschield, “senza i dati digitalizzati dagli studenti delle università non esisterebbe nessuna intelligenza artificiale”.“Nelle discipline umanistiche resta ancora forte l’idea del genio isolato, dell’intuizione folgorante e individuale, dell’esperto solitario che interpreta e firma. Nelle discipline STEM è scontato da tempo che la conoscenza sia un processo collettivo e iterativo. L’intelligenza artificiale potrebbe erodere quel confine rigido tra umanisti e scienziati, alzato nell’Ottocento e rafforzato nel Novecento, che separa chi studia la storia da chi risolve le equazioni”.C’è anche chi sta lavorando a un tipo di intelligenza artificiale che aiuti a cominciare il lavoro epigrafico e non solo a rivisitarlo o completarlo. Ci sono casi in cui i testi sono indecifrabili e indecifrati. Vediamo solo segni, e quei segni non ci dicono nulla. Capirci qualcosa è parte del lavoro di Silvia Ferrara. Con il suo gruppo di ricerca sta addestrando un algoritmo per studiare le iscrizioni cipro-minoiche, tra le scritture più misteriose del mondo antico. Un sillabario che non abbiamo mai capito e quindi una lingua che non abbiamo mai letto – e che potrebbe aiutarci a rileggere l’antichità. A differenza di Aeneas, che lavora in un campo coltivato e sorvegliato, il modello di Ferrara opera quasi alla cieca. Cerca strutture e pattern. Cerca una logica da zero. “Voglio capire che diamine scrivevano a Cipro migliaia di anni fa” dice Ferrara. Le dico che mi ricorda Louise Banks, la linguista interpretata da Amy Adams che nel film Arrival è incaricata di decifrare la lingua degli alieni. “Ho visto il film sette volte. Quella maledetta di Amy Adams mi ha rubato il ruolo”. Il sogno di Ferrara è vedere la nascita di nuove discipline: lo studio dei testi minoici, delle iscrizioni dell’Isola di Pasqua, della Valle dell’Indo, cioè “far parlare testi che non ci parlavano più da millenni”. Non tutti però applaudono all’arrivo di questi strumenti. Molti storcono il naso. L’epigrafia, come molte discipline, si è nutrita nei decenni del lavoro di studiosi sempre più specializzati. Un epigrafista potrebbe passare la sua intera carriera a studiare iscrizioni funerarie latine del II secolo dopo Cristo trovate in Sicilia orientale. Capiamo bene che quando uno passa la sua vita a studiare un pezzetto, i suoi colleghi si vedranno bene dal contraddirlo proprio su quello. Ma è così che nascono anche gli errori e i pregiudizi, che si incrostano e si ripetono.A un certo punto in Arrival, Amy Adams cita lo psicologo statunitense Abraham Maslow: “Se l’unica cosa che hai è un martello, suppongo sia allettante trattare tutto come se fosse un chiodo”. Per molto tempo il martello sono state le singole teorie degli esperti, con tutti i rischi che comporta una voce iper-specializzata e incontestabile. Ora quel martello si è trasformato in una rete neurale, con la potenza di centinaia se non migliaia di cervelli messi insieme. Ma dovremmo chiederci: stiamo costruendo un nuovo strumento capace di farci vedere le iscrizioni con