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2.1.25

mia riflessione su acca larentia

  di cosa  stiamo   parlando 


Strage di Acca Larenzia
 è la denominazione giornalistica[1] del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978, per opera di un gruppo armato afferente alla estrema sinistra, nel quale furono uccisi due giovani appartenenti al Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano.A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo militante Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell'ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell'agguato.L'agguato, rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, contribuì a una degenerazione della violenza politica e dell'odio ideologico tra le opposte fazioni estremiste negli anni di piombo, oltre che al mantenimento di uno stato di tensione caratteristico della Prima Repubblica.  segue   su  Strage di Acca Larenzia - Wikipedia


Cari  lettori   non fraintendetemi   quando  ho scritto :<<  
Targa abusiva ad Acca Larentia. Il Pd insorge e il Campidoglio la rimuove .  farà  una  cosa  simile    per  la  manifestazione del  7 gennaio ? >>    non  voglio   vietare  a coloro  che  (  certi eventi  non  dovrebbero  avere  colore politico  )  vogliono ricordare  di celebrare tale evento  Ma  sto  solo     criticando    con quella   forma  interrogativa  il modo     con cui   lo  si  commemora  ovvero i saluti romani,  il rito di presente , marce svastiche / militari  ( cit.  Aida di Rino Gaetano )


Infatti   da   un paio  d'anni  il dibattito attorno alla commemorazione dei fatti di  #AccaLarentia mette in luce una questione più ampia: il significato della #memoriastorica in una società democratica. La commemorazione di #eventitragici come la strage di Acca Larentia appunto  non dovrebbe essere solo un momento di #ricordo, ma anche un’opportunità per #riflettere sulle lezioni del passato e per promuovere una cultura di pace e rispetto. Tuttavia, la polarizzazione politica e le tensioni sociali sempre vive rendono difficile raggiungere un consenso su come e perché commemorare. La sfida è quella di trovare un #equilibrio tra il diritto di commemorare e la necessità di condannare ogni forma di : violenza , intolleranza. , rigurgiti del passato che    ancora  non passa   e  come un fenomeno carsico  ritorna   a galla  
Ma  sopratutto  evitare   come   ho   già  detto  sempre  nel post precedente  che<<  [....]  ogni anno al 7 di gennaio giorno della strage di Acca Larentia ci troviamo con i soliti saluti fascisti e le solite marce svastiche Chi usa la tragedia dei morti di ieri strumentalmente per propagandare nel presente le follie del fascismo di oggi ne infanga la memoria e non merita alcun rispetto. In  quanto vuole usare   quelle  vicende    dolorose  di quel  periodo  terribile che  ha  insanguinato  l'italia  per  30  anni  per  scopi  strumentali   \ ideologici       di    tali   eventi  drammatici  . >> con questo è  tutto 

20.2.24

perchè cavalco la tigre e parlo di storia e di argomenti divisivi o anticaglie come dicono alcuni . 40 della strage di natale 23\12\1984-23\12\2024 strage rapido 904

 

 fatto 
Strage del Rapido 904 o strage di Natale è il nome attribuito a un attentato dinamitardo avvenuto il 23 dicembre 1984 nella Grande Galleria dell'Appennino, subito dopo la stazione di Vernio, ai danni del treno rapido n. 904, proveniente da Napoli e diretto a Milano[. . [...]  da  Strage del Rapido 904 - Wikipedia

 dalla  newsletters   di  Altre/Storie di https://mariocalabresi.com/


Quarant’anni fa l’attentato al Rapido 904 spezzava vite e cambiava destini. Anche quello della famiglia Taglialatela, dimezzata dall’esplosione. Nella settimana in cui la Procura di Firenze è tornata a indagare sui responsabili della bomba, Gianluca Taglialatela racconta la sua storia di sopravvissuto e il suo bisogno di verità



Il 1984 era stato un anno felice per la famiglia Taglialatela, vivevano a Ischia e non avevano pensieri o problemi. Papà Gioacchino la mattina lavorava in Comune e il pomeriggio faceva il geometra; mamma Rosaria aiutava suo padre nel ristorante di famiglia; Gianluca, che era in terza media, appena poteva correva a giocare a tennis e Federica, che aveva solo 12 anni, era quella che le maestre chiamavano “una bambina modello”, educata, sorridente, bravissima a scuola. Per Natale avevano deciso di lasciare l’Isola per andare a sciare a Livigno, ma pur avendo passato giornate a telefonare a tutti gli alberghi, non avevano trovato posto. Così avevano deciso di andare a passare le feste dai parenti che abitavano a Milano, gli zii che erano scappati al Nord dopo il terrore del terremoto del 1980. A Milano avrebbero festeggiato anche i 14 anni di Gianluca che li compiva il giorno della Vigilia. Il regalo però glielo avevano già dato a Ischia: una nuova racchetta da tennis. La teneva stretta quando alle 12:55 del 23 dicembre 1984 il Rapido 904 partì dal binario 11 della stazione di Napoli.


Alcune fotografie della famiglia Taglialatela


Appena saliti si erano sistemati nel primo scompartimento della carrozza di seconda classe, ma era tutto bagnato e puzzava, allora decisero di cambiare e si spostarono di due scompartimenti. Gianluca si era portato la radiolina e fino all’arrivo a Roma ascoltò la telecronaca di Juventus-Napoli. Aveva vinto 2-0 la Juve allenata da Trapattoni, il gol del raddoppio lo aveva segnato Michel Platini. Era il primo anno di Maradona al Napoli e nonostante le grandi speranze la squadra ancora non era decollata.
Il treno era pienissimo e si riempì ancora di più a Roma, c’era gente seduta sulle valigie e per terra, in corridoio. I Taglialatela si misero a giocare a carte.
«Quando il treno si è fermato alla stazione di Firenze – ha raccontato la signora Rosaria - io sono uscita dallo scompartimento per fumare una sigaretta e mio marito è sceso per comprare un pacco di biscotti ai ragazzi. Nel corridoio non c’era più nessuno, il treno si era svuotato, mi sono messa al finestrino a osservare la gente che scendeva, poi ho visto un signore che appoggiava due borsoni scuri nella reticella portabagagli del corridoio. Io ero di fronte al mio scompartimento, c’erano i miei figli e una ragazza che mangiava una mela. Guardavo quell’uomo robusto, aveva un cappotto cammello e un basco sulla testa, e non capivo perché mettesse le sue borse all’esterno dello scompartimento e non dentro. Poi è arrivato mio marito, siamo entrati dentro, abbiamo dato i biscotti ai ragazzi e il treno è ripartito verso Bologna. Ci siamo rimessi a giocare a carte e dopo dieci minuti, un quarto d’ora, mentre eravamo in galleria, è successo quello che è successo».


