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3.12.24

Diario di bordo n 90 anno II . il diritto di essere brutti e piacersi lo stesso., se tutti hanno un costo nessuno ha un valore ., Giulia Lamarca: «Ogni disabilità ha un margine di indipendenza»

In questa tempi in cui la bellezza è imposta ed autoimposta ( vedere l'aumento d'interventi plastici spesso non necessari e il ricorso a me dici senza scrupolo e con conseguenze letali ) la bruttezza può essere rivoluzionaria e si viene mal visti , è il prezzo per non essere schiavi \ succubi di un sistema che ci vuole tutti perfetti e senza difetti , come mosche bianche o strampalati . Infatti Guardiamoci attorno in un luogo affollato, una via centrale o un centro commerciale. Vedremo corpi e volti comuni, più o meno sgradevoli, anonimi o caratteristici, alcuni con elementi più piacevoli, altri francamente belli ma non necessariamente perfetti. Mettiamoci in testa che la bellezza in senso assoluto, è una eccezione in natura. Da sempre gli esseri umani si ingegnano a camuffare i tratti considerati sgradevoli, in nome di una estetica e una simmetria creati a tavolino almeno per ciò che riguarda i volti umani. E a ben osservare lo standard di bellezza a cui tutti aspirano è quello di donne e uomini bianchi, magri, alti, conformi. La la bellezza appartiene a una razza e ad una classe sociale ben definita ed è attraversata da un progetto politico ed economico. Essere brutti non è consentito in Occidente e nel tempo è diventato una forma di discriminazione e di isolamento. Essere brutti è un insulto che non interessa solo i lineamenti ma l'identità più profonda. Ne ha Ne parlato su mi pare su HuffPost Italy  di  qualche  tempo   fa   l'artista Moshtari Hilal che brutta ci si è sentita da sempre: lineamenti forti, pelle scura, denti non allineati. Per essere accettati bisogna rientrare almeno nella norma. Che poi anche questa, a ben vedere è una costruzione sociale e falsa.
<<Quello che etichettiamo come brutto non è naturale, è il risultato di gerarchie" le stesse che governano il potere e autorizzano le sopraffazioni, scrive nel suo saggio ‘bruttezza’ edito dai tipi di Fandango. Ma essere brutti o sentirsi brutti (non è la stessa cosa) determina due effetti: un senso di inferiorità e un dolore dovuto all'inadeguatezza e alla sensazione di non appartenenza. La bruttezza insomma è una croce pesante e la strada dell'accettazione delle differenze estetiche è ancora lunga e tortuosa. Basta guardare un concorso di bellezza internazionale: le caratteristiche etniche sono livellate e sfumate per conformarsi agli standard occidentali. Ed essere brutti non implica necessariamente non piacersi (vale anche al contrario, essere belli non è garanzia di benessere). <<Solo una madre può amare una bambina brutta>> scrive sempre Hilal, << ma vi posso assicurare che in alcune famiglie i brutti godono di trattamento di serie b lottano più degli altri per essere riconosciuti e amati talora senza mai riuscirci. E se la bellezza è una scorciatoia per il successo (le persone belle hanno stipendi più alti e attraggono partner più ricchi). La bruttezza autorizza il resto del mondo a odiarti e a insultarti, basta fare un giro sui social network per rendersene conto. >>

  

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Nessuno si salva da solo e nessuno è libero finché qualcuno è schiavo. Ufficialmente la tratta degli schiavi non esiste più dal 23 febbraio 1807 quando fu cancellata a larga maggioranza (100 voti contro 36) dal Parlamento inglese, cuore della super potenza coloniale dell’epoca. Sappiamo poi che alla fine del XIX secolo un po' tutti i Paesi del mondo hanno messo al bando l’asservimento degli esseri umani. In realtà basta confrontare la pratica con la teoria per accorgersi che non è così. «La schiavitù è una pianta infestante che cresce su ogni terreno», scriveva a metà Settecento Edmund Burke.*
Quanto sia attuale la riflessione del filosofo britannico lo dimostrano proprio la tratta di esseri umani, e in particolare il racket della prostituzione coatta. Nessun angolo del globo ne è immune: Paesi d’origine, di transito e di destinazione. La schiavitù è stata abolita per legge ma non nei fatti. Ha cambiato pelle ma i più deboli sono sempre a rischio assoggettamento. Tante persone povere sono costrette a lavorare sottopagate o senza essere pagate affatto. Le vittime della tratta sono asservite ai mercanti di esseri umani che le degradano a bancomat nelle strade del mercimonio. Intanto i nuovi schiavi del web disseminano di sofferenza la servitù occulta nel mondo della rete. Cambiano le epoche ma resta l’indole dell’uomo di volere sfruttare e approfittarsi dei più fragili per sottometterli. Il Papa testimonia l’urgenza di lavorare affinché nessuno renda schiavo un altro. La schiavitù non è una realtà del passato, e nella “Giornata internazionale per l'abolizione della schiavitù” in calendario domani l’Onu si appella alla coscienza individuale e collettiva.
Sono trascorsi 75 anni da quando le Nazioni Unite hanno approvato la Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione. Da allora resta ancora lontano l’obiettivo di una società rinnovata e orientata alla libertà, alla giustizia e alla pace. Anzi, le forme di disuguaglianza e discriminazione si sono moltiplicate di pari passo con la globalizzazione dell’indifferenza. Vanno
Uno dei quattro schiavi incatenati raffigurati nella parte inferiore
del 
Monumento dei Quattro mori del XVII secolo a Livorno.
adottate, dunque, misure più incisive per sconfiggere l’asservimento. Secondo i dati del “Global Estimates of Modern Slavery”, tra lavoro e matrimonio forzati, nel mondo 50 milioni di persone (in maggioranza donne e minori) sono ridotte in schiavitù.
Le forme di schiavitù contemporanee sono il traffico di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, il lavoro minorile, i matrimoni forzati e l’uso di bambini nei conflitti armati. Solo una mobilitazione comunitaria può sradicare un fenomeno così diffuso. C’è bisogno della piena partecipazione di terzo settore, sindacati, società civile e istituzioni che promuovono i diritti umani. «Gli schiavi di oggi cambiano di geografia, modalità e colore, ma la schiavitù si adatta ogni volta di più – afferma Francesco –. Ci sono sempre più schiavi. Tante forme di       schiavitù sono dissimulate, non si  conoscono, sono nascoste. Nelle megalopoli come Roma, Londra, Parigi, ovunque, ci sono nuove schiavitù». Servono opportunità di educazione e di lavoro. Nessuno può lavarsi le mani se non vuole essere, in alcun modo, complice di un crimine così efferato contro l’umanità», ribadisce il Pontefice. Le vittime della prostituzione coatta sono le moderne schiave, e finché non saranno liberate non potrà essere dichiarata l’effettiva abolizione della schiavitù.
Ho un sogno che mi accompagna di notte lungo le strade della prostituzione, ed è quello di vedere effettivamente abolita la schiavitù. Sui marciapiedi delle nostre città sembra scolpita una condanna antropologica: quella di trasformare la sopraffazione in una modalità di relazione sociale. Le “donne crocifisse” rispecchiano tragicamente l’umana deriva dell’acquisto, dello sfruttamento, dell’appropriazione indebita di altri esseri umani. È come se l’uomo non sapesse evolvere verso una fattuale, intangibile parità di dignità. C’è sempre bisogno psicologicamente, strutturalmente, di qualcuno da sottomettere.
Ci sono altre odiose forme di asservimento che hanno sempre come bersaglio le persone più fragili e indifese, ma la tratta del mercimonio coatto ha questa peculiarità: si distrugge la libertà di un individuo per farne uno strumento dei propri istinti più primordiali, eticamente riprovevoli, socialmente distruttivi. Il costo personale e collettivo della tratta grava come un macigno sulla nostra civiltà cosiddetta post-moderna, ma sempre agganciata alla zavorra di condotte violentemente primitive. Mai più persone in vendita! Se tutti hanno un costo, nessuno ha valore.

