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23.4.21

anche il gusto ha delle storie dietro .storie di varia umanità e del territorio ( parte 1 ) da i 40 anni della locanda di don Gallo a Le ragazze del caffè della Casa circondariale femminile di Pozzuoli

 lo so che  sono storie prese dalla rete  ma  è   grazie ala rete  che  esse  evitano d'essere dimenticate    e vengono salvate  dall'oblio  e fatte  conoscere  al grande  pubblico  . Ma  soprattutto  si    dimostra    che  noi italiani   abbiamo oltre  ( anche se  non  sempre  sappiamo valorizzarlo   e  lo svendiamo   alle multinazionali estere  o  peggio lo delocalizziamo  in paese   esteri  dove i costi sono maggiori   spacciandolo poi come originali  )   delle rochezze   che  vanno oltre  il classico stereotipo  :  pizza  , mandolino , spaghetti .
Da   essendo tante  quello che ho  scoperto  cazzeggiando in rete   ho  scelto  di  pubblicare   ben due   parti  d'esse  . Iniziamo  .

Le storie sono tratte da  https://www.gediwatch.it/ 

Umanità a tavola: i 40 anni della locanda di don Gallo A' Lanterna è stata la sua prima impresa sociale: ha ospitato a Genova premi Nobel e artisti, ma anche diseredati. Perché a pranzo, diceva don Andrea, tutti sono uguali



 Così è nata in Puglia la scogliera corallina Un tesoro di biodiversità si estende dalle Tremiti allo Ionio: i ricercatori di Bari hanno scoperto che è stato creato da coralli e ostriche, come nei mari tropicali
 
 Il paese dei pennarelli che vive di colori Settimo Torinese è il cuore di un distretto in cui trent’anni fa operavano 150 aziende. Dalle stilografiche alle penne a sfera, un mondo che non si arrende al digitale
 
 Condividere e non comprare: la biblioteca delle cose Tutto è nato dai vicini di casa che si prestavano qualche utensile. Ora hanno aperto due sedi a Palermo. Un’esperienza a metà tra welfare cittadino ed
ecologia

 

 ed  dalla newsletter   altre  storie di  Mario Calabresi < altrestorie@mariocalabresi.com >




Le ragazze del caffè
                                di Anna Dichiarante


«Il caffè era l’idea perfetta: legata alla tradizione partenopea, ma non banale». Imma Carpiniello riavvolge il nastro dei ricordi fino al 2010, quando decise di fondare la Cooperativa Lazzarelle e di cimentarsi nelle vesti di imprenditrice all’interno del carcere di Pozzuoli, uno dei quattro istituti penitenziari interamente femminili d’Italia: «Ho cominciato a frequentare la Casa circondariale tramite l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione e ho potuto ascoltare le esperienze delle donne che ci vivevano. Ho notato quanto fossero deluse dalle opportunità limitate ed estemporanee di formazione o lavoro. Allora ho pensato di costruire qualcosa che fosse stabile e che non ricadesse nello stereotipo delle classiche occupazioni muliebri». Da quel giorno, i corsi di découpage cedettero il posto a una torrefazione. A cui, oggi, si affianca un bistrot nel centro storico di Napoli.



Le lavoratrici della Cooperativa Lazzarelle preparano le confezioni di caffè nella torrefazione che gestiscono all’interno della Casa circondariale femminile di Pozzuoli