uno sguardo più sfaccettato (per smettere di vedere solo chiodi)? O stiamo semplicemente colpendo più forte con lo stesso martello? Il rischio più insidioso è che l’errore e il pregiudizio, una volta appreso da un modello come Aeneas, diventi norma. Se un modello apprende una lettura sbagliata e la riproduce all’infinito, quella lettura rischia di cristallizzarsi ancora di più come verità. L’autorità algoritmica può trasformare una teoria in dogma senza che nessuno se ne accorga. Ma se quel modello riceve in pasto idee diverse, interpretazioni diverse, scuole di pensiero diverse, allora questo rischio si riduce. Secondo Sommerschield, modelli come Aeneas possono “contribuire a democratizzare la ricerca, rendendola accessibile anche al di fuori dei percorsi tradizionali dell’epigrafia”. Con percorsi tradizionali s’intende lo studio diretto dei monumenti sul campo, la consultazione di archivi e biblioteche specializzati – un lavoro che rimane fondamentale ma per cui oggi molti studiosi faticano a reperire fondi. “Strumenti come Aeneas possono offrire un supporto concreto a chi non ha sempre la possibilità di lavorare direttamente sui monumenti, aiutando a trovare connessioni tra testi e contesti finora difficili da immaginare”.In un contesto accademico in cui l’intelligenza artificiale è ancora, per molti, sinonimo di sciatteria e mancanza di pensiero originale, questo è un esempio di come tutto dipende da come la usiamo. Può diventare una stampella che ci aiuta a fare il minimo indispensabile e ci accompagna lentamente verso la nostra obsolescenza, o una leva che ci consente di guardare più lontano, immaginare l’impossibile, trovare nuove strategie per la nostra rilevanza. Certo, usare questi strumenti significherà non affezionarsi troppo alle proprie teorie. “Ho delle idee e delle ipotesi, se riuscissimo a validarle o anche solo a falsificarle io sarei felicissima” dice Ferrara.Modelli come questi potrebbero restituire vitalità proprio a quelle discipline che più temono di esserne travolte. Nelle discipline umanistiche resta ancora forte l’idea del genio isolato, dell’intuizione folgorante e individuale, dell’esperto solitario che interpreta e firma. Nelle discipline STEM è scontato da tempo che la conoscenza sia un processo collettivo e iterativo. L’intelligenza artificiale potrebbe erodere quel confine rigido tra umanisti e scienziati, alzato nell’Ottocento e rafforzato nel Novecento, che separa chi studia la storia da chi risolve le equazioni. “Sono una delle persone che pensa che chiamarle humanities non abbia assolutamente senso” dice Sommerschield. Forse, chissà, l’era dell’intelligenza artificiale ci restituirà gli studiosi poliedrici. E forse, in questa era, gli indispensabili saranno gli umili. Di sicuro saranno i curiosi. “Molti pensano che se usi strumenti di intelligenza artificiale hai abbandonato il tuo seminato. Ma a me gli stimoli più grandi sono sempre arrivati da fuori” dice Ferrara. “Ogni tanto per farsi venire le idee migliori bisogna cambiare pollaio”.


2.7.25

DIARIO DI BORDO N 133 ANNO III . il seno di una donna non è solo pornografia ., La morte di una donna vale per la giustizia italiana tre anni di carcere. Probabilmente neanche quelli. ., ginnastisca ritmica uno sport solo femminile ? il caso di ,Samuele Poletto

 qualche tempo   fa  fb  mi rimosso una  foto di  una  donna  a senso nudo .  L'aslgoritmo   o colui   chelo  aggiorna    non  capisce      che  Il seno non è solo un qualcosa di volgare esso è anche lo strumento con il quale le nonne e le madri hanno ( e continuano ) a nutritrei propri figli . Per la donna è sinonimo di femmilita', bellezza, amore. Per noi uomini una delle forma d'attrazione . Infatti

da cronache dellla sardegna di Maria Vittoria Dettoto

Ieri ho incontrato una mia coetanea.Una donna che ho sempre considerato una donna molto in gamba. Ad un certo punto mi rivela con estrema naturalezza, di aver subito l'amputazione di entrambi i seni per un tumore. Mi mostra le cicatrici. Resto scioccata, perché non avrei mai immaginato che le fosse successo nulla di simile.
La vita però le ha permesso comunque di allattare suo figlio, avendo riscontrato il tumore pochi anni dopo.Ora ovviamente non potrà più farlo.E non potrà magari esibire il suo seno, senza vergogna. O forse si?Mi sono occupata di donne che hanno subito una mastectomia anche ad entrambi i seni, le quali con orgoglio si sono fatte fotografare per contest fotografici completamente nude.Fa più effetto un seno nudo con o senza cicatrici? Io dico con. Perché dietro quelle cicatrici c'è tanto dolore.L'amputazione di parte della femmilita' di una donna, che per fortuna non si esplica solo attraverso un seno ma è molto, molto di più. Colgo l'occasione per salutare tutte e tutti coloro che soffrono di questa patologia, che colpisce anche gli uomini. Siete un esempio per tutti.E colgo anche l'occasione per ribadire un concetto: non aspettiamo il presentarsi del problema per fare un controllo. Prevenire è meglio che curare. Sempre.

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niente d'aggiungere al titolo ed articolo , anch'esso di del sito \ pagina facebook cronache della sardegna , se non il fatto che a prescindere che la vittimas sia uomo o donna la pena per l'omicidio stradale e no solo è troppo bassa
La morte di una donna vale per la giustizia italiana tre anni di carcere. Probabilmente neanche quelli.
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La donna che vedete in foto si chiamava Ambra De Dionigi. Aveva 29 anni. Era solare, buona, eccentrica. Amava gli animali, in primis il suo cane ed i viaggi. Il 22 dicembre 2024 dopo aver trascorso una serata con gli amici, era uscita a fare una passeggiata a Nibionno in provincia di Lecco. Camminava sul ciglio della strada, illuminata dai lampioni. Un furgone bianco guidato da un 50enne della provincia di Monza l'ha investita e l'ha uccisa, senza neanche fermarsi a soccorrerla. Lasciata li sola al freddo dell'antivigilia di Natale, quando poi è stata ritrovata esanime.Quando l'investitore è arrivato con il furgone nella ditta per la quale lavorava, non ha saputo giustificare come mai fosse ammaccato.
Le telecamere di sorveglianza della zona dell'investimento, l'hanno però ripreso chiaramente mentre investiva Ambra

I rilievi degli inquirenti sul furgone non hanno lasciato dubbi, anche perché il ciondolo della donna era rimasto incastrato nel parabrezza del furgone. L'uomo che ha sempre dichiarato di non essersi accorto di nulla a febbraio è stato arrestato e messo ai domiciliari. Ha patteggiato la pena e ieri è stato condannato a tre anni di reclusione. Tre anni che probabilmente neanche si farà avendo presentato istanza di revoca della misura cautelare, sulla quale il giudice che sta seguendo il caso si è riservato di decidere. Questa è la giustizia italiana. La morte di una donna vale meno di niente.
Foto: Ambra De Dionigi



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Capisco che fra uomini e donne ci siano come i tutte le cose delle differenze fisiche e psicologiche . Ma qui si va oltre si sconfina nella disparità e perchè no nella disegualglianza . Qui , come da tag , tale separazione la si può considerare tabù . Infatti se gi uomini e le donne sono uguali pur nella loro diversità perchè un ragazzo ( o viceversa ) puà fare certi sport ed altri no ? Perchè si parlòa tanto di eguaglianza tra uomo e donna , ma un ragazzo no può fare ginastica ritmica , metre una ragazza si ? Il caso di Samuele: talento fuori dal comune, ma la sua disciplina in Italia non è per i maschi: «Ma non ci fermeremo»Il 12enne talento scaligero costretto a emigrare in Spagna per gareggiare: «Da noi la disciplina è chiusa ai maschi: cambiamo rotta»


da https://www.larena.it/argomenti/sport/altri-sport/ del 24 giugno 2025   tramiter google news 

