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5.1.24

Dieta dopo le feste? Una mia riflessione in merito di Ctristian porcino alias filosofo impertinente



Filosofo imertinente alias Cristian Porcino ha ragione . è' per questo che quest'anno non ho fatto per il nostro  blog ( ed le    appendici social ) la classica guida divsopravvivenza alle festività natalizie  che  ho tenuto per  ben  4\5  anni  . In particolare quella sulle diete pre o post natale o su come evitare le abbuffate .

8.5.19

Sara Dossena risponde ai leoni da tastiera: ''Sono un'atleta, più rispetto per chi soffre davvero di anoressia''

Non mi stancherò mai   di ripetere   ( e  di ripetere    a me stesso visto che spasso   ci cado   anch'io anche    se  non a  livello degli haters odiatori\leoni  da tastiera  )  che le parole  sono  importanti


La campionessa pubblica sui social un selfie scattato in palestra e partono i commenti sul suo fisico. "Lo so che sono magra, sono una maratoneta, non una quattrocentista: macino chilometri tutti i giorni e mangio sano. È il mio lavoro. Ma darmi dell'anoressica offende chi combatte tutti i giorni con i fantasmi dei disturbi alimentari".

Sara Dossena risponde ai leoni da tastiera: ''Sono un'atleta, più rispetto per chi soffre davvero di anoressia''
Sara Dossena 
 da  repubblica  online  

                               di AGNESE ANANASSO

USARE parole senza saperne il significato, colpire alla cieca in modo crudele. Usando i profili social di personaggi pubblici per esprimere la propria rabbia e superficialità. Stavolta a essere vittima di questi 'leoni da tastiera', anche se della vittima non ha proprio nulla, è Sara Dossena, classe 1984, campionessa italiana nei 10mila in pista e su strada, triathleta, campionessa italiana di duathlon Sprint e Classico. E ora definitivamente entrata nel mondo della maratona, con un personal best di 2h 24'netti. Numeri e titoli che parlano da soli e che non avrebbero bisogno di inutili parole sui social.

Ma Sara il 24 aprile ha scritto un lungo post su Facebook per rispondere a dei commenti fuori luogo sulla sua magrezza. "Io vorrei come atleta e donna essere da stimolo e ispirazione nel saper combattere per i propri sogni senza demordere mai. Vorrei essere un'immagine di sport pulito, di pazienza, lavoro e sacrificio quotidiano per poter realizzare le proprie ambizioni. Sentirmi dire 'anoressica mangia', 'sei un esempio negativo per i giovani che ti vedono così magra' mi fa male al cuore. L'anoressia è una malattia seria, un discorso mentale complesso non riducibile al solo stato di magrezza. Darmi dell'anoressica è mancanza di rispetto per chi soffre di questa patologia e lotta quotidianamente per cercare di uscirne. Cerchiamo di essere tutti più umani e sensibili, di ponderare le parole che per qualcuno possono essere vere e proprie pugnalate. Le critiche nei miei confronti sono ben accette purché siano costruttive sensate".

Repubblica ha voluto parlare con Sara, per capire da dove nascono queste parole.
 
Quale commento ha scatenato le tue riflessioni?
"Avevo pubblicato un selfie scattato davanti allo specchio della palestra e l'ho pubblicato su Instagram in una storia. Qualcuno ha commentato con parole tipo 'Viva l'anoressia', 'Mangia qualcosa', 'Non sei un buon modello per i giovani' e cose del genere. Reazioni simili ci sono state anche per una foto pubblicata su Facebook in cui nella fase post stretching ho scritto che facevo merenda con una barretta".
 
Sara Dossena
La foto "incriminata" che ha destato critiche e commenti feroci su Instagram

Cosa ti ha dato fastidio?
"Non tanto la critica in sé, lo so che sono magra, sono una maratoneta, non una quattrocentista: macino chilometri tutti i giorni e mangio sano. È il mio lavoro. Ma darmi dell'anoressica offende chi ha veramente una malattia mentale, chi combatte tutti i giorni coi fantasmi dei disturbi alimentari. Chi vive veramente un incubo. Mi ha dato fastidio la mancanza di rispetto e il basso livello di queste affermazioni".
 
Non ti sei offesa quindi?
"Assolutamente no. Sono un personaggio pubblico e come tale esposta a complimenti e critiche. Io so di essere sana e queste sono solo illazioni. Tra l'altro non ho proprio la struttura di una persona anoressica, anche il mio volto non è sofferente o riporta le caratteristiche di chi ha questo disturbo".

Quante volte ti alleni in settimana?
"Generalmente, se non ho gare in vista, faccio 9 sedute di corsa e 4-5 di nuoto. La bici l'ho un po' messa da parte da gennaio".
 