Così, a Pozzuoli si applica il dettato della legge sull’ordinamento penitenziario. L’articolo 20 di quel testo stabilisce che il lavoro, fondamento della nostra Repubblica, debba essere favorito in ogni modo anche all’interno delle carceri. Anche qui dev’essere remunerato, non afflittivo e organizzato con gli stessi metodi adottati nella società libera. Princìpi che faticosamente vengono tradotti in pratica per circa un terzo della popolazione carceraria. Tra risorse insufficienti e ripercussioni del sovraffollamento, a incontrare maggiori difficoltà nel vedersi riconosciuto tale diritto sono le donne: una minoranza (poco più del 4% sul totale dei detenuti) di solito relegata in sezioni dentro agli istituti maschili e spesso destinata a raccogliere le briciole del trattamento. Predisporre appositamente per loro le diverse attività mirate alla rieducazione non sempre conviene.
Eppure, la rotta si può invertire. Imma l’ha dimostrato. E l’ha dimostrato la Cooperativa Alice con la “Sartoria San Vittore”, aperta nel 1992 nella sezione femminile dell’omonima Casa circondariale milanese. A questo laboratorio, dove si confeziona abbigliamento secondo i dettami della moda sostenibile, si sono aggiunti quelli nelle carceri di Bollate e Monza: oltre 450 donne hanno potuto formarsi, lavorare e intraprendere percorsi di reinserimento sociale; molte, dopo aver scontato la pena, hanno proseguito la riabilitazione nella sede esterna della cooperativa. Ma la loro peculiarità è la produzione di toghe per magistrati e avvocati. Le detenute cuciono il tessuto nero con i bordi in raso o in velluto, decorano i bavaglini con il pizzo, eseguono le plissettature a mano: ciascun punto dato con ago e filo rammenda lo strappo tra loro e il mondo della giustizia. Sono in migliaia a indossare le loro creazioni nelle aule di corti e tribunali.
A Venezia, invece, nella Casa di reclusione femminile della Giudecca dal 2001 nascono i cosmetici delle quattro linee a marchio “Rio Terà dei Pensieri” (dal nome della cooperativa che gestisce i laboratori). Sotto la supervisione di un responsabile tecnico, le detenute producono creme, shampoo, gel doccia, sapone e profumi che derivano da formule originali. L’offerta è ampia: dagli articoli naturali a quelli per bambini, fino ai set personalizzati per alberghi e bed&breakfast. Una parte delle materie prime, peraltro, arriva direttamente dall’orto curato da altre detenute nei seimila metri quadrati di terreno di cui l’istituto dispone. Quaranta varietà di ortaggi, frutta, fiori ed erbe aromatiche sono le eccellenze di agricoltura biologica che si trovano in vendita una volta alla settimana presso il banchetto allestito dalle stesse coltivatrici.


I sacchi con i chicchi di caffè pronti per essere lavorati nella torrefazione delle Lazzarelle


Poi c’è il modello Pozzuoli, appunto. «La torrefazione – racconta Imma – ha preso forma grazie agli spazi concessi in uso nel carcere dall’Amministrazione penitenziaria e grazie ai fondi regionali per startup con cui abbiamo acquistato i macchinari, allacciato le utenze e sostenuto il primo anno. Era un ambito inesplorato per tutte noi e ho chiesto aiuto a miei amici, mastri torrefattori napoletani. Ci hanno consigliato nella scelta dell’attrezzatura, ci hanno insegnato come distinguere i tipi di caffè e come miscelarli. Certo, all’inizio abbiamo combinato qualche guaio… Mentre scaricavamo i sacchi di caffè, persino gli agenti di polizia penitenziaria ci guardavano perplessi. Eravamo una novità, entravamo in un mercato dominato dagli uomini. Tant’è vero che il termine “torrefattrice” indica la macchina, non la persona. Ma noi siamo riuscite ad affinarci, a superare le diffidenze di fornitori e clienti, ad affermarci puntando su qualità e affidabilità».


La torrefazione delle Lazzarelle, nel carcere della cittadina alle porte di Napoli


Le Lazzarelle (adolescenti un po’ pazzerelle nel dialetto napoletano) sono cresciute. In un decennio, circa sessanta detenute si sono passate il testimone e hanno imparato il mestiere in torrefazione. Vengono impiegate in gruppi di tre o quattro, tutte sono assunte, seguite e guidate al momento della liberazione. «Molte di loro non hanno mai lavorato o l’hanno fatto senza un contratto – spiega Imma – quasi nessuna perde l’occasione di cambiare vita, se il carcere le fornisce gli strumenti adeguati. In generale, le statistiche mostrano che il 68% di chi non ha lavorato durante la detenzione riprende a delinquere; il tasso di recidiva, invece, scende a livelli marginali tra chi si è confrontato con una professione. E lo stipendio consente di provvedere alle spese di mantenimento. Altrimenti si esce dalla cella con lo stigma e con il debito verso il Ministero della Giustizia».