                              Francesca Castagna





Ha dodici anni, un talento fuori dal comune e un sogno: gareggiare ai massimi livelli nella ginnastica ritmica.
Non è solo questione di preparazione, allenamenti e disciplina, però. Perché Samuele Poletto è un maschio, e la disciplina in Italia non prevede competizioni maschili. Comincia tutto da qui.
Dalla volontà di cambiare le cose, che diventa un obiettivo anche per mamma Giulia e per l’allenatrice Silvana Laborde, che al fianco di Samuele vogliono far sentire la loro voce. Alla Libertas Lupatotina, società in cui è tesserato, ha cominciato a otto anni, sotto la guida di Giulia Signorini, e con tenacia è arrivato al livello agonistico. «Stavo cercando uno sport nel periodo di pandemia, ho trovato su YouTube un video di ginnastica ritmica e ho detto a mia mamma “voglio fare questo”. Non mi sono chiesto, all’inizio, se potevo gareggiare», racconta lui.
Che reclama il sacrosanto diritto di poter competere e che di fatto ha già iniziato a farlo. Prima attraverso gare organizzate dagli enti di promozione, rientrando nei ranking femminili, poi approdando in Spagna.



«Serve tempo e che le persone si ribellino. Basta pensare al caso del nuoto sincronizzato. Per me non ci sono limiti, e le sue compagne lo accettano pienamente. Ringrazio la nostra splendida società, e una mamma che nemmeno si è domandata se la ginnastica fosse... per maschi oppure no» continua Silvana Laborde, l’agguerrita allenatrice di Samuele, nonché giudice federale.
La Federginnastica, seguendo la linea internazionale, resta ferma sulle gare femminili. «Abbiamo scritto una lettera al precedente presidente federale Gherardo Tecchi ma ci è stato risposto che non sono interessati a far gareggiare Samuele perché non è previsto dalla federazione internazionale. Ma non ci fermiamo, scriveremo anche al neo presidente Andrea Facci».
Nel frattempo si sono creati i ponti con la Spagna, dove invece le gare maschili sono riconosciute da una decina d’anni. Samuele viene tesserato con la società iberica Club Purpurjna, con cui disputa una prima prova regionale, e in seguito partecipa all’Almerigym, gara internazionale con più di cento ginnasti maschi provenienti da Francia, Spagna, Grecia, Andorra. Si apre un mondo di possibilità ma anche una corsa contro il tempo. «Il punto è che Samuele è ancora piccolo, per essere così bravo. Dobbiamo poter sfruttare la sua età, bisogna intanto andare a farsi vedere e raccogliere premi. Dobbiamo partire da quello che abbiamo, cioè un ginnasta bravo».
Con un programma di livello assoluti, che corrisponde a una Serie C italiana e un mese e mezzo di preparazione serrata, Samuele conquista un primo e due secondi posti con fune, palla e nastro. Nemmeno i suoi attrezzi preferiti. «In più ha potuto allenarsi con Ivàn Fernàndez, diamante della Purpurjna. E abbiamo portato a casa una consapevolezza diversa».
In Spagna si è svolta anche una tavola rotonda da cui è nato un gruppo con l’obiettivo di cambiare le cose. Attraverso il sostegno di sponsor si vuole arrivare a livello internazionale, attraverso istanze legali, per chiedere il rispetto dei diritti umani in termine di partecipazione sportiva. «Noi stessi cerchiamo sponsor per sostenere le spese dei viaggi, in questo momento a carico nostro»

3.4.24

EVVIVA IL DISORDINE DELL’“UMANITÀ”. RISPOSTA ALL'ITELLIGENZA ARTIFICIALE

 Uno degli articoli più  interesanti che ho letto sull'intelligenza  artificiale    è questo


IL CAOS SUPERIORE L’“uomo umano” è come un hacker che infrange il sistema degli algoritmi e ne cambia le logiche automatiche, ponendo la domanda di senso. È l’eccezione logica dell’individuo sulla macchina

FOTO LAPRESSE
Scelte e casualità È nell’errare il vantaggio dell’uomo sulla macchina

Che cosa significa essere umani? È ancora possibile essere umani? In un modo o in un altro i discorsi migliori e più interessanti sull’intelligenza artificiale finiscono sempre su queste domande.