Ti segue un nutrizionista?
"No, veramente no. Faccio da sola perché ho una cultura di base che mi viene dalla laurea in scienze motorie e da alcuni approfondimenti che ho portato avanti. Il campo dell'alimentazione mi ha sempre appassionato".
 
Cosa mangi durante la giornata?
"Seguo i principi della dieta zona ma senza stare troppo attenta ai famosi 'blocchetti'. Bilancio proteine, carboidrati e grassi e ovviamente bevo molto. A colazione mangio 5-6 gallette di riso con ricotta (o prosciutto) e marmellata, frutta fresca e secca; poi mi alleno e pranzo subito dopo con riso (circa 100 grammi) oppure patate, a cui faccio seguire carne, pesce o legumi, frutta e verdura. Nel pomeriggio dopo l'allenamento mangio una barretta proteica (quella per cui sono stata criticata su Facebook e che tra l'altro è del mio sponsor) e dopo un paio di ore ceno seguendo lo stesso criterio del pranzo e alternando gli alimenti. Prima di andare a letto mangio uno yogurt greco o una barretta".
 
Mai uno strappo?
"Diciamo che mi piace mangiare sano e questo mi consente anche di abbondare nelle porzioni. Poi se c'è da mangiare una pizza o un piatto di pasta ben condito ogni tanto, non mi tiro indietro. Certo non posso farlo prima dell'allenamento perché devo restare leggera. Insomma non sto a fare troppi calcoli, non è nella mia natura: non uso neanche il cardiofrequenzimetro, figuriamoci se mi metto a pesare il cibo o a contare le calorie che consumo o ingerisco!"
 
I leoni da tastiera hanno proprio sbagliato bersaglio, quindi...
"Certo, a me non importa nulla, figuriamoci! Possono dirmi quello che vogliono perché neanche li conosco e so di essere sana: ci rimango male per l'ignoranza della gente perché ferisce chi sta male veramente".
 

20.3.17

«Così ho vinto la lotta contro l’anoressia» Erica Grazioli, 32enne di Magherno, nel suo libro “Cioccolato e cannella” ha messo nero su bianco la sua lunga lotta (vinta) contro la malattia


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Libro Cioccolato e cannella ...io e l'anoressia Erica Grazioli
https://www.ibs.it/
VOGHERA. A vederla adesso, il sorriso generoso e la voce squillante, non indovinereste mai cosa si nasconde nel passato di Erica Grazioli, trentaduenne di Magherno che alla libreria Ticinum di Voghera ha presentato il suo romanzo autobiografico “Cioccolato e cannella”. Nel libro edito da Selecta  (  copertina a destra  ) , Erica ha messo nero su bianco la sua lunga lotta contro una malattia insidiosa, di cui si parla raramente e spesso senza capirla appieno: l’anoressia. Per quasi sette anni ha combattuto per riuscire a sconfiggerla, e una volta uscita dal tunnel ha deciso di trasformare la sua esperienza in qualcosa che potesse essere d’aiuto a tante altre ragazze come lei, che ogni giorno cercano di vincere la battaglia contro il proprio corpo. 
Erica, come ci si ammala di anoressia?
«Per ognuna è diverso, non è vero quello che si dice che per lo più diventano anoressiche quelle ragazze che aspirano a un corpo perfetto, che desiderano raggiungere canoni di bellezza impossibile. Io mi sono ammalata relativamente tardi, in un periodo di stress: nel tentativo di accontentare tutti, di risultare sempre impeccabile, ho finito per dimenticarmi di me stessa, per annullarmi completamente. Fino a pesare trenta chili. Ci sono ragazze che si ammalano per carenza di affetto, per attirare l’attenzione della famiglia. In ogni caso si ammalano per lo più ragazze troppo sensibili e con una bassa autostima».
Sono tante?
«Tantissime, molte più di quanto non credessi. Nonostante durante la malattia abbia parlato spesso con altre ragazze con il mio stesso problema, non mi sono resa conto di quante fossero fino a che non ho pubblicato questo libro. Quando ne parlo con qualcuno, più o meno una persona su ciqnue mi confida di aver sofferto in prima persona di anoressia o di avere una sorella, una zia, un’amica con lo stesso problema. Spesso si crede che questa malattia riguardi solo le ragazze giovani ma non è così: anche se l’età media di chi ne viene colpito si sta abbassando, ci sono anoressiche di tutte le età, anche di sessant’anni».
Come ci si accorge che una persona è anoressica?
«Quando imbocchi la strada dell’anoressia, la malattia ti cambia. Non sei più tu. Io ero nervosa, scostante, in certi casi cattiva sia nei miei confronti che in quelli degli altri. Non uscivo più, non ridevo più, trascorrevo molto tempo da sola. Ciò non significa che chiunque si comporti così stia diventando anoressico, ma se notate un cambiamento in questo senso forse è il caso comunque di indagare: i disturbi alimentari, infatti, sono solo uno dei possibili esiti di un simile comportamento».
Come si cura?
«L’iter medico tradizionale prevede flebo e ricostituenti, ovviamente, e ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative abbinati a una terapia psicologica individuale e di gruppo. E per lo più, anche la somministrazione di psicofarmaci. Io però non ne ho mai voluto sapere».
Di psicofarmaci?
«Sì, e anche della psicoterapia. Ho fatto una sola seduta in vita mia e mi sono resa conto subito che non faceva per me. Non me la sentivo di affrontare con un estraneo certi argomenti, di spiegargli cosa c’era che non andava in me. Così in larga parte ( fatto salvo per un periodo di un paio di mesi in ospedale quando proprio non ho potuto farne a meno) ho portato a termine da sola il mio percorso, ne sono uscita con le mie sole forze».
Cosa l’ha aiutata?
«Parlare con chi aveva il mio stesso problema è stato di grande aiuto, ed è anche per questo che ho scritto un libro sulla mia esperienza e continuo a frequentare ragazze malate di anoressia. I disturbi alimentari sono subdoli, difficili da comprendere. Uno pensa “che ci vuole a uscirne, devi solo mangiare”, e non si rende conto che è contro la tua mente che lotti, e che non ne riesci ad avere il controllo. Non è diversa da qualunque altra malattia mentale, in effetti».
E se ne esce davvero?
«Se ne esce, sì, ma non è detto che se ne esca per sempre. Nel mio caso, avendo avuto origine da un periodo di stress, torna a bussare alla porta quando aumentano le tensioni, sia a livello relazionale che a livello lavorativo. Ora però ho imparato a riconoscerne
i segnali e quando mi accorgo di essere a rischio, metto la mia salute al primo posto. Tiro fuori un po’ di sano egoismo, e lo faccio perché se c’è una cosa che questa malattia mi ha insegnato, è che devo voler bene a me stessa e al mio corpo».