* infatti   la lotta  contro  lo schiavismo  continuò  fino  al  secolo  scorso  .    come  testimonia 



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«È molto difficile sradicare la narrazione dell’eroe-salvatore e del disabile-salvato dalla solitudine». Il raccontare la disabilità sta cambiando dal basso grazie soprattutto al mondo aperto dei social media, che ha dato voce a chi prima faticava ad avere spazi nei media tradizionali.

 Un fenomeno nuovo che proprio per questo deve affrontare pregiudizi atavici, come quelli sottolineati da Giulia Lamarca, classe 1991, psicologa, formatrice aziendale e travel blogger, che nel 2011 a seguito di un incidente ha perso l’uso delle gambe e iniziato una seconda vita seduta su una carrozzina. Sposata Andrea Decarlini, con cui ha avuto due figli Sophie di tre anni e Ethan nato da pochi giorni, Lamarca si fa portavoce di un cambiamento culturale necessario per costruire una società più inclusiva: «Non condanno mai troppo gli stereotipi perché anch’io, prima dell’incidente, ma forse anche dopo, ne sono stata vittima. Durante la prima gravidanza mi sono posta una serie di domande: sono in grado di prendermi cura della bambina? Sarò una brava madre? Le domande e i dubbi crescono in base alle situazioni, ma dalla maternità ho imparato ad esempio che ci sono diversi modi di essere presente con i figli. Ci è voluto tempo, ma ho imparato a non farmi condannare dai cliché. Il problema è, soprattutto in Italia, che siamo abituati a pensare alla genitorialità come solo alla figura femminile, mentre un uomo che gioca con i bambini sembra un alieno, ma in altri Paesi non è assolutamente così».
I progetto di vita previsto dalla riforma sulla disabilità lavora anche sull’indipendenza, un altro pregiudizio che va smontato pezzo per pezzo, ma che necessità di interventi importanti sul fronte dell’accessibilità. «Ogni disabilità ha un margine di indipendenza. Certo, c’è differenza tra un tetraplegico e un paraplegico, come lo sono io, ma ognuno ha la possibilità di essere indipendente su qualcosa, anche poco, ma è possibile. Purtroppo la situazione delle barriere architettoniche, almeno in
Italia, resta un problema di complessa risoluzione. Ci saranno sempre scale che non posso salire. Ma è importane che le case di nuova costruzione siano accessibili, perché al momento, per un disabile, trovare un’abitazione adattata alle proprie esigenze è un’impresa quasi impossibile. Lottiamo ancora con camere troppo piccole e bagni impraticabili con carrozzine. Così come abbiamo problemi nell’uso dei mezzi pubblici anche nelle grandi città».
Altro tasto dolente è quello dell’indipendenza economica: in Italia solo il 32,5% delle persone con disabilità ha un’occupazione. «La differenza in questo senso possono farla le aziende private, coadiuvate dallo Stato. Molte imprese oggi preferiscono ancora pagare le sanzioni piuttosto che inserire nel loro organico persone con disabilità, non comprendendo che così si perde un’occasione. Avere una disabilità non vuol dire non saper fare niente e attraverso una formazione culturale adeguata nei posti di lavoro si può inserire una maggiore ricchezza di talenti assumendo persone che portano istanze, esperienze e competenze diverse».
Giulia Lamarca, nonostante la visibilità ottenuta sui social e sui media, vive ancora sulla propria pelle scelte discriminatorie: «In Italia la moda resta uno dei settore più discriminatori. Io, ad esempio, ho lavorato per pochissimi brand e non ho mai ricevuto inviti alle fashion week italiane, mentre a quelle estere sì. In passerella abbiamo visto modelle sfilare con protesi agli arti, ma vedere una modella in carrozzina è ancora una rarità, perché non è ancora stato abbattuto lo stereotipo della donna in piedi».
Dalla scuola ai servizi, dal lavoro alla genitorialità, dai media ai viaggi la complessità della vita di una persona disabile pesa inevitabilmente anche sulla famiglia: «Io, con la mia storia, non ho avuto le stesse opportunità di una persona che sta in piedi e cammina. È difficile da dire e da vivere, psicologicamente questo pensiero ti può distruggere. Io ho lottato più degli altri, sia per il lavoro – prima come psicoterapeuta, poi come content creator – sia sul fronte della vita personale. È un dato di fatto: di volta in volta non c’erano le persone giuste oppure le risorse oppure i servizi e io non ho avuto le stesse occasioni di un normodotato. E questa lotta non è cambiata nemmeno dopo che la mia figura è diventata pubblica. Mi spaventa, quindi, che la mia disabilità ricada su Andrea, sui miei figli, persino sui miei genitori. Che loro abbiano meno possibilità a causa della mia disabilità. Dobbiamo iniziare a riflettere sul mondo in cui vogliamo vivere per poterlo costruire».