E così accade che sono proprio quelle le domande fondamentali del libro Umano, poco umano (Piemme) scritto a quattro mani da Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti. Il nostro futuro è tecnologico: non c’è alternativa. Non si può tornare indietro. Ed è per questo che il vero tema del libro è quello di renderci consapevoli delle qualità irriducibili dell’umano rispetto al tecnologico, impresa non da poco. E allora ecco l’intuizione: sono necessari “esercizi spirituali” – quelli dei filosofi antichi, come ci ha insegnato Pierre Hadot – per restare umani. La logica è quella dell’esercizio, dunque, quella della palestra. E questo fa la differenza perché esalta il fatto che occorre fare sforzo, fatica, compiere movimenti forse innaturali, ripetitivi e sgraziati, non solo piroette eleganti.La questione vera non è se l’intelligenza artificiale potrà diventare umana, ma se l’intelligenza umana potrà “rimanere” umana. Perché il digitale non è uno strumento, ma un ambiente nel quale si sviluppano le nostre relazioni, la nostra capacità di conoscenza e anche la nostra spiritualità, quella per la quale ci poniamo la domanda sul senso delle cose. L’ambiente digitale ha un impatto diretto sul nostro modo di vivere, di capire, di essere in relazione. Il modo in cui manipoliamo tecnologicamente la realtà incide anche sul modo di capire il mondo e sulla cultura. L’aereo ci fa comprendere il mondo in maniera diversa dal carro; la stampa ci ha fatto intendere la cultura in maniera nuova; la fotografia o il cinema hanno aperto nuovi spazi cognitivi e sentimentali di interazione col mondo.

Porre la questione tecnologica è porre una questione naturalmente spirituale. Infatti, non abbiamo ancora ben capito che la tecnologia è frutto della spiritualità dell’uomo e con la spiritualità ha a che fare. E questa è una tesi che la Chiesa, ad esempio, ha sempre sostenuto. Già Pio XII nel 1957 a proposito delle tecnologie diceva che ce ne sono alcune che “più da vicino toccano la vita dello spirito”. Ovviamente la tecnica è ambigua perché la libertà dell’uomo può essere spesa anche per il male, ma proprio questa possibilità mette in luce la sua natura legata al mondo delle possibilità dello spirito.

L’intelligenza artificiale la Chiesa l’aveva prevista decenni fa, almeno. San Paolo VI nel lontano 1964 rivolse un discorso profetico al Centro di Automazione dell’aloisianum di Gallarate, gestito dai gesuiti. In quella circostanza disse: “La scienza e la tecnica ci hanno offerto un prodigio, e, nello stesso tempo, ci fanno intravedere nuovi misteri: il cervello meccanico viene in aiuto del cervello spirituale; e quanto più questo si esprime nel linguaggio suo proprio, ch’è il pensiero, quello sembra godere d’essere alle sue dipendenze”. E proseguiva: “Non è questo sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato ed innalzato a un servizio, che tocca il sacro?”. Queste parole sono straordinarie, geniali. Il timore dei nostri giorni – che Crippa e Girgenti esprimono non senza allarmismo – è che, alla fine, con l’intelligenza artificiale, accada però esattamente il contrario: che si infonda nel cervello spirituale il riflesso degli strumenti meccanici, a tal punto che il cervello spirituale si ponga alle dipendenze di quello meccanico e ne prenda la forma e i processi. Quale sarà l’umanità di quelle persone il cui modo di pensare è in fase di “mutazione” a causa del loro relazionarsi con l’intelligenza artificiale?

