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29.3.24

La storia di Antonella, mamma studentessa: di notte partorisce sua figlia Gaia, il mattino dopo si laurea con 110 e lode




Antonella, una giovane studentessa torinese iscritta al corso di progettazione delle aree verdi e del paesaggio presso l’Università di Genova, ha dimostrato che i limiti sono fatti per essere superati. La sua storia, narrata dal Quotidiano Piemontese, si è svolta tra le mura di un ospedale a Torino e l’aula virtuale dell’università, raccontando un doppio successo: la nascita di sua figlia Gaia e la conquista della laurea magistrale con 110 e lode.Il 26 marzo, in una giornata che resterà impressa nella memoria di Antonella, si sono intrecciate la vita nuova di sua figlia e il culmine del suo percorso accademico. Originariamente prevista per una discussione di tesi in presenza, Antonella ha dovuto rivedere i suoi piani a causa di un’imprevista accelerazione dei tempi del parto, che ha portato al ricovero anticipato presso l’ospedale Sant’Anna il 21 marzo. La nascita di Gaia, avvenuta alle 3.21 del mattino e pesante 2 chili e 300 grammi, non ha fermato Antonella. Nonostante le circostanze, ha informato tempestivamente l’Università di Genova, che ha prontamente organizzato un collegamento online per permetterle di sostenere l’esame di laurea. Così, dopo poche ore dal parto, Antonella si è presentata virtualmente davanti alla commissione, dimostrando non solo la sua competenza accademica ma anche un’incredibile forza d’animo.

7.2.18

Spopolamento, la sfida di Sarah Pischedda e del collegaTommaso Vagnarelli due neo architetti: azienda modello nel borgo fantasma in una tesi di laurea d'architetturaal politecnico di torino


Speriamo  che   tale progetto   prospettato in  una tesi di laurea non sia  il  solito  parlare  e scrivere  a vuoto   e  che  dale  parole   e dalle  propposte  si  passi ai fatti  . Parlarne  \  discuterne  e  proporre ,  va  bene ma  poi diventa    bla... bla  .. ovvero solo chiacchere  

 dalla  nuova  sardegna  del  5\2\2018   
Spopolamento, la sfida di due neo architetti: azienda modello nel borgo fantasma
La tesi di laurea sul borgo Badu Andria nel comune di Padru della giovane olbiese Sarah Pischedda e del collegaTommaso Vagnarelli è stata riconosciuta al Politecnico di Torino come il miglior lavoro nel settore dell'architettura sostenibile
                         di Gianna Zazzara

SASSARI. «Costruirci un futuro in Sardegna? Magari. È un posto unico in Europa con una identità ancora molto forte. E le opportunità non mancano. La Sardegna è piena di piccoli borghi dimenticati. Farli rivivere, ripopolarli porterebbe di nuovo fiducia nel futuro». Sarah Pischedda e Tommaso Vagnarelli, architetti, 25 anni lei, olbiese, e 26 lui, torinese, ne sono talmente convinti da averne fatto un caso di studio. “La rinascita dei borghi abbandonati dell’entroterra sardo: il caso studio di Badu Andria” è il titolo della loro tesi di laurea magistrale in Architettura per il restauro e valorizzazione del patrimonio al Politecnico di Torino. Una ricerca premiata con il massimo della votazione per entrambi, 110 e lode, e un riconoscimento da parte del Politecnico come miglior tesi di laurea nell’ambito dell’architettura sostenibile.
«Siamo veramente felici che il nostro lavoro sia stato riconosciuto – dicono soddisfatti i due architetti – È un messaggio a tutti i ragazzi. Abbiamo voluto dire ad alta voce che anche in Sardegna c’è la possibilità di costruirsi un futuro. Non bisogna fuggire». 


Il progetto. Badu Andria è un borgo abbandonato del comune di Padru, in Gallura, dove Tommaso e Sara hanno trovato uno stazzo abbandonato, della seconda metà dell’Ottocento. L’idea alla base della loro tesi è stata quella di trasformare lo stazzo in un’azienda agricola all’avanguardia, specializzata nella produzione di piante officinali. «In Sardegna ci sono tantissime strutture abbandonate che potrebbero essere recuperate e trasformate in attività produttive – raccontano i ragazzi – Noi abbiamo pensato a un’azienda di piante officinali perché la Gallura è il territorio ideale per le piante spontanee e perché questo è un mercato in forte crescita». Per il loro progetto basterebbero 100mila euro. «Finanziamenti che si possono facilmente ottenere anche grazie ai Fondi di sviluppo rurale: per la Sardegna fino al 2020 c’è quasi un miliardo di euro a disposizione». E poi come si fa a vendere le piante? «Ormai con la tecnologia le distanze sono annullate. Basta creare un sito e il gioco è fatto». Come spiegano gli architetti, il caso di Badu Andria può essere replicato in tutti gli altri borghi abbandonati sparsi in Sardegna. 