29.10.24

cosa è morte e il suo culto ., «Io, sacerdote tra le tombe dei grandi. Il dolore parla del valore della vita»






Una vita di sacrifici e rinunce per arrivare fin qui.
Il premio? Due metri per uno.
Buoni o cattivi, ricchi o poveri, tutti uguali alla fine.
E mentre lotti per un pugno di false certezze o sicurezze, non ti accorgi che stai perdendo ogni giorno l'unico vero e grande valore che possiedi:
il tuo Tempo.
(Giorgio Malavolta)

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© Fornito da Avvenire
Pensava di arrivarci «da morto», frate Arturo Busetti, al cimitero. Che fosse quello di casa a Bergamo, «che è silenzioso e più raccolto», o il Monumentale di Milano, affollato questo primo di novembre come Gardaland, con le scolaresche in coda per la foto ricordo sui gradini davanti al Famedio e i vasi di fiori colorati sistemati ovunque per accogliere l’arcivescovo Mario Delpini alla tradizionale Messa di Ognissanti. «E invece – scherza il religioso, dei frati minori – sono vivo e vegeto, il cimitero è diventata la mia casa». La “chiamata” è arrivata un giorno del 2019, in un convento di Cermenate, vicino Cantù, 
«dove ero arrivato dopo tanti giri: non sono mai stato fermo, io, prima gli Spedali Civili di Brescia, poi Como, poi Monza». Infine Milano, appunto, col ruolo di cappellano del grande cimitero dove sono sepolti i cittadini illustri del passato lontanissimo e vicino e dove la chiesa è un gioiellino incastonato esattamente sotto la tomba di Alessandro Manzoni. Un’emozione, celebrare Messa tutti i giorni qui? «Non lo so, a dire il vero non ci penso tanto. È più un’emozione vedere le panche stracolme e dover spesso lasciare aperte le porte di domenica, quando la chiesa si riempie di giovani famiglie e di bambini che scorrazzano a destra sinistra».
Il piccolo prodigio della vita, al Cimitero Monumentale, si compie soprattutto grazie al grande popolo di Comunione e Liberazione, devoto al culto della tomba di don Luigi Giussani: un parallelepipedo di vetro, in fondo alla direttrice principale, sulla sinistra, con una foto semplice e un cassetta per le lettere e i messaggi lasciati dalle migliaia di pellegrini. «Per visitarla arrivano a gruppi sui pullman, da Milano o anche dal Veneto e dal Piemonte – racconta frate Arturo –: attraversano il cimitero, vanno sulla tomba di Giussani, poi ne approfittano per celebrare Messa qui da me». Ma ci sono anche gli affezionati del Pret de Ratanà, al secolo don Giuseppe Gervasini, un sacerdote molto conosciuto in Lombardia per le sue capacità taumaturgiche e anche lui sepolto lungo i viali costellati di statue e monumenti. Il risultato è «che ho una parrocchia più viva di molte altre, nel mezzo di un cimitero, e parrocchiani sempre diversi».
È ai vivi, d’altronde, che frate Arturo cerca sempre di parlare nelle lunghe giornate trascorse tra funerali e tumulazioni: «I primi assomigliano sempre a degli esami. Le famiglie si presentano qui facendo una breve descrizione di persone che non conosco ovviamente, che non fanno parte della mia comunità, dal momento che non ne ho una precisa. Ed è difficile, capire, è difficile prepararsi un discorso. Così quando cominciano a dirmi “desiderava questo e questo” io li ascolto e poi chiedo “e voi? Voi che cosa desiderate? Penso sempre che quel momento, e la Messa a seguire, mi serviranno per parlare ai vivi appunto – continua –. E non per convertirli, o per offrire loro risposte, ma per far sì che davanti a una cosa grande come la morte si facciano delle domande: chi sono? Che cosa voglio? Cosa mi dice il fatto che anche la mia vita potrebbe finire, all’improvviso, e cosa ne rimarrebbe?».
Non c’è un altro posto dove sia così chiaro, d’altronde, come l’ordine delle priorità di questo nostro mondo sia fragile e inconsistente: «Celebro sotto le spoglie di Manzoni, appunto, l’uscita posteriore della mia chiesa affaccia sulle tombe di Giorgio Gaber e Alda Merini, poco più in là tocca a Jannacci e a Fogar – continua frate Arturo – eppure davanti alla morte siamo tutti uguali». Sarà per quello che lui, cappellano del Monumentale da 5 anni, del cimitero sa ancora poco: «Mi piace scoprirlo poco a poco, ancora mi serve la mappa per capire dove mi trovo, e quando mi chiamano sulle tombe per le benedizioni chiedo sempre d’essere prelevato qui in chiesa da un familiare. Camminando mi guardo intorno, leggo le frasi sulle tombe o davanti alle cappelle di famiglia. In questi spostamenti ho scoperto che ci sono tante statue di san Francesco, per esempio, poco conosciute». E poi? «E poi di nuovo i vivi: i turisti di passaggio che vengono a confessarsi, quelli che mi chiedono se serve aiuto e si mettono a spolverare, quelli che vogliono fare una donazione: a volte me ne hanno fatte di impressionanti». Ad Arturo piace immaginare la sua chiesa del cimitero come un albero, su cui ci si posa per caso, inciampandoci, si sta un po’ fermi per guardarsi intorno e prendere fiato, «per poi volare via di nuovo». Lui lo fa di pomeriggio: attraversa la grande piazza e raggiunge il convento con gli altri frati di Sant’Antonio, la grande mensa dei poveri, il centro d’ascolto: «Non finisce al cimitero, in fondo, la mia vita».