La carrozza del Rapido 904 squarciata dalla bomba ©Luciano Nadalini / Mappedimemoria.it


Quello che è successo è che alle 19:08, mentre il Rapido 904 percorreva la Grande galleria dell’Appennino, ci fu una terribile esplosione che uccise 16 persone e ne ferì 267. Un attentato voluto dalla mafia, nel momento in cui Tommaso Buscetta aveva cominciato a parlare con il giudice Giovanni Falcone.
«Si parlava, si rideva, e in una frazione di secondo tutto è cambiato. Sono stato investito dal calore, dai detriti, scaraventato lontano. Ricordo il buio.
Come nei film c’è stato un momento di silenzio totale, poi gemiti, urla, richieste di soccorso. Siamo stati tanto tempo là sotto, un paio d’ore, io ero bloccato e ustionato dall’esplosivo. Avevo perso il senso del tempo. Federica era di fronte a me, non la vedevo e non l’avrei mai più vista, ma sentivo i suoi capelli con la mano. Erano bruciati».
Gianluca Taglialatela oggi ha 53 anni, vive a Milano dove ha una pizzeria di fronte all’Arco della Pace. È rimasto solo lui di quella famiglia felice. Fino allo scorso anno c’era anche mamma Rosaria, ma è mancata ad aprile, a 82 anni.
Rosaria è stata testimone nel processo che condannò all’ergastolo Pippo Calò, il cassiere della mafia, e fino alla fine della sua vita ha chiesto di conoscere tutta la verità, convinta che molte cose non fossero chiare. Proprio questa settimana si è saputo che, quarant’anni dopo, la Procura di Firenze è tornata ad indagare sull’ipotesi – già emersa allora – che nella strage ci fossero complicità da parte di elementi dell’estrema destra neofascista ed esponenti dei servizi segreti. Gianluca ha letto della nuova inchiesta dai giornali e ancora una volta è tornato a sperare: «Abbiamo sempre pensato che fosse una strage nera e di mafia, la verità che abbiamo è parziale, è bene che qualcuno abbia ancora voglia di scavare».
Anche se la sua vita non potrà cambiare. «Ero un bambino cresciuto in un’isola felice e poi in un istante, il giorno prima di compiere quattordici anni, tutto finisce, tutto si tronca. Tante volte ho pensato al caso tragico che ci aveva messo su quel treno e in quella carrozza, le probabilità erano meno di quelle di vincere al Lotto. Poi penso che se non avessimo cambiato scompartimento io non sarei qui a ricordare: in quello bagnato da cui ce ne siamo andati non si è salvato nessuno».


L’esplosione della bomba sul Rapido 904 uccise 16 persone e ne ferì 267 ©Luciano Nadalini / Mappedimemoria.it


I mafiosi, che avevano azionato il comando della bomba quando era in galleria per massimizzare l’effetto dell’esplosione, puntavano ad una strage ancora più grande. In quel momento il Rapido 904 avrebbe dovuto incrociare il treno che arrivava da Parigi, ma non successe perché era in ritardo.
«ll primo ricordo della mia seconda vita è il risveglio sotto la lampada del tavolo operatorio dove mi stavano dando dei punti in faccia. Ricordo queste luci negli occhi. Poi tornai più volte nella sala operatoria perché le lamiere mi avevano tagliato l’avambraccio, ma un’equipe pazzesca del Rizzoli di Bologna riuscì a rimetterlo insieme. Papà e mamma vennero ricoverati all’Ospedale Maggiore e dimessi dopo un mese. Venivano a trovarmi dei parenti, ma nessuno mi diceva nulla, non sapevo che mia sorella non ci fosse più, non mi dissero dei suoi funerali. Piano piano cominciai a capire le cose, anche se non mi facevano vedere la televisione. Ho scoperto solo molto tempo dopo che Federica, che aveva 17 mesi meno di me, era morta. Aveva sbattuto lo sterno contro il tavolinetto su cui giocavamo a carte e quello l’aveva uccisa».
Gianluca ricorda ogni secondo, ogni faccia e ogni nome di quel ricovero durato ben sei mesi: «Ricordo ancora la caposala Erminia: io stavo bene all’ospedale perché mi coccolavano e mi facevano sentire al sicuro. Non volevo uscire più. Non volevo tornare nel mondo di fuori». Il mondo di fuori gli avrebbe fatto ancora più male, due anni dopo: per i postumi dell’esplosione, sarebbe morto anche suo padre. Della famiglia felice erano rimasti solo in due, ma si rimboccarono le maniche: Gianluca a 17 anni lasciò la scuola per lavorare come cameriere.


Il Parco Pineta degli Atleti, alle spalle della casa della famiglia Taglialatela a Ischia, dove Federica e Gianluca giocavano da bambini