L’interno del bistrot che la Cooperativa Lazzarelle ha inaugurato nel luglio 2020 nella Galleria Principe di Napoli


La pandemia ha complicato le cose e ha provocato una contrazione della domanda di caffè. Adesso nella torrefazione è operativa una sola detenuta. Imma e le altre, però, non demordono. La scorsa estate si sono armate di coraggio e hanno inaugurato, a Napoli, il “Lazzarelle Bistrot”: «È la nostra vetrina, il luogo “fuori” dove la gente può darci un volto e dove le ragazze mettono in pratica le competenze acquisite “dentro”».
Le origini del progetto risalgono al 2015, quando la cooperativa partecipò a un bando per la rigenerazione urbana. Due anni più tardi, le fu assegnato un locale all’ingresso della Galleria Principe di Napoli: il più antico corridoio commerciale del capoluogo campano, costruito nella seconda metà dell’Ottocento, si trova di fronte al Museo archeologico nazionale e all’Accademia di Belle Arti, ma anche vicino al Conservatorio di San Pietro a Majella, al Teatro Bellini e ad alcuni dipartimenti universitari. Uno scorcio di città dall’aria parigina, adatto per il bistrot. Così, dopo aver atteso che fosse smontata l’impalcatura per il restauro di una facciata della Galleria e dopo aver incassato la promessa di finanziamento da parte delle Fondazioni Charlemagne e San Zeno, nel futuro bar delle Lazzarelle partì la ristrutturazione.
Dopo poche settimane, però, un timpano della Galleria si sgretolò. Calcinacci, imbragatura, accertamenti. Tutta la struttura fu chiusa per il pericolo di ulteriori crolli e soltanto nel giugno del 2019, con la stesura delle reti anti-caduta, fu riaperta. «Eravamo bloccate – riprende Imma – non c’erano informazioni su come si sarebbe evoluta la situazione e l’incertezza spinse una delle fondazioni a investire altrove il denaro stanziato per noi. Fortunatamente, riemerse dallo stallo, abbiamo via via recuperato anche il finanziamento». Nonostante gli ostacoli, nel febbraio 2020 il “Lazzarelle Bistrot” era pronto a servire le prime tazzine di espresso. Ma il virus si avvicinava e Imma aveva intuito che era meglio non esagerare con le scorte in dispensa. Il Paese era sull’orlo della quarantena.


L’esterno del “Lazzarelle Bistrot”, nella Galleria Principe di Napoli, in uno dei giorni di lockdown


«L’attività era congelata, ma l’affitto andava pagato – ammette la fondatrice della cooperativa – non potendo più rimandare, a luglio ci siamo buttate e abbiamo tagliato il nastro! Pur nell’alternanza dei periodi di lockdown, siamo riuscite a restare aperte ricorrendo ad asporto e consegne a domicilio o funzionando come bottega. Solo da marzo ci siamo fermate, perché i costi sarebbero stati eccessivi. Il bilancio complessivo, comunque, è soddisfacente». Imma vuole essere ottimista, soprattutto per le detenute che lavoreranno nel bistrot: «A pieno regime saranno quattro. Finora abbiamo potuto impiegarne una, Teresa, che è stata in torrefazione e ha ottenuto il beneficio del lavoro all’esterno. A fine pena si conclude anche il rapporto con noi, è la regola per garantire l’avvicendarsi delle ragazze e per lasciare che quelle tornate libere conquistino la loro autonomia. In carcere si smarriscono l’indipendenza e la consapevolezza delle proprie abilità».