  concludo      con questo meme  di ester  bonomo   



18.7.24

chi lo dice che giocare con le bambole sia solo per femmine




 da 

Persona più attiva
 8 h 
Giovanni ha 6 anni e sta giocando con il suo Cicciobello. Passa un signore anziano lo guarda e gli dice:
"Ma giochi con le bambole? Sei un maschio, dovresti giocare con i soldatini."
Me lo immagino già uno degli uomini della vecchia generazione cresciuto con l'idea che commuoversi, lavare i piatti, prendersi cura della casa ma soprattutto prendersi cura dei propri figli, cambiargli i pannolini renda l'uomo meno virile e meno uomo.Giovanni lo guarda negli occhi e non si scompone e regala una risposta da Oscar: "Sono il papà, mica la mamma!" Il bambolotto è suo figlio e si chiama Mario. Giovanni non lo sa che con una semplice risposta sta rendendo il mondo un posto più bello. La sua saggezza ha tanto da insegnare a chi probabilmente si crede più saggio solo per divario anagrafico.Pertanto non è sbagliato quello che fa, ma quello che gli viene chiesto. Avanti Giovanni, sarai un grande papà e un grande uomo. E sicuramente grazie anche a dei grandi genitori.
Daniele Marzano

7.1.24

Filosofia dalle scuole elementari ? secondo me si ma con giudizio

 sfogliando  il sito https://www.dols.it/   ed  in  articolare  i  tag    del  sito  Filosofia pratica Archives mi  sono  imbattuto   nell'articolo sotto   proposto      di Maria  Giovanna  Farina  



Vero quanto  dice la  studiosa sarebbe  positivo introdurre  lo studio ella  filosofia  fin  dalla  scuola elementare  primaria  perchè : <<   con la viva speranza che potrà aiutarci, chiederle di sciogliere i nodi dell’anima attraverso la sua cura, una cura che diventa un prendersi cura.>> Ma   a mio  avviso ,  da semplice  profano    e   d'antiaccademico   non  c'è bisogno  di metterla  come materia     scolastica   obbligatoria   erchè  si  corre anche  il rischio    di  farla  odiare o  a rifugiarsi  nel non pensare   o non farlo  con la  propria  testa  . Lo si può anche  fare  in maniera     non accademica  \ scolastica  . Possono  , perchè  secondo me   la  filosofia  è anche   spirito critico  come  ha  evidenziato   la  serie  tv  un professore   (  con  Con:Alessandro Gassmann,Claudia Pandi  Gasman fin ora  2  stagioni  )    dove un    insegnante di filosofia di Roma [  Alessandro Gasman  ] apre la mente dei propri studenti attraverso idee poco ortodosse.
  , farlo anche  i  genitori  o gli ediucatori  (  centri  sociali   , parocchie   , ecc )  o   insegnanti   non  di filosofia  . 
A   voi   l'articolo  in questione   .



La Filosofia è una buona madre 
DA MARIA GIOVANNA FARINA ON 28/12/2023FILOSOFIA PRATICA




Possiamo rivolgerci alla filosofia come se fosse una persona reale e, con la viva speranza che potrà aiutarci, chiederle di sciogliere i nodi dell’anima attraverso la sua cura, una cura che diventa un prendersi cura.
L’incontro con la Filosofia dovrebbe avvenire il più precocemente possibile, i primi passi in questa affascinante materia si possono già muovere alle elementari quando è più naturale familiarizzare con la culla originaria di tutte le scienze. Solo lei, come una “buona madre”, è in grado di tenerle unite nel grande albero della conoscenza. L’idea dell’albero l’ho “rubata” al filosofo e matematico del ‘600 René Descartes (Renato Cartesio) al quale dobbiamo l’acuta rappresentazione del conoscere come un grande albero in cui la filosofia è il tronco mentre le altre scienze sono i suoi rami. Il tronco-madre genera i rami-scienze permettendo loro di evolversi e di rinnovarsi producendo sempre nuove foglie, tenendo presente che senza il tronco ciò non sarebbe realizzabile. Eppure la “buona madre” dopo aver ramificato e dato alla luce il sapere rimane sconosciuta per molti anni proprio nel periodo cruciale della formazione quando il suo aiuto sarebbe prezioso. A scuola tutte le discipline si apprendono a piccoli passi: per giungere all’algebra si parte dall’aritmetica, per cimentarsi nella scrittura di un tema si inizia dall’alfabeto e per studiare Socrate da dove si è partiti? Manca l’iniziazione. E pensare che, già tre secoli prima di Cristo nella Lettera a Meneceo, Epicuro invitava ad un precoce studio: “Il giovane non deve aspettare ad occuparsi di filosofia e il vecchio non deve stancarsi di farlo. Poiché nessuno è mai troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell’anima”. Essere filosofi è una forma mentale, un modo di essere già riconoscibile nell’infanzia e scoprirne le prime avvisaglie è un compito importante da saper svelare, da portare alla luce come un dono prezioso della vita.
I bambini sono predisposti a questo tipo di argomentazione e la loro capacità di giungere alle cose con spontaneità, senza lasciarsi irretire da vuote speculazioni, dovrebbe essere alimentata precocemente. Ogni adulto interessato alla loro crescita armonica può assumersi questo compito e, attraverso iprimi passi, acquisire i semi da deporre. Più i semi saranno ricchi di amore per il sapere (filosofia significa amore per la sapienza) più saranno adatti a far nascere una conoscenza che va in tante diverse direzioni. La Filosofia con il suo dar-da-pensare può aprire la mente alle più disparate realtà insegnando a guardare oltre il proprio limitato punto di osservazione. Con questo auspicio, auguro a tutte le lettrici e ai lettori di Dol’s magazine un buon e filosofico 2024.