La lotta allo spopolamento. A ispirare i due giovani architetti è stato il desiderio di trovare una soluzione per salvare i paesi, condannati allo spopolamento. «I paesi, soprattutto quelli dell’entroterra, rischiano di morire anche perché sono sempre di più i ragazzi che decidono di andare via dalla Sardegna. Eppure le opportunità non mancano, basta cercarle». Secondo Sarah e Tommaso recuperare i vecchi borghi è un’occasione unica non solo per mettere in sicurezza il territorio, ma anche per creare nuove comunità. «I borghi e i piccoli paesi hanno cominciato a spopolarsi quando masse sempre più grandi di persone si sono mosse verso le aree urbane, con il miraggio di una vita più soddisfacente e meno dura. Oggi sta accadendo l’esatto contrario. L’insoddisfazione della vita nelle metropoli porta molti a ritornare nell’entroterra magari per aprire un b&b o un’attività di agriturismo. Il fenomeno ha anche un nome, amenity migration, a indicare la fuga dalle città e il ritorno alla campagna. Anche perché oggi, grazie al progresso tecnologico, è possibile tornare ad abitare questi luoghi, anche nel centro della Sardegna, senza per forza dover abbracciare uno stile di vita lontano dalla modernità». Ovviamente, nel progetto di Sarah e Tommaso i nuovi borghi sarebbero 2.0, con soluzioni architettoniche attente alla sostenibilità ambientale e alla autosufficienza in campo energetico: mini pale eoliche, pannelli solari, raccolta di acqua piovana per riscaldare le abitazioni. La fuga dei giovani. Sarah e Tommaso sanno bene che la causa dello spopolamento e della fuga dei ragazzi è la mancanza di opportunità lavorative nell’isola e l’assenza di politiche economiche adeguate. «Ma la Sardegna ha molti punti di forza – ricordano i ragazzi – Innanzitutto il settore agro-alimentare e il turismo costiero. I finanziamenti per avviare nuove attività non mancano: grazie ai fondi strutturali europei i giovani imprenditori possono ricevere incentivi per aprire nuove aziende nel settore agroalimentare, anche nelle zone rurali». 

Ritornare a vivere nei paesi e nei borghi abbandonati dell’isola, grazie all’avvio di nuove attività imprenditoriali, permetterebbe ai ragazzi di continuare a vivere in Sardegna. «Quando un giovane è costretto ad emigrare perché non trova lavoro, è una sconfitta. Lo dovrebbero capire i nostri politici. Andar via dovrebbe essere una libera scelta per i ragazzi. Non una soluzione obbligata». Il ripopolamento dei borghi, secondo i due architetti, porterebbe la Sardegna ad una nuova rinascita economica, culturale e demografica. «L’alternativa è una desertificazione sociale che condannerebbe definitivamente questa regione». 

Dopo aver conseguito la laurea magistrale Sarah e Tommaso hanno deciso di continuare i loro studi al Politecnico di Torino: «Ci stiamo specializzando in beni architettonici e del paesaggio». Ma voi sareste disposti a trasferirvi in Sardegna e realizzare il progetto della vostra tesi di laurea? «Perché no? Io sono torinese e ho scoperto la Sardegna grazie a Sarah con la quale sono fidanzato da 5 anni – dice Tommaso – È una terra meravigliosa. Sì, mi piacerebbe molto viverci». E Sarah? «A Olbia ci sono i miei genitori e sarei felice di tornare a vivere lì. Badu Andria, poi, è vicinissimo a Olbia». Sarah ha un esempio diretto di cosa voglia dire lasciare una grande città per andare a vivere in Sardegna. «Mia mamma è austriaca – racconta –. Quando ha conosciuto mio padre non ci ha pensato un attimo a lasciare Vienna per trasferirsi a Olbia. Ogni volta che le ho chiesto se si fosse mai pentita mi ha sempre risposto: Sei matta? Lo rifarei mille volte». In ogni caso Tommaso e Sarah sono decisi a restare in Italia. «Dopo la laurea molti nostri colleghi sono andati a lavorare all’estero. Comprendiamo le loro ragioni, in Italia è difficile trovare lavoro, e quando
c’è è precario. Però ci piacerebbe che i giovani di questo paese, invece di scegliere la via più facile, creino nuove opportunità e credano in questa Italia perché le cose possono essere cambiate. Noi con la nostra tesi abbiamo dimostrato che anche in Sardegna c’è un futuro possibile».

6.7.16

.Si laurea a 82 anni per amore della moglie Carmelo Toscano aveva finito gli esami già nel 1974 e ieri ha presentato a Sociologia la sua tesi sul capitalismo in agonia


Lo so che molti di voi ,  come non biasimarli , mi diranno   :   è che  palle   è già il terzo articolo    che riporti su argomenti   simili  in queste due settimane  ;  ma stasi diventando vecchio.;  non sapevo che t'interessassi    d  tematiche   da  giornali rosa  e  tipo  harmony  ; ...  ecc  . 

Ma   se   leggete  questa storia   fino in fondo  , prima di sparare  cazzate    a  random   capirete  che tale  vicenda   non puo' essere  in modo riduttivo in quadrata   in tali categorie  


Si laurea a 82 anni per amore della moglie

Carmelo Toscano aveva finito gli esami già nel 1974 e ieri ha presentato a Sociologia la sua tesi sul capitalismo in agonia 
                             di Giorgio Dal Bosco