«Ma non ho mai pensato di essere una vittima e nel mio dramma mi reputo anche fortunato, ho quattro figli, un bel lavoro e sono arrivato a 54 anni. È un altro il problema: mi porto dietro un terribile senso di colpa di essere sopravvissuto. Ancora oggi non riesco a parlare di mia sorella senza commuovermi, e una delle mie figlie porta il suo nome».
A estrarre Gianluca dalle lamiere del treno fu un giovane volontario arrivato da Bologna, di nome Stefano: «Pensa che ogni Natale, da trentanove anni, mi chiama per gli auguri. Gli sono infinitamente grato di avermi tirato fuori da quell’incubo».
La nuova esistenza di Gianluca trovò una forma quando lo zio gli chiese di prendere nuovamente il treno per Milano: «Erano passati esattamente dieci anni, avevo messo un po’ di soldi da parte facendo il cameriere e poi il barman di notte tra Ischia e Napoli, e lo zio mi convinse ad investire i miei risparmi nella “pizza del futuro”. Mi feci coraggio e ricominciai dalla città in cui non eravamo mai arrivati». Gianluca si accende quando parla della pizza sottile e digeribile che fa, da allora, nel suo locale che si chiama “Taglialà”. È soddisfatto della sua vita.
«Devo tantissimo a mia madre, una donna d’altri tempi. È riuscita ad avere una forza incredibile, aveva perso la figlia e il marito ma non l’ho mai vista piangere. Era piena di schegge di vetro dappertutto, che le sono uscite per anni dalla pelle, e rimase gravemente ferita all’occhio sinistro, ma è stata capace di vivere e mi ha lasciato libero di viaggiare e di andare nel mondo. Non voleva che rimanessimo chiusi in casa a piangere. A metà degli anni Novanta cominciò una relazione con un uomo di Roma e insieme aprirono una scuola di ballo. Lei, che amava ballare da sempre, si era messa a studiare e aveva preso un diploma per insegnare il liscio. Quando quella storia finì tornò a Ischia dove per anni ha gestito un piccolo albergo di dieci camere sul mare».
Parliamo a lungo, ma di Federica Gianluca non riesce a dire quasi nulla. Alla fine del nostro incontro mi suggerisce di chiamare la loro professoressa di matematica e scienze delle medie, si chiama Sandra Malatesta e vive ancora ad Ischia. «Lei, da allora, porta avanti il ricordo di Federica con tutti i bambini dell’Isola. Ha un amore infinito per mia sorella».


Federica Taglialatela © Fondazione Pol.i.s. / Noninvano.org


La professoressa Sandra, che ha insegnato per 43 anni, non si è fatta pregare, mi ha raccontato con infinita dolcezza di quella sua alunna, e poi mi ha mandato un piccolo scritto che riporto qui: «Federica frequentava la seconda media, sezione O, della scuola Scotti di Ischia. Io la conoscevo fin da quando aveva due anni perché ero andata ad abitare, da fresca sposa, nello stesso condominio. Federica e Gianluca venivano spesso a giocare a casa mia e poi me la ritrovai in classe in prima media. Un giorno di quel mese di dicembre 1984, nell'intervallo, Federica ci disse che sarebbe andata con la famiglia a Milano per le vacanze di Natale a trovare gli zii. Non lo disse con entusiasmo. Era scocciata, voleva restare a Ischia a giocare a tombola con le amichette del palazzo. I compagni la presero in giro dicendole che era fortunata. Il 22 dicembre, ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, entrando in classe per le due ultime ore, notai la cattedra piena di rose e cioccolatini. Mi dissero che Federica il giorno prima aveva voluto organizzare una festa e regalare fiori e dolci a tutti i professori. Fui sorpresa e le sorrisi. Era una ragazzina bella e allegra. Sapeva fare le imitazioni e spesso la mettevamo in piedi su un banco e lei cominciava. L'ultima ora facemmo una festa mettendo i banchi contro le pareti e con il mangiadischi ascoltammo musica e ballammo, ascoltammo soprattutto Terra Promessa di Eros Ramazzotti, il suo idolo. Ci salutammo e lei mi disse che aveva cucito dei brillantini sulla gamba dei jeans così non sarebbe sembrata un maschietto, visto che aveva tagliato i capelli corti corti. Il 24 mattina andai con mia madre al mercato del pesce e vidi tanti capannelli di persone che parlavano tra di loro. Mamma chiese cosa fosse successo. Ci raccontarono che era scoppiata una bomba su un rapido partito dal binario 11 della stazione di Napoli e diretto a Milano e che a bordo c’era anche una famiglia di Ischia. Mi sentii svenire e dissi a mia madre: “È morta Federica”.
Cominciò uno dei giorni più brutti della mia vita. Federica non si trovava, di lei non si aveva nessuna notizia. Nel pomeriggio la Protezione Civile diede a me e alla professoressa di italiano Susi Pacera il numero dell'ospedale di Bologna. Chiamammo e ci passarono l’obitorio, ci dissero che era rimasto solo un ragazzino con i capelli corti da riconoscere. Io dissi soltanto di guardare se avesse dei brillantini sui jeans. Dopo poco dissero di sì.
La bara con Federica arrivò alla chiesa di Portosalvo il 28 dicembre e sopra c'era l'orsacchiotto che aveva sullo zaino di scuola. Io mi avvicinai e le promisi che finché sarei vissuta avrei parlato di lei, ogni anno e in ogni classe. Non ho mai smesso di farlo».


11.9.22

perchè 11 settembre 2001 è ancora attuale

Oggi è l'11 settembre e come ogni anno che passa è sempre più difficile scrivere o parlare di quello che successe 21 anni fa senza cadere nella : retorica patriotica , stuchevolezza , nel conflitto ideologico , nel non dimenticheremo mai ma poi si continua con la stessa politica estera che n'è alla base .

 nella  1ª fila: Le Torri Gemelle bruciano su Manhattan  2ª fila: La sezione crollata del Pentagono (sinistra); a fianco lo schianto del Volo United Airlines 175 sulla Torre Sud (destra)3ª fila: Un pompiere manovra i soccorsi a Ground Zero (sinistra); a destra, il ritrovamento di un motore del Volo United Airlines 93 (destra)4ª fila: Il Volo American Airlines 77 ripreso da una telecamera di sicurezza mentre si schianta sul Pentagono.

  la  soluzione  sarebbe quella  di mettere    video  del silenzio (  sarà  retorico   ma  davanti  a  simili  eventi    non ne  riesco a  farne  a meno  )    come quello riportato sotto  . altri video  molto spesso     retorici  con le  immagini    di quello che  è  stato  .Infatti   tale  evento  ,  da qualunque  parti  lo  si  racconti     \  celebri  è un evento  entrato    dentro  di noi ed  rimasto  impresso   come se  fosse   sucesso   poco fa  .