1.1.24

Quale anno nuovo? di Carlo Bellisai

Dopo la riflessione   dell'amico Cristian Porcino eccone  un  altra  altrettanto profonda   e  sìdi spessore     . Si tratta       di  quella   di  

 

Carlo Bellisai
Sono nato e vivo in Sardegna. Da oltre trent’anni lavoro come maestro di scuola elementare. Dagli anni Novanta dello scorso secolo mi occupo di nonviolenza e di gestione costruttiva dei conflitti. Faccio parte del Movimento Nonviolento, col ruolo di portavoce del centro territoriale sardo, oltre che membro del Comitato di Coordinamento. Ho pubblicato: “Animalandia” (filastrocche per far ridere e riflettere su temi importanti) Punto di Fuga Editrice 2008 – esaurito; “Non so come sia da voi ma da noi è così” (un percorso didattico per gli alunni dagli 8 ai 12 anni, ispirato al metodo dell’equivalenza di Pat Patfoort), Infinito Edizioni 2017; “Sulle rive di un mare di plastica” (un libro di racconti, per grandi e piccoli, sui temi dell’ambiente e dei rifiuti), Edizioni La città degli dei 2018.


A rigor di logica, non si vede motivo per cui il nuovo anno non debba essere che la continuazione del vecchio. Tuttavia, milioni di differenti motivi irrazionali ci spingono a voler chiudere la porta dell’anno andato, per archiviare magicamente quanto ha portato in termini di dolore, orrore, violenza; altrettanto magicamente ci piace adoperarci all’immaginazione di un anno migliore, con tanto di propositi personali.Non mi sottrarrò comunque a questo rito collettivo, non foss’altro perché potrebbe rivelarsi una delle ultime occasioni, prima che l’intelligenza artificiale trasformi i nostri sentimenti in algoritmi.Quest’altro vecchio anno finisce, ma non è davvero probabile che con esso abbiano fine i sempre più gravi problemi di un pianeta che ci si ostina a trattare come una torta da divorare.Addio all’anno più caldo di sempre, come temperature medie stagionali, che accende un pensierino anche ai più “spensierati” circa il problema del surriscaldamento globale e delle catastrofi climatiche. Ma questa evidenza non basta a fermare i potentati delle energie fossili, che decidono sì di dare un limite al petrolio, ma addirittura nel 2050! Il che significa oltre un quarto di secolo ancora con il carbone, il petrolio, il gas e le altre fonti altamente inquinanti. Semplicemente, assolutamente catastrofico.Addio ad un anno di guerre. A quella in Ucraina e a quelle nell’Africa sub-sahariana, s’è aggiunta la deflagrazione violenta di una guerra che dura da almeno settantacinque anni, il conflitto fra Israele e i palestinesi. Ci dicono che Israele si scrive maiuscolo, perché è uno Stato, i palestinesi minuscolo perché solo un popolo. Siamo davanti ad una strage continua di civili inermi, sotto le bombe, per la fame e gli stenti: un crimine contro l’umanità, di cui Netanyahu e Israele sono i principali responsabili. Le popolazioni nel mondo chiedono la fine del massacro, ma gli Stati Uniti mettono il veto all’ONU: corresponsabili. Pietanza condita con sanguinolenti e ricchi fatturati per le industrie di armamenti.Addio ad un anno in cui tanti uomini possessivi e violenti hanno molestata, perseguitata, picchiata, stuprata, umiliata, uccisa, quella che consideravano la propria proprietà: la “loro” donna. Mettendo così in evidenza non solo il retaggio della società patriarcale, con i suoi ruoli rigidi e i suoi vecchi stereotipi, ma anche la più semplice incapacità d’amare. La violenza familiare è innanzi tutto violenza contro i bambini, diretta, o assistita, vista, subita nell’impotenza a reagire.Addio ad un anno che ha portato tante vittime, nei naufragi di migranti nel Mediterraneo, che ha visto incrementata l’indifferenza, ma anche la xenofobia e il razzismo. Il sistema italiano di accoglienza dei naufraghi appare sempre più simile a quello carcerario. Continua a mancare una visione reale del problema, che è globale: le migrazioni possono riequilibrare la discrepanza di popolazione in Europa fra pochi giovani e molti anziani, portando nuovi cittadini e lavoratori nel ciclo economico e contributivo. Le migrazioni potrebbero essere gestite con intelligenza e con il rispetto dei diritti umani. Ma così non avviene.Ho solo citato quattro evidenze nel calendario del 2023 che ci apprestiamo a buttare. Non mi sono soffermato su tanti altri gravi problemi, spesso connessi ai precedenti: l’enorme sperequazione economica, lo sfruttamento sul lavoro, le violenze sui minori, la corruzione, la “cultura” maschilista e militaresca, l’emarginazione dei disabili, degli anziani, dei senza dimora, dei nomadi, la deforestazione, la depredazione sistematica degli altri animali e della flora…Nel passare agli auspici per l’anno 2024, la mente vacilla, la penna trema. Tanto sembra lontana oggi la fine delle guerre in corso! Se ne paventa semmai il rischio di allargamento. Così come sembra distante anni luce una vera riconversione ecologica.Provare allora con auspici più limitati, desideri più piccoli?Ma certo: provare a superare il conflitto con una collega sul lavoro, o con un compagno nelle lotte sociali, dedicare più tempo alla compagna, o compagno, ai figli, ai nipoti, diffondere ovunque sia possibile una cultura nonviolenta, a partire dai bambini e i ragazzi, tentare di mettere insieme in Sardegna un coordinamento per la pace ed il disarmo…So bene che saranno difficili da realizzare anche i piccoli propositi, perché viviamo in una società umana basata sul sistema Maggiore-minore e non sull’equivalenza fra le persone. Occorrerebbe uscire dallo schema violento, ricercare il rapporto paritario e il confronto, trasformare il conflitto in dialogo.Le armi, che al dialogo mai sono servite, dovrebbero essere eliminate e mai più prodotte. Buon 2024 e scusate l’utopia. Ma, come diceva Luther King, non bisogna mai spegnere la luce delle nostre idee.