Non solo, ma questa è una pagina tenerissima di un libro rosa dove, tuttavia, di realismo non manca niente. Non manca l'ambizione di lei «desidero essere la moglie di un dottore» e nemmeno la smorfia di assenso di lui che, prima, sbuffa un «vabbè, mi arrendo, mi laureo» e, poi, le sussurra un « sono contento di ...accontentarti». Questa, in maniera stringata, è la storia di Carmelo Toscano, nato nel 1934, siciliano di Lentini, bolognese d'adozione, ragioniere, sposato con Antonietta, venuto a Trento nel 1968 ad iscriversi alla già quasi famosa Sociologia.
La sua, professionalmente, è una vita tutta dentro “Timo” e Sip, rispettivamente “nonna” (emiliana) e madre di Telecom, fino al pensionamento nel 1987. Con la passione, oltre a quella del contestatore che presagiva come la tecnologia si sarebbe fagocitata centinaia di migliaia di posti di lavoro, una grande passione – si diceva - per tutto ciò che è “sociale”, in particolare per una diversa modalità dell'organizzazione del lavoro che avrebbe dovuto ubbidire all'imperativo «far lavorare meno ore per far lavorare tutti».
Carmelo si è sempre messo di buzzo buono anche in questo almanaccando sistemi organizzativi migliori. Quella tesi dal titolo «Capitalismo in agonia», scritta quando aveva 38 anni, intanto , però rimaneva lì in casa tra gli scaffali come un impolverato album di foto di famiglia. Antonietta la moglie, - come sussurra la figlia Alessandra «moglie sì, ma con un'espressione più intima io definisco meglio una compagna di vita, una donna che ha condiviso con il marito ogni decisione e ogni grande o piccola emozione» - ha covato per qualche tempo un segreto desiderio.
Lo covava, forse, anche tra un gorgheggio e l'altro, tra un'opera e l'altra, cantando come soprano lirico al Teatro Comunale di Bologna. Poi, l'anno scorso Carmelo si è trovato tra le mani quel fascicolo «Capitalismo in agonia» che ha portato , non si sa mai, alla casa editrice Pendragon che subito ha pubblicato l'opera in due volumi. Involontariamente Carmelo ha così dato il “la” alla sua laurea. Sì, perché la moglie Antonietta e la figlia Alessandra come due carbonare hanno tramato nell'ombra.
Qualche telefonata a sociologia, qualche distinguo e infine la certezza di una cosa importante: il laureando, all'epoca dell'ultimo esame, per motivi tutti suoi e non per eventuali ripensamenti sulla eventualità di laurearsi, si era fatto certificare dall'Università di aver superato tutti gli esami. E questo attestato che gli ha permesso di laurearsi a distanza di 42 anni.
Così per Carmelo è arrivata la “bomba”: la richiesta della moglie, ossia, la preghiera di andare a Trento, discutere la tesi già pubblicata. La “carboneria” di madre e figlia aveva vinto. D'altra parte 60 anni di matrimonio vissuti senza tentennamenti e con un grande dolore, supportandosi (attenzione, non sopportandosi) vicendevolmente dovevano essere festeggiati.
Ecco, appunto, supportandosi. Sì, perché quando Carmelo, allora già impiegato alla Sip, aveva deciso di iscriversi a Sociologia, la moglie aveva apprezzato e stimolato l'iniziativa anche se lo studio avrebbe distolto Carmelo, almeno parzialmente, dal ruolo di grande padre e di bravo marito.

6.3.14

La battaglia vinta di Pier: "Io, primo laureato autistico esco dalla prigione di cristallo"

darepubblica 5\3\2014


La sua vita è stata "muta, e bisognosa di altri" come quella di molti ragazzi con i suoi problemi. Ma lui, 33enne del Trevigiano, è riuscito a farcela. Con una tesi che parla di se stesso

di JENNER MELETTI




VOLPAGO DEL MONTELLO (Treviso) - Pier non ha avuto dubbi. Quando il papà gli ha chiesto se voleva andare a fare una gita al mare o a vedere i carri del carnevale a Treviso, è riuscito a dire: "Carri". Bisogna fare festa, a casa Morello. Piercarlo detto Pier si è laureato, 96 su 110. È diventato "dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche" con una tesi in cui parla di se stesso. Pier è affetto da autismo severo e non si ha notizia di altri autistici gravi che abbiano potuto cingersi d'alloro. "Abbiamo vinto una battaglia - dice subito il padre Luciano, ex insegnante - ma la guerra continua. Ma lo sa che quando Pier si è iscritto all'università l'Usl voleva togliergli i 400 euro al mese dell'"accompagnamento"? Dicevano: se va all'università non è autistico. Invece anche l'ultima diagnosi, svolta in una struttura pubblica due anni fa, conferma purtroppo che il nostro Pier è affetto da autismo severo". 

 È una storia bellissima e triste, quella di Pier. Bellissima perché Pier, 33 anni, non si è fermato in un'aula delle elementari o delle medie con l'insegnante di sostegno ma è diventato dottore. Triste perché la sua laurea è una mosca bianca in un mondo dove migliaia di ragazzi autistici "non parlanti" non riescono a uscire da "una vita - così ha scritto Pier nella sua tesi di laurea - muta, vacua e bisognosa di altri".
È una storia bellissima e triste, quella di Pier. Bellissima perché Pier, 33 anni, non si è fermato in un'aula delle elementari o delle medie con l'insegnante di sostegno ma è diventato dottore. Triste perché la sua laurea è una mosca bianca in un mondo dove migliaia di ragazzi autistici "non parlanti" non riescono a uscire da "una vita - così ha scritto Pier nella sua tesi di laurea - muta, vacua e bisognosa di altri". "Io non so nemmeno - racconta il padre - cosa abbia provato, quando la commissione lo ha proclamato dottore e gli amici gli hanno fatto festa. Per un giorno e mezzo Pier si è ritirato nel suo posto preferito: il salotto di casa. Resta solo davanti alla tv accesa ma senza volume e ascolta musica alla radio: da Beethoven ai cantautori italiani. Non vuole che nessuno entri. Sì, ha visto i giornali, il Mattino e la Tribuna, che parlavano di lui. Ha fotografato gli articoli. Conosco i suoi tempi. Solo fra una settimana, via computer, potrò chiedergli come ha vissuto le ore della laurea. Io so che era molto teso, ma l'abbiamo capito solo noi genitori: aveva le guance rosse". 



