Dopo il post sul 27 gennaio ( olocausto \ shoa ) e i due ( III ) : sul 10 febbraio ( foibe ed esodo Istriano ) , cioè le due giornate sulla memoria \ ricordo ecco a mente fredda una mia riflessione su questo secondo evento
Ogni volta che amici che : non s'ineressano di storia e di politica , che sento o leggo delle foibe e dell'esodo o d'altre stragi e genocidi mi chiedo nnostante sappia già in partenza che è una illusione se sarebbe possibile comprendere le uccisioni e le violenze sia quelle precedenti degli italiani sugli slavi e poi d'essi sugli italiani nell’autunno 1943 e della primavera-estate 1945, e così il lungo esodo degli istriano-dalmati verso l’Italia nel secondo dopoguerra, senza considerare il contesto ed le cause in cui avvennero e che sono all'origine ? Si possono astrarre dei fatti dalla storia? A mio avviso Il Giorno ( ormai diventata settimana ) del Ricordo, come di altre giornate memoriali, ci dimostra come tale tipo d’operazione possa dovrebbe essere sì fatta, anche senza il beneplacito delle istituzioni , solo ricordando \ celebrando ed parlarne a 360 gradi o quanto meno contestualizzando i fatti in questione . Quindi Ricordare si e celebrare si , ma la memoria condivisa è impossibile ed utopistica soprattutto quando c'è ed c'è ancora un uso stumentale ed ideologico di tali eventi dolorosi ed drammatici . Non basta quanto ciò è stato fatto per tutta la guerra fredda e nei primi ( ed in parte continua ancora oggi a fine guerra freda ) anno dell'istituzione della giornata del 10 febbraio
Ecco che tale Giornata , diventata settimana , celebrativa ( pulicoscienza ) entrata in vigore nel 2004 con la legge n.92, la giornata istituita “per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” è divenuta estremamente esemplare non solo del funzionamento della memoria nazionale italiana ma anche purtroppo dell’uso politico del passato da parte di partiti e istituzioni .
Purtroppo Agendo su “un lutto non elaborato”, infatti, tale giornata – con gran parte delle sue iniziative, istituzionali e non – lascia spazio ad “un uso prepotentemente politico della storia” dimostrando ancora una volta come la memoria di un gruppo (così come quella dei singoli) funzioni come una sorta di filtro.
A far scattare i meccanismi della violenza (tutt’altro che unica) virulentemente scoppiata fra il settembre e l’ottobre ’43 e nella primavera/estate ’45 fu il regime fascista, attivo in periodo di pace con le sue politiche di snazionalizzazione e ancor più ferocemente impegnato, in periodo di guerra, nel costruirsi il suo “spazio vitale” a scapito delle popolazioni balcaniche. In due fasi precise e differenti, una volta rovesciate le sorti del conflitto, gli italiani vennero così travolti dalle conseguenze fisiologiche di uno scontro mai visto come fu appunto la Seconda guerra mondiale. Uno scontro esacerbato dall’odio e dall’ideologia.
Nel mese di vuoto istituzionale fra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e la conquista tedesca dell’Istria (ottobre 1943), in primo luogo, a essere colpiti (in un numero che gli storici concordano possa variare dalle 500 alle 700 unità) dal movimento di liberazione furono i “nemici del popolo” – categoria che l’Istituto regionale per la storia della Resistenza del Friuli-Venezia Giulia, nel suo Vademecum per il Giorno del ricordo, descrive come composta da “segmenti di classe dirigente italiana particolarmente invisi ai partigiani, per il loro ruolo svolto nel regime fascista (gerarchi, squadristi), nelle istituzioni (podestà, segretari comunali) e nella società locale (possidenti terrieri, commercianti ed artigiani accusati di strozzinaggio) o comunque ritenuti pericolosi per il nuovo potere”.
A cavallo della vittoria degli Alleati (e tra questi dell’Esercito popolare di Liberazione della Jugoslavia), nella primavera/estate 1945, a venir travolti sono invece i nemici, presenti e futuri, della Jugoslavia, in una vera e propria “pulizia politica” che investe circa 9000 sloveni filo-nazisti, almeno 60mila ustascia, i fascisti croati, e qualche migliaio di italiani. In questo caso, nonostante le difficoltà nel tirare un bilancio complessivo, le stime operate dagli storici concordano su un massimo di 5000 vittime italiane totali, fra il 1943 e il 1945.
Ciò che avvenne nel contesto della risistemazione confinaria, infine, coinvolse circa 300mila italofoni, protagonisti di un lungo esodo concluso solo alla metà degli anni ’50. Anche in questo caso, osservata con la lente dell’odio etnico, l’immagine del dramma di queste popolazioni finisce per distorcere la comprensione del fenomeno, privilegiando la spiegazione etnica a quella politica. Più che una presunta politica anti-italiana della Jugoslavia di Tito, a portare migliaia di italofoni nella penisola furono la perdita di un ruolo privilegiato e dominante da una parte e la scelta, in grandissima parte scartata, di rimanere in una società socialista dall’altra.
Se il Giorno del Ricordo, come indicato da più parti, andrebbe quindi (per lo meno) ripensato, la direzione presa a livello istituzionale appare ben diversa. La pubblicazione nell’ottobre 2022 da parte dell’allora ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi delle Linee guida per la didattica della frontiera adriatica, ultimo atto del governo Draghi, illumina su come e quanto sia distorta la narrazione ormai dominante sui fatti dell’Alto Adriatico. Le leggi approvate in Friuli-Venezia Giulia e Veneto che limitano la ricerca storica, imponendo una sorta di “Verità di Stato” rendono il quadro ancora più inquietante.
Queste mie riflessioni sulla giornata del 10 febbraio \ giorno del ricordo vogliono oltre a coltivare il ricordo \ celebrazioni di questi eventi a 360 gradi e di contrastarne l'uso strumentale ed ideologico anche interrogarsi sul senso, le potenzialità e i rischi dell'insistenza sull'uso strumentale della memoria nello scenario pubblico. La sua prorompente ascesa, infatti, si è accompagnata alla parallela scomparsa o alla riduzione dello spazio delegato alla Storia, come analisi critica del passato. Memory consiste nel mostrare come le “tessere” della memoria – i ricordi – non coincidano mai perfettamente tra loro ed non esiste come ho già detto ed è impossibile una memoria condivisa soprattutto quando il ricordo e imposto obbligatoriamente a senso unico . Quindi per rispