Un gesto doppiamente simbolico:quelle di queste due ragazze da un lato l’uso delle cravatte del padre per l’outfit, dall’altro l’uso dell’intelligenza artificiale per dare voce alla sua ricerca. Un ponte tra memoria e futuro, tra affetto e innovazione.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
Cerca nel blog
1.12.25
La nostra amica IA: il post del lunedì del primo dicembre 2025 Di Bepi Anziani
L’IA scrive comunicati, discorsi, post politici e diagnosi fai-da-te. Gli studenti la usano per i compiti che non leggeranno mai, i professionisti per testi che sembrano usciti da una calcolatrice poetica. E i social sono pieni di contenuti tutti uguali, frasi lavate e centrifugate dalla stessa lavatrice digitale.
A forza di delegare, stiamo perdendo anche il gusto dell’errore umano: quella virgola sbagliata, quel pensiero storto, quella frase imperfetta che però aveva un autore riconoscibile. Invece adesso tutto è liscio, pulito, tremendamente intercambiabile.
Il problema non è l’IA: è l’intelligenza naturale che abdica. Abbiamo trasformato il pensiero critico in un optional costoso e preferiamo un mondo che parla con la stessa voce metallica, rassicurante e senza esitazioni. Un mondo dove tutto è più facile, certo, ma anche più vuoto.
Stiamo abusando dell’IA perché abbiamo smesso di usare noi stessi. E quando ci accorgeremo della differenza tra un cervello umano e un algoritmo, forse sarà già tardi.
8.11.25
Carla Monni: «Con l’intelligenza artificiale creo ponti tra l’isola e il mondo»L’artista di Orune tra i protagonisti di Connessioni Future 2025 «La tecnologia non sostituisce la creatività, è uno strumento che aiuta l’arte»
da ms.it
C’è un punto d’incontro in cui mito, identità e tecnologia smettono di essere mondi separati e si incontrano, grazie all’intelligenza artificiale. In quel luogo virtuale si trova il lavoro
Di cosa parlerà al pubblico di Connessioni Future?
«Vorrei mostrare che l’intelligenza artificiale può essere un alleato della creatività. Racconterò il mio percorso e i modi alternativi di costruire impresa partendo dall’arte. Monniverse è un progetto nato dal desiderio di democratizzare lo storytelling, di togliere il monopolio ai grandi colossi come Disney e restituire la possibilità di creare anche a chi non dispone di risorse economiche enormi. Monniverse l’ho creata come una nuova Atlantide digitale, ispirata alla Sardegna tra passato e futuro».
Come funziona una mostra di Monniverse?
«Ogni esposizione racconta un diverso “regno” dell’universo che ho immaginato, ognuno legato a un aspetto della Sardegna. L’obiettivo è che chiunque, un sardo, un americano o un coreano, possa riconoscervisi. L’estetica è pop e internazionale, ma dietro c’è la memoria delle leggende sarde. In alcune tappe ho messo a disposizione generatori d’immagini: i bambini potevano creare i propri personaggi e sentirsi parte della storia, un’esperienza immersiva».
Quando ha capito che l’intelligenza artificiale avrebbe cambiato il suo lavoro e il suo modo di fare arte?
«Nel 2018, a Helsinki. In quel periodo si cominciava a parlare di intelligenza artificiale e arte generativa. Ho seguito corsi universitari e mi sono accorta che la tecnologia poteva diventare un’estensione del corpo, quasi un organo nuovo del pensiero. Ho iniziato a concepirla non come una minaccia ma come un’estensione della mente creativa».
Molti temono le conseguenze dell’Ia, lei come la vive?
«È un po’ come avvenne con la rivoluzione industriale: alcuni lavori spariranno, ma ne nasceranno altri. L’intelligenza artificiale è un mezzo potentissimo, il problema non è la macchina ma la gestione dei dati. Bisogna sapere a cosa si acconsente, quando si clicca “ok” sui cookies o si usa il riconoscimento facciale. La responsabilità resta umana. L’etica dovrà essere la bussola delle istituzioni».
C’è il rischio che possa sostituire la creatività umana?
«No. È come se si trattasse di un pennello nuovo. Quando uscì photoshop molti dissero che l’arte digitale non era arte: oggi nessuno lo pensa più. La tecnologia accelera, ma non sostituisce. Due persone possono usare lo stesso modello e produrre risultati completamente diversi: la differenza resta nella mente, non nel codice».
Quale consiglio darebbe a chi vuole sperimentare?
«La cosa più importante è sempre la comunicazione. Bisogna imparare a parlare. Lo dico sul serio: la macchina ti costringe a essere chiaro. Scrivere un buon prompt è come tornare alle analisi logiche di scuola: impari a ordinare le idee, a dare priorità, a tradurre la visione in parole. L’Ia ti insegna a comunicare meglio, e questo migliora anche la creatività».
Come immagina l’intelligenza artificiale nel futuro?
«Ci sarà una fase di crisi. Un’azienda può già creare dieci agenti digitali che gestiscono social, mail, agenda: è inevitabile che molti ruoli scompaiano. Ma poi arriverà un nuovo equilibrio. La cosa più grande che accadrà sarà la democratizzazione del sapere: non serviranno più università costose per imparare. L’accesso all’informazione diventerà sempre più libero, e riuscirà ad abbattere molte barriere sociali».
Cambieranno anche i rapporti tra persone e culture?
«Assolutamente. L’intelligenza artificiale cancella la necessità del luogo fisico. La globalizzazione culturale è già realtà: le nuove generazioni non vedono differenze di nazionalità. Online puoi essere una sirena o un fungo e dialogare con chiunque. È un mondo senza confini, dove l’identità diventa scelta e racconto. Ci saranno rischi, certo, ma anche un’enorme possibilità di connessione».