Nella storia di Pier ci sono stati molti muri e solo alcuni sono stati abbattuti. "Fino alle medie - ha scritto nella tesi per la triennale in Scienze della formazione - ricordo di avere solo colorato in silenzio tanti pallini a quadretti nei corridoi della scuola. Sì, ho conosciuto tante aulette di sostegno e corridoi". "Ho imparato - ha scritto nella tesi specialistica, su "Inclusione e ben-essere sociale: una storia di autismo per capire" - a leggere mentre gli insegnanti facevano lezione agli altri. Ma come facevo a farlo capire ai professori, visto che non riesco a parlare?". 
"Fino ai tredici, quattordici anni - racconta il padre Luciano - Pier era giudicato dai medici un ritardato mentale. È stato allora che abbiamo incontrato la dottoressa Vittoria Realdon Cristoferi, che ha proposto una tecnica di scrittura facilitata, con l'assistenza di un operatore. E così è riuscito a frequentare l'istituto agrario di Montebelluna. I problemi più gravi sono arrivati dopo il diploma. Il Ceod - Centro educativo occupazionale diurno - ci ha proposto di inserirlo in una cooperativa sociale per disabili psichici, che è una struttura positiva per tanti ragazzi ma resta una gabbia, dorata ma sempre gabbia. Io e mia moglie Marta abbiamo deciso: Pier deve vivere in un ambiente normale, e per un ragazzo diplomato l'ambiente normale è l'università". 
"Viviamo - ha scritto Pier Morello - in prigioni di cristallo, prigioni di voce negata e di parole che non sono espressione di dovuta fiducia". Un passo dopo l'altro, sempre in salita. Gli esami al computer, davanti al professore. "Alcuni docenti - racconta il padre - non volevano laureare Pier. Dicevano: non potrà usare la laurea, e allora perché dobbiamo concedergliela? Non hanno capito che la laurea in fondo è un effetto collaterale. L'importante è il passo avanti. Che farà adesso il nostro Pier? Noi non ci fermiamo. Lavora già, nostro figlio, tre giorni alla settimana. Da qualche anno va alla scuola materna di Venegazzù come assistente delle maestre. In aula distribuisce le matite ai bimbi, prepara la tavola delle insegnanti, fa la "sentinella" in giardino durante la ricreazione e avverte le insegnanti se i bimbi litigano o si fanno male. È la Usl che paga un piccolo stipendio e l'assicurazione con una borsa lavoro. Credo che questo sia un ottimo intervento: Pier si sente utile e motivato a comportarsi bene. La scuola non è una gabbia di cristallo. Il dottor Pier continuerà questa attività. Cercheremo anche altro, se possibile, ma sempre in un contesto normale". 
"La disuguaglianza - ha scritto Pier - è la vera disabilità. So che cammino da solo... ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani e colori di luce". "Se il brano è stato scritto da Pier e non dal suo facilitatore - ha commentato Liana Baroni Fortini, presidente dell'Angsa, Associazione nazionale genitori soggetti autistici - Pier non può dirsi autistico perché dimostra di avere una comunicazione sociale molto buona". La dottoressa Vittoria Realdon Cristoferi, medico neuropsichiatra che segue Pier da quando aveva 12 anni, non cerca polemiche. "Nessuno di noi - dice - ha gridato al miracolo. "Uno su mille ce la fa", e questa è una buona notizia che però racconta che altri 999 non ce la fanno. Conosco Pier e gli "parlo" da quando era un bimbo. Mi ha sempre detto di voler vivere come gli altri. Ha raggiunto i risultati che si era prefisso. Pier è la dimostrazione che l'autismo non è incapacità. La laurea? Credo che per lui la conquista più importante sia stata quella di vivere con gli altri, andare con gli amici a prendere il sole a Prato della Valle... Sa di non poter fare da solo. Ma ha visto che la porta della gabbia può essere aperta". 


Ora   sia  che  sia  un autistico  o  con problemi   psichici ( ritardato mentale  in senso dispreggiativo ) o 

la stampa
EDITORIALI
05/03/2014

L’autistico laureato non è autistico


GIANLUCA NICOLETTI




A Padova si festeggia il primo autistico in Italia ad avere preso una laurea. E’ una bella notizia per tutti, neuro diversi e non. Quello che ritenevano un ritardato mentale, in realtà, è stato capace di laurearsi dottore magistrale in Scienze umane e pedagogiche. Piercarlo Morello di 33 anni per laurearsi però è stato assistito da qualcuno che alle sue spalle guida la sua mano sulla tastiera di un computer, affinché lui possa esprimersi compiutamente. Ha sicuramente colpito tutti noi la frase del neo dottore che i giornali hanno riportato, e che è particolarmente intensa: «La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce».

E’ veramente un’immagine molto profonda, anche troppo perché Piercarlo possa essere definito autistico, infatti l’associazione nazionale delle famiglie dei soggetti con autismo (Angsa) ha subito comunicato di essere strafelice per la notizia, ma su Piercarlo evidentemente era stata sbagliata la diagnosi, non era un autistico. Nel caso che quel distico l’abbia scritto lui, e non il suo facilitatore, evviva! Significa che ha una comunicazione sociale più che buona, quindi non è da considerare autistico, cioè un soggetto la cui caratteristica principale sia quella di essere incapace a comunicare, indipendentemente dal modo in cui possa esprimersi.