   E' rimasto talmente  impresso    che   ancora  si fa  fatica    a   vederlo  come  qualcosa  d'archiviare   ed   andare  avanti  .  La  mia  visione  degli eventi  ,  visto  che  non colpi  solo   le  due  torri,    come  ci viene  propinato   nel  90 %  dei  documentari   ,  ma    anche :  l'edificio  dei  pentagono  ( il  terzo aereo  )   ed   il volo United Airlines 93  (  il quarto aereo  ) , venne fatto inizialmente dirigere verso Washington per colpire la Casa Bianca, ma precipitò successivamente in un campo nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania, a seguito di un'eroica rivolta dei passeggeri ,  è quella    del  film  collettivo  https://it.wikipedia.org/wiki/11_settembre_2001_(film)  che   che  ripeto  da    anni.    eccovi   un riassunto  delle trame    dei     corti  che mi   hanno   comìlpito   di più    e  che  rappresentano  ,la mia  visione  che ripeto d'anni     ,   su tali eventi   per gli altri  consultate  l'url   citato nella  riga  precedente


:1) Episodio #02: "Francia" Regia: Claude Lelouch
New York, 11 settembre 2001: una giovane fotografa francese sordo-muta è ospite del fidanzato, guida turistica per disabili che sta per portare un gruppo in visita alle Torri Gemelle. Dopo che lei ha tentato di spiegargli che una storia a distanza come la loro non ha nessuna possibilità di riuscita, cerca di lasciargli un messaggio al computer prima d'andarsene, spiegandogli che solo un miracolo  può tenerli ancora assieme. In quel momento lui torna a casa coperto di polvere, sfuggito miracolosamente all'attentato. .,  2) Episodio #06: "Regno Unito"Regia: Ken Loach  Pablo, profugo cileno a Londra, scrive una lettera ai familiari delle vittime degli attentati dell'11 settembre 2001, ricordando loro il "suo" 11 settembre: quello del 1973, quando il generale Augusto Pinochet attuò un colpo di Stato, sostenuto dagli USA, contro Salvador Allende, presidente democraticamente eletto nel 1970. Pablo narra nella sua lettera del coinvolgimento statunitense nel finanziamento di gruppi di destra e di eversione, fino al golpe, e delle violenze e delle torture subite da lui e dai suoi connazionali. Costretto prima a cinque anni di prigione e poi all'esilio, dichiara di non poter più tornare in Cile perché la sua famiglia e i suoi figli ormai sono nati e cresciuti nel Regno Unito. Pablo conclude la sua lettera con l'auspicio che, così come lui si unirà nel ricordo delle vittime dell'11 settembre 2001, così loro si uniranno a lui nel ricordo delle vittime dell'11 settembre 1973 ., 3) Episodio #09: "India" Regia: Mira Nair  Una donna pakistana non ha più notizie del figlio Salman dal giorno degli attentati alle Torri Gemelle. CIA e FBI la interrogano ripetutamente, poiché ritengono che il giovane, di fede musulmana, possa essere collegato agli attentati. In particolare, fanno molte domande sul perché non si sia presentato al lavoro quel giorno e sul perché, nonostante avesse deciso di intraprendere la carriera medica e di abbandonare l'accademia di Polizia, detenesse ancora il tesserino di quest'ultima.Mentre la donna non si rassegna alla scomparsa del figlio, i media iniziano a riferire la notizia di un suo coinvolgimento nell'attentato, cosa che non fa che acuire l'isolamento in cui la donna e la famiglia sono piombati. Solo dopo sei mesi, il resti del ragazzo vengono identificati fra quelli ritrovati fra le macerie e viene ristabilita la verità: si scopre che il giovane è morto mentre prestava soccorso sul luogo degli attentati. Durante l'elegia funebre, la madre denuncia il clima di sospetto che si è creato contro la sua famiglia e contro la comunità musulmana negli Stati Uniti. ., Episodio #09: "India"  Regia: Mira Nair  Una donna pakistana non ha più notizie del figlio Salman dal giorno degli attentati alle Torri Gemelle. CIA e FBI la interrogano ripetutamente, poiché ritengono che il giovane, di fede musulmana, possa essere collegato agli attentati. In particolare, fanno molte domande sul perché non si sia presentato al lavoro quel giorno e sul perché, nonostante avesse deciso di intraprendere la carriera medica e di abbandonare l'accademia di Polizia, detenesse ancora il tesserino di quest'ultima.Mentre la donna non si rassegna alla scomparsa del figlio, i media iniziano a riferire la notizia di un suo coinvolgimento nell'attentato, cosa che non fa che acuire l'isolamento in cui la donna e la famiglia sono piombati. Solo dopo sei mesi, il resti del ragazzo vengono identificati fra quelli ritrovati fra le macerie e viene ristabilita la verità: si scopre che il giovane è morto mentre prestava soccorso sul luogo degli attentati. Durante l'elegia funebre, la madre denuncia il clima di sospetto che si è creato contro la sua famiglia e contro la comunità musulmana negli Stati Uniti. ., 4) Episodio #10: "Stati Uniti d'America" Regia: Sean Penn Un anziano trascorre la sua vita da solo in un appartamento oscurato dalle Torri Gemelle. L'uomo, rimasto vedovo, sfoga la sua solitudine parlando con la sua defunta moglie, come se fosse ancora in vita, e coltivando il suo vaso di fiori, appassiti per la mancanza di luce. Il crollo delle Torri finalmente permette alla luce di inondare l'appartamento e rivitalizza all'improvviso i fiori. L'anziano, felice per l'accaduto, fa per mostrare il vaso alla moglie, ma la luce svela l'illusione in cui ha vissuto fino ad allora. Fra le lacrime, rimpiange che la moglie non sia lì a vedere finalmente il vaso rifiorire.


 avrei altro da dire  . ma preferisco  fermarvi qui   one  evitare   polemiche  , le  solite  acciuse  di anti americanismo  ,  e  bla ....  bla  ....  . 