I tavolini del “Lazzarelle Bistrot” affollati nel periodo di apertura estiva


A confortare Imma è la risposta positiva del pubblico. Innanzitutto, della rete sociale che nel tempo le Lazzarelle hanno intessuto da Nord a Sud e che ha assicurato continuità sia nelle vendite di caffè sia nel rifornimento. «Acquistiamo i chicchi da importatori che rispettano i diritti dei contadini e il nostro marchio viene scelto da numerose realtà del mondo equo e solidale. Poi c’è il circuito carcerario, dove compriamo le specialità per il bistrot: dai biscotti sfornati dai minorenni del “Malaspina” di Palermo ai taralli prodotti nel reparto maschile ad alta sicurezza di Trani. Naturalmente l’aspetto etico si accompagna alla qualità. Anche se scoprono il nostro locale per curiosità o per caso, i clienti devono affezionarsi perché ciò che offriamo è buono. È il motivo per cui ho coinvolto nella squadra la chef Marcella Tagliaferri».


Da sinistra: Marcella Tagliaferri, chef del “Lazzarelle Bistrot”, Imma Carpiniello, fondatrice della Cooperativa Lazzarelle, e Teresa, lavoratrice della torrefazione poi passata al bistrot


Il bistrot, quindi, è stato immaginato come un trampolino di lancio per la rinascita delle detenute. «Per certi versi, il loro destino è parallelo a quello della Galleria – dice Imma – questo angolo di Napoli è stato a lungo abbandonato nel degrado, mentre se ne dovrebbero sfruttare le potenzialità. In effetti, qualcosa sta cambiando: si sono tenute delle mostre all’aperto, ci sono negozi nuovi ed è bello vedere il viavai di persone. Prima i cancelli venivano sbarrati alle 20, da quando c’è il bistrot chiudono più tardi. Purtroppo mi preoccupa la battuta d’arresto subita dal turismo a causa della pandemia. E non solo per il nostro giro d’affari. La maggioranza delle ex detenute aveva trovato lavoro nella ristorazione o nella filiera ricettiva, ma parecchie l’hanno perso nell’ultimo anno».

(Foto @ros_enbata)



16.11.18

riflessione sulla bellezza e tentato dialogo con un amante del trash uomini e donne


canzone consigliata \ colonna sonora




Risultati immagini per uomini e donne trashPrima d'iniziare   il post  , che  poi  è una discussione avvenuta  in una chat ( ebbene si cari\ care  amici\che  nonostante  i social  esistono ancora  )   tra  un mio contatto ,   mi sembra  opportuno  riportare la definizione  de  : <<  l'insieme delle qualità percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell'universo osservato, che si sente istantaneamente durante l'esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato consciamente o inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per istruzione o per consuetudine sociale. [ .... ] >>



bellezza
/bel·léz·za/
sostantivo femminile
La qualità capace di appagare l'animo attraverso i sensi, divenendo oggetto di meritata e degna contemplazione: Più dell'oro possanza Sovra gli animi umani ha la Bellezza (Parini); b. fisica ; la b. del volto, delle membra, delle forme ; b. spirituale ; part., di spettacoli naturali, opere d'arte ( ammirare la b. di un panorama ; un quadro d'incomparabile b. ), gesti o comportamenti morali ( la b. di un atto eroico, della virtù )..
CONCR.
Persona o cosa che costituisce oggetto o motivo di grande ammirazione e compiacimento: una b. di bambino; ha una macchina che è una b.; e pensare che da giovane era una b.!; anche enfaticamente.
"si mangia e beve che è una bellezza"
 ecco   la discussione  .

 parlando di programmi tv   
XXXXX  mi  chiede   lo hai mai visto uomini e donne  ?
IO  no    stavo  guardando altro  
XXXX  lo  trovi  in replica   o  degli spezzoni   qui su  https://www.wittytv.it/uomini-e-donne/
IO  non vedo roba  cosi  scadente   e   dozzinale  . Esso  è  da  quei pocho  pèassaggi  che  ho visto  a  blog   o  facendo  zapping    fra  un  canale  e  l'altro    uno   degli esempi più palesi di televisione trash in Italia,   dove le  situazioni che si creano nella trasmissione sono  al  90  %  in realtà sceneggiate e studiate a tavolino dalla redazione (e quindi non reali) e che i protagonisti del programma sono    in realtà dei figuranti scritturati dagli autori (in effetti molti tronisti e pretendenti, che venivano presentati come ragazzi e ragazze comuni, in realtà   sono  , se  ti  fai  qualche  ricerca in rete  o vedi altr programm simili  , gente  sotto contratto con delle agenzie di moda e di spettacolo ed hanno  già avuto esperienze televisive pregresse alla loro partecipazione al dating show). Inoltre  è  un programma  ,  come quelli politici e  d'attualità     dove   non si capisce  niente   per  i tLe critiche sono state rivolte anche ai toni polemici e spesso rissosi,   sembra  di stare  in un pollaio    , si beccano  ed  si   parlano (anzi meglio   s'urlano )  ,  addosso  con accenni   quando  va  bene  di turpiloquio  ed  volgarità gratuite  . 
XXX  non è bello  ciò  che    bello  , ma  è bello ciò  che  piace . 