4.11.23

«finché si sente solo blaterare di “misure” e di “riforme” e mai nessuna di questa sembra essere scritta a favore del popolo,verrebbe voglia di adottare quell'epiteto “Ipocriti!!!” di Lorenzo La Fratta

 



«finché si sente solo blaterare di “misure” e di “riforme” e mai nessuna di questa sembra essere scritta a favore del popolo,verrebbe voglia di adottare quell'epiteto “Ipocriti!!!” che soleva adoperare Gesù nei confronti dei potenti di allora ma anche, più prosaicamente,il sistema adottato da Eduardo De Filippo nel celebre film “L’oro di Napoli” ossia ‘o pernacchio.» "Nel solco dei tempi: il Vangelo di Gesù" Domenica 5 novembre 2023 Matteo (23,1-12) “Tra il dire ed il fare... ”

Testo
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere,
perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ''rabbì'' dalla gente.Ma voi non fatevi chiamare ''rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ''padre'' sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ''maestri'', perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Chi tra voi è più grande tra voi sarà vostro servo; chi invece si esalterà sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”.

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Si leggeranno anche brani da : Malachia (1,14b.2,2b.8-10) / Salmo 130/ Lettera Paolo ai Tessalonicesi (2,7b-9.13)
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Riflessione
A vedere ciò che accade tra Israele e Palestina non posso far altro che iniziare la mia riflessione odierna prendendo spunto proprio dalla prima lettura che è tratta dal libro del Profeta Malachia e che vorrei qui riproporre interamente con la premessa che gli “eserciti” del Signore qui ed in altre parti della Bibbia citati non sono quelli che sparano ed ammazzano ma sono le schiere angeliche ; altra cosa che ci tengo a precisare è che qui troverete che l'invettiva del Signore esposta attraverso il Profeta era rivolta ai sacerdoti ma io oggi intendo che potrebbe benissimo estendersi anche ai capi di stato,ai leader di fazioni estremiste quanto non terroriste che agiscono su quel martoriato territorio anche perché visto che il padre “comune” è Abramo dalla cui unione con l'egiziana Agar nacque Ismaele a sua volta progenitore della nazione araba, non credo sia poi un'ipotesi tanto campata in aria e poi ,non dimentichiamo, che a “intenditor poche parole” specialmente se calzanti... ma eccovi il testo di Malachia :
“Io sono un re grande, dice il Signore degli eserciti....
Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Voi invece vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento;avete rotto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti.
Perciò anch’io vi ho reso spregevoli e abbietti davanti a tutto il popolo, perché non avete osservato le mie disposizioni e avete usato parzialità riguardo alla legge.
Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro profanando l’alleanza dei nostri padri? “ Ed allora perché non la smettete con questa dannata ,crudele,folle guerra?
Vengo quindi ad esaminare la pagina del Vangelo di Matteo di questa domenica ove si corre il rischio da una parte di aprire polemiche mentre dall’altra di voler minimizzare un argomento importantissimo come quello che andremo a vedere e questo a maggior ragione partendo proprio dalla prima lettura che verte sulla pagina tratta dal libro di Malachia che vi ho esposto qui sopra dato che anche ai tempi dell’autore di questo libro, che si data intorno al secolo V A.C., traspare una situazione analoga a quella che si riscontrava ai tempi di Gesù e che lo costringerà,rivolgendosi alla folla ed ai suoi discepoli, ad una “filippica” contro gli scribi ed i farisei.
Ma di nuovo, direte voi? Ma perché Gesù ce l’aveva tanto contro gli scribi ossia i dottori della legge, gente colta ed intellettuale che aveva studiato alacremente e con i farisei, uomini che suddividevano la loro giornata in tre parti uguali, otto ore a studiare i sacri testi, otto ore a lavorare ed otto per il giusto riposo? Non era forse una vita da uomini retti e pii?
Può essere ma a Gesù non basta, non basta se questa condizione deve creare una sorta di auto referenzialità per cui, un po' alla Marchese del Grillo, “Io so’ io e voi non siete un ca….”, non basta perché proprio i farisei,che pure avevano dei meriti in campo religioso poiché riconoscevano, ad esempio,la resurrezione dei corpi e quindi la “vita dopo la vita”, si erano un po' avvitati dentro sé stessi e la loro teologia si applicava nelle già citate molte altre volte seicentotredici norme che di fatto legavano il popolo ad un’osservanza molto rigida nei comportamenti di vita, tutta fatta di formalismi, una vita resa difficoltosa da lacci e lacciuoli, poca introspezione spirituale e vero dialogo con Dio.
Stessa situazione cinque secoli dopo Malachia si presenta a Gesù che si ritrova una classe sacerdotale tutta tesa a farsi incensare, sempre pronta ad occupare i posti d’onore in banchetti (pare fossero anche “golosi”) e nelle sinagoghe, a farsi chiamare dalla gente “maestro”,”padre”, “guida” quando la coerenza tra quello che insegnavano e quello che praticavano era nulla ed è questo quello cui punta il Signore con la sua “filippica”, qui sta il nocciolo della questione : la coerenza tra quello che si predica e quello che si mette in atto nella vita di tutti i giorni e questo vale certamente anche oggi nei casi in cui è l’auto referenzialità a farla da padrona,quando si vuole salire su un pulpito senza averne l’autorevolezza giusta,quando hai voglia di nascondere la polvere sotto i tappeti perché questa azione può si nascondere la sporcizia ma non eliminarla.
Ed è a quelli che Gesù si rivolge e sono quelli la “pietra d’inciampo” citata da Malachia, quelli ma non tutti ed ecco perché la Chiesa, continuando a riconoscere il Vangelo come pietra di paragone ed ispirazione,non ha “censurato” questa pagina che i suoi “avversari” potrebbero usare per attaccarla una volta di più ma anzi la adotta per restare sempre e comunque alla sequela del Cristo.
Ovviamente la coerenza chiesta dal Signore non vale per i soli sacerdoti ma deve essere adottata anche da tutti i laici impegnati nel sociale,nelle varie comunità,nella politica ma qui apriremmo un altro dolente capitolo perché ,ahinoi, finché si sente solo blaterare di “misure” e di “riforme” e mai nessuna di questa sembra essere scritta a favore del popolo,verrebbe voglia di adottare quell'epiteto “Ipocriti!!!” che soleva adoperare Gesù nei confronti dei potenti di allora ma anche, più prosaicamente,il sistema adottato da Eduardo De Filippo nel celebre film “L’oro di Napoli” ossia … ‘o pernacchio..
Per tanto non dimentichiamo le parole con cui Gesù conclude questa splendida pagina e rammentiamolo anche a chi occupa posti di prestigio che :“ Chi tra voi è più grande sarà vostro servo; chi invece si esalterà sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”.
«Quella notte (Veglia di Natale del 1993) capii che l'emarginato,il drogato,il travestito,le donne buttate in strada per vendere il proprio corpo,erano lì alla ricerca di un bene,con lo stesso diritto di ogni altra creatura,oltre l'asfittico giudizio di chi conosce la sua realtà e non le altre»