                                           Serena Simula

2.12.13

LA CULTURA DEL CORPO CHE AFFAMA L'ANIMA

ho appena  terminato il primo post -prima puntata  della guida   di sopravvivenza  e  anti spreco   a natale   che   mi  ritornato alla mente  un articolo  di televideorai ora  http://www.rainews.it/   sui  nuovi problemi del cibo .  va bene  la cultura del proprio corpo  , ma  senza  esagerare  e  sfociare nel fanatismo che  è alla base  di questi problemi  

  Sono più di 2 milioni i giovani che in  Italia soffrono di disturbi del compor amento alimentare. Obesità, bulimia,   anoressia, ma anche nuove forme di disturbo come la "bigoressia" (ossessione del corpo muscoloso), o l"ortoressia"   (l'ossessione del cibo sano).
 Dati che emergono dal convegno nazionale del Sima,Società italiana di medici- na dell'adolescenza. Numeri sottostima ti, che si manifestano per il 40% dei   casi tra i 15 e i 19 anni,a volte anche  tra gli 8 e i 12. Nel 90% dei casi, comunque, prima dei 25 anni. La cosa più  preoccupante è che i giovani non riconoscono il disturbo e rifiutano il     trattamento.    
 "E'un disturbo del comportamento-spiega il presidente  del Sima- più i ragazzi sono sotto pressione più perdono  il passo con la realtà.E' la spia della  tossicità delle relazioni,degli stimoli degli affetti, il bulimia  (  foto  a destra  )  
disturbo parte dalla  cultura del corpo, ma non solo: i problemi dei giovani vengono riversati sul  cibo, l'alimentazione diventa così la    soluzione per un disagio".      A patire di più sono le ragazze, che    contrariamente ai maschi "non razionalizzano spesso in modo esasperato l'attenzione al corpo", ma cresce il disagio tra i ragazzi, più resistenti al    trattamento: per loro si tratta di "una malattia da femmine".In aumento
Se il disturbo del comportamento alimentare viene intercettato entro il     primo anno da quando si manifesta, la   guarigione si avvicina al 100%.       
 Segnali allarmanti? La dieta eccessiva, il pesarsi più volte al giorno,sensi di  colpa rispetto all'alimentazione,l'eccessiva attenzione all'esteriorità.    
 Ma qual è la cura?"Non è certamente lavorare sul peso - spiega il presidente  Sima- ma ristrutturare l'identità delle  persone". Fondamentale la cooperazione   tra famiglia,insegnanti e servizi sanitari territoriali."Bisogna lavorare sui  microsistemi, il macrosistema è più difficile da cambiare", conclude.     

