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7.9.24

Ma io mi domando ma come diavolo si fa a prendere in giro Bebe vio ? A ironizzare sulle sue cicatrici?



Seguendo  le  paraolimpiadi     da   due  \  tre edizioni  di paraolimpiadi    conoscevo già la storia di Beatrice " Bebe " Vio . Una storia molto commovente e  ognoi volta  che  apprendo che   vince ( ma  anche  no )  una medaglia   mi luccicano gli occhi   . Infatti essa  come  molte delle   storie  degli atleti\e olimpici  e   paraolimpici     è  una storia  da fare venire le lacrime agli occhi.Cosi  come   ho  scritto  

 
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Una cosa che mi ha molto colpito di queste ultime #olimpiadi e #paralimpiadi, sono le atlete/gli atleti italiane/i e le interviste, le loro risposte, il senso della vita e dello sport.
In aperta contrapposizione, molto spesso, allo stile e ai modelli delle classi dirigenti \ culturali del Paese.

utte le reazioni:
   Giuseppe Posadino, Mimma Pallavicini e 1 altra persona


 

 Ammirevole e degna di stima il coraggio e la determinazione,  come   tutti   gli atleti paraolimpici   ed  olimpionici  (ma anche no ) che  si mettono  indiscussione  ed  lottano  per  il  riscatto  e  i  loro  limiti   , di questa ragazza che non si arrende alle disgrazie agli urti della vita e che mette cervello, anima e cuore fino a raggiungere i propri obiettivi. Quelli che l’attaccano soprattutto gratuitamente  dovrebbero solo vergognarsi perché non hanno nulla di umano e nessuna empatia ed immedesimazione verso la sua situazione .Ma io mi domando come


da Professor X

ma come diavolo si fa a prendere in giro questa ragazza? A ironizzare sulle sue cicatrici? Ho letto dei commenti indecenti, indecenti a dir poco ! Ecco, quando aveva soltanto 11 anni, Beatrice viene colpita da una forma di meningite acuta. I medici nel tentativo di salvarle la vita le amputano le braccia e le gambe. Così, di colpo a 11 anni una bambina che fino al giorno prima era stata felice e spensierata si trova senza braccia e senza gambe. La meningite le ha anche lasciato delle profonde cicatrici, sul corpo, sul volto, ma la malattia non ha rappresentato la [sua] fine. Non ha messo fine alla passione di Beatrice per il fioretto. Pensate che questa meravigliosa ragazza è stata l'unica atleta al mondo a gareggiare con quattro protesi! Quattro, avete capito bene.E ha stravinto. Sempre. A Tokyo e a Rio ha conquistato l’oro e il bronzo, ma la sua non è stata soltanto una vittoria sportiva. Ha commosso tutti quanti con il suo sorriso scoppiettante, con la sua ironia, e la capacità di scherzare, anche davanti alle avversità più grandi. Perché Bebe oltre a lasciare il segno nella storia del fioretto, ha lasciato il segno nel cuore di mezzo mondo. Ecco questa è la storia di Beatrice, o Bebe Vio come si fa chiamare lei.L’altro ieri, dopo un incontro spettacolare a Parigi, Bebe conquista la sua quinta medaglia olimpica. E qualche idiota ne ha approfittato per attaccarla. Per deriderla. E allora mi domando: ma che diavolo è successo alle persone? Il problema non è più l’ignoranza e neanche la stupidità, è proprio tutto il resto che manca. Non è che molti non hanno un cuore, è proprio di un cervello che sono sprovvisti. Ecco perché a questi leoni da tastiera voglio rispondere così: non siete uomini, e non siete neanche animali, perché le bestie sono migliori di voi. Hanno più umanità. A Bebe invece voglio dire una cosa soltanto: bravissima! Una CAMPIONESSA… dentro e fuori, in tutto!


Infatti ne avevo già parlato in un precedente post qui se non erro , ma mi piace ricordarlo , ha gareggiato con il cognome della madre

da labodif



Il cognome della madre.
A queste Paralimpiadi Bebe Vio è diventata Bebe Vio Grandis. Perché a quello del padre ha aggiunto il cognome materno.
A Fanpage ha spiegato: “È stata una scelta famigliare comune di aggiungere il cognome di mamma, ci tenevamo a farlo per puro orgoglio. Abbiamo impiegato un po’ di tempo perché è stato veramente un casino fare tutte le pratiche. Pensavamo fosse giusto nei confronti di mamma, della famiglia di mamma, avere quella parte di storia con noi.
E lei ne è stata fiera”.
Avere quella parte di storia con noi.