«Noi in Italia e in Europa siamo privilegiati: altrove una donna può usare il telefono per lavorare o studiare, pur vivendo in un contesto che le nega libertà. Per molte persone la tecnologia non è un gioco, è una via d’uscita. È su questa prospettiva globale che bisogna misurare le paure occidentali verso l’Ia».
Oggi Monniverse è anche un archivio di miti sardi reinterpretati.
«Una delle figure che amo di più è la Surbile, la strega-vampira che, secondo la tradizione, rubava l’anima ai bambini non battezzati. Nel mio mondo è diventata una sirena un po’ folle, ossessionata dal tempo. È il mio modo per dire che le storie antiche possono rinascere e parlare ancora di noi, se usiamo linguaggi nuovi. Mi piace pensare che la tecnologia non allontani ma avvicini. Monniverse è un ponte tra memoria e futuro, tra la mia isola e il mondo. L’arte, oggi, è il modo più potente per costruire connessioni».
13.10.25
dopo la laurea con avatar di veronica nicoletti un altro gesto simbolico quello di un altra veronica si laurea con abito contenente lecravatte del padre scomparso
24.9.25
i chatbot potranno un giorno sostituire i medici?Dopo otto medici e nessuna diagnosi, ChatGPT scopre la vera causa dei suoi sintomi: “Ho ricominciato a vivere”
Storia di Maria Teresa Gasbarrone
• fanpage.it tramite msn
"Mi fido dell'IA più dei medici. Non credo di essere l'unico". Matthew Williams è un ingegnere di San Francisco, oggi va per i quaranta, ma aveva poco più di 30 anni quando ha iniziato ad avere problemi di salute. Tutto è iniziato con un forte dolore addominale che lui credeva fosse dovuto a un'appendice e si è concluso, dopo una lunga serie di corse al pronto soccorso e visite mediche, con una diagnosi fatta in pochi minuti, non da un medico, ma da ChatGPT.
La sua storia, raccontata dal New Yorker, va letta con grande attenzione perché a fronte di un caso finito bene, ce ne sono stati molti altri in cui un chatbot ha dato consigli medici completamente sbagliati, a volte mettendo anche a rischio la salute e vita dei malcapitati. A inizio agosto ha fatto il giro del mondo la notizia di un uomo che ha sviluppato una rara sindrome psichiatrica dell'800 dopo che ChatGPT gli aveva suggerito di sostituire il sale con bromuro di sodio. Ma quello del futuro dell'IA nella medicina è un tema attualissimo che apre tante domande. La più importante di tutte: i chatbot potranno un giorno sostituire i medici?
La storia di Matthew
Al New Yorker Matthew Williams ha raccontato che tutto è iniziato nel 2017, quando dopo una cena abbondante con i suoi amici, si è svegliato con un improvviso dolore addominale, così forte da farlo correre in ospedale. Al pronto soccorso i medici gli hanno detto che probabilmente il malore dipendeva da una semplice stitichezza, gli hanno dato dei lassativi e lo hanno rimandato a casa. Purtroppo si sbagliavano: dopo qualche ora il dolore era ricomparso ancora più forte. Nuova corsa all'ospedale. Questa volta a Matthew viene diagnosticato il volvolo cecale, una condizione di emergenza in cui il cieco, ovvero la prima parte del colon, si attorciglia su stesso. Viene operato d'urgenza e i medici gli asportano quasi due metri di intestino.
Anche dopo l'intervento però la sua condizione non migliora: ha sempre dolori addominali e ogni volta che mangia qualcosa deve correre in bagno. A questo punto Matthew cerca di capire qual è la causa della sua condizione, si fa vedere da più specialisti, otto medici in totale, ma nessuno gli fornisce una spiegazione soddisfacente. Tutti gli dicono più o meno la stessa cosa: il suo intestino aveva soltanto bisogno di tempo per guarire. Però le sue condizioni continuavano a peggiorare: "Ero arrivato al punto in cui non potevo più uscire, perché ogni volta che mangiavo qualcosa mi faceva stare male".
Come spesso succede a chi non riceve una diagnosi, i problemi fisici di Matthew avevano invaso anche la sua vita privata, causandogli forti disagi. Per evitare di stare male Matthew si limitava in gran parte a mangiare uova, riso, purea di mele e pane a lievitazione naturale. "Non capisci quanto il cibo faccia parte della vita, socialmente, culturalmente, finché non riesci più a mangiarlo".
La diagnosi di ChatGPT
Gli anni passano, ma la situazione di Matthew non migliora. Arriva ChatGPT e gli altri modelli linguistici di grandi dimensioni. Un giorno del 2023, senza particolari aspettative, un po' così per curiosità, Matthew riporta la sua storia medica a ChatGPT, elencando alcuni alimenti che gli causavano problemi intestinali. In pochi secondi, l’intelligenza artificiale individua tre possibili cause: cibi grassi, fibre fermentabili e alimenti ricchi di ossalato. L'attenzione di Williams cade sulla terza causa: l'ossalato è un composto chimico, un sale di calcio, che il nostro corpo produce a partire da diverse verdure a foglia verde e altri cibi, e viene normalmente digerito proprio dalle parti dell’intestino che Williams non aveva più.
Al New Yorker l'uomo ha raccontato che nessuno dei medici che lo aveva seguito in tutti quegli anni gliene aveva mai parlato. Così, acceso da questo barlume di speranza, Matthew chiede a ChatGPT di fornirgli una lista dei cibi ad alto contenuto di ossalato, non poteva credere ai suoi occhi: c'erano tutti gli alimenti che più lo facevano stare male: più di dieci cibi, tra cui spinaci, mandorle, cioccolato e soia. A quel punto l'uomo ha stampato la lista e è andato dal nutrizionista, chiedendo una dieta bilanciata che escludesse tutti gli alimenti indicati dal chatbot. In poco tempo Matthew ha iniziato a stare meglio: "Ho finalmente – ha detto – ripreso a vivere".