Allora    rispondo  alla    sua citazione  ad  .....   del  famoso  proverbio

 IO  secondo     il  tuo  ragionamento  anche   la  ....     proprio come la canzone   ma  che  cos'è   di Mina che è vero fu forse estesa alla cattiva alimentazione ma che amio avviso Mina aveva centrato la verità proprio con questa canzone, riferendosi alla tv spazzatura che allora sta appena iniziando



XXXX 😂🤣😒😜 Sei proprio  uno  snob  intellettuale    , un jurassico
IO  cambiamo discorso  che è meglio  va 
[ .... ]

Questa   discussione dimostra   su certi argomenti e con certi amici\che   è impossibile   parlare   seriamente   di  programmi  tv  vedere    il  film Italiano medio di Maccio Capatonda   di cui   trovate  qui   la  trama   e   qui  sotto   il trailler



    Ormai  il  90 %   della  gente  ha  mandato il cervello   all'ammasso   o la  sera ,  ma purtroppo non solo  ,   lo   spegne  mettenedo  il pulsante   su  OFF  .  Saro come  mi  è stato  detto :  uno snob ,    jurassico , all'antica , ecc     ma  almeno    sono   "  genuino "  almeno     fin  quando 
 reisterò  visto che                       
                               [...]
IL   mio  tempo  non  è  denaro 
Ma il mare  aperto    dei   sentimenti
le  vele  al vento  del mio 
pensiero 
finchè  quel vento resisterà
da   La mia patria non è un'azienda (Sabina Guzzanti)

  e    non   rendenderanno tali  programmi  obbligatori 


4.9.16

Nando Brusco, il cantastorie calabrese tra tradizione e attualità., Davide Santacolomba è un ragazzo palermitano di 28 anni. sordo dala nascita ma pianista d'alro livello

Da ilfattoquotidiano del 1\9\2016
Nando Brusco, il cantastorie calabrese tra tradizione e attualità
Musica

Un’antichissima tradizione, una millenaria narrazione quella che anima le parole e i gesti del cantastorie, quell’artista girovago a cui l’intera comunità, anticamente, affidava la memoria collettiva. Dagli aedi greci ai menestrelli medievali, dai trovatori provenzali al vero e proprio cantastorie siciliano il passo è breve, passando attraverso quelle figure che Georges Ivanovič Gurdjieff ricorda nel volume autobiografico Incontri con uomini straordinari, gli asowl.
Il padre dell’autore di origini armene era un asowl, e cioè un cantastorie, uno di quei personaggi a cui era affidata la millenaria narrazione orale del Gilgameš ben prima del suo rinvenimento nella biblioteca di Assurbanipal, a Ninive. Così come allora, anche oggi il cantastorie vive, facendo rivivere luoghi, odori, profumi, lotte, battaglie e passioni, nelle parole, narrate e cantate, di Nando Brusco.
Musicista calabrese, il nostro cantastorie preferisce, in luogo della classica chitarra, il tamburo quale strumento col quale accompagnare i suoi “cunti”, i racconti cioè che animano i suoi spettacoli sempre meno confinati alla sola regione Calabria. Canti e racconti che sono finiti, per la sua primissima volta, su un album che prende il nome di Tamburo è voce – Battiti di un cantastorie, nome già dato al suo precedente tour tanto perpetuo quanto itinerante: “L’amuri di Calabria – afferma Brusco – non è solo uno spettacolo di cantastorie, ma il frutto di una ricerca artistica ed esistenziale. Per il mio sentirmi profondamente figlio di questa terra, ho scelto di compiere un viaggio fra le sue storie, i suoi cunti… per raccontare vicende ironiche e drammatiche, che appartengono alla Calabria”.
E sarà nella meravigliosa cornice di Scilla, lo splendido paesino marittimo della provincia reggina, che Nando Brusco, il 2 settembre dalle 18 alle 20, presenterà il suo disco di storie e luoghi di Calabria, all’interno del ricco programma di quello che prende il nome di ScillaFest, il festival organizzato dal Teatro Proskenion di Reggio Calabria in collaborazione col comune scillese. Un programma ricco, variegato, ma soprattutto interessante quello che sta andando in scena dal 28 agosto al 4 settembre, in quella che nella mitologia classica fu la culla della ninfa trasformata da Circe nel mostro omerico: tra concerti, laboratori teatrali, canti e presentazioni la piccola cittadina calabrese prende vita offrendo al pubblico un vasto quanto variegato ventaglio di attività.
Momenti di incontro, riflessione e crescita, momenti di scambi e comuni visioni all’interno dei quali il lavoro discografico di Brusco, prodotto dallo stesso Proskenion, si inserisce quale testimonianza della presenza, in terra calabra, di una forte anima identitaria, di uno spirito che oggi più che mai, in un momento di forte perdita dei valori e del senso di appartenenza, si rende più che mai urgente: “Il tamburo di Nando si fa terra e montagna, zappa e barca in mezzo al mare, ali d’uccello e focolare, si fa terremoto e tempesta, si fa amore e morte, rabbia e speranza. La voce diventa racconto, ed il racconto immagine. E io vedo aprirsi la Calabria per svelarci il simbolo che sottende. Vedo ciclopi tra Sibari e Crotone, vedo gigantesche trombe marine, come teste di Idra, innalzarsi tra ponente e l’Isca, nel mare di fronte a Belmonte. Vedo giganti solcare la terra di Fragalà”. Con queste parole il percussionista Luca De Simone apre il booklet di un disco che è erede e al contempo innovatore di un’antichissima tradizione.




sempre  dal fq      riporto  un altra storia  in ambito musicale  . la storia  di Davide Santacolomba







di Raffaele Nappi  3 settembre  2016
                                    

“Io, pianista sordo dalla nascita. Per i medici sono un miracolo e la mia prof pensa che sia ‘il nipote di Dio'”

                     
    
Davide Santacolomba è un ragazzo palermitano di 28 anni. E' stato ammesso dopo una selezione durissima a un master di perfezionamento in Svizzera e i suoi concerti sono seguitissimi in Italia. Riesce solo a "percepire i suoni", ma col nuovo apparecchio può amplificarli. "Ogni volta che ne scopro uno sono incredulo"           