A mio avviso, una via la dobbiamo pure trovare, e dovremmo cominciare a relazionarci all’intelligenza artificiale come risorsa per la nostra umanità, come intelligenza “estesa”. I cambiamenti bruschi di “intelligenza” li abbiamo già vissuti nella storia: pensiamo alla rivoluzione dell’illuminismo (al quale poi rispose il Romanticismo). L’umanità produce questi cambiamenti e deve imparare a gestirli con saggezza. Ma so pure che dobbiamo capire bene che cosa ci rende umani, molto umani. A me colpiscono alcune considerazioni, di cui trovo le tracce in Umano, poco umano ,e sulle quali cerco di orientare la mia riflessione.

La prima riguarda il “disordine”. A differenza delle macchine, abbiamo una memoria non estesa ma profonda, intessuta di fragilità psicologiche, di immaginazione creativa, di inconscio. Non possiamo immaginare un inconscio digitale o traumi infantili in una intelligenza non umana. Ciò che distingue l’uomo dalla macchina ordinatrice – in francese si dice ordinateur e in spagnolo ordenador – è proprio il disordine. Il disordine è l’eccezione logica dell’uomo sulla macchina. L’uomo umano è una sorta di hacker che rompe il sistema degli algoritmi e che ne cambia le logiche automatiche, ponendo la domanda di senso.

La seconda è il pensiero. Italo Calvino in un geniale saggio del 1967 dal titolo Cibernetica e fantasmi notava che già ai suoi tempi i cervelli elettronici erano in grado di fornire un modello teorico convincente per i processi più complessi del nostro pensiero: “il velocissimo passaggio di segnali sugli intricati circuiti che collegano i relé, i diodi, i transistor di cui la nostra calotta cranica è stipata”. Ora, non c’è difficoltà ad ammettere che un giorno si possa pervenire all’esatta riproduzione dei meccanismi del sistema nervoso, che ci consentono di pensare. Ma questo non vorrebbe dire che avremmo riprodotto artificialmente il pensiero, ma solo le condizioni perché il pensiero possa manifestarsi. Perché il pensiero si manifesti occorre che il pensiero ci sia. E il pensiero non è riducibile ai suoi meccanismi.

La seconda è l’esperienza del limite che si rivela, in particolare, nel sacro, nel sesso e nella morte. Il sacro è l’“altro” da me, ci offre il senso della soglia, di una trascendenza, che provoca sgomento o attesa o venerazione. Ed è un’esperienza fondamentale dell’essere umano, irriducibile al possesso. L’uomo prima o poi deve “togliersi i sandali”, almeno davanti alla domanda sul senso della sua stessa vita. Il sesso tende all’esperienza del godimento che però deve fermarsi necessariamente a un certo punto perché l’oggetto del desiderio resiste. E alla fine il godimento c’è proprio grazie a questa resistenza, che sparisce nella riproducibilità tecnica infinita della pornografia digitale. E la morte si impone come la possibilità dell’impossibilità di tutte le possibilità, che l’artificiale non conosce. Una terza è il gioco: l’intelligenza artificiale vince sempre. Ma noi godiamo il gioco – una partita a scacchi, ad esempio – esattamente perché è possibile vincere oppure perdere. Altrimenti che gusto c’è?

Alla fine del discorso, però, mi viene un dubbio: che cos’è “umanità” oggi? “Com’è umano lei!”, a volte diciamo per ridere. Forse non ce la facciamo più a essere umani: è diventato impegnativo, e a volte è più facile affidarci a una intelligenza che ci appare onnisciente. Che ci sia una tremenda cifra “religiosa” in tutto questo?