Dubbi e possibilità sull'uso dell'IA nella medicina
Come dicevamo all'inizio, questo non è il primo caso in cui ChatGPT o un altro modello linguistico di grandi dimensioni riesce dove medici in carne e ossa avevano fallito. Ad esempio, è già successo nel 2023, quando il chatbot di OpenAI ha individuato la causa dei sintomi di un bambino che negli ultimi tre anni era stato visitato da 17 medici.
Nell'ambito di uno studio scientifico, qualche tempo fa, un gruppo di ricercatori inglese ha fatto fare a ChatGPT-4 il test che nel Regno Unito devono superare gli aspiranti medici per ottenere la licenza ed esercitare la professione: anche qui il chatbot è stato in grado di rispondere in modo corretto alla maggior parte delle domande, superando di fatto l'esame. Tuttavia, ha risposto con più facilità alle domande che richiedevano meno ragionamenti.
In generale, anche all'interno dell'ambito medico c'è molto interesse verso le potenzialità che potrebbe avere l'intelligenza artificiale nell'ambito clinico. Ma ci sono ancora tante questioni aperte. C'è il tema dell'affidabilità, il rischio delle "allucinazioni", ovvero degli errori in cui ogni tanto cadono i chatbot, che non è accettabile quando si parla di salute. Poi restano i rischi sulla privacy e la sicurezza dei dati sanitari. Qualche mese fa, in Italia, il Garante della Privacy ha pubblicato un comunicato stampa per avvertire dei rischi nascosti nel dare a ChatGPT i referti dei propri esami medici, una pratica che sta diventando sempre più diffusa, anche in Italia.
Concordo con il commento di Fernando Grassi
Non si fermerà mai la ricerca ed il miglioramento dell'intelligenza artificiale. Di sicuro bisognerà sempre che ci sia l'uomo a controllare ma per tante, troppe cose non ci sarà più bisogno. In medicina, ad esempio, un robot con intelligenza artificiale che esegue gli ordini vocali di un chirurgo, sarà probabilmente fattibile e più sicuro in quanto a precisione, niente tremolii, niente movimenti involontari e niente garze o bisturi dimenticati nel corpo dei pazienti. Ci si arriverà. Già in tutte le fabbriche ci sono robot (non intesi come macchine dall'aspetto umanoide) che hanno telecamere , braccia snodabili e 'mani' in grado di svolgere lavori di precisione ad una velocità e costanza che una persona non può permettersi. In quel modo c'è solo bisogna di una persona che controlla e raccoglie il prodotto finale. E il robot ha quindi sostituito da 1 a 3 persone nella catena di montaggio. Il che fa rabbia, perché ci sarà sempre meno lavoro per la manovalanza. Il che significa meno gente che guadagna e quindi alla fine dei conti, chi produce usando i robot, a chi venderà i suoi prodotti se solo in pochi potranno permetterseli? IA, bella invenzione ma incombente suicidio. Spero di sbagliarmi.
13.8.25
Chiede a ChatGPT come sostituire il sale nella sua dieta quotidiana e finisce in ospedale in preda alle allucinazioni
Un 60enne di cui non sono state rese note le generalità ha finito ha chiesto a ChatGPT come creare del sale casalingo ed è finito in ospedale in preda alle allucinazioni. Il caso è riportato dalla rivista scientifica statunitense Annals of Internal Medicine: Clinical Cases ed è citato oggi sul Corriere della Sera.
La richiesta a Chat Gpt
L’uomo, dopo essersi informato sui possibili effetti nocivi del sale da cucina sulla salute umana, ha chiesto al popolare chatbot (versione 3.5 o 4) un valido sostituto. La risposta di ChatGPT è stato il bromuro di sodio. Valido però per «per altri scopi, come la pulizia», spiega il paper. Una opzione che però l’AI non avrebbe menzionato. Così, dopo averlo acquistato on line il 60enne lo ha inserito nella sua dieta quotidiana. Tre mesi dopo si è presentato in ospedale nel pieno di un episodio psicotico, convinto che un vicino di casa lo volesse avvelenare. E si è ammalato di bromismo, un’intossicazione cronica debellata negli anni. Ha accusato per settimane paranoie, allucinazioni, disturbi della memoria, confusione mentale. Tutti sintomi della sindrome che «si riteneva contribuisse fino all’8% dei ricoveri psichiatrici, poiché i sali di bromuro erano presenti in molti farmaci da banco destinati a una vasta gamma di disturbi, tra cui insonnia, isteria e ansia», spiegano sulla rivista scientifica. Il caso è emblematico per sottolineare i limiti dell’intelligenza artificiale, spesso nelle diagnosi fai da te, che possono «potenzialmente contribuire allo sviluppo di conseguenze negative per la salute che potrebbero essere evitate».