20.3.13

il lungo volo di una farfala che non vuole diventare crisalide . la storia di Iris un caso di Mtf

poichè  due  poarole sono trpppe  e una è troppo  lascio che a raccontare  la stroia  de post d'oggi sia lo  stesso   la stessa  protagonista  sia  attraverso  il video e  la dicitura  riportato in questo post 


Iside, il bruco diventa farfalla", racconta la storia di Iside, giovane transessuale MtF e del suo percorso per diventare veramente ciò che è sempre stata: una donna. Dalla realtà incementata di pregiudizio di un piccolo borgo rurale, alle aule spesso troppo grandi, dell'università. Il lungo volo di una farfalla che non vuole rimanere crisalide.




per chi volesse approfondire l'argomento

1.11.08

La mia storia - Fall to pieces (and rise again?!) - 1

Tratto dal mio blog Anoressia: after dark

Ci sono cose della vita che pensi non potranno mai accaderti. Le vedi in TV, le leggi sui giornali, ne senti parlare, ma sono così distanti che non ti sembrano davvero reali. Poi un giorno apri gli occhi e ti accorgi che, invece, sono vere. E che stanno succedendo proprio a te.

Fino ai 14 – 15 anni ho avuto una vita tutto sommato “normale”. Ero una ragazzina brava a scuola, ubbidiente, ordinata, carina… una ragazzina normale. Eppure, ad un certo punto, è successo. Cosa, esattamente? Neanch’io saprei dirlo. Ma è successo. Avrei potuto avere tutto, tutto quello che una ragazza normale potrebbe avere, ma non era abbastanza. O, forse, era troppo.

Un giorno mi sono guardata allo specchio e non ho visto quel che avrei voluto vedere. Il riflesso che mi rimandava non era quello che avrei voluto che fosse. Non mi piaceva. Non volevo essere quella me stessa. Volevo essere un’altra me stessa. Non mi piaceva quel riflesso. Mi faceva schifo. Se avessi potuto, avrei sputato su quel riflesso prima di rompere lo specchio e urlare, tanto mi detestavo. Avevo paura. Così ho iniziato a sognare un’altra me stessa, di essere diversa, di essere felice, di essere libera. Perciò ho detto basta. Basta a quella me stessa. Basta a quel detestabile riflesso. Volevo che lo specchio mostrasse quel che realmente c’era dentro di me. Non volevo essere mediocre. Non volevo essere normale. Volevo che tutti, guardandomi, vedessero qualcosa di speciale.

Sapevo che, per fare questo, avrei dovuto distruggere la me stessa dello specchio. Sapevo che sarebbe stata dura. Sapevo che sarebbe stato difficile. Sapevo che avrei dovuto mettere in gioco tutto e riuscire a controllarlo. Sapevo che si sarebbe trattato di camminare sul filo di un rasoio. Ma sapevo anche quel che volevo: diventare perfetta. Perciò ho iniziato a guardare dritta davanti a me giurandomi di diventare perfetta a qualunque prezzo.
Percorrendo quella che al momento mi sembrava l’unica via possibile.

Così ho iniziato. Senza neanche rendermene conto, senza sapere quello che stavo facendo, sono scivolata nella spirale discendente dell’anoressia. L’ho fatto coscientemente, lucidamente, pur non potendo ovviamente in quel momento prevedere quali ne sarebbero state le conseguenze. Ho deciso di cambiare. Ho deciso di dimagrire. Ho deciso di restringere. Ho deciso di controllare. Ho deciso di essere forte. Ho deciso di diventare perfetta. E tutto è cominciato. Mi sono lavata il viso con cura ed ho iniziato a guardarmi allo specchio con soddisfazione. Nel giro di poche settimane sono diventata veramente abile: restringere l’alimentazione, controllare i tipi di alimenti ingeriti non mi dava più nessun problema. Nei primi tempi era stato più difficile tenere a freno l’appetito, soprattutto di fronte a un piatto ricolmo di cose gustose, ma poi il periodo critico è passato. Basta con l’acquolina in bocca e la fame, tutto passato: non stavo mai tanto bene come quando rinunciavo a mangiare qualcosa, come quando riuscivo a seguire la mia dieta. Che sollievo sarebbe stato rinunciare, assieme al cibo, anche a me stessa! Ma forse era proprio quel che succedeva, tanto forse era la sensazione di diventare giorno dopo giorno un corpo sempre più sottile. La restrizione è a poco a poco diventata un riflesso automatico e facile da controllare. La fame ha iniziato a non cogliermi più di sorpresa, in luoghi poco adatti o momenti inopportuni. Ho iniziato a dominarla. E la cosa mi dava un gran senso di potere, una soddisfazione analoga al benessere. Dopo aver resistito alle lusinghe del cibo mi sentivo come liberata, leggera. Al punto da pensare che ero forte, che ero brava, che riuscivo a fare qualcosa che ben pochi sarebbero stati in grado. Potere e controllo. E avanti a verdure scondite, yogurt magri, biscotti integrali giorno dopo giorno. Mangiare poco, col tempo, ha iniziato a diventare sempre più facile. Un piccolo sforzo di fronte a una grande soddisfazione. Le mie braccia diventavano leggere, aeree: le mie ali. Avessi potuto, sarei voltata via dalla vita. E allora me ne sarei andata da tutto. Tanto nessuno se ne sarebbe accorto in tempo per trovarmi e riprendermi. Forza e controllo, l’essenza. In una parola: onnipotenza.