Grazie Bebe.



13.12.23

Devi fare la fine di quella di Vigonovo". Quella di Vigonovo è, ovviamente, la povera Giulia Cecchettin, ossia la vittima di un recente fatto di cronaca che avrebbe dovuto smuovere le coscienze di tutti ma evidentemente non è stato così.


ecco perchè il caso di Giulia C è un caso particolare . infatti ha ragione il mio     contatto  Guido Esposito  che     ha commebntato : << In questo caso tocca al figlio educare il padre, cominciando col dirgli: "Papà, sei una merd@!">>


Maria Patanè  10 h  · 



Devi fare la fine di quella di Vigonovo". Quella di Vigonovo è, ovviamente, la povera Giulia Cecchettin, ossia la vittima di un recente fatto di cronaca che avrebbe dovuto smuovere le coscienze di tutti ma evidentemente non è stato così. E la cosa, purtroppo, non sorprende assolutamente. Ne parliamo perchè questa frase, assieme ad altre offese che l'hanno preceduta, sono state pronunciate ad una partita di basket.Ad una partita di basket di ragazzi di 17 anni, arbitrati da una coetanea.La frase è stata pronunciata dal padre di uno dei giocatori durante una partita giocata lo scorso week end in provincia di Padova, proprio a pochi km da Vigonovo.Ad intervenire per cercare di arginare la violenza verbale dell'uomo, è stato il padre dell'arbitra. La Federazione ha offerto tutela e vicinanza all'arbitra e a breve prenderà provvedimenti in merito. Ma non è questo il punto.Di fronte ad un fatto del genere, non dobbiamo indignarci perchè sia avvenuto ad una partita di basket, sport che ci sta tanto a cuore.Dobbiamo indignarci perchè questo orribile episodio sia avvenuto.E perchè, quotidianamente, in ogni ambito sociale, accadono episodi di violenza come questi.Dobbiamo indignarci perchè prima di questa frase, nessuno è intervenuto quando l'uomo aveva già iniziato da diversi minuti ad offendere l'arbitra. Come se fosse normale. Come se fosse una consuetudine radicata nello sport offendere un arbitro.Dobbiamo indignarci perchè, probabilmente, tutto ciò che viene fatto per cercare non solo di migliorare la cultura sportiva, ma soprattutto di arginare l'enorme problema della violenza contro le donne, è gravemente insufficiente.Dobbiamo indignarci perchè questo episodio è lo specchio di una parte della società in cui viviamo. Una società che si auto-assolve al grido di "non siamo tutti così", dimenticandosi del focus del problema: risolverlo.Anche questo episodio, come tutti, creerà scalpore per alcune ore, salvo poi riporlo nel cassetto in attesa del prossimo. Su un campo da basket, in un ufficio, sull'autobus, in discoteca, tra le mura domestiche.Mandiamo un grande abbraccio a questa ragazza sperando possa superare quello che le è accaduto, sperando che non perda la voglia di arbitrare e l'amore per il basket, sperando di garantirle in futuro di vivere le sue passioni in un ambiente migliore grazie all'impegno concreto di tutti.

Da @Parallelecinico su X



12.9.23

“Io, in carrozzina, offro una stanza in cambio di un piccolo aiuto”: Elena Rasia sommersa dall’odio social

Leggendo la  storia  che  trovate  sotto  , mi chied  ma qiuesti  haters  odiatori , lo hanno capito   il significato  dell'annuncio    ?   lo  sanno cosa  è  il  valore  della  condivisione   ? Posso  capire    i  dubbi   ma  la  cattiveria  no  . 

  repubblica  ed  bologna  del  12 SETTEMBRE 2023 

“Io, in carrozzina, offro una stanza in cambio di un piccolo aiuto”: Elena Rasia sommersa dall’odio social
"Vuoi una badante senza pagarla”, hanno scritto alla 31enne, giornalista e fondatrice della piattaforma Indi Mates per l’abitare collaborativo. “Non mi serve un’assistente personale, solo una coinquilina