29.9.23

amore e fedeltà al tempo d'internet e dei social

ricolleganomi   allo scritto per  questro blog  di  margherita  todesco   ecco  dai social  (  a  volte  capita  di trovarci qualcosa  d'interessante   )   uno  spunto  che  lo  conferma  e  lo approfondisce  . 

  dalla  comunity  facebook 

  Utopia. 22 h

 
Mia moglie dormiva accanto a me e improvvisamente ho ricevuto una notifica di Facebook, una donna mi ha chiesto di aggiungerla.
Così l'ho aggiunta. Ho accettato la sua richiesta di amicizia e le ho inviato un messaggio chiedendole: "Ci conosciamo?.
Lei ha risposto: "Ho sentito che ti sei sposato ma ti amo ancora".
Era un'amica del passato. Era molto bella nella foto. Ho chiuso la chat e ho guardato mia moglie, dormiva profondamente dopo la sua faticosa giornata di lavoro.
Guardandola, stavo pensando a come si sente così al sicuro da poter dormire così comodamente in una casa nuova di zecca con me. È lontana dalla casa dei suoi genitori, dove ha trascorso 24 anni circondata dalla sua famiglia.
Quando era sconvolta o triste, sua madre era lì per farla piangere tra le sue braccia. Sua sorella o suo fratello raccontavano barzellette e la facevano ridere. Suo padre tornava a casa e le portava tutto ciò che le piaceva, e anche così si fidava molto di me. Mi sono venuti in mente tutti questi pensieri, quindi ho preso il telefono e ho premuto "Blocca".
Mi voltai verso di lei e mi addormentai accanto a lei. Sono un uomo, non un bambino. Ho promesso di esserle fedele e lo farò. Combatterò per sempre per essere un uomo che non tradisce sua moglie e non distrugge una famiglia.

22.3.23

Cosa distingue un discorso di odio da un’espressione di dissenso ?

Il primo ha per bersaglio l’esistenza di una persona o di una categoria. Il dissenso si rivolge a parole e azioni messe in essere da chicchessia contro i diritti di qualcun altro.  (  vedere  il mio  post   sulla  vicenda    di  Lucia  Annunziata   ) 

 Di solito questa rubrica parla di persone, perché raccontare le storie singole 

o collettive  è spesso il modo più efficace per restituire la complessità in cui viviamo e mostrare che le sue potenzialità sono alla portata di chiunque. Stavolta non sarà così, perché non conosco nessuno che vorrebbe essere raccontato nella cornice dell’odio o    se    ci  e  caduto (  come  spesso capita  anche  al  sottoscritto  )   tende  a  giustificarsi   ed  a  sminuirlo   . Avete letto bene: ho detto proprio odio. C’è un’espressione ricorrente sui giornali e nel dibattito pubblico di questi anni: è hate speech, cioè discorso d’odio, un modo di dire che sembra applicarsi a qualunque situazione in cui una persona si esprime in modo forte contro qualcosa o qualcuno. La legittimità del discorso d’odio sfiora un principio del nostro sistema giuridico che abbiamo considerato sempre inalienabile: in Italia non esiste il reato d’opinione, neanche se l’opinione è di odio. Mi si dice più volte   via  email  o nei  commenti  su  facebook   che l’apologia di fascismo è un reato di opinione e in teoria è vero, ma il principio della libertà di opinione è talmente più forte che nei tribunali le sentenze di condanna in merito sono praticamente inesistenti, anche in casi come le braccia tese agli anniversari dei caduti di Salò o la vendita di gadget inneggianti al Duce, per citare solo due degli episodi di assoluzione più eclatanti degli ultimi anni.Se dal lato giudiziario far certificare un discorso di odio come reato è difficilissimo, nel dibattito pubblico ed  mediatico  succede l’opposto: qualunque espressione di dissenso viene definita molto facilmente discorso di odio e chi pratica dissenso per mestiere – primi tra tutti gli intellettuali e i giornalisti d’opinione – viene fatto rientrare con grande facilità nella categoria degli odiatori di professione. Ma che come  fare   a  distinguere un discorso di odio da un’espressione di dissenso? In realtà   se  ci si  pensa  bene  non è affatto difficile: il discorso di odio ha per bersaglio l’esistenza stessa di una persona o di una categoria di persone. Odiare gli ebrei in quanto ebrei è un’opinione di odio, così come lo è odiare le persone omosessuali, quelle di altre etnie, le donne in quanto tali, i praticanti di questa o quella religione e, in generale, chiunque rientri nella categoria del diverso da me. Intendiamoci: non è reato odiare una di queste categorie. Ciascuno è libero di odiare chi gli pare. L’odio è un sentimento umano normale esattamente come tutti gli altri. Diffiderei di chi mi dice «io non ho mai odiato niente o  nessuno  », perché :  l'odio  come   l'amore  fanno  parte  dei nostri  sentimenti . Infatti   caratteristica fondamentale dei discorsi d’odio è infatti che essi sono pericolosi. Oltre a ferire le persone contro cui sono diretti, fungono da valvola di sfogo per pulsioni antisociali che possono dilagare. Anche se tutelare la libertà di esprimere dissenso, disagio e malcontento rimane cruciale.
I discorsi d’odio limitano la libertà di espressione delle vittime. Infatti  l’hate speech va inteso come più di una semplice contrapposizione tra due diritti – il diritto di libera espressione da un lato e quello alla dignità dall’altro. Esso può essere più efficacemente compreso come uno stesso diritto, esercitato da due soggetti, la cui espressione in uno può limitare l’altro. Difatti l’odio calpesta la libertà di espressione della vittima, sino anche a impedirle di denunciare il reato subito, per vergogna, timore, paura di non incontrare supporto – come dimostrato anche dal fenomeno dell’under-reporting, ovvero il fatto che i reati denunciati sono di entità nettamente inferiore rispetto a quelli compiuti.
L’odio online e le sue peculiarità
Il documento si sofferma anche sulle modalità di diffusione dell’odio, e in particolare su quelle digitali – anche se è importante sottolineare che l’hate speech è caratteristico anche dei media tradizionali.I discorsi d’odio online hanno caratteristiche peculiari. E  poi  online, l’odio rimane attivo più a lungo, si presenta in diversi formati ed è facilitato dalla generale percezione di anonimato e impunità. Inoltre è transnazionale, il che rende più complesso individuare i meccanismi legali idonei per combatterlo. Gli algoritmi poi distorcono ulteriormente le notizie, creando dei veri e propri filtri cognitivi. Oltre al fatto che la comunicazione digitale è più veloce, e che genera effetti a catena.
A questo si aggiunge il fatto che le piattaforme esercitano ormai un enorme potere che non è solo sociale, ma anche economico, politico e tecnologico. Sono capaci di orientare il dibattito pubblico, come fossero un organo politico. Ecco    che   sta       noi  decidere  se    alimentarlo    o  stroncarlo  sul  nascere   insomma  contrastarlo