Non saprei definire l’ossessione. Credo la si porti sempre in sé. Spesso basta un nulla a scatenarla. S’insinua in te silenziosa, attacca lentamente, tortuosa, distorce, ogni parte del tuo essere. Ma è furba, e terribilmente manipolatrice, perché si fa passare per tua amica ma non rinuncia per questo a tradirti. In tutto questo, la sofferenza non è che un effetto secondario. Quasi sempre, quando entri in un disturbo alimentare, non te ne rendi conto perché non fa male, anzi. La cosa più dolorosa è la caduta. Il momento in cui capisci. Inevitabile. Io non volevo vederla arrivare. E poi ho finito necessariamente per atterrare.

Il filo si è spezzato, i miei giochi scoperti, le mie bugie svelate. Il mio universo disintegrato. I miei genitori si sono accorti di quello che stavo facendo e sono corsi ai ripari. A loro modo, si capisce. Mi hanno trascinata dal medico, poi da una dietista, poi da una psichiatra. Mi hanno detto che mi volevano aiutare a stare bene e che, con quello che stavo facendo, li avevo feriti e stavo distruggendo la loro vita. Non si sono accorti che, con ciò che si sono messi a fare “per il mio bene”, hanno iniziato a distruggere quella che in quel momento consideravo la mia vita. Sono stata portata da una psichiatra e il verdetto pronunciato nel suo ufficio dopo più di due ore di colloquio è stato unico, senza possibilità d’appello: date le mie condizioni psicofisiche, c’era una sola cosa che bisognava fare, un'unica possibile soluzione alla fine di tutto. Mamma e papà erano perfettamente d’accordo. Ma io l’ho capito in quel momento, nello studio della psichiatra: quella che le proponeva non era la sola soluzione alla fine di tutto. Tutto era già finito. Chi mi ha cacciata dal mio paradiso? Quale peccato e quale angelo? Chi mi ha costretta a correre così, senza riposo?

Sono così stata ricoverata in una clinica neuropsichiatria per ragazze con disturbi alimentari. Ed è stato il primo di una lunga serie di ricoveri, più o meno consenzienti. Ricoveri in cui ho avuto a che fare con ogni genere di persone, in cui mi sono state affibbiate ogni genere di etichette. Ogni volta che uscivo da quella clinica le cose sembravano andare un po’ meglio, mi sentivo più forte, più motivata, più decisa a farla finita una volta per tutte con l’anoressia… ma ogni volta ci sono ricaduta, ho resistito un po’ e poi ho ricominciato a restringere, in un circolo vizioso che sembrava veramente non avere mai fine. E mi sentivo stanca, tanto stanca. Stanca di vivere solo per morire. Stanca di morire solo per vivere. Avrei voluto imparare a vivere solo per vivere.

E poi mi sono accorta che mi ero fregata da sola. Che l’anoressia non mi avrebbe mai portato tutto quello che prometteva. Anzi, al contrario, avrei dovuto sopportare una vita fatta solo di compromessi, dove non ci sarebbe stata davvero gran differenza tra vivere e morire. Un vita a metà. E mi sono resa conto che l’anoressia aveva promesso di farmi sentire diversa, speciale, forte, in controllo… ma che in realtà la mia infernale compagna mi aveva fatta prigioniera, rubando anni, energie, pensieri, amici, hobby, studio, lavoro. Aveva rubato me stessa, aveva cancellato quello che ero e quello che avrei potuto essere. Aveva portato via la parte migliore di me, le cose che amavo. Perciò mi era rimasta solo una grande stanchezza, una solitudine senza confini, giorni fatti di ossessione e di vuoto. Niente. Non mi era rimasto più niente. Forse è stata questa la molla che mi ha spinto a reagire. Non so bene neppure com’è iniziato. Ma, già, dopo tanti anni, è proprio iniziato. È quasi buffo, no? Ma, chissà, forse è stato perché stava finendo tutto e io non volevo che finisse in quel modo. Sentivo che ogni giorno un pezzo di me se ne andava e io non sapevo più che fare. La cosa più terribile, mi sono accorta in quel momento, non è morire. L’inferno vero è restare, restare senza esserci mai. Restare senza sapere più dove andare. Non volevo vivere in quel modo… in fin dei conti, avevo sempre il desiderio di fare qualcosa di speciale. E allora ho capito che la cosa più speciale che potessi fare era provare ad essere normale. E a sopportare, in questa normalità, tutte le sfide quotidiane. Perché è questa la vera forza. Non quella illusoria che l’anoressia sembra dare. L’estate stava arrivando, e volevo godermi anch’io un giorno di sole sentendomi libera. Perché volevo ancora sperare. Perché volevo ritornare. E allora ho preso il mio “equilibrio alimentare”, cioè la dieta in cui c’è scritto tutto ciò che devo mangiare quotidianamente e in quali dosi, e mi sono messa a seguirla sul serio, senza sgarrare. Che è ciò che sto facendo tuttora. E mi sto accorgendo che, effettivamente, una sorta di via d’uscita la si può trovare. Basta volerlo veramente.