                                                                       Alessandra Arini


BOLOGNA – “Questo progetto è una fregatura”, le hanno scritto, oppure, “Non so se è un abbocco”.
 Tanta cattiveria Elena Rasia, 31 anni, giornalista, in carrozzina perché affetta da paralisi cerebrale, non se l’aspettava. Sotto il suo annuncio di una stanza gratis a Bologna, i commenti negativi nelle ultime ore si sono moltiplicati. “Mi ha sorpreso l’odio degli haters verso di me”, racconta. Da quattro anni, tramite la piattaforma Indi Mates, di cui è creatrice, ha dato vita infatti ad un progetto di abitare collaborativo sperimentale, che permette a lei e un’altra persona di venirsi incontro nei propri reciproci bisogni di autonomia e che punta ad essere un modello diffuso. Ora, dopo la fortunata esperienza, appena conclusa, con la studentessa e giovane lavoratrice Margherita, sta cercando una nuova coinquilina. Ma i feedback ricevuti al suo post, non fanno ben sperare: “Lo trovo disonesto nei confronti di persone che cercano casa e che si troverebbero a farti da badante senza retribuzione”, ha commentato qualche utente.

Lei, nata in un piccolo paese dell’appennino, Luminasio, e con il sogno di una vita indipendente sotto le Torri, affitta infatti gratuitamente una singola, appena fuori dal centro, in cambio del contributo minimo per le utenze e di quale compito di cura nei suoi confronti, che le permetta di vivere in città. Per quattro sere a settimana, dal lunedì al giovedì, all’aspirante coinquilina viene richiesto un aiuto nella routine notturna: come la collaborazione per infilare il pigiama ecc.: “Un impegno minimo, non cerco una badante – specifica- Né un assistente personale, che ho e pago con la mia pensione di invalidità. Solo una coinquilina, e magari anche un’amica, che ovviamente potrà avere la vita sociale che vuole. Ma la gente mi sta dando dell’approfittatrice”.Per Elena, invece questa, anche alla luce dell’emergenza abitativa, è un’opportunità per tutti, proprio per l’ampio concetto di autonomia che comprende: “Anche in una città con questi affitti, mettere a disposizione un posto, in cambio di piccoli doveri cura, può essere una scommessa di abilismo”. La paura ora è che queste risposte di odio virtuale possano mettere a repentaglio il suo progetto di vita autonoma –“In questa fase di transizione dorme qui una mia amica, ma non so quanto potrà durare. Penso ci sia alla base molta ignoranza sulla disabilità: molti ci vedono come persone ospedalizzate, che hanno bisogno di continua assistenza. Non è così”.


30.8.23

Si può dire, scrivere, cantare tutto? Sì, ma poi bisogna assumersene le responsabilità e pagare le conseguenze se si viola la legge , i casi di Vannacci e di Daniele de Martino

 Si può dire, scrivere, cantare tutto? Si può schermare ogni cosa dietro la libertà di parola e di opinione? Come noto questa estate il tema è stato ampiamente oggetto di dibattito per il libro (? )  di Roberto Vannacci. Ma c’è un’altra vicenda di questi giorni che ha diversi punti di contatto con la questione del volume del generale. È quella che riguarda l’annullamento dei concerti del cantante neomelodico Daniele De Martino nei comuni di Canosa e di Sant’Agata di Puglia dopo