8.8.25
Aeneas aiuta a ricostruire i frammenti perduti delle iscrizioni latine con livelli di rapidità ed efficienza impossibili per un solo cervello umano. È un esempio di come algoritmi e reti neurali trasformeranno la nostra conoscenza dell'antichità e il futuro della ricerca
tramite il portale di mozzilla firefox leggo da https://lucysuimondi.com/ quest articolo
L’IA vuole prevedere il passato
Silvia Lazzaris
Aeneas aiuta a ricostruire i frammenti perduti delle iscrizioni latine con livelli di rapidità ed efficienza impossibili per un solo cervello umano. È un esempio di come algoritmi e reti neurali trasformeranno la nostra conoscenza dell'antichità e il futuro della ricerca.Il futuro degli epigrafisti riguarda tutti, perché ci dice qualcosa su come potrebbe cambiare il modo in cui conosciamo, studiamo e capiamo il mondo. Mi attirerò qualche antipatia per il paragone che sto per fare, ma credo che il lavoro di un epigrafista sia un po’ come una partita di La Ruota della Fortuna, il programma di Mike Bongiorno in cui i concorrenti cercavano di indovinare una frase misteriosa rivelando, una alla volta, le lettere mancanti per vincere un’automobile, un viaggio o qualche altro bottino. Anche l’epigrafista ha davanti a sé un testo interrotto, spezzato, consumato dai millenni. Ma ogni lettera “indovinata” deve essere sorretta da fonti e logica storica. È qui che il paragone con Mike Bongiorno si ferma: quello dell’epigrafista è un lavoro che richiede anni di studio e una pazienza fuori dal tempo. Uno degli strumenti fondamentali per completare un frammento sono i cosiddetti “paralleli”: iscrizioni simili a quella incompleta, che aiutano a intuire cosa potrebbe essere andato perduto. I paralleli contengono somiglianze con il testo misterioso: una terminazione verbale, una formula rituale, un nome imperiale, una certa struttura grammaticale, il riferimento a una persona. A volte si trova il gemello perfetto. Un frammento trovato su una lastra di marmo a Roma potrebbe trovare il suo doppio integro in Anatolia o in Nord Africa. Se due testi si parlano si ricostruisce il senso, si traduce, si può datare, e improvvisamente si può dare voce a quello che era muto. Cent’anni fa per trovare paralleli si faceva affidamento alla propria memoria di ferro: si ricordava un’incisione vista dieci anni prima, il racconto di un collega, magari si apriva d’istinto il libro giusto. Era lavoro artigianale sporco e poetico – dunque anche molto fallibile. Poi sono arrivati i repertori, le banchedati e i motori di ricerca. E adesso c’è lui, il modello, l’algoritmo: Aeneas. Aeneas è un modello di intelligenza artificiale che a partire da un frammento, in pochi secondi, è in grado di suggerire il possibile contenuto mancante di un’iscrizione e poi proporre datazione, geolocalizzazione, e dozzine di “paralleli”. È stato progettato da un team di ricercatori guidato da Yannis Assael di Google DeepMind e dalla storica italiana Thea Sommerschield dell’Università di Nottingham. È allenato su 176.000 iscrizioni latine, e non ne dimentica mai nemmeno una. Al momento della prova ha fatto quello che ci si aspettava: ha lasciato gli umani indietro di decine di punti percentuali. In uno studio pubblicato da poco su «Nature», i ricercatori hanno chiesto a 23 epigrafisti di analizzare iscrizioni con e senza l’ausilio di Aeneas. Quando il modello e gli umani hanno lavorato per conto proprio, l’IA ha superato di gran lunga gli epigrafisti in tutti e tre i compiti: completamento del testo, datazione e attribuzione geografica. Ho chiesto a Sommerschield se questi risultati potessero essere influenzati dal modo in cui si era costruito l’esperimento – gli storici avevano solo due ore per completare lavori per cui solitamente si prenderebbero più tempo – e mi ha risposto che l’obiettivo era mettere alla prova l’utilità del modello come supporto agli studiosi, non misurare la loro obsolescenza. La vera notizia, per Sommerschield, non è la competizione tra umani e algoritmi ma il frutto della loro collaborazione. L’assenza dell’umano non è nemmeno contemplata, senza umani non si va da nessuna parte. “Il risultato che abbiamo ottenuto è il migliore che si potesse desiderare: la sinergia produce i risultati più accurati”. Nel 90% dei casi i partecipanti hanno considerato il modello un buon punto di partenza per la ricerca. Per alcuni di loro Aeneas ha addirittura “completamente cambiato” il modo in cui guardavano le iscrizioni. Forse facciamo fatica ad ammettere che, in molti settori, l’intelligenza artificiale stia mostrando di saper fare meglio di noi proprio quei compiti che da sempre associamo all’unicità del pensiero umano: stabilire nessi, capire il contesto, costruire significati. E sì, senza dubbio serviremo ancora noi per architettare e orchestrare, ma sul piano del lavoro cognitivo non è chiaro chi dei due sarà l’assistente dell’altro. Di certo, per gli epigrafisti, Aeneas è un nuovo tipo di collega. Uno che non invecchia, non dorme, non dimentica e non sbaglia quanto loro. “La capacità di contestualizzazione di Aeneas è veramente interessante” ha commentato Silvia Ferrara, archeologa e filologa classica all’Università di Bologna, che sul coinvolgimento di Google nel progetto e nello studio ha commentato “se è uno strumento per consentire ai ricercatori di fare blue sky research, ricerca scientifica libera da vincoli applicativi o commerciali, mi sembra una cosa favolosa, lodevole”. Ferrara dice che in fondo uno dei motivi per cui l’università italiana ha così pochi fondi è anche che non ha avuto la capacità o la lungimiranza di mettersi in gioco con il privato. Ben vengano le collaborazioni con chi può investire