Traendo ispirazione da quello che mi circondava, ho cercato di trasformarla in motivazione. Mi sono accorta che non avrei mai potuto fare quello che mi ero programmata, che non avrei potuto guarire nessun altro se prima non avessi provato a guarire me stessa. Che il percorso che avevo intrapreso si sarebbe inevitabilmente rivelato fallimentare nonché un inutile spreco di tempo, che se non avessi iniziato a lavorare su me stessa non avrei mai potuto ostentare la presunzione di poter lavorare su qualcun altro.

L’anoressia è una prigione che non ha odore, che non ha sbarre, che non ha mura: una prigione per la mente… Certo, è una cosa da cui sono passata, e niente potrà cancellarla. Ma la porterò nel doppio fondo dell’anima per sempre, come una contrabbandiera dell’orrore. Sorella morte. Ma la mia vita è ancora nelle mie mani, perciò sta a me decidere cosa farne. Anche se sono arrivata a pesare XX Kg, veramente a un paso dalla morte, mi è stata data una seconda possibilità. E adesso ho deciso di provare a non sprecarla.

Certo, sono ancora anoressica. Lo sarò per tutta la vita, come una persona che ha smesso di bere continuerà comunque a considerarsi un’alcolista. Ma, magari, un alcolista che dice: sono XX anni che non tocco una goccia d’alcool. Bene, mi piacerebbe poter arrivare a dire una cosa del genere. Sono XX anni che non restringo l’alimentazione.

Vivere è possibile. Sta solo a voi scegliere di farlo – e come farlo. Io ho fatto la mia scelta. Spero che sia anche la vostra.

30.10.08

La mia storia - Fall to pieces (and rise again?!)

Tratto dal mio blog - Anoressia: after dark

Ci sono cose della vita che pensi non potranno mai accaderti. Le vedi in TV, le leggi sui giornali, ne senti parlare, ma sono così distanti che non ti sembrano davvero reali. Poi un giorno apri gli occhi e ti accorgi che, invece, sono vere. E che stanno succedendo proprio a te.

Fino ai 14 – 15 anni ho avuto una vita tutto sommato “normale”. Ero una ragazzina brava a scuola, ubbidiente, ordinata, carina… una ragazzina normale. Eppure, ad un certo punto, è successo. Cosa, esattamente? Neanch’io saprei dirlo. Ma è successo. Avrei potuto avere tutto, tutto quello che una ragazza normale potrebbe avere, ma non era abbastanza. O, forse, era troppo.

Un giorno mi sono guardata allo specchio e non ho visto quel che avrei voluto vedere. Il riflesso che mi rimandava non era quello che avrei voluto che fosse. Non mi piaceva. Non volevo essere quella me stessa. Volevo essere un’altra me stessa. Non mi piaceva quel riflesso. Mi faceva schifo. Se avessi potuto, avrei sputato su quel riflesso prima di rompere lo specchio e urlare, tanto mi detestavo. Avevo paura. Così ho iniziato a sognare un’altra me stessa, di essere diversa, di essere felice, di essere libera. Perciò ho detto basta. Basta a quella me stessa. Basta a quel detestabile riflesso. Volevo che lo specchio mostrasse quel che realmente c’era dentro di me. Non volevo essere mediocre. Non volevo essere normale. Volevo che tutti, guardandomi, vedessero qualcosa di speciale.