20.12.16

Berlino, Fabrizia Di Lorenzo, la ragazza dispersa: una figlia dell'Erasmus con il sogno dell'integrazione .,e dubbi sull'attentato parte II

Leggendo sula  mia pagina  di fb   l'articolo di repubblica  (  condiviso  dalla amica  \ utente  daniela  tuscano  ) che  trovaste  sotto  ,  ho deciso di spostare l'altra  news   sul tentativo  di trovare  un capo espiratorio  o errore  sui  colpevoli dell'attentato  (  ?  )   eun altro post  sui  miie dubbi dell'attentato http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2016/12/dubbi-sul-vile-attentato-ai-mercatino.html


da repubblica  online


Berlino, Fabrizia Di Lorenzo, la ragazza dispersa: una figlia dell'Erasmus con il sogno dell'integrazione.
Cervello in fuga, 31enne di Sulmona, laureata a Bologna, lavora nella capitale tedesca per un'azienda di trasporti. I familiari in Germania per l'esame del Dna


di AGNESE ANANASSO






Fabzia Di Lorenzo (foto da Twitter) DOPO ore col fiato sospeso in attesa di notizie su Fabrizia Di Lorenzo, la 31enne di Sulmona (L'Aquila) dispersa dopo la strage di Berlino di ieri sera, le speranze che non sia tra le vittime non identificate si sono ridotte a un soffio. Lo stesso papà Gaetano, in partenza per la capitale tedesca ha affermato tra le lacrime: "Non dovrebbero esserci più dubbi, aspettiamo conferme, ma non mi illudo"
L'allarme è scattato in mattinata quando Fabrizia non si è presentata al lavoro ma i familiari hanno da subito temuto il peggio, da quando hanno cercato invano di mettersi in contatto con lei, senza ricevere risposta. Il suo cellulare è stato poi ritrovato sul luogo dell'attentato. Questa notte la famiglia si è messa quindi in contatto con la Farnesina e la madre e il fratello sono partiti immediatamente per la Germania per essere sottoposti all'esame del Dna. Solo dopo la comparazione del profilo genetico con le vittime non identificate le sue condizioni potranno essere ufficializzate.


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#Berlin. my cousin (Fabrizia Di Lorenzo) not replying to us since yesterday night. Some1 found her phone and metro pass on the site. #help12:55 PM - 20 Dec 2016

Cittadina del mondo, Fabrizia appartiene alla cosiddetta generazione Erasmus, ha scelto un percorso formativo orientato all’integrazione tra i popoli e alla lotta alla discriminazione. Dopo la laurea triennale alla Sapienza di Roma in Mediazione linguistico-culturale, ha conseguito la magistrale all’Alma Mater di Bologna in Relazioni internazionali e diplomatiche e un master alla Cattolica di Milano in tedesco per la comunicazione economica. Da qualche anno vive a Berlino, dove lavora in un’azienda di trasporti.
Una vocazione, quella di Fabrizia, che emerge anche da frasi, citazioni, immagini postate su Twitter, un susseguirsi di messaggi contro la discriminazione razziale e appelli a non confondere il terrorismo con l’immigrazione. L’ultimo cinguettio risale al 5 dicembre, con il video della scena del film "La meglio gioventù" in cui il professore universitario, durante un esame di medicina, invita Nicola (Luigi Lo Cascio) a lasciare l'Italia, un Paese di dinosauri, in cui non cambia mai nulla.

Berlino, i tweet di Fabrizia Di Lorenzo: "Non confondiamo immigrazione con terrorismo"





Insomma  una della  meglio  giovenbtù ched  non hanno   mandato il cervello all'ammmasso  come si diceva  un tempo   ovvero non si è defilippilizzata  


da  rai news  24 
(...) 
L'uomo, ha aggiunto, non compariva in alcun elenco di sospetti per attività terroristiche. La sua richiesta di asilo non era stata completata, ha aggiunto il ministro. "Forse non è lui" "C'è la possibilità che non si tratti del vero responsabile". Lo hanno detto gli inquirenti tedeschi nel corso di una conferenza stampa a proposito dell'uomo fermato ieri dopo la strage provocata da un camion piombato sulla folla in un mercatino natalizio a Berlino. "Al momento non abbiamo video dell'attentato. Ma collaboriamo con la polizia penale per un'analisi dettagliata dell'attentato anche attraverso sopralluoghi. Vogliamo raccogliere eventuali registrazioni video di questo camion con targa polacca. Dobbiamo ancora stabilire se vi siano più autori e se ci sono complici. Non sono state raccolte prove definitive. La persona fermata è di cittadinanza pachistana e c'è la possibilità che non si tratti del vero responsabile". Die Welt: sospetto ancora in fuga e armato Il pakistano fermato potrebbe dunque non essere l'autore dell'attentato. Lo riferisce la Die Welt citando fonti della sicurezza, secondo le quali il sospetto sarebbe invece ancora in fuga ed armato. La polizia e le forze speciali ne sarebbero state informate. Il testimone Intanto i media tedeschi raccontano che l'uomo è stato fermato grazie a un testimone che lo ha seguito e ha avvertito la polizia che lo ha arrestato poco distante dalla Colonna della Vittoria, nel cuore del parco Tiergarten: il testimone aveva assistito all'assalto del tir al mercatino, poi ha visto scendere il conducente dal camion e fuggire a tutta velocità. Ha deciso di seguirlo e, senza perderlo di vista, si è messo in contatto al cellulare con la polizia. E a due chilometri circa dal mercatino, quando era ormai all'interno del parco centrale di Berlino, varie agenti hanno bloccato il fuggitivo. Il vero autista Il vero autista del camion lanciato ieri sera contro la folla a un mercatino di Natale a Berlino sarebbe il 37enne polacco ritrovato morto a bordo del mezzo pesante: lo riferisce l'emittente polacca TVN24, ripresa dalla Bbc. L'uomo è morto perché colpito da colpi di arma da fuoco. Lo riferisce il sito dell'emittente N-Tv citando il ministro dell'Interno del Brandeburgo, Karl-Heinz Schroeterun che partecipava a una teleconferenza di ministri dell'Interno regionali tedeschi. Il cugino dell'autista, Ariel Zurawski, ha spiegato che il camion è stato dirottato mentre viaggiava dall'Italia a Berlino con un carico di travi d'acciaio. Zurawski ha aggiunto che il cugino avrebbe dovuto sostare a Berlino fino ad oggi a causa di un ritardo nella consegna. La polizia, segnala tuttavia la Bbc, ha affermato di ritenere che il camion è stato rubato da un cantiere in Polonia. Camion rubato poche ore prima l camion utilizzato nell'attacco di ieri sera a Berlino era stato rubato poche ore prima. Lo riferiscono i media polacchi. Il Tir ha targa polacca ed è di proprietà di una impresa di trasporti di Gryfino, vicino alla frontiera fra Polonia e Germania. Secondo i dati del Gps satellitare, riferisce l'emittente polacca TVN24, il camion è stato parcheggiato ieri verso mezzogiorno a Berlino con un carico di acciaio che doveva essere scaricato alle prime ore di questa mattina. Attorno alle 16, il motore del camion è stato acceso varie volte senza però che il mezzo si mettesse in moto, in quelli che potrebbero essere tentativi dell'aggressore per mettere in marcia il Tir. Il mezzo ha poi lasciato il parcheggio alle 19.45, poco prima di piombare sulla folla del mercatino di Natale. Il proprietario dell'impresa di trasporti aveva già detto di aver perso i contatti con il conducente del camion a partire dalle 16 di ieri pomeriggio. Camion partì da Italia il 16, no collegamenti Il camion era partito dall'Italia il 16 dicembre ma non c'è alcun collegamento tra l'attentato e il nostro paese. Secondo quanto si apprende da fonti qualificate della sicurezza, il Tir ha passato la frontiera del Brennero attorno alle 18 di venerdì scorso, dopo aver caricato dei laminati in uno stabilimento della Brianza, in Lombardia. - (....) continua http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Attentato-a-Berlino-il-pakistano-fermato-nega-media-killer-in-fuga-tra-i-dispersi-una-italiana-fd53ef2c-534c-4506-9837-ac3fb66db300.html

Quest'ultimo flash confermerebbe kla sua innocenza
    http://www.repubblica.it/esteri/2016/12/20/news/attentato_a_berlino_interrogato_nella_notte_migrante_pakistano_alla_guida_del_tir-154500269/  

25.7.16

eroi solitari del nostro di tempo di Franco Bifo Berardi -Matteo Tassinari

        Il bilico guidato da Mohamed Lahouaiej Bouhlel

Il camion del terrore

Terrorismo, disperazione, suicidio
        di Franco Bifo Berardi
Si stanno intensificando gli episodi di suicidio assassino: una persona (generalmente un giovane maschio) uccide quante più persone gli capitano a tiro prima di essere ucciso da un agente della sicurezza, un soldato o un poliziotto. L’ultimo, in ordine di tempo, è un maschio 31enne franco-tunisino, che ha scaraventato un camion lanciato ad alta velocità sull’affollato lungomare di Nizza uccidendo più di 84 persone. Si tratta di terrorismo, ci dicono i giornali che giorno dopo giorno documentano episodi di guerra civile globale nell’area euro-mediterranea e in vaste zone dell’Africa e dell’Asia oppone l’esercito islamista all’occidente.
In altre zone, come il Messico e il Brasile, si scatena l’esercito narcotrafficante contro la popolazione civile, mentre negli Stati Uniti d’America mobilita un esercito immenso di squilibrati mentali forniti di armi micidiali e in libera vendita dovunque, motivando, in questo modo, i poliziotti ad uccidere giovani afro-americani. Come nel caso recente di Dallas, quando un afro-americano, reduce dalla guerra afghana, sparava su poliziotti preferibilmente bianchi. Si tratta di terrore, questo è certo. Ma non sono sicuro che la spiegazione ideologica o religiosa sia quella che meglio ci spiega le ragioni di questa violenza che ormai è divenuta l’orrenda norma della vita quotidiana nella società globalizzata.
Libia, ISIS conquista aeroporto a Sirte
Alla fine di giugno 2016 un ragazzo palestinese di 17 anni, Muhammad Nasser Tarayrah, si é introdotto nottetempo in una casa di Kyriat Arba (letteralmente la "Città dei quattro") un insediamento israeliano alla periferia di Ebron, e ha ucciso a coltellate una ragazzina ebrea di 13 anni che stava dormendo nel suo letto. Pochi istanti dopo un soldato israeliano ha ucciso il giovane assassino. Niente di particolarmente sorprendente o di nuovo, anche se non è possibile restare indifferenti
L'insediamento di Kiryat Arba a Gerusalemme

Gli aironi solitari
Kyriat Arba è un insediamento di coloni israeliani che la legge internazionale considera illegale, l’aggressione israeliana è ininterrotta da decenni per cui è del tutto comprensibile che i palestinesi ripetutamente aggrediscano i coloni che hanno occupato le loro case e distrutto le loro vite. Ma l’azione dell’adolescente Tarayrah ha un carattere particolare per l’età dell’assassino e della vittima, e perché si inserisce in una successione impressionante di azioni che possiamo definire terroristiche solo se estendiamo enormemente il senso di questa espressione. Palestinesi di ogni età ripetono un gesto che appare inspiegabile secondo ogni logica militare o politica: escono dalle loro miserabili abitazioni con un coltello da cucina e si avventano contro il primo cittadino israeliano che capita, tentando, per lo più senza successo, di ammazzarlo.
L'“Intifada
dei coltelli”
Questi guerriglieri armati di coltello ottengono invece quasi sempre un altro risultato, quello di essere uccisi dai soldati israeliani, che sono armati fino ai denti. Si tratta di un’insurrezione, come suggerirebbe il nome “Intifada dei coltelli” che i giornali hanno dato a questa esplosione priva di senso militare e politico? L’insurrezione è un atto collettivo, un processo fondato sulla condivisione quotidiana di lungo periodo, e si prefigge generalmente di rovesciare un regime. Nel caso dell’Intifada dei coltelli si tratta di aironi individuali, solitari e per di più è evidente che i mezzi non sono adeguati per ottenere il fine.