che le relative Questure hanno rilevato elementi di “criticità” ed “esigenze di sicurezza e ordine pubblico”. Con un video dai suoi canali De Martino si difende “io non credo che cantare sia diventato un crimine”.
Facciamo un passo indietro. Daniele De Martino, al secolo Agostino Galluzzo, nato a Palermo nel 1995, è uno dei più famosi cantanti neomelodici, i suoi concerti fanno il pienone e i suoi social raccolgono centinaia di migliaia di follower, le sue canzoni su YouTube hanno milioni di ascolti. Nonostante l’entusiasmo dei fan, però, i testi delle sue canzoni, le performance durante feste private a casa di persone legate alla criminalità organizzata e la vicinanza dello stesso a personaggi di spicco di Cosa nostra, hanno indotto le autorità a vietare i suoi eventi. Per De Martino si tratta di un “accanimento contro i neomelodici” e argomenta: “è vero che in passato ho fatto 3 canzoni che parlavano di malavita, e anche se la malavita la vediamo tutti i giorni nei film, nelle fiction. In ogni caso quelle canzoni non le ho più cantate e le ho tolte dalle scalette dei concerti”. E allude al fatto che testi di quel genere siano acqua passata. Ma “Stanotte”, un pezzo nel cui video De Martino sembra essere un detenuto al 41-bis, è uscito 8 mesi fa. “Si nu pentito” è del 2021 e il testo recita: “sei un pentito, ci hai traditi, tu non vali niente, sei la vergogna della gente, uomo fallito [...] Non scordarti, pure tra cento anni ti posso trovare”. Nel 2019 a far discutere, invece, è il video di “Samara” - oltre 3 milioni di visualizzazioni - girato a Bari, nel quartiere San Paolo, dove il cantante e altri personaggi impugnano pistole e kalashnikov, e scorazzano senza caschi in cortei di scooter. Al 2017 risale “Comando io”, che dà voce a un figlio pronto a vendicare il padre ammazzato. È vero che questi temi sono oggetto anche di popolari fiction - De Martino cita “Mare fuori”- ma, per esempio, il regista e gli attori di questa serie e di altre simili non sono mai stati chiamati a esibirsi, come De Martino, a casa di persone vicine a organizzazioni criminali, a riprova del fatto che in queste opere non vi è un esplicito inneggiare al mondo di valori criminale. Su questo il cantante risponde: “Quando ci chiamano, dietro a un telefono, non possiamo sapere chi ci sta chiamando, è il mio lavoro: canto, vengo pagato e me ne vado”. E sulle foto che lo ritraggono con persone vicine a Cosa nostra dice: “ho fatto solo una foto con il cugino di mia nonna”. Il riferimento è a una foto con il boss Francesco Spadaro.
A difendere De Martino c’è un seguito di fan davvero impressionante e ci sono anche rappresentanti istituzionali. Come a Sambuceto, in provincia di Chieti, dove nonostante le polemiche di alcuni cittadini, De Martino si è esibito in una piazza gremita di persone, incassando pure la benedizione del parroco don Massimo D’Angelo: "mi sento in dovere di ringraziare e chiedere scusa a Daniele De Martino per le critiche violente e le accuse che hanno recato a lui solo perché Tutti siamo cattivi in una storia raccontata male".
Ecco, a sostenere la libera espressione di De Martino sono molti, moltissimi. Sono, diciamo, la maggioranza. Ed è qui che torna una delle questioni poste dal generale Vannacci: la democrazia come legge della maggioranza. Dove le minoranze non possono che adeguarsi, e se non lo fanno, se pretendono voce e diritti allora tradiscono una “dittatura della minoranza”. Dunque: è giusto vietare i concerti di un artista amato dalla maggioranza? Si può dire, scrivere, cantare tutto? Sì, si può. Ma poi ci si deve assumere le responsabilità: se Vannacci denigra la democrazia e i valori della Costituzione,le  diversità ,  è giusto che risponda di apologia di fascismo. Così come se De Martino esalta atteggiamenti di tipo mafioso allora è bene che gli sia impedito di farlo in posti  simbolo   come Canosa: una terra dove si registra uno dei più alti tassi di di criminalità d’Italia, caratterizzato dal primato dei furti di autovetture, ma anche da estorsioni, usura e spaccio di sostanze stupefacenti.

26.8.23

non si uccide come gli anni di piombo o la strategia della tensione ma il clima è quello . stormshit e minacce a clara abatangelo libraria che non vuole vendere il libraccio di vannacci

   come Vannacci    ha  il diritto  di    dire  le  sue  .........   anche  noi   in questo    caso sotto riportato abbiamo il diritto di non vendere il suo libro . 


Il caso diClara Abatangelo libraia trevigiana  ( foto  sopra )  che   sta  subendo     Minacce perchè non vuole  vendere il libro  di  Vannacci (msn.com) . Mi chiedo ma abbiamo    il  diritto  di   dire la nostra  oppure  è   come  ho detto : << Se la democrazia diventa il diritto della maggioranza o minoranza  ( dipende  da  come lo  si vede ) a dare dei “non normali” a tutti gli altri  siamo   all'anticamera   della  dittattura >>  ? 