I medici dicono che è un miracolo: ancora oggi non riescono a spiegarselo”. Davide Santacolomba ha 28 anni, viene da Palermo. E’ sordo dalla nascita, e nella vita fa il pianista. Dopo il diploma al conservatorio, i concerti, le composizioni tutte personali, oggi Davide è in Svizzera, dove sta seguendo “dopo una selezione durissima” il Master in perfezionamento artistico e didattica musicale, sotto la guida della famosa pianista ucraina Anna Kravtchenko. “Chi ha detto che i sordi non possono suonare?”, sorride.
Le sue prime lezioni di pianoforte sono arrivate all’età di 8 anni, all’ospedale Niguarda di Milano. “Io e la mia famiglia andavamo a fare gli esami di accertamento per la mia sordità – ricorda – Nella nostra residenza c’era un pianoforte: cominciai a suonare qualche nota. Lì è nato tutto”. Tre anni più tardi, a Palermo, Davide comincia a prendere regolarmente lezioni di educazione musicale alla scuola media Leonardo Da Vinci. Per poi sostenere e superare l’esame, con lode, al conservatorio Vincenzo Bellini. “Questo ragazzo è un miracolo”, ebbe modo di ripetere Giovanna De Gregorio, la sua insegnante. “Nel giorno del diploma la sala del conservatorio era piena – racconta Davide –. Cosa che capita molto di rado. Questo mi diede un’energia incredibile”.
“Ho iniziato a suonare quando andavo all’ospedale per fare esami sulla mia sordità. Nella mia residenza c’era un pianoforte”Dal punto di vista medico, è straordinario che Davide abbia cominciato a parlare sin da subito e discretamente bene. “Con la mia sordità dovrei parlare molto male e in maniera un po’ piatta, invece ho comunque avuto subito una buona intonazione”, spiega. Per la musica, invece, il discorso è diverso. “Esistono ciechi che suonano e che con la loro visione immaginaria del proprio strumento, con un tatto ed un udito molto sviluppato riescono a suonare, ma esistono davvero pochissimi musicisti sordi. Io un pianista sordo non l’ho ancora conosciuto”, sorride.
Tre anni fa a Davide è stato impiantato un apparecchio acustico nel cervello, che gli permette di amplificare i suoni e percepirli meglio. “Ogni volta che scopro un suono nuovo sono stupito, felice e incredulo”. Un esempio? Lo scontro dei calici per un brindisi. Ma anche il mare, i gabbiani, il rumore delle foglie calpestate. “Ho scoperto che le donne, spesso, hanno un tono di voce molto alto”, ride. La difficoltà più grande è la percezione dei suoni acuti. Per comporre la sua musica, così, Davide studia le note nella parte bassa del pianoforte (quella più grave), per poi ricostruirle nella parte acuta. “Ho recuperato due ottave sopra il do centrale e ne riesco a capire intonazione e intensità, ma salendo ancora di frequenza è tutto molto indefinito”.
“Ho recuperato due ottave sopra il do centrale e ne riesco a capire intonazione e intensità, ma salendo ancora di frequenza è tutto molto indefinito”
Dal marzo del 2015 il giovane palermitano vive a Lugano, dove è stato ammesso al “Master of Arts in Music Pedagogy” presso il Conservatorio della Svizzera Italiana. “All’inizio ho avuto un po’ di difficoltà: è stato complicato trovare un feeling musicale con la mia insegnante di pianoforte. La sua tecnica è russa ed è molto diversa da quella italiana”. Poi le cose sono migliorate. “Abbiamo lavorato soprattutto sull’improvvisazione. La mia insegnante pensa che sia ‘il nipote di Dio'”, racconta imbarazzato.
Le giornate sono riempite interamente dalla musica. “Quasi ogni giorno ho una lezione di pianoforte, didattica o un seminario”. Si studia parecchio. “Quando va bene studio 7 ore. Ma mi è capitato di arrivare a studiare musica fino a 8, 9 ore al giorno”. Suonando, comunque, ci si diverte. “Facciamo concerti solistici o di musica da camera, anche se raramente si esce. Lugano non offre molte possibilità nel campo del divertimento”. Davide pensa al futuro. “Questo corso mi darà le opportunità per sfociare anche in campo didattico assicurandomi un lavoro stabile ed una base economica”. Opportunità che, purtroppo, per Davide in Italia è preclusa. “Con i continui tagli alla cultura sarebbe stata pura utopia rimanere”. Stesso discorso per Palermo. “Mi manca tantissimo – dice –, ma purtroppo non mi dà quello che vorrei e quindi con molto rammarico sono costretto a starle lontano. Spero un giorno di poterci tornare definitivamente perché è solo lì che vorrei vivere”.
“In Italia con i continui tagli alla cultura sarebbe stata pura utopia rimanere”
Davide compone musica autonomamente e si impegna in concerti seguitissimi in tutta Italia. L’ultimo, lo ha visto protagonista a Capo D’Orlando, davanti a duemila persone. “Alla fine ho ricevuto una standing ovation. È stato emozionante”. La musica è un mondo difficile: “Siamo artigiani che mirano alla perfezione delle forme, dei contadini che lavorano sodo per mantenere le loro serre”, spiega. Il suo sogno, comunque, è quello di diventare un concertista di musica classica. “Come mi immagino tra dieci anni? Con un pianoforte – sorride –, in giro per i teatri di tutto il mondo”.


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...