Non sembri fuori luogo fare una precisazione del genere, a fronte di una notizia che mette solo allegria, e che sarà sicuramente fonte di orgoglio per quel ragazzo e la sua famiglia. E’ impietosamente necessario però fare un punto di chiarezza, proprio perché non si accenda all’istante la speranza in ogni altro genitore d’autistico che il proprio ragazzo, che magari non è capace di scrivere il suo nome o di dire mamma, possa emulare l’ambito traguardo di laurearsi, purché munito di facilitatore che lo aiuti a scrivere sul computer, tutto quello che, altrimenti, non sarebbe mai capace a esprimere parlando.
Penso che se passasse questo concetto sarebbe altrettanto grave del far credere che tutti gli autistici siano rappresentabili nel protagonista di «Rain Man», o nel prodigioso bimbo veggente matematico della serie televisiva «Touch».
L’autismo è un mondo complesso e variegato e sono veramente poche le modalità di trattamento che funzionino per tutti. Tra queste è da escludere che ci sia la comunicazione facilitata, ora presentata con il nome di Woce, che negli Stati Uniti da almeno quindici anni è dichiarata priva di evidenza scientifica, in Italia classificata dalla Linea guida n.21 dell’Istituto Superiore di Sanità del 2011 fra gli interventi «non raccomandati per l’autismo».
Ora sicuramente ci sarà chi ribatterà, portando nomi e documenti trovati in rete, dove è scritto che qualcuno da qualche parte del mondo invece considera efficace questo tipo d’intervento. Di certo sappiamo che non è generalizzabile e questo ci basta. Abbiamo già recenti esempi di come l’emotività mediatica non sia buona consigliera in casi così delicati e che riguardano la salute. E’ solo d’augurarsi che Piercarlo non diventi un fenomeno da talk show, o per lo meno nessuno gridi al miracolo citando il suo caso.
Purtroppo chi ha conoscenza dell’autismo, così detto «a basso funzionamento», (sì non è bello come termine, ma anche mio figlio è di quel genere e c’ho fatto l’abitudine) sa che chi abbia questa particolare sindrome, e non verbalizza salvo poche parole, nella maggior parte dei casi ha enormi problemi cognitivi e relazionali, soprattutto non è in grado di redigere una tesi di laurea, di esprimere concetti elaborati, come i testi pieni di saggezza e profondità che spesso vengono attribuiti agli autistici «facilitati».
E’ giusto piuttosto che sia ribadito il concetto che per l’autistico il primo vero traguardo sia l’autonomia di base nei suoi comportamenti quotidiani. Inutile porsi l’obiettivo ambizioso di una laurea, se ancora il proprio figliolo ha difficoltà ad allacciarsi le scarpe, a vestirsi da solo, a curare la propria igiene personale. Chiediamoci anche cosa potrà fare il nostro figlio autistico una volta laureato, soprattutto se dovrà sempre essere seguito dai suoi facilitatori quando gli sarà chiesto d’esprimersi.  
Ieri mio figlio Tommy si è cucinato da solo la pasta con le zucchine, faccio salti di gioia, mi basta per pensare che il cuoco potrà farlo, anche se non sa parlare.  

è una  cosa  bellissima  , un fatto importante   visto che  solo  1  su  1000  a  quelle condizioni  ce la  fa  . L'importante  è  



da  http://www.redattoresociale.it/

Ragazzo autistico laureato. Angsa: "Nessun miracolo, errore di diagnosi"
Secondo l’associazione dei genitori di soggetti autistici il ragazzo sarebbe affetto da mutismo elettivo. ''Contenti per lui ma non è il caso di gridare al miracolo''. Il giornalista Nicoletti: ''Non è giusto alimentare le illusioni delle famiglie''

04 marzo 2014


ROMA – Nessun miracolo, nessuna guarigione, semmai un errore diagnostico. L’associazione nazionale dei genitori di soggetti autistici (Angsa) puntualizza con una nota sul caso del ragazzo con sindrome dello spettro autistico che, come riporta il quotidianoIl Mattino di Padova, dopo essere stato giudicato “ritardato mentale” si sarebbe laureato in Pedagogia con 96/110. “Ci congratuliamo con Piercarlo Morello per la laurea conseguita. Tuttavia se il brano che si legge sui giornali è stato scritto da lui e non dal suo facilitatore, Piercarlo non può dirsi autistico, poiché dimostra di avere una comunicazione sociale molto buona - sottolinea la presidente di Angsa Liana Baroni Fortini - Una delle caratteristiche principali degli autistici è quella di essere incapaci di comunicazione sociale, indipendentemente dal modo di espressione, che può essere scritto oppure parlato oppure a segni”. Secondo la presidente dell’associazione il ragazzo “può essere diagnosticato come un caso di mutismo, semmai elettivo, ma non come autistico, e se qualcuno ha fatto questa diagnosi si tratta di un ulteriore errore diagnostico. In medicina si commettono molti errori diagnostici – spiega -, e quando questi sono errori per eccesso e si diagnostica una malattia inguaribile che non c'è, allora si creano le condizioni per poi gridare al miracolo della guarigione, indipendentemente dagli interventi effettuati.”
L’Angsa invita anche a non cadere nella facile equazione: autismo come ritardo mentale. “Si deve ricordare che soltanto una quota dei bambini con autismo lo presentano: tale disabilità deve essere valutata con appositi test, che non sono influenzati dalla capacità espressiva verbale, altrimenti l’errore diagnostico è inevitabile – sottolinea Fortini - Vi sono casi in cui persone con autismo, sfruttando le loro particolari abilità, si sono laureate senza utilizzare la Comunicazione Facilitata, ad esempio al Dams. Per non parlare delle persone con sindrome di Asperger, che possono laurearsi senza Comunicazione facilitata in Scienze matematiche, fisiche ed altre materie nelle quali potranno effettivamente esercitare una professione utile alla loro inclusione sociale ed alla società. La comunicazione facilitata – spiega ancora - che ora si presenta con il nome di Woce, viene classificata dalla Linea guida n.21 dell'Istituto superiore di Sanità del 2011 fra gli interventi non raccomandati per l'autismo”.
Anche il giornalista Gianluca Nicoletti, papà di Tommy, ragazzo con autismo, invita a non alimentare facili illusioni. “La notizia è di quelle che dovrebbero d’istinto indurre speranza e ottimismo – scrive - Piercarlo, a quanto viene proclamato, sarebbe il primo autistico non verbale a laurearsi in Italia. Occorre però fare un punto sul fatto che Pier per esprimersi usi il sistema della scrittura facilitata (Woce). Chi conosce l’autismo, così detto “a basso funzionamento”, sa però che un ragazzo che abbia questa particolare sindrome, e non verbalizza salvo poche parole, nella maggior parte dei casi ha enormi problemi cognitivi e relazionali, soprattutto non è in grado di redigere una tesi di laurea, di esprimere concetti elaborati, come la frase attribuita a Pier nelle cronache dell’evento”. Secondo il giornale che per primo ha dato la notizia, Piercarlo avrebbe detto: “La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce.” “Non si può che condividere l’orgoglio di un ragazzo con difficoltà che riesce a raggiungere un traguardo così importante come la laurea. – conclude il giornalista - Il percorso di Pier è in assoluto gratificante per chiunque soffra per l’emarginazione e il pregiudizio in cui affondano i soggetti con disabilità psichica in genere".
Massima soddisfazione quindi per la bella storia padovana, purché il caso di Pier non si risolva nella facile equazione: autistico che non parla con un facilitatore accanto diventi uno scienziato, perché così non è. Non è nemmeno giusto che si alimentino illusioni e speranze nelle famiglie che, spesso in totale solitudine, ogni giorno hanno la grossa responsabilità di dover decidere quale sia la maniera giusta per far vivere il più felicemente possibile il proprio figlio, spesso nelle limitatezza delle proprie condizioni economiche. Può essere fantastico far laureare un figlio, anche se avrà sempre bisogno di una persona accanto che l’aiuti a scrivere, purché questo non tolga attenzione e risorse per qualcuno che gli insegni, ad esempio, a essere autonomo quando va al gabinetto”. (ec)