Lo  so   che  il  paragone    è forse  improprio  visto     il  diverso  contesto     storico  e  culturale  di quel  periodo rispetto  all'oggi   . Ma  come  ho risposto   in un commento  su  fb   il clima    è lo stesso   della strategia  della tensione  (    guerra  non ortodossa    e  non convenzionale ,   alle  bombe  sui  treni    nelle  piazze     . terrorismo  di  stato e i  servizi segreti  con manovalanza fascista ) ,    ed  a  gli anni di  piombo  (  alle  uccisioni   e gambizzati  di :  giudici  e magistrati  ,  giornalisti , forze dell'ordine  , fascisti   attuati   principalmnte     dalla   sinistra  exrtaparlamentare   ),   si  è  sostituità  la  campagna  d'odio e denigrazione   mediatica  \  social   la  cosidetta   shitstorm  )     dell'avversario    e  delle  idee  diverse  dalle  tue  

22.3.23

Cosa distingue un discorso di odio da un’espressione di dissenso ?

Il primo ha per bersaglio l’esistenza di una persona o di una categoria. Il dissenso si rivolge a parole e azioni messe in essere da chicchessia contro i diritti di qualcun altro.  (  vedere  il mio  post   sulla  vicenda    di  Lucia  Annunziata   ) 

 Di solito questa rubrica parla di persone, perché raccontare le storie singole 

o collettive  è spesso il modo più efficace per restituire la complessità in cui viviamo e mostrare che le sue potenzialità sono alla portata di chiunque. Stavolta non sarà così, perché non conosco nessuno che vorrebbe essere raccontato nella cornice dell’odio o    se    ci  e  caduto (  come  spesso capita  anche  al  sottoscritto  )   tende  a  giustificarsi   ed  a  sminuirlo   . Avete letto bene: ho detto proprio odio. C’è un’espressione ricorrente sui giornali e nel dibattito pubblico di questi anni: è hate speech, cioè discorso d’odio, un modo di dire che sembra applicarsi a qualunque situazione in cui una persona si esprime in modo forte contro qualcosa o qualcuno. La legittimità del discorso d’odio sfiora un principio del nostro sistema giuridico che abbiamo considerato sempre inalienabile: in Italia non esiste il reato d’opinione, neanche se l’opinione è di odio. Mi si dice più volte   via  email  o nei  commenti  su  facebook   che l’apologia di fascismo è un reato di opinione e in teoria è vero, ma il principio della libertà di opinione è talmente più forte che nei tribunali le sentenze di condanna in merito sono praticamente inesistenti, anche in casi come le braccia tese agli anniversari dei caduti di Salò o la vendita di gadget inneggianti al Duce, per citare solo due degli episodi di assoluzione più eclatanti degli ultimi anni.Se dal lato giudiziario far certificare un discorso di odio come reato è difficilissimo, nel dibattito pubblico ed  mediatico  succede l’opposto: qualunque espressione di dissenso viene definita molto facilmente discorso di odio e chi pratica dissenso per mestiere – primi tra tutti gli intellettuali e i giornalisti d’opinione – viene fatto rientrare con grande facilità nella categoria degli odiatori di professione. Ma che come  fare   a  distinguere un discorso di odio da un’espressione di dissenso? In realtà   se  ci si  pensa  bene  non è affatto difficile: il discorso di odio ha per bersaglio l’esistenza stessa di una persona o di una categoria di persone. Odiare gli ebrei in quanto ebrei è un’opinione di odio, così come lo è odiare le persone omosessuali, quelle di altre etnie, le donne in quanto tali, i praticanti di questa o quella religione e, in generale, chiunque rientri nella categoria del diverso da me. Intendiamoci: non è reato odiare una di queste categorie. Ciascuno è libero di odiare chi gli pare. L’odio è un sentimento umano normale esattamente come tutti gli altri. Diffiderei di chi mi dice «io non ho mai odiato niente o  nessuno  », perché :  l'odio  come   l'amore  fanno  parte  dei nostri  sentimenti . Infatti   caratteristica fondamentale dei discorsi d’odio è infatti che essi sono pericolosi. Oltre a ferire le persone contro cui sono diretti, fungono da valvola di sfogo per pulsioni antisociali che possono dilagare. Anche se tutelare la libertà di esprimere dissenso, disagio e malcontento rimane cruciale.
I discorsi d’odio limitano la libertà di espressione delle vittime. Infatti  l’hate speech va inteso come più di una semplice contrapposizione tra due diritti – il diritto di libera espressione da un lato e quello alla dignità dall’altro. Esso può essere più efficacemente compreso come uno stesso diritto, esercitato da due soggetti, la cui espressione in uno può limitare l’altro. Difatti l’odio calpesta la libertà di espressione della vittima, sino anche a impedirle di denunciare il reato subito, per vergogna, timore, paura di non incontrare supporto – come dimostrato anche dal fenomeno dell’under-reporting, ovvero il fatto che i reati denunciati sono di entità nettamente inferiore rispetto a quelli compiuti.
L’odio online e le sue peculiarità
Il documento si sofferma anche sulle modalità di diffusione dell’odio, e in particolare su quelle digitali – anche se è importante sottolineare che l’hate speech è caratteristico anche dei media tradizionali.I discorsi d’odio online hanno caratteristiche peculiari. E  poi  online, l’odio rimane attivo più a lungo, si presenta in diversi formati ed è facilitato dalla generale percezione di anonimato e impunità. Inoltre è transnazionale, il che rende più complesso individuare i meccanismi legali idonei per combatterlo. Gli algoritmi poi distorcono ulteriormente le notizie, creando dei veri e propri filtri cognitivi. Oltre al fatto che la comunicazione digitale è più veloce, e che genera effetti a catena.
A questo si aggiunge il fatto che le piattaforme esercitano ormai un enorme potere che non è solo sociale, ma anche economico, politico e tecnologico. Sono capaci di orientare il dibattito pubblico, come fossero un organo politico. Ecco    che   sta       noi  decidere  se    alimentarlo    o  stroncarlo  sul  nascere   insomma  contrastarlo