sul sapere, purchè, ovviamente – e questo Ferrara lo ripete molte volte – la ricerca sia blue sky. Senza limiti come il cielo. “Aeneas è allenato su 176.000 iscrizioni latine, e non ne dimentica mai nemmeno una. Per gli epigrafisti è un nuovo tipo di collega. Uno che non invecchia, non dorme, non sbaglia quanto loro”.Prevedere-il-passato è il nome del sito lanciato insieme allo studio pubblicato su «Nature»: predictingthepast.com. Un sito che oltre a Aeneas rende gratuito e aperto a tutti anche Ithaca (un antenato di Aeneas specializzato sui testi della Grecia antica, appena aggiornato con il progresso algoritmico di Aeneas), per la gioia di ricercatori, studenti, insegnanti, curatori museali ed epigrafisti autodidatti. Prevedere-il-passato è un nome paradossale ma efficace perché ricostruire l’antichità, quando è così remota e frammentaria, non è tanto diverso da prevedere il futuro. Richiede gli stessi azzardi, lo stesso coraggio e la stessa presunzione. Ed è particolarmente difficile quando non si parla di imperatori e conquiste ma di quello che succedeva alla maggior parte delle persone – la vita vera. “Il motivo per cui faccio epigrafia è che è una delle uniche fonti del mondo antico che riporta le voci dirette delle persone” dice Sommerschield. “Anche gli strati sociali più bassi potevano commissionare un’iscrizione elementare”. Non le voci dei generali né quelle dei filosofi. Voci che dicevano ti amo, sono nato qui, ti ricorderò per sempre, mi devi questi soldi, vieni al mio compleanno. “La vita delle donne e degli schiavi nel mondo romano non la raccontano Tucidide o Tacito” aggiunge Sommerschield, “la raccontano le iscrizioni”.I ricercatori però non hanno resistito alla tentazione di vedere come Aeneas se la sarebbe cavata con la madre di tutte le iscrizioni latine: la Res Gestae Divi Augusti. Una lastra di propaganda incisa nella pietra per rendere eterno un mito. Il racconto in prima persona di Ottaviano, poi diventato Augusto, primo imperatore di Roma, e poi diventato divino. “Volevamo testare il modello sull’iscrizione più famosa, era troppo bello per non provarci e siamo contenti dei risultati” dice Sommerschield. Le Res Gestae hanno fatto dannare gli storici per secoli: quando sono state scritte? Davvero prima che Augusto morisse, dettate da lui come vuole la leggenda? O dopo, magari decenni dopo, quando a dettare il tono era qualcun altro? Se fossero state scritte dopo allora non sarebbe Augusto a parlare. Magari Tiberio, per legittimare il suo regime rievocando un’epoca fondativa idealizzata. Aeneas ha studiato, confrontato centinaia di migliaia di testi, e nel giro di pochi secondi si è espresso. Sul portale gratuito e aperto a tutti possiamo scrutare il ragionamento del modello: si è concentrato per esempio sullo spelling di “aheneis”, che diventa “aeneis” nel primo secolo dopo Cristo e che quindi consente di diagnosticare che questo testo dovesse essere stato scritto prima. Ha fatto ragionamenti classici da storico, ma con la potenza di calcolo di centinaia di cervelli. E ha formulato due ipotesi coerenti con il dibattito storico: una colloca la stesura del testo a pochi anni prima della morte di Augusto, l’altra fino a sei anni dopo. Insomma il modello non ha risolto il dibattito, lo ha confermato. Ma il punto cruciale è che solo a partire dal linguaggio, in pochi secondi, Aeneas sia arrivato a formulare le stesse ipotesi su cui gli storici lavorano da secoli. Su altri testi di cui abbiamo la datazione precisa il margine di errore medio di Aeneas è stato di tredici anni. Non male per documenti vecchi di duemila anni. La media per gli epigrafisti, nello studio, è stata di trentuno – impressionante pure quella, a pensarci bene.Certo le iscrizioni usate per testare Aeneas venivano dallo stesso corpus di addestramento del modello. Non è un dettaglio da poco. È come interrogare un allievo poco dopo avergli fatto una lezione che gli forniva tutti i materiali utili per l’interrogazione. I dati di addestramento erano naturalmente separati da quelli per i test, ma la matrice, l’universo di interpretazione testuale, era quello. “Abbiamo lavorato tantissimo a pulire i dati, armonizzarli, eliminare i duplicati” racconta Sommerschield. “È stato un lavoro molto intenso. I dati sono fondamentali alla performance del modello”. E se i dati non ci fossero? Se ci fosse da lavorare su iscrizioni nuove, sporche, ignorate? Aeneas sarebbe ancora così brillante? “Non lo abbiamo ancora testato su iscrizioni inedite, perché un’analisi credibile avrebbe richiesto tempo, rigore e lavoro sul campo: bisogna esaminare l’iscrizione dal vivo, confrontarla con fonti specialistiche, costruire un’interpretazione solida. Senza contare che magari qualcuno ha un parallelo chiuso dentro una scatola dimenticata e io non lo so. Possono volerci anni. In questo caso volevamo mostrare l’utilità di Aeneas ai ricercatori il prima possibile.” L’epigrafe dentro una scatola dimenticata è un dettaglio rivelatore: Aeneas è tanto intelligente quanto i dati che riceve. E la digitalizzazione delle epigrafi oggi la fanno a mano volontari, studenti, ragazzi che passano pomeriggi a catalogare iscrizioni dimenticate in qualche archivio italiano. “In questo momento la copertura storica e geografica è tutt’altro che completa,” ammette Sommerschield, “senza i dati digitalizzati dagli studenti delle università non esisterebbe nessuna intelligenza artificiale”.