  • Informarci  sui fatti e sui dati riguardanti il tema in questione
  • Diffondere informazioni corrette e verificabili
  • Evitare di condividere notizie false o non verificate
  • Utilizzare un linguaggio rispettoso e non offensivo
  • Evitare di generalizzare o stereotipare le persone appartenenti a una determinata categoria
  • Promuovere la diversità e l’inclusione

oppure   come     ho più volte  suggerito in particolare   nel  post   : <<  l'odio conserviamolo per le cose importanti non per le sciochezze e trasformarlo \ incanalo in qualcosa di positivo o non coltivarlo .  [ se  non le  leggete   le  foto   le  trovate qui   e qui   ]>>   Infatti  il mondo è pieno di situazioni odiose e non avere (o più esattamente non riconoscere) le emozioni corrette per reagire a qualcosa di odioso è indice di aridità emotiva o, peggio, di irresponsabilità verso i propri sentimenti. IL  problema sociale dell’odio comincia dopo, quando chi odia  non  riesce  a controllarlo   e  cerca di progettualizzare la sua emozione e diffonderla, al fine di creare delle strutture per trasformarla in azioni lesive verso le categorie odiate. È il passaggio fondamentale per cui quella che senza organizzazione resterebbe una semplice pulsione emotiva  un  atto  individuale      che   diventa un vero e proprio atto politico  e  di massa   . Un esempio  semplice   uomo che odia le donne – diremmo un misogino patologico – è un pericolo potenziale ma se quest’uomo aprisse un forum ,  pagina  social  dove invita a unirsi a lui tutti gli uomini che provano gli stessi sentimenti e insieme stabiliscono azioni lesive contro la categoria odiata, sia  l’evoluzione dell’odio da opinione a reato sarebbe palese. Se qualcuno fondasse un partito che ha come elemento fondante l’odio verso gli omosessuali e come obiettivo politico la creazione di leggi contro la libertà delle persone Lgbt, non sarebbe difficile per nessuno riconoscere il discorso d’odio nei suoi proclami. Poiché però nessuno è (    almeno  che  non  voglio  sconfinare  nell'illegalità   )  fesso, chi progetta il proprio odio non si esprime mai esplicitamente in termini di odio, ma si propone come difensore di un bene differente, presentato come alternativo. Chi odia gli omosessuali dirà che costituisce un partito per proteggere la famiglia tradizionale, per la quale i diritti degli omosessuali sarebbero un pericolo. Chi prova odio xenofobo dirà che sta strutturando un apparato per difendere i diritti degli italiani, messi in discussione dall’esistenza stessa degli stranieri sul territorio nazionale. Chi vuole fare azioni misogine strutturali non scriverà mai in un programma che odia la libertà di scelta delle donne, ma che intende promuovere e sostenere una certa idea di donna, la sola giusta, guarda caso la sua.
Il paradosso è che criticare  e  denunciare queste vere e proprie forme di organizzazione dell’odio viene presentato a sua volta come atto di odio e come tale addirittura portato in tribunale come diffamazione  con  il rischio   d''essere  condannato   , per cui chi osserva il dibattito pubblico da spettatore comune ha l’impressione che tutti odino tutti. Non è così. La critica politica e l’odio non sono la stessa cosa. Che si tratti di un intellettuale (  radical  chic   o meno    )  che si indigna davanti a un bambino morto in mare per la volontà politica di far mancare i soccorsi ai migranti o di tre studenti che tirano vernice lavabile alla facciata del Senato per chiedere attenzione al cambiamento climatico, questo è dissenso , non odio. Occorre riacquisire la capacità di riconoscere quel che è odio verso le persone da quello che è dissenso verso le scelte, specialmente quelle di chi governa. L’odio è un terreno di coltura da tenere sotto controllo    certo  , mentre il dissenso è un bene democratico, perché si rivolge a parole e azioni messe in essere da chicchessia contro i diritti di qualcun altro, soprattutto se chi li compie ha il potere di far diventare questi atti legge dello Stato.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...