Sapevo che, per fare questo, avrei dovuto distruggere la me stessa dello specchio. Sapevo che sarebbe stata dura. Sapevo che sarebbe stato difficile. Sapevo che avrei dovuto mettere in gioco tutto e riuscire a controllarlo. Sapevo che si sarebbe trattato di camminare sul filo di un rasoio. Ma sapevo anche quel che volevo: diventare perfetta. Perciò ho iniziato a guardare dritta davanti a me giurandomi di diventare perfetta a qualunque prezzo.
Percorrendo quella che al momento mi sembrava l’unica via possibile.

Così ho iniziato. Senza neanche rendermene conto, senza sapere quello che stavo facendo, sono scivolata nella spirale discendente dell’anoressia. L’ho fatto coscientemente, lucidamente, pur non potendo ovviamente in quel momento prevedere quali ne sarebbero state le conseguenze. Ho deciso di cambiare. Ho deciso di dimagrire. Ho deciso di restringere. Ho deciso di controllare. Ho deciso di essere forte. Ho deciso di diventare perfetta. E tutto è cominciato. Mi sono lavata il viso con cura ed ho iniziato a guardarmi allo specchio con soddisfazione. Nel giro di poche settimane sono diventata veramente abile: restringere l’alimentazione, controllare i tipi di alimenti ingeriti non mi dava più nessun problema. Nei primi tempi era stato più difficile tenere a freno l’appetito, soprattutto di fronte a un piatto ricolmo di cose gustose, ma poi il periodo critico è passato. Basta con l’acquolina in bocca e la fame, tutto passato: non stavo mai tanto bene come quando rinunciavo a mangiare qualcosa, come quando riuscivo a seguire la mia dieta. Che sollievo sarebbe stato rinunciare, assieme al cibo, anche a me stessa! Ma forse era proprio quel che succedeva, tanto forse era la sensazione di diventare giorno dopo giorno un corpo sempre più sottile. La restrizione è a poco a poco diventata un riflesso automatico e facile da controllare. La fame ha iniziato a non cogliermi più di sorpresa, in luoghi poco adatti o momenti inopportuni. Ho iniziato a dominarla. E la cosa mi dava un gran senso di potere, una soddisfazione analoga al benessere. Dopo aver resistito alle lusinghe del cibo mi sentivo come liberata, leggera. Al punto da pensare che ero forte, che ero brava, che riuscivo a fare qualcosa che ben pochi sarebbero stati in grado. Potere e controllo. E avanti a verdure scondite, yogurt magri, biscotti integrali giorno dopo giorno. Mangiare poco, col tempo, ha iniziato a diventare sempre più facile. Un piccolo sforzo di fronte a una grande soddisfazione. Le mie braccia diventavano leggere, aeree: le mie ali. Avessi potuto, sarei voltata via dalla vita. E allora me ne sarei andata da tutto. Tanto nessuno se ne sarebbe accorto in tempo per trovarmi e riprendermi. Forza e controllo, l’essenza. In una parola: onnipotenza.

Non saprei definire l’ossessione. Credo la si porti sempre in sé. Spesso basta un nulla a scatenarla. S’insinua in te silenziosa, attacca lentamente, tortuosa, distorce, ogni parte del tuo essere. Ma è furba, e terribilmente manipolatrice, perché si fa passare per tua amica ma non rinuncia per questo a tradirti. In tutto questo, la sofferenza non è che un effetto secondario. Quasi sempre, quando entri in un disturbo alimentare, non te ne rendi conto perché non fa male, anzi. La cosa più dolorosa è la caduta. Il momento in cui capisci. Inevitabile. Io non volevo vederla arrivare. E poi ho finito necessariamente per atterrare.

Il filo si è spezzato, i miei giochi scoperti, le mie bugie svelate. Il mio universo disintegrato. I miei genitori si sono accorti di quello che stavo facendo e sono corsi ai ripari. A loro modo, si capisce. Mi hanno trascinata dal medico, poi da una dietista, poi da una psichiatra. Mi hanno detto che mi volevano aiutare a stare bene e che, con quello che stavo facendo, li avevo feriti e stavo distruggendo la loro vita. Non si sono accorti che, con ciò che si sono messi a fare “per il mio bene”, hanno iniziato a distruggere quella che in quel momento consideravo la mia vita. Sono stata portata da una psichiatra e il verdetto pronunciato nel suo ufficio dopo più di due ore di colloquio è stato unico, senza possibilità d’appello: date le mie condizioni psicofisiche, c’era una sola cosa che bisognava fare, un'unica possibile soluzione alla fine di tutto. Mamma e papà erano perfettamente d’accordo. Ma io l’ho capito in quel momento, nello studio della psichiatra: quella che le proponeva non era la sola soluzione alla fine di tutto. Tutto era già finito. Chi mi ha cacciata dal mio paradiso? Quale peccato e quale angelo? Chi mi ha costretta a correre così, senza riposo?