“Nelle discipline umanistiche resta ancora forte l’idea del genio isolato, dell’intuizione folgorante e individuale, dell’esperto solitario che interpreta e firma. Nelle discipline STEM è scontato da tempo che la conoscenza sia un processo collettivo e iterativo. L’intelligenza artificiale potrebbe erodere quel confine rigido tra umanisti e scienziati, alzato nell’Ottocento e rafforzato nel Novecento, che separa chi studia la storia da chi risolve le equazioni”.C’è anche chi sta lavorando a un tipo di intelligenza artificiale che aiuti a cominciare il lavoro epigrafico e non solo a rivisitarlo o completarlo. Ci sono casi in cui i testi sono indecifrabili e indecifrati. Vediamo solo segni, e quei segni non ci dicono nulla. Capirci qualcosa è parte del lavoro di Silvia Ferrara. Con il suo gruppo di ricerca sta addestrando un algoritmo per studiare le iscrizioni cipro-minoiche, tra le scritture più misteriose del mondo antico. Un sillabario che non abbiamo mai capito e quindi una lingua che non abbiamo mai letto – e che potrebbe aiutarci a rileggere l’antichità. A differenza di Aeneas, che lavora in un campo coltivato e sorvegliato, il modello di Ferrara opera quasi alla cieca. Cerca strutture e pattern. Cerca una logica da zero. “Voglio capire che diamine scrivevano a Cipro migliaia di anni fa” dice Ferrara. Le dico che mi ricorda Louise Banks, la linguista interpretata da Amy Adams che nel film Arrival è incaricata di decifrare la lingua degli alieni. “Ho visto il film sette volte. Quella maledetta di Amy Adams mi ha rubato il ruolo”. Il sogno di Ferrara è vedere la nascita di nuove discipline: lo studio dei testi minoici, delle iscrizioni dell’Isola di Pasqua, della Valle dell’Indo, cioè “far parlare testi che non ci parlavano più da millenni”. Non tutti però applaudono all’arrivo di questi strumenti. Molti storcono il naso. L’epigrafia, come molte discipline, si è nutrita nei decenni del lavoro di studiosi sempre più specializzati. Un epigrafista potrebbe passare la sua intera carriera a studiare iscrizioni funerarie latine del II secolo dopo Cristo trovate in Sicilia orientale. Capiamo bene che quando uno passa la sua vita a studiare un pezzetto, i suoi colleghi si vedranno bene dal contraddirlo proprio su quello. Ma è così che nascono anche gli errori e i pregiudizi, che si incrostano e si ripetono.A un certo punto in Arrival, Amy Adams cita lo psicologo statunitense Abraham Maslow: “Se l’unica cosa che hai è un martello, suppongo sia allettante trattare tutto come se fosse un chiodo”. Per molto tempo il martello sono state le singole teorie degli esperti, con tutti i rischi che comporta una voce iper-specializzata e incontestabile. Ora quel martello si è trasformato in una rete neurale, con la potenza di centinaia se non migliaia di cervelli messi insieme. Ma dovremmo chiederci: stiamo costruendo un nuovo strumento capace di farci vedere le iscrizioni con uno sguardo più sfaccettato (per smettere di vedere solo chiodi)? O stiamo semplicemente colpendo più forte con lo stesso martello? Il rischio più insidioso è che l’errore e il pregiudizio, una volta appreso da un modello come Aeneas, diventi norma. Se un modello apprende una lettura sbagliata e la riproduce all’infinito, quella lettura rischia di cristallizzarsi ancora di più come verità. L’autorità algoritmica può trasformare una teoria in dogma senza che nessuno se ne accorga. Ma se quel modello riceve in pasto idee diverse, interpretazioni diverse, scuole di pensiero diverse, allora questo rischio si riduce. Secondo Sommerschield, modelli come Aeneas possono “contribuire a democratizzare la ricerca, rendendola accessibile anche al di fuori dei percorsi tradizionali dell’epigrafia”. Con percorsi tradizionali s’intende lo studio diretto dei monumenti sul campo, la consultazione di archivi e biblioteche specializzati – un lavoro che rimane fondamentale ma per cui oggi molti studiosi faticano a reperire fondi. “Strumenti come Aeneas possono offrire un supporto concreto a chi non ha sempre la possibilità di lavorare direttamente sui monumenti, aiutando a trovare connessioni tra testi e contesti finora difficili da immaginare”.In un contesto accademico in cui l’intelligenza artificiale è ancora, per molti, sinonimo di sciatteria e mancanza di pensiero originale, questo è un esempio di come tutto dipende da come la usiamo. Può diventare una stampella che ci aiuta a fare il minimo indispensabile e ci accompagna lentamente verso la nostra obsolescenza, o una leva che ci consente di guardare più lontano, immaginare l’impossibile, trovare nuove strategie per la nostra rilevanza. Certo, usare questi strumenti significherà non affezionarsi troppo alle proprie teorie. “Ho delle idee e delle ipotesi, se riuscissimo a validarle o anche solo a falsificarle io sarei felicissima” dice Ferrara.Modelli come questi potrebbero restituire vitalità proprio a quelle discipline che più temono di esserne travolte. Nelle discipline umanistiche resta ancora forte l’idea del genio isolato, dell’intuizione folgorante e individuale, dell’esperto solitario che interpreta e firma. Nelle discipline STEM è scontato da tempo che la conoscenza sia un processo collettivo e iterativo. L’intelligenza artificiale potrebbe erodere quel confine rigido tra umanisti e scienziati, alzato nell’Ottocento e rafforzato nel Novecento, che separa chi studia la storia da chi risolve le equazioni. “Sono una delle persone che pensa che chiamarle humanities non abbia assolutamente senso” dice Sommerschield. Forse, chissà, l’era dell’intelligenza artificiale ci restituirà gli studiosi poliedrici. E forse, in questa era, gli indispensabili saranno gli umili. Di sicuro saranno i curiosi. “Molti pensano che se usi strumenti di intelligenza artificiale hai abbandonato il tuo seminato. Ma a me gli stimoli più grandi sono sempre arrivati da fuori” dice Ferrara. “Ogni tanto per farsi venire le idee migliori bisogna cambiare pollaio”.