  • Informarci  sui fatti e sui dati riguardanti il tema in questione
  • Diffondere informazioni corrette e verificabili
  • Evitare di condividere notizie false o non verificate
  • Utilizzare un linguaggio rispettoso e non offensivo
  • Evitare di generalizzare o stereotipare le persone appartenenti a una determinata categoria
  • Promuovere la diversità e l’inclusione

oppure   come     ho più volte  suggerito in particolare   nel  post   : <<  l'odio conserviamolo per le cose importanti non per le sciochezze e trasformarlo \ incanalo in qualcosa di positivo o non coltivarlo .  [ se  non le  leggete   le  foto   le  trovate qui   e qui   ]>>   Infatti  il mondo è pieno di situazioni odiose e non avere (o più esattamente non riconoscere) le emozioni corrette per reagire a qualcosa di odioso è indice di aridità emotiva o, peggio, di irresponsabilità verso i propri sentimenti. IL  problema sociale dell’odio comincia dopo, quando chi odia  non  riesce  a controllarlo   e  cerca di progettualizzare la sua emozione e diffonderla, al fine di creare delle strutture per trasformarla in azioni lesive verso le categorie odiate. È il passaggio fondamentale per cui quella che senza organizzazione resterebbe una semplice pulsione emotiva  un  atto  individuale      che   diventa un vero e proprio atto politico  e  di massa   . Un esempio  semplice   uomo che odia le donne – diremmo un misogino patologico – è un pericolo potenziale ma se quest’uomo aprisse un forum ,  pagina  social  dove invita a unirsi a lui tutti gli uomini che provano gli stessi sentimenti e insieme stabiliscono azioni lesive contro la categoria odiata, sia  l’evoluzione dell’odio da opinione a reato sarebbe palese. Se qualcuno fondasse un partito che ha come elemento fondante l’odio verso gli omosessuali e come obiettivo politico la creazione di leggi contro la libertà delle persone Lgbt, non sarebbe difficile per nessuno riconoscere il discorso d’odio nei suoi proclami. Poiché però nessuno è (    almeno  che  non  voglio  sconfinare  nell'illegalità   )  fesso, chi progetta il proprio odio non si esprime mai esplicitamente in termini di odio, ma si propone come difensore di un bene differente, presentato come alternativo. Chi odia gli omosessuali dirà che costituisce un partito per proteggere la famiglia tradizionale, per la quale i diritti degli omosessuali sarebbero un pericolo. Chi prova odio xenofobo dirà che sta strutturando un apparato per difendere i diritti degli italiani, messi in discussione dall’esistenza stessa degli stranieri sul territorio nazionale. Chi vuole fare azioni misogine strutturali non scriverà mai in un programma che odia la libertà di scelta delle donne, ma che intende promuovere e sostenere una certa idea di donna, la sola giusta, guarda caso la sua.
Il paradosso è che criticare  e  denunciare queste vere e proprie forme di organizzazione dell’odio viene presentato a sua volta come atto di odio e come tale addirittura portato in tribunale come diffamazione  con  il rischio   d''essere  condannato   , per cui chi osserva il dibattito pubblico da spettatore comune ha l’impressione che tutti odino tutti. Non è così. La critica politica e l’odio non sono la stessa cosa. Che si tratti di un intellettuale (  radical  chic   o meno    )  che si indigna davanti a un bambino morto in mare per la volontà politica di far mancare i soccorsi ai migranti o di tre studenti che tirano vernice lavabile alla facciata del Senato per chiedere attenzione al cambiamento climatico, questo è dissenso , non odio. Occorre riacquisire la capacità di riconoscere quel che è odio verso le persone da quello che è dissenso verso le scelte, specialmente quelle di chi governa. L’odio è un terreno di coltura da tenere sotto controllo    certo  , mentre il dissenso è un bene democratico, perché si rivolge a parole e azioni messe in essere da chicchessia contro i diritti di qualcun altro, soprattutto se chi li compie ha il potere di far diventare questi atti legge dello Stato.