Sono così stata ricoverata in una clinica neuropsichiatria per ragazze con disturbi alimentari. Ed è stato il primo di una lunga serie di ricoveri, più o meno consenzienti. Ricoveri in cui ho avuto a che fare con ogni genere di persone, in cui mi sono state affibbiate ogni genere di etichette. Ogni volta che uscivo da quella clinica le cose sembravano andare un po’ meglio, mi sentivo più forte, più motivata, più decisa a farla finita una volta per tutte con l’anoressia… ma ogni volta ci sono ricaduta, ho resistito un po’ e poi ho ricominciato a restringere, in un circolo vizioso che sembrava veramente non avere mai fine. E mi sentivo stanca, tanto stanca. Stanca di vivere solo per morire. Stanca di morire solo per vivere. Avrei voluto imparare a vivere solo per vivere.

E poi mi sono accorta che mi ero fregata da sola. Che l’anoressia non mi avrebbe mai portato tutto quello che prometteva. Anzi, al contrario, avrei dovuto sopportare una vita fatta solo di compromessi, dove non ci sarebbe stata davvero gran differenza tra vivere e morire. Un vita a metà. E mi sono resa conto che l’anoressia aveva promesso di farmi sentire diversa, speciale, forte, in controllo… ma che in realtà la mia infernale compagna mi aveva fatta prigioniera, rubando anni, energie, pensieri, amici, hobby, studio, lavoro. Aveva rubato me stessa, aveva cancellato quello che ero e quello che avrei potuto essere. Aveva portato via la parte migliore di me, le cose che amavo. Perciò mi era rimasta solo una grande stanchezza, una solitudine senza confini, giorni fatti di ossessione e di vuoto. Niente. Non mi era rimasto più niente. Forse è stata questa la molla che mi ha spinto a reagire. Non so bene neppure com’è iniziato. Ma, già, dopo tanti anni, è proprio iniziato. È quasi buffo, no? Ma, chissà, forse è stato perché stava finendo tutto e io non volevo che finisse in quel modo. Sentivo che ogni giorno un pezzo di me se ne andava e io non sapevo più che fare. La cosa più terribile, mi sono accorta in quel momento, non è morire. L’inferno vero è restare, restare senza esserci mai. Restare senza sapere più dove andare. Non volevo vivere in quel modo… in fin dei conti, avevo sempre il desiderio di fare qualcosa di speciale. E allora ho capito che la cosa più speciale che potessi fare era provare ad essere normale. E a sopportare, in questa normalità, tutte le sfide quotidiane. Perché è questa la vera forza. Non quella illusoria che l’anoressia sembra dare. L’estate stava arrivando, e volevo godermi anch’io un giorno di sole sentendomi libera. Perché volevo ancora sperare. Perché volevo ritornare. E allora ho preso il mio “equilibrio alimentare”, cioè la dieta in cui c’è scritto tutto ciò che devo mangiare quotidianamente e in quali dosi, e mi sono messa a seguirla sul serio, senza sgarrare. Che è ciò che sto facendo tuttora. E mi sto accorgendo che, effettivamente, una sorta di via d’uscita la si può trovare. Basta volerlo veramente.

Traendo ispirazione da quello che mi circondava, ho cercato di trasformarla in motivazione. Mi sono accorta che non avrei mai potuto fare quello che mi ero programmata, che non avrei potuto guarire nessun altro se prima non avessi provato a guarire me stessa. Che il percorso che avevo intrapreso si sarebbe inevitabilmente rivelato fallimentare nonché un inutile spreco di tempo, che se non avessi iniziato a lavorare su me stessa non avrei mai potuto ostentare la presunzione di poter lavorare su qualcun altro.

L’anoressia è una prigione che non ha odore, che non ha sbarre, che non ha mura: una prigione per la mente… Certo, è una cosa da cui sono passata, e niente potrà cancellarla. Ma la porterò nel doppio fondo dell’anima per sempre, come una contrabbandiera dell’orrore. Sorella morte. Ma la mia vita è ancora nelle mie mani, perciò sta a me decidere cosa farne. Anche se sono arrivata a pesare XX Kg, veramente a un paso dalla morte, mi è stata data una seconda possibilità. E adesso ho deciso di provare a non sprecarla.

Certo, sono ancora anoressica. Lo sarò per tutta la vita, come una persona che ha smesso di bere continuerà comunque a considerarsi un’alcolista. Ma, magari, un alcolista che dice: sono XX anni che non tocco una goccia d’alcool. Bene, mi piacerebbe poter arrivare a dire una cosa del genere. Sono XX anni che non restringo l’alimentazione.

Vivere è possibile. Sta solo a voi scegliere di farlo – e come farlo. Io ho fatto la mia scelta. Spero che sia anche la vostra.

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