Il massacro in Marikana, sud Africa


"La morte è un diritto,
ed esigo questo diritto"
Come spiegare allora questi atti? A me pare chiarissimo che i giovani palestinesi, stremati dalla miseria, dall’umiliazione, dalla sistematica violenza dello stato fascista e razzista di Israele si stanno suicidando, stanno commettendo quello che in inglese si chiama suicide by cop. Il giovanissimo Tarayrah, per parte sua, aveva spiegato il suo gesto in modo che più chiaro non si può, scrivendo sul suo profilo Facebook le seguenti parole: “Death is a right, and I demand this right”.
    Il suicidio come 
                 fuga dall’inferno
Occorrevano parole più chiare per darci la possibilità di comprendere di che stoffa sia fatto il cosiddetto terrorismo che sta lacerando il tessuto della società contemporanea? Quella stoffa è la sofferenza di una parte crescente dell’umanità contemporanea, soprattutto dei giovani, non solamente arabi o islamici. Il suicidio come linea di fuga dall’inferno dell’umiliazione colonialista, dall’inferno della miseria metropolitana, dall’inferno della precarietà e dell’umiliazione.
Secondo World Health Organisation negli ultimi quaranta anni il tasso di suicidio è aumentato nel mondo del 60% (ripeto per chi non avesse ben capito: sessanta per cento). Secondo alcune fonti che ho avuto modo di consultare, questo dato di per sé impressionante non rende a pieno la realtà, perché in molti paesi del mondo (tra cui l’Italia) i Ministeri dell’Interno danno indicazione ai medici di non dichiarare che una persona si è volontariamente data la morte se questo non è provato da una dichiarazione esplicita.

"HEROES, suicidio e omicidi di massa"
Impressionato da questo fenomeno, qualche anno fa gli ho dedicato un libro nel quale avanzo l’ipotesi che non si tratta di una contingenza casuale, ma di una conseguenza del tutto comprensibile delle condizioni di solitudine, umiliazione, miseria psichica e materiale e della percezione sempre più netta che la solidarietà tra oppressi si è dissolta per effetto della competizione e della precarietà e dunque non c’è più speranza di una rivolta collettiva, di una liberazione sociale.
C’è un momento in cui l’ipocrisia e le buone maniere vanno messe da parte. E un liberale deve dire le cose come stanno, pena essere accusato un domani di essere stato imbelle davanti ai mostri avanzanti. Per quieto vivere, pensando di salvaguardare la propria tranquillità borghese. Deve dirlo senza temere di urtare le “anime belle”, che poi spesso tanto belle non sono e grondano ipocrisia.
Ciò che bisogna dire oggi, chiaro e forte, senza ambiguità, è che l’Iislamismo è il nuovo totalitarismo e che come tale va combattuto prima che sia troppo tardi. Il totalitarismo è, come si sa, non un avversario ma il nemico assoluto della società liberale. E lo è sia perché la sua visione della vita, essendo appunto “totale”, non tollera quella distinzione fra le sfere di attività umane, in primo luogo fra la politica e la religione, che è alla base della nostra civiltà; sia perché è animato da un sentimento di “purezza” che considera sacrilega la possibilità stessa che possa esistere una società pluralistica.
Il titolo del libro è "HEROES, Suicidio e omicidi di massa" edito dalla Baldini e Castoldi. Ma cosa è accaduto di nuovo negli ultimi quaranta anni che possa spiegare un incremento così drammatico del suicidio? Cosa è cambiato nell’ambiente in cui i giovani si formano? Due risposte mi vengono alla mente. La prima si può formulare in questi termini: quaranta anni fa venne avviato un esperimento sociale che ha rapidamente cambiato le relazioni fra gli esseri umani, disgregando profondamente la comunità sociale, mettendo gli individui in una condizione di isolamento, di precarietà e competizione continua.

Questo libro è dedicato alla tendenza che domina l’età del capitalismo finanziario: il suicidio. Non si tratta soltanto dell’inquietante aumento del tasso di suicidio individuale (60% di aumento negli ultimi 40 anni), ma del fatto che l’umanità intera sembra avere scelto di suicidarsi. Forse la decisione l’hanno presa in pochi, ma tutti siamo costretti a prenderne atto. O forse non l’ha proprio deciso nessuno, ma tutti siamo in trappola in questa carlinga che vola nella notte della follia finanziaria, mentre non sappiamo come aprire la porta della cabina di pilotaggio. Tanto dentro il pilota non c’è. L’ha detto varie volte Mario Draghi, che passa per un signore molto assennato. Non importa per chi votate alle elezioni, ha detto Draghi. Non importa quale governo abbiano scelto i greci, non importa che voi siate d’accordo oppure no. La politica economica europea va avanti con il pilota automatico. E dove ci porta il pilota automatico dovremmo averlo capito. Se ci fosse stato inchiostro all’Angleterre non avreste avuto bisogno di tagliarvi le vene.
(Vladimir Majakovskij a Sergej Esenin)

L’esperimento   accattivante
del Neo-liberismo
La persona che lo impose per prima vinse le elezioni politiche inglesi dicendo che “la società non esiste, esistono solo individui famiglie imprese in competizione tra loro”. Il thatcherismo è diventato poi un dogma indiscutibile per tutti coloro che vogliono concorrere al potere politico.


La seconda risposta che mi viene alla mente riguarda la mutazione tecnica e comunicativa: negli ultimi decenni la comunicazione interumana è stata progressivamente trasformata dalla diffusione di macchine connesse la cui funzione essenziale è quella di permettere lo scambio di informazioni a distanza e di rendere possibile lo svolgimento di complesse operazioni produttive e comunicative senza bisogno che i corpi si incontrino nello spazio.
Questa innovazione ha eroso nel tempo la capacità degli esseri umani di sentire affettivamente la presenza dell’altro, mentre la prima ha inoculato nella mente di ogni individuo la convinzione che la vita ha valore soltanto per i vincenti, sottoponendo ogni individuo ad uno stress competitivo costante. Solo alcuni vincono, mentre la grande maggioranza dei partecipanti al gioco vive condizioni di frustrazione, umiliazione e miseria crescente. Non è sorprendente allora e quindi, che i soggetti socialmente più deboli, si trovino sempre più spesso a desiderare la morte. Il suicidio appare come una liberazione e insieme una vendetta, un’aggressione mortifera contro i responsabili di un dolore le cui cause sono difficili da individuare.