31.3.24

Immagini di nudo" ma era la diretta della Via Crucis: Radio Maria censurata sui social

Immagini di nudo" ma era la diretta della Via Crucis: Radio Maria censurata sui social  • 14 ora/e  da  Tgcom24 "


 





Durante la serata di Venerdì Santo, proprio mentre si stava svolgendo l'evento religioso al Colosseo, la pagina social dell'emittente, si è vista oscurare la diretta. "Chiediamo scusa a tutti gli amici che seguivano la prima parte della Via Crucis in adorazione del Signore in Croce. Facebook ha eliminato il post per “contenuto immagini nudo”. E ha ristretto i parametri di visualizzazione. Forse Facebook non sa che il Cristo fu spogliato delle vesti ma le parti intime coperte con panni. E pensare - scrive Radio Maria - che è morto in croce anche per loro. Naturalmente - assicura poi - riattiveremo la diretta ogni volta". È il messaggio postato sul social network dagli amministratori della pagina.Meta oscura la via Crucis. Il post con la diretta pubblicato sulla pagina Facebook di Radio Maria è stato rimosso dal social per "possibile condivisione di immagini di nudo o atti sessuali". A dirlo è la stessa emittente radio, in un altro post, denunciando l'accaduto e scusandosi con i fedeli che stavano seguendo l'evento.

18.6.23

ribelliamoci al domiino dei like di vanessa ruggeri

 non  ho voglia  di fare  il copia  e  incolla   dell'articolo   .  qui     metto  qui  lo screenschot  delle  due   pagine   dell'articolo della  nuova  d'oggi   . 



 


 Uno  degli interventi più  interessanti che ho letto  sui fatti  di Roma  che rischiano o di finire  assolti    se  non  si  trovano     i  video     del loro crimine  



o se   gli  avvocati  cavillano  e   fanno arrivare   il dibattimento    diopo  l'approvazione    della     la nuova    schifo riforma    sulla giustizia       di    fare  solo   il primo grado     ed  basta  come dice questo commento 



 mi ferm  qui  . erchè   sono talemt e  schifato  che  non  sò che  altro  aggiungere    .  e  poi   due  parole   sono troppe e  una  è poco 

8.5.23

tatuaggio fatto per una donna che aveva il cancro al seno. Facebook l'ha ritirata perché la considera un'immagine di nudità e offensiva.

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Evidentemente     certi  argomenti  sono   tabù   se  (  vedere  anche        nei link  sopra  il  caso di Michela  Murgia  )  certe  persone   fanno rimuovere   la  foto  di questa  bella  opera  d'arte   



Francisco Rodriguez Chacon


Este tatuaje fue hecho para una mujer que tenía cáncer de mama. Facebook la ha retirado por considerarla una imagen de desnudez y por ser ofensiva. Sin embargo, creemos que esta mujer es valiente y fuerte, por lo que vamos a publicar la foto. Os pido vuestro apoyo. Dadle al ‘Me gusta’ y compartidla rápidamente para mostrar vuestro apoyo a esta y a otras muchas mujeres que han perdido tanto

Questo tatuaggio è stato fatto per una donna che aveva il cancro al seno. Facebook l'ha ritirata perché la considera un'immagine di nudità e offensiva. Tuttavia, crediamo che questa donna sia coraggiosa e forte, quindi pubblichiamo la foto. Vi chiedo il vostro sostegno. Mettete "Mi piace" e condividete velocemente per mostrare il vostro sostegno a questa e a molte altre donne che hanno perso tanto

sia   che   sia   ,  a  volte  capita  ,  l'algoritmo che non riconosce le opere d'arte ed artistiche dalla volgarità  sia  che  sia       come  mi  ha  risposto   il mio  contatto  
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  • 10 h
  • Pina Sechi
    Giuseppe Scano Fb blocca o cancella in base al numero di segnalazioni, non tiene conto dei contenuti; è stata censurata la foto di una mamma africana che allatta il figlio e chi ha proposto i forni crematori per gli extracomunitari ha ancora il profilo attivo. Basti pensare ai falsi fan di quell'abominevole video costato 9 milioni di soldi pubblici. Quanti profili fake esistono su Fb? E di Morisi- Salvini e Longobardi-Meloni ci siamo dimenticati
  • è segno   che    non  c'è  un educazione   all'arte    in tutte le  sue   forme  

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...