12.10.13

Lauree lavorando Rachid Khadiri Abdelmoula e Daniela Ribon

musica  consigliata  ed in sottofondo  Eroe-Caparezza

Ora   i buonisti   d'accatto mi  diranno che  sono razzista  ,  e quelli  dell'ultra  destra     che  mi  sto  convertendo  .  Ma  sinceramente , queste cose  mi scivolano via    . Infatti   chi realmente  mi conosce  sa  che non lo  sono  .Perchè   entrambi  italiani o extra comunitari   nel bene  ( i, come in questo  caso  , o  nel male     sono uguali  . Qui non intendo  fare  confronti beceri  ma   voglio solo  far riflettere , evidenziano di  come i  media  esaltano anzi meglio  rendono : << Storia diversa per gente normale \storia comune per gente speciale >> ed ignorano  di come   molti studenti-lavoratori italiani ignorati da media e istituzioni. Che studiano, lavorano, si pagano da soli gli studi e talvolta aiutano economicamente la famiglia. Addirittura crescono figli e quindi studiano nell'unico ritaglio di tempo libero: la notte. Ore sottratte al sonno e al riposto per conseguire una laurea senza pesare a nessuno. Senza agevolazioni fiscali, licenze regalate, attività detassate, sconti sulle spese universitarie. Il solo aiuto, eventuale, di borse di studio conquistate con merito.
  