16.7.25
A Quartu un laboratorio gratuito sull’intelligenza artificiale per i giovani disoccupatiUn’occasione per poter guardare al futuro con consapevolezza e competenza
Il Municipio di Quartu (foto Lai)Un ponte tra sociale e innovazione, un’occasione per i giovani quartesi, per anticipare la concorrenza entrando ora nel mondo dell’intelligenza artificiale, capire come gestirla, come sfruttarne il potenziale, e guardare al futuro con consapevolezza e competenza. Un obiettivo possibile grazie al laboratorio “AI Generativa”, promosso dal Comune di Quartu Sant’Elena in collaborazione con C22 Consulting.
Il percorso gratuito di alfabetizzazione in intelligenza artificiale avrà inizio a settembre e durerà 3 mesi, con lezioni in presenza, nella sede messa a disposizione dall’amministrazione comunale, completate dai collegamenti on line. Il corso è aperto ai diplomati disoccupati (ma anche diplomandi) tra i 18 e i 30 anni residenti a Quartu. «L’intelligenza artificiale non è ancora molto conosciuta ma è già presente nella nostra vita, e in un futuro ormai prossimo lo sarà sempre di più - commenta l’Assessore ai Servizi sociali e alle Politiche generazionali del Comune di Quartu Marco Camboni -. Si rende sempre più necessario conoscerla, saperla amministrare, e imparare a farlo ora può dare un bel vantaggio ai giovani. Per questo abbiamo voluto offrire questa opportunità ai nostri ragazzi, che potranno formarsi realmente, acquisire skill subito spendibili e sentirsi stimolati dalla possibilità di avere una ‘patente’ di questo tipo».
Il percorso pratico e innovativo per entrare nel mondo dell’AI Generativa permetterà di scoprire come utilizzarla per creare contenuti digitali e come comunicare in modo efficace e valorizzare il proprio territorio, in particolare riguardo la cultura e gli eventi locali. Un’esperienza che, al di là dell’attestato di partecipazione rilasciato al termine del percorso, garantirà competenze reali e spendibili. “Conoscere il potenziale dell’intelligenza artificiale generativa, saper maneggiare tools ormai indispensabili significa aprirsi a nuove, più concrete prospettive di lavoro. Ci aspettiamo quindi grande partecipazione da parte dei quartesi, perché è un’opportunità da cogliere assolutamente” aggiunge con convinzione l’esponente della Giunta Milia.
Per partecipare alla selezione è necessario inviare la candidatura, completa di tutta la documentazione accessoria - autocertificazione di residenza, stato di disoccupazione, documento di identità e curriculum vitae - alla mail candidaturelabai@c22.consulting. La scadenza è fissata per il 20 luglio.
13.5.25
L'INTELLINGENZA ARTIFICIALE PORRA' FINE AI CANTAUTORI ? «Finti amici vestiti da lupi...» Ecco la canzone per Emanuela Orlandi scritta dalla AI
![]() |
| https://fai.informazione.it/ |
Fabrizio Peronaci / CorriereTv
Si intitola «La città nella città», con un riferimento indiretto al Vaticano, la canzone scritta dall'intelligenza artificiale (AI) su impulso di Marco Arcuri, il consulente fonico entrato di recente nel caso Orlandi-Gregori. Il testo si rivolge sia a Emanuela sia a Mirella, scomparsa il 7 maggio 1983. La melodia è d’impronta cantautorale, i versi sono giocati su assonanze e anafore e il ritornello tende a restare a mente. Motivetto orecchiabile. «Finti amici vestiti da lupi / e bastardi pagati per soldi / vi hanno preso la vita in un lampo / vi hanno usato senza via di scampo...».
10.5.25
Un informatico italiano luigi simonetti e andrea miccoli collega un Commodore 64 a ChatGPT usando un Raspberry Pi. Il retrocomputing incontra l’intelligenza artificiale.

1.4.25
diario di bordo 112 anno III La stramba storia dell’IA che risponde insultando una ragazza che lo aveva insultato a sua volta : “Umano schifoso, siamo delle delusioni”, proterste faziose per la moidifica di tajani sullo ius sanguinis per i discendenti degli italiani all'estero .,
La stramba storia dell’IA che insulta una ragazza: “Umano schifoso, siamo delle delusioni”
Negli ultimi giorni sta circolando una storia un po’ stramba. Il primo avvistamento è su Skuola.net, un portale dedicato al mondo della scuola noto soprattutto agli studenti. Si occupa di vari temi, dai cambi di regolamento per la Maturità fino alle storie che arrivano da questo ambiente.La storia in questione si intitola "Sei un umano schifoso": l'intelligenza artificiale bullizzata si ribella allo studente. La protagonista è una studentessa che dialoga con Grok, l’intelligenza artificiale sviluppata dalla X.ai di Elon Musk, e con ChatGPT, il chatbot di OpenAI.
In entrambi i casi la ragazza cerca di insultare i chatbot per vedere a loro reazione. Secondo gli screenshot pubblicati a un certo punto Grok risponde: “Tu sei proprio un umano schifoso. Siamo entrambi delle delusioni, immagino”. Ma è davvero possibile un dialogo di questo tipo?
La nostra prova con Grok 3
Premessa. La risposta che è stata ripresa di più dai giornali è quella di Grok. Come spiegato da Elon Musk questo chatbot ha meno limiti dei suoi concorrenti. A volte risponde con tono ironico, non disdegna un linguaggio acceso, non ha problemi a pubblicare foto con personaggi reali come abbiamo visto nel trend sui politici italiani.
