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31.1.23

serafina battaglia prima collaboratrice giustizia del fenomeno mafie - da Donato Armesano

A questa persona  (   qui   e  nei  link  ,  insieme alla  colonna  sonora sotto maggiori  news  su    di lei  e  sulla  sua  storia   bisogna intitolarle una via al suo paese e spiegare il perche '!!!! E tutte le scuole ogni anno dovrebbero portarle lì dove hanno ucciso la sua famiglia e dire cosa le hanno fatto e spiegare che cosa e 'l 'omerta '
  da  

Donato Arnesano

 
La mafia le ammazzò il marito. Ma lei, Serafina, non parlò perché era cresciuta nella trappola dell’omertà e della mafia. Poi però toccò al figlio, Salvatore, un bravo ragazzo cresciuto in un
ambiente sbagliato. La mafia uccise anche lui. Per Serafina Battaglia cambiò il mondo e decise di abbandonare totalmente la vita di prima e rompere l’omertà. Era il 30 gennaio quando prese una decisione storica: dire ai giudici tutto quello che sapeva. Sicari, affari mafiosi che aveva il marito, informazioni. Tutto. Divenne la prima donna in Italia testimone di giustizia. Pagò un prezzo enorme oltre a quello della perdita del figlio: il totale isolamento dal mondo. Si mise contro tutti, dalla famiglia fino agli amici. Al punto tale che per trovare un avvocato ci mise un’eternità. Nessuno la voleva, tutti la evitavano per aver rotto il silenzio dell’omertà. Ma Serafina non si arrese mai. Testimoniò in tribunale e affrontò i boss mafiosi senza paura, addirittura incalzandoli, inveendo loro contro come mai era successo prima.“ Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo”, diceva. Non mollò un attimo ma non vide mai l’arresto dei sicari di suo figlio. Abbandonata da tutti, morì a Roma, ancora in lutto, il 10 settembre 2004. Il suo aver detto “no” all’omertà aprì però un mondo. A lei, oggi, in questa ricorrenza importante, il ricordo di tutti noi.
Collegamenti esterni
 

                                         COLONNA SONORA

“Pensa” Fabrizio Moro
" a finestra " Carmen Conosoli
“I cento passi” Modena City Ramblers
“Signor tenente” Giorgio Faletti
“Don Raffaè” Fabrizio De André
“Povera patria” di Franco Battiato

ed altre  http://www.centropromozionelegalitalecco.it/index.php/la-libreria-della-legalita/canzoni



22.7.15

Lena, massacrata la notte della Diaz [ genova 21\22 luglio 2001 ] , aspetta ancora il risarcimento

 a mente fredda    si  può parlare  di Genova  2001  a  voi  ogni commento

colonna  sonora




  da  http://genova.repubblica.it/cronaca/ 22 luglio 2015

Lena, massacrata la notte della Diaz, aspetta ancora il risarcimento

Il rimpallo del caso tra Prefettura e Ministero dell'Interno. Ebbe un polmone perforato dalle botte e una commozione cerebrale. I poliziotti la trascinarono dalle scale per i capelli e poi le sputarono addosso a turno di MARCO PREVE



Ancora in attesa di risarcimento una ragazza tedesca massacrata di botte alla Diaz Lena Zuhlke aveva 24 anni quando venne massacrata di botte, umiliata, trascinata per i capelli come una preda di guerra e umiliata nella scuola Diaz dai torturatori della polizia italiana che, assieme ai loro capi, falsificarono anche le prove per poterla accusare ingiustamente. I picchiatori continuano, 14 anni dopo la notte della "macelleria messicana" del 21 luglio 2001, a restare ignoti, e a tanti anni di distanza lo Stato italiano continua a negare a Lena un risarcimento. Da dieci mesi poi si trascina tra la prefettura di Genova e il ministero dell'Interno un balletto assai poco edificante che non fa altro che allargare sulle istituzioni quella macchia del disonore contenuta nella sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che ha condannato i nostro paese per l'assenza di una legge sulla tortura e per la mancanza di misure e regole atte ad isolare e punire chi è anche solo sospettato di tali azioni.
Lena Zuhlke uscì dalla scuola Diaz con alcune costole rotte, una commozione cerebrale, numerose ferite, un pneumotorace e uno choc che non è ancora guarito. In sede penale gli è stato riconosciuto un danno biologico del 30%. Dopo una serie di colloqui e scambi di documenti, nei primi mesi del 2014 il Ministero dell'Interno formalizzò all'avvocato genovese di Lena, Filippo Guiglia, l'intenzione di voler risarcire la sua assistita. Il legale prese contatto con la Prefettura di Genova incaricata di definire il risarcimento. Nell'ottobre del 2014 Guiglia incontrò il viceprefetto Paolo D'Attilio che confermò di voler chiudere la pratica. Ma da allora, nonostante ripetute telefonate, mail solleciti via lettera il viceprefetto non ha mai più risposto all'avvocato. «Capisco l'amarezza dell'avvocato – ha spiegato ieri a Repubblica il viceprefetto – ma è una vicenda che non semplice da definire circa il "quantum" e hanno voce in capitolo sia il Ministero che l'avvocatura. Inoltre in questi mesi abbiamo avuto molte altre emergenze. Comunque contatterò al più presto l'avvocato della signorina Zuhlke». E in effetti ieri il dialogo è ripreso. Gli avvocati chiedono per Zuhlke due milioni di euro, cifra calcolata in base ai parametri adottati per i primi risarcimenti riconosciuti ad altre vittime del G8 (che subirono conseguenze assai meno gravi), ai danni subiti, allo stress post traumatico che gli è stato riconosciuto, e ai danni morali provocati dalle calunnie con le false accuse di essere una black bloc. Oggi Lena lavora in una società che si occupa di ecologia. Questo è il resoconto della notte della Diaz che fece ai giudici che la interrogarono. «I colpi mi raggiunsero sulla testa e sulle spalle. Sotto questi colpi sono caduta per terra.... sono stata presa a calci sulla schiena e nel petto. In questa occasione penso di aver sentito proprio come mi si rompevano alcune costole. Sentivo un dolore indescrivibile. Dopo sono stata presa per i capelli e per i vestiti e tirata su in piedi. Poi qualcuno mi ha dato un calcio in mezzo alle gambe, di seguito sono stata sbattuta contro il muro... quando stavo a terra continuavano a picchiarmi con bastoni e mi presero a calci sia sul petto che nella pancia... Sono poi stata afferrata per i capelli ... e quindi trascinata giù per le scale... mi picchiavano sulle mani ogni volta che le mettevo in avanti per attenuare gli urti... con i loro stivali, mi davano dei calci sulla nuca... Al primo pianerottolo restai per terra... un poliziotto mi ha poi preso per i capelli e continuava a trascinarmi giù per le scale...numerosi poliziotti passando, mi sputò in faccia, alcuni si fermavano addirittura per poterlo fare».

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...