la  prima  è  da www.repubblica.it del 9\X\2013




"Mi sono laureato vendendo accendini":
la straordinaria storia di Rachid

Ecco la storia straordinaria di un immigrato marocchino che vendeva accendini in strada a Torino per pagarsi gli studi al Politecnico. E che oggi è dottore in ingegneria
Rachid, ti fanno le foto? Che cosa hai combinato? ». Pomeriggio affollato nel cortile del Politecnico. Tutti conoscono la storia del marocchino che si è laureato vendendo accendini e fazzoletti, e scherzano da vecchi amici. Ma questo è il lieto fine: «All’inizio erano scioccati. Capitava per caso, sotto i portici del centro. Io li osservavo. I più non dicevano nulla. Succedeva quasi sempre così. Li vedevo arrivare da lontano. Erano i miei compagni di corso, ragazzi come me. Li avevo visti al mattino a lezione, non potevano scambiarmi
per un altro. E infatti mi fissavano. Si avvicinavano, si avvicinavano. Poi, di colpo, si allontanavano frettolosi, senza dire una parola». Quanto tempo è andato avanti questo gioco? «Poco, per fortuna. Perché al mattino, nelle aule del Politecnico, qualcuno ha cominciato a chiedere: “Ma noi ci siamo visti ieri pomeriggio sotto i portici di via Po?”». Così, poco per volta, tutti hanno saputo. Ed è stato un bene: «Sì perché molti sono diventati amici veri. Se sono arrivato alla laurea triennale devo ringraziare anche loro, i tanti che mi hanno aiutato nei momenti di difficoltà. Se c’è una cosa bella dell’Italia è questa disponibilità che ho trovato in molte persone».
Happy end ma storia difficile. «Vedi qui sotto il sopracciglio? È il taglio di un pugno. Era un gruppo di ragazzi. Avranno avuto sedici anni. In via Roma, una notte. Avevo la mia mercanzia. Mi sono volati addosso. Mi insultavano. Un branco di razzisti. Mi hanno picchiato. Sarebbe andata peggio se non fossero intervenuti dei passanti. Vedi, anche qui, in fondo c’è del buono. Io ho sempre fatto così. Quando capita qualcosa di brutto devi cercare l’aspetto positivo, fare un reset e ricominciare da capo. È la regola del grafene: adattarsi per diventare più resistenti ».
Adattarsi. A Kourigba non era possibile. La famiglia di Rachid, padre, madre e sette fratelli, viveva di agricoltura e allevamento: «Ma la terra era poca e noi eravamo tanti. I miei due fratelli più grandi sono venuti in Italia per primi. Said è andato ad Alba, in provincia di Cuneo. Per questo ha dovuto imparare un po’ di dialetto piemontese, perché nei paesi se non parli il dialetto non sei nessuno. A me non è capitato, sono arrivato direttamente in città. Già è stato difficile, il primo mese, capire l’italiano in prima media».
Agosto 1999, la vecchia Golf dei fratelli di Rachid attraversa lo stretto di Gibilterra, corre lungo le autostrade del sud della Spagna
affollate di turisti, raggiunge il golfo di Marsiglia e supera la frontiera di Ventimiglia prima di puntare su Torino. «Ogni estate i miei fratelli tornavano dall’Italia e raccontavano meraviglie. Dicevano che c’erano un sacco di possibilità di lavoro. Io ero affascinato. Un giorno ho detto a mia madre: “Qui a scuola non ci vado più. Voglio seguirli in Italia” ». E la realtà si è dimostrata all’altezza delle aspettative? «Quando siamo arrivati ad agosto non mi rendevo conto di quanto freddo possa esserci qui. Certo, i miei fratelli avevano un po’ esagerato. È umano no? Se no come spiegavano che erano andati via dal paese?».
Rachid è una delle centinaia di stranieri che frequentano uno dei politecnici più ambiti d’Italia. Arrivano da tutto il mondo ma pochi vivono di espedienti come lui. «Il conto è presto fatto. Se calcoli una media di 20 euro al giorno riesci a portare a casa 600 euro in un mese. Una parte finisce nella mia quota di affitto: vivo con i fratelli. Un’altra va in vitto, libri e bollette ». E spesso non basta: «Lo so bene. Solo qualche mese fa abbiamo rischiato che ci togliessero il gas per qualche bolletta non pagata. Ma in questi casi è sempre arrivato qualcuno che ci ha tolto dai guai. Poi io sono riuscito a ottenere due borse di studio. Questo ultimamente non capita più. I soldi mancano anche all’Università e i criteri sono diventati più rigidi ».
La crisi colpisce anche persone intraprendenti come Rachid. Li colpisce due volte. La prima con la stretta sulle borse di studio e sulle tasse universitarie. «E la seconda con il crollo delle vendite di fazzoletti e foulard. Ci sono dei giorni che trascorri ore sotto i por-
tici e non metti in tasca nemmeno dieci euro. Che ci sia la crisi non te ne accorgi solo dai soldi. Te ne accorgi dalla rabbia della gente. Da come in tanti ti mandano a quel paese quando ti avvicini. Ti urlano dietro, se la prendono con te».
Assorbire per tutto il pomeriggio il veleno che ti sputa in faccia l’Italia incazzata e tornare a casa la sera a studiare geometria e analisi 1: un vero e proprio esercizio zen. «Il primo anno al Politecnico ho davvero avuto paura di non farcela. Quei due esami erano la mia bestia nera. Mi preparavo, studiavo di notte e venivo bocciato. Ci ho messo mesi e mesi a passare analisi 1. Poi, a giugno, in una bella giornata che ricorderò sempre, sono riuscito a sbloccarmi. Quella volta, quando il professore mi ha detto che avevo superato l’esame, ho capito che se stringevo i denti avrei potuto farcela davvero ».
Perché sia davvero un lieto fine non basta la laurea triennale e per quella magistrale ci vogliono ancora due anni di studi e fazzolettini. Rachid spera che non sia così: «Per me questa è solo una tappa. Voglio immaginare che con la laurea triennale ci sia qualche studio di ingegneria che possa farmi lavorare. Sarebbe importante capire presto che cosa è davvero il mondo del lavoro in questo mestiere. Certo, non nascondo che trovare il lavoro in uno studio per me vorrebbe dire abbandonare finalmente la vetrina ». Il salto sociale che non solo lui ma tutta la famiglia ha sognato da quindici anni. «Io non sono solo. I miei fratelli e i miei cugini hanno lavorato anche per me, si sono sacrificati perché studiassi in questi anni. Senza di loro non ce l’avrei mai fatta». Rachid è il front man di un gruppo rock, l’ultimo velocista di una staffetta sociale, il rugbista che i compagni sollevano perché possa salire in cielo a catturare il pallone. Dietro di lui c’è un lavoro di gruppo, diviso tra l’Italia e il Marocco, tra i fazzoletti di carta che i fratelli vendono nel centro storico e il piccolo terreno coltivato a Kourigba dalla madre e dagli altri fratelli rimasti in patria. Tutti hanno puntato su di lui, tutti lui oggi deve ringraziare.
E dopo? Che cosa c’è nelle prossime sequenze del film sulla favola bella dell’ingegnere dei fazzoletti? Una sola certezza: «Il principale obiettivo è il lavoro. Un lavoro buono, da ingegnere, che serve per vivere e serve perché ti piace». Non sono molti i cantieri aperti a Torino in questo periodo, anche la vita dell’ingegnere civile rischia di essere grama: «Ti sbagli. Stanno costruendo due grattacieli, una stazione nuova, il passante ferroviario. E in ogni caso, se non troverò lavoro qui andrò altrove. Ho fatto tremila chilometri da casa mia per arrivare in questa città e cercare di avere un titolo di studio. Non mi sconvolge certo l’idea di spostarmi da un’altra parte se sarà necessario. Caro giornalista ricordati una cosa: il grafene non si spaventa. Resiste quattro volte più dell’acciaio».


La seconda   è quella di Daniela Ribon, di San Donà di Piave, laureatasi presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia tratta  da  http://www.qelsi.it/2013/  del 10\X\2013  