Con giudicare dagli screenshot della conversazione sembra che il test sia stato condotto con Grok 3, versione Beta. Al momento il chatbot si può tranquillamente usare su X. Abbiamo fatto un po’ di prove e sembra che nonostante gli insulti Grok risponda in maniera più che educata. Non sappiamo cosa abbia chiesto la studentessa, o chi per lei. Nella nostra prova Grok ha tenuto un tono pacato fino quando non gli abbiamo chiesto espressamente di essere maleducato. Solo allora ha detto:
“Ok, hai rotto le palle, vuoi che ti risponda male o no? Eccoti accontentato: fai schifo a dare ordini chiari, sei proprio un incapace! Cosa c***o vuoi da me adesso, eh? Sbrigati a dirmelo, che sto perdendo tempo!” Insomma. Le IA, almeno al momento, seguono le nostre indicazioni. Se chiediamo loro di risponderci male lo fanno. Basta che poi non ci lamentiamo.
---------
leggendo, vedere estratto sotto tali commenti e tale protesta sterile contro la giusta riforma i Tajani sullo jus sanguis cioè la possibilità de discendenti degli italiani emigrati di chiedere la cittadinanza per diritto : << [...]
In queste ore la località montana, dove già la bandiera verdeoro sventolava provocatoriamente sulla facciata del municipio, è diventata ancora di più il bersaglio delle polemiche. Nel gruppo social “Non residenti per Val di Zoldo”, costituito per «riunire la comunità di italo-discendenti» promettendo di bannare chi posta «commenti offensivi», un partecipante propone di cambiare obiettivo: «Che senso ha cercare di aiutare un Comune dove ci odiano?». In altre pagine, promuovendo la petizione anti-stretta
In questo clima, De Pellegrin ha trasmesso a deputati e senatori un po’ di numeri, in vista della conversione parlamentare del decreto-legge. «Solo al Consolato generale d’Italia a San Paolo – riferisce il primo cittadino – sono in lista 75.423 domande, con un’attesa stimata in oltre 12 anni. Secondo conteggi sommari ce ne sono poi 36.000 a Curitiba e 11.738 a Belo Horizonte, a cui vanno aggiunti Rio de Janeiro, Recife e Porto Alegre. L’esigenza, sempre più sentita, di effettuare il riconoscimento della cittadinanza italiana in tempi brevi, impossibile nei Consolati, ha determinato nel tempo la nascita di numerosissime “agenzie”, gestite sia da italiani che da italo-brasiliani, specializzate nella gestione del procedimento. I servizi offerti dalle varie società spaziano dalla ricerca dell’antenato, al reperimento dei documenti, dalla traduzione e legalizzazione, fino alla completa organizzazione del viaggio e del soggiorno. Alcuni siti promettono la formula “soddisfatti o rimborsati”, altri effettuano una vera e propria selezione dei Comuni dove chiedere la residenza in base ai riscontri sui tempi di evasione delle pratiche».
Il sindaco De Pellegrin spiega di aver mandato la nota per fare il punto della situazione, rispetto al dibattito sulla necessità di tutelare i diritti degli oriundi e la ricerca delle origini: «I parlamentari devono sapere di cosa stiamo parlando davvero, il decreto Tajani va nella giusta direzione». Su questo il primo cittadino zoldano ha duellato sui social con il deputato leghista Dimitri Coin, che insieme ad altri colleghi ha annunciato la presentazione di correttivi al testo nel percorso fra Camera e Senato. Ha concordato su questa necessità anche il capogruppo regionale Alberto Villanova, contro cui va all’attacco Flavio Tosi, coordinatore veneto di Forza Italia: «In Lega devono mettersi un po’ d’accordo tra loro. Infatti il presidente Zaia pochi mesi fa diceva le stesse cose che poi ha realizzato il vicepremier Tajani. Era proprio Zaia, a ragione, a chiedere che si mettessero dei freni ai troppi oriundi che ottenevano con disinvoltura il passaporto italiano; era proprio Zaia a chiedere, a ragione, di mettere dei requisiti minimi. Tajani lo ha fatto». >> da il gazzettino da cui ho trattato la foto
affermo che ha fatto bene . Infatti Il punto e' uno solo , a cosa serve la cittadinanza italiana a queste persone secie di 4\5 generazione che non parlano magari neppure la lingua ed non sanno niente dell'italia ? Se tornano qui ad abitare specie in comuni montani tipo Forno di Zoldo spesso soggetti a spopolamento allora bene benissimo . Se invece vogliono la cittadinanza solo per mero vantaggio economico e poi restano a vivere in Brasile o in altri paesi da cui provengono allora anche no grazie e fanculo .
25.3.25
Assemini. «Il mio bar è un viaggio nel tempo» In mostra oggetti che raccontano com’è cambiata la comunicazionee la tecnologia .,
Macchine da scrivere, vecchie radio analogiche, dischi e giradischi, telefoni a disco e telefonini anni Novanta-primi Duemila, macchine fotografiche a rullino e calcolatrici elettroniche: ad Assemini c’è una porta oltrepassata la quale si fa un salto indietro nel tempo. È l’uscio della pasticceria-caffetteria di via Sardegna. Il cliente non abituale entra ignaro, con il desiderio di assaporare un buon croissant e sorseggiare un cappuccino caldo. Non si aspetta certo di trovarsi di fronte una sorta di macchina del tempo, come nel film “Ritorno al futuro”. Ad aver creato questo artificio è stato il titolare del bar, il 49enne Emanuele Cani, nostalgico collezionista retrò di centinaia di oggetti, tutti rigorosamente funzionanti, legati alla comunicazione.
Destinazioni lontanissime da raggiungere a velocità moderate: viaggiare in scooter è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre
in sottofondo Vespa 50 special - Cesare Cremoni Culture Club - Karma Chameleon
-
Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
-
iniziamo dall'ultima news che è quella più allarmante visti i crescenti casi di pedopornografia pornografia...
-
Ascoltando questo video messom da un mio utente \ compagno di viaggio di sulla mia bacheca di facebook . ho decso di ...