10.6.22

caso incontrada sono i media che fanno bodyshaming o la massa non educata al linguaggio del corpo e ed alle immagini ?

 va bene   c'è  l'abuso   del corpo femminile  ed  un erotizzazione  mercificata     come dimostra  il bellissimo  saggio

Pornocultura. Viaggio in fondo alla carne, il libro di Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca. La pornografia non è più eloquente nel descrivere il lecito e l’illecito del nostro campo visivo. La scrittura si rivela goffa dinanzi alle nuove forme dell’oscenità che abitano tra le mura delle nostre case e si fanno socialità corporea.
Pornocultura. Viaggio in fondo alla carne” (Mimesis, 2016; pp. 142) di Claudia Attimonelli e Vincenzo Susca ama parlare delle viscere di ciò che si vede, di come l’ambiente mediatico che ci plasma perde rappresentanza di fronte all’iniziativa individuale e di massa di eros e di contatto. L’autrice e l’autore in questione puntellano di riferimenti storici l’evoluzione dell’immaginario pubblico focalizzandosi sul post seconda guerra mondiale come uno dei momenti nevralgici dell’umanità in cui la tecnica ha esibito le sue tragiche contraddizioni. Carne umana come paesaggio creato da se stessa. L’umanesimo e la scienza che si sposano in modo osceno. 

 da me recensito      con intervista  agli autori  ( vedere archivio  blog   ) . Infatti mah io ci vedo ,  forse perchè sono cresciuto a sotto il berlusconismo e la defilippi , solo del semplice gossip .Ma dire : << 
(...) Ciò che mette i brividi di questo metodo - perché questo è un metodo - è l’esibizione morbosa del corpo, la ricerca ossessiva dello scoop e del gossip, il body-shaming occulto e ipocrita che fa leva - sapendolo - sugli istinti più bassi di chi guarda (e giudica).[....] >> ( Lorenzo Tosa in questo post >> mi  sembra    esagerati il bodyshaming lo fanno gli altri che non sono educati ad interpretare le immagini o a vedere i corpo di una donna al di la dei consueti canoni estetici di  perfezione assoluta   proposti dai media e dalle tv   di cui ho parlato     più volte    qui  nel post . per il resto hai ragione lo stesso  Tosa  quando dice  

È uno scatto rubato, di quelli da paparazzi e teleobiettivo, che non ha nessuna logica, nessun altro senso o scopo se non quello di mostrare una donna in un momento privato, nella peggior posa possibile, con i chili in più scientemente evidenziati con l’unica

intenzione di esporla ai giudizi, ai commenti maligni, al tribunale social. Non c’è nulla che non vada nell’immagine di Vanessa Incontrada, sia chiaro. Non c’è nulla che non vada in lei, che è e resta una donna straordinariamente bella nelle sue linee, nelle sue imperfezioni (e in qualunque posa). Il corpo di Vanessa è normale, normalissimo. È quella foto, semmai, a non esserlo. Una foto, nella redazione di una rivista di gossip, si sceglie, tra centinaia di scatti. Si seleziona con chirurgica precisione. Nulla è lasciato al caso.

Infatti  La verità è che hanno provato a umiliare una donna, ma hanno finito solo per esaltarne la bellezza. Che col fisico non c’entra nulla o almeno non ci si dovrebbe basare solo su d'esso

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...