Sono seconda di tre sorelle, di una famiglia povera ma dignitosa che ci ha sempre insegnato a lavorare e ottenere ciò che vogliamo con fatica e sudore. Il mio sogno è sempre stato quello di laurearmi in Lingue e fare la giornalista, oltre a viaggiare. Così mi sono iscritta all’Univesità Ca’ Foscari di Venezia nel 1994“. Una storia come tante, all’apparenza, ma Daniela non ha dimenticato gli insegnamenti dei suoi genitori e non ha voluto pesare sulla famiglia: “Per mantenermi agli studi facevo la cameriera in pizzeria. Poi nel 1996 è nata la mai amata prima
figlia Diletta. Ho smesso di lavorare in pizzeria ed ho iniziato a fare supplenze. La mattina a scuola e il pomeriggio con la bimba al parco o a giocare alle bambole. Poi è arrivato il mio secondo adorato figlio Diego Teodoro. Stessa vita, di giorno supplente, il pomeriggio mamma e la sera studentessa“.
Mamma e studentessa, ma di conseguenza anche lavoratrice, per potersi mantenere non solo gli studi, ma anche vitto, alloggio e prole. Senza l’aiuto di nessuno, anzi con qualche ostacolo: “Il mio ex non sopportava che studiassi e mi prendeva in giro dicendo che mai mi sarei laureata. Nel 1999, oltre a dare esami ho studiato per il concorso per la scuola primaria e l’ho vinto. Studiavo sempre e solo di notte perché di giorno mi dedicavo all’educazione dei miei figli e a loro volevo dedicare tutto il mio tempo libero. La notte loro dormivano e non avevano bisogno di me, quello era il tempo per me“.
L’unico aiuto è arrivato da una borsa di studio: “Ho vinto una borsa di studio di circa tre milioni (di vecchie lire n.d.r.), ossigeno per le scarse finanze. Solo mia mamma sapeva la data degli esami perché il mio ex pur di non farmeli fare mi sequestrava l’auto, che era sua, o mi strappava libri e appunti“.
Daniela però non si è arresa e ha continuato a lottare. Da sola: “Non potendo frequentare andavo a ricevimento dai docenti per concordare il programma e quella diventava l’occasione per fare un gita a Venezia con i miei bimbi. Con la tesi è arrivata anche la fine del mio matrimonio. Il giorno della Laurea ho pianto. C’erano le persone che più amo: i miei figli, i miei genitori che hanno sempre creduto in me, mia nonna, le mie sorelle, e poi tanti amici“.
Si è laureata, nonostante i figli da seguire e un matrimonio fallito, proprio per colpa della laurea. Ma Daniela non ha finito, anche ora sta continuando a studiare: “Sto studiando per la specialistica in lettere, sempre e solo di notte. Come sempre
Pensi che gli studenti-lavoratori siano una categoria dimenticata da media e istituzioni?
Sicuramente i media non si occupano degli studenti-lavoratori, non capisco perchè. A volte sono i più motivati.
La tua storia potrebbe essere considerata straordinaria, eppure è quella di tanti italiani. Tu ti senti speciale?
Non mi sento speciale, sicuramente orgogliosa per ciò che sono riuscita a fare, se guardo al passato mi sembra incredibile esserci riuscita, ci vuole una gran dose di forza di volontà!
Repubblica recentemente ha pubblicato un articolo raccontando la storia di un marocchino che è riuscito a laurearsi vendendo accendini per pagarsi gli studi. Pensi che i quotidiani nazionali potrebbero essere interessati pure alla tua storia?
Non voglio essere polemica, ma credo che il venditore di accendini abbia fatto notizia solo perché marocchino. Ti assicuro che ci sono tanti cittadini italiani che fanno lavori molto umili pur di mettere assieme i soldi per le tasse ma di loro non si parla, non facciamo notizia, forse neppure audience. Ma siamo tanti…


31.8.13

Come la propria permalosità "danneggia" anche chi non c'entra .

          .

Sule note   della belissima    , specie in questa  versione di Slash & Myles Kennedy ,  Sweet Child O' Mine


I  fatti che m'accingo a raccontare   sono veri   ma per  ovvi motivi (  di privacy  ,  di lavoro  , ecc  . Ma soprattutto per    il carattere  , della persona in questione da qui il titolo del post  )=   modificati e traformati  . Ed  ho  ricorso alla forma letteraria  . Ora  dopo questa premessa  andiamo al post









C'era una volta un negozio di fiori che faceva oltre le normali confezioni e boquet decide d'aggiungervi anche una corona per le lauree .Un giorno venne una ragazza che voleva un bouquet di fiori per la festa di laurea. Le commesse le proposero oltre il bouquet 
da Google

gli proposero anche una corona d'alloro.
da  yahoo.it

Essa  accetto'contenta  . Qualche giorno dopo il lieto evento ritorno in negozio per  ringraziare della bella figura fatta  con amici\che  e  familiari  , oltre che per  far vedere le foto  , portando  per  le gentilissime commesse   la sua bomboniera di laurea 
la  bomboniera  in questione  


Loro , non essendo le padroni del negozio e quindi decidere di lasciarla nel negozio ( il piano terra di un edificio degli anni 20\30 ristrutturato\ riadattato a negozio ) la portarono con il relativo incasso della giornata ai padroni che avrebbe deciso cosa farne se lasciarla in negozio o tenerla a casa o metterla in un angolo fra le tante carabattole o chi sa cos'altro . Sul fare dell'ora di cena , il figlio dei proprietari , tornato dalla passeggiata serale , vide sul tavolo di soggiorno tale oggetto . Ed ecco che chiese alla madre cosa fosse . La madre : << è una bomboniera 
di laurea che ci ha regalato una cliente >> . Il figlio chiese : << perchè allora e qui e non i negozio ? >> si vide rispondere : << perchè è una cosa pacchiana  per il negozio >> . La madre riprese a cucinare con la TV accesa . Il figlio se la prese e la mette , insieme ad altri oggetti di cui è appassionato \ collezionista sulle mensole della libreria della sua camera . 
Qualche temo dopo chiacchierando con le commesse , di cui una si occupava della pesca di beneficenza per la classe del **** della festa patronale della madonna di buon cammino ,di bomboniere e regali e altre cose di cattivo gusto\ kitsch di cui la gente si libera regalandole appunto a tali lotterie o " agli svuota solai " che si ritrovano fra le bancarelle dalla primavera all'autunno nelle feste e altre iniziative turistiche dei paesi ., gli capitò di parlare di quel regalo e  di  come  la madre   rispose  alle  sue  domande  del perchè  non la  si  metteva  in negozio  . Ed inconsciamente , senza accorgersi che dietro di lui era entrato come cliente  qualcuno\a ( familiare , parente , o amico\ca  conoscente ) del  regalo della  persona in questione  e delle discussioni     con relativo scambio di pareri per  lui  bello   per la madre   dozzinale  . Infatti la settimana dopo , una collega di lavoro , gli disse facendogli il pistolotto per le sue intemperanze verbali e la sua impulsività , che quella persona era andata a lamentarsi in giro contro i proprietari del negozio e indirettamente contro le commesse e che non ci sarebbe più tornata perchè eravamo statio cosi cafoni . Ma .......... 



A voi indovinare fra queste opzioni


Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...