25.11.15

il padre Benedetta Ciaccia morta nell'attentato a Londra nel 2005 e poi dimenticata dallo stato mette in guardia i genitori di Valeria Solesin morta negli attacchi di Parigi del 13 novembre

speriamo che Valeria Solesin morta negli attacchi di Parigi del 13 novembre non succeda d'essere dimenticata ed usdata strumentalmente per poi essere dimenticata come benedetta ciaccia morta nell'attentato di londra nel 2005  . in questo   articolo tratto da  http://lanuovaferrara.gelocal.it/italia-mondo/2015/11/20/news/ del  20  c.m  la    sua  vicenda  



Terrorismo. Il padre di Benedetta Ciaccia: "Mia figlia uccisa nell'attentato di Londra del 2005 dimenticata dalle istituzioni"

Dieci anni fa nella metropolitana di Londra l'attentato firmato da al-Qaeda. Benedetta è l’unica vittima italiana di quella strage. Come Valeria Solesin negli attacchi di Parigi del 13 novembre. Alla famiglia era stata promessa l'intitolazione di una piccola traversa di via di Selva Candida, a Roma. La proposta era stata votata all'unanimità dal consiglio comunale nel dicembre 2011, ma dopo dieci anni la via non è ancora stata inaugurata






ROMA. Una via senza illuminazione né marciapiedi, un sentiero urbano senza nome, dove germoglia solo l’erbaccia, e una maestosa antenna, insieme a un cancello abusivo, interrompe la strada. È tutto quello che resta di Benedetta Ciaccia, vittima del terrorismo e della burocrazia, morta 10 anni fa nell’attentato alla metro di Londra rivendicato da al-Qaeda, oggi dimenticata dalle istituzioni. Il padre Roberto tiene a mettere in guardia i genitori di Valeria Solesin, la ricercatrice italiana uccisa nella strage di Parigi . “Adesso avranno tutti intorno – spiega - dai politici alle persone comuni. La Chiesa per il funerale di mia figlia era piena. Dopo rimangono soltanto quei tre o quattro che ti sono veramente amici. I politici si scordano tutto. Mi piacerebbe contattarli – prosegue – per spiegargli quali sono i diritti delle famiglie vittime del terrorismo: sono cose che non ti dice nessuno”.

Roberto Ciaccia e la mappa del vagone...
Roberto Ciaccia e la mappa del vagone dove è morta la figlia

L’attentato. “Questo è il vagone dove è morta mia figlia: il numero 2”, Roberto Ciaccia è un uomo che va dritto al sodo e con piglio scientifico spiega la dinamica della strage che ha fatto 54 vittime. “Lei è il punto numero 10 - indica con il dito sulla mappa dell’attentato -. Il terrorista invece è il numero 5. Era proprio davanti a lei. Intorno i sedili erano tutti bruciati. C’era un buco sul tetto e uno sul pavimento. E la parete vicina era tutta spostata. Una cosa tremenda, non so che tipo di ordigni avessero”. Papà Roberto, però, ci confida di non aver avuto il coraggio di guardare il cadavere della figlia: ci sono voluti 10 giorni per identificarla tramite le analisi del Dna. Il volto, infatti, era completamente sfigurato.



P.s  se  non lo vedeste  lo  trovate  qui


Mia figlia, vittima di al-Qaeda, dimenticata dalle istituzioni L’incredibile storia di Roberto Ciaccia, padre di Benedetta, uccisa nell’attentato alla metro di Londra del 2005. Il Comune di Roma le intitola prima un parco, che poi dimezza, vendendo parte del terreno a un supermercato Lidl. Roberto allora chiede una via per la figlia, da marzo 2014 è tutto pronto, ma nessuno la inaugura perché non ci sono marciapiedi, né illuminazione. Il messaggio per i genitori di Valeria Solesin: "Adesso vi sono tutti vicini, poi resteranno solo i veri amici" Una ragazza modello. Come tutti i genitori non manca di tessere le lodi della sua bambina: partita a 19 anni come “ragazza alla pari” in Inghilterra, Benedetta impara l’inglese, si laurea e ottiene un lavoro al Financial Times. In seguito passa alla casa editrice Penguin «la più grande di tutta l’Inghilterra», sottolinea il padre. Prima del tragico attentato torna in Italia per i preparativi del suo matrimonio, che non celebrerà mai.
Il parco venduto al Lidl. Circa sei mesi dopo la sua morte, quando era sindaco Walter Veltroni, il Comune le intitola un parco nella zona di Torrevecchia. “Noi ogni anno il 7 luglio o l’11 settembre andavamo a piantare un albero con le autorità municipali. Poi però questo parco è stato accorciato: quasi metà è stato preso da un supermercato Lidl e un altro pezzo è stato lasciato ai cani”. Papà Roberto, poco dopo, viene a sapere della costruzione di una via senza nome che porterà a delle villette nuove di zecca. Così fa richiesta per la dedica della strada e ottiene l’unanimità dal Consiglio comunale il 15 dicembre 2011. Ma il trucco è dietro l’angolo: “Mi dissero che dovevo scegliere: o la via o il parco. Perché lei era una persona semplice, ma se fosse stata un politico o un attore le avrebbero intitolato anche un auditorium”.

Via benedetta Ciaccia
Via benedetta Ciaccia

La via mai inaugurata. Roberto sceglie la strada, ma non una qualsiasi: quella dove abita una delle figlie. Ce n'è anche un'altra che da poco ha avuto una bambina e l’ha chiamata Renè Benedetta, cioè “Benedetta rinata”. La Commissione toponomastica, in data 11 gennaio 2013, gli comunica di aver “espresso parere favorevole”, ma aggiunge, che trattandosi di una via in costruzione “si procederà all’intitolazione non appena saranno completati i lavori”. “I lavori? Quali lavori?”, commenta incredulo Ciaccia. Sulla via sterrata, ad oggi, non c'è traccia visibile di intervento pubblico. A marzo 2014 il nome della strada viene dedicato sulla carta a Benedetta e il parco cambia nome: sarà nominato “Nicholas Green”, come il bambino di 7 anni ucciso da due affiliati alla ‘ndrangheta sulla Salerno-Reggio Calabria. Il sindaco Marino tirerà per le lunghe l’inaugurazione di via Benedetta Ciaccia, fino alle sue dimissioni. Il 20 novembre gli addetti del Comune hanno provveduto ad installare la targa con il nome di Benedetta. È stato il consigliere della regione Lazio Fabrizio Santori, a rilanciare l’appello di Roberto. “Oggi tutti si riempiono la bocca della memoria collettiva delle vittime – ha commentato -: si piangono i morti di adesso, ma si dimenticano quelli di ieri. E questo non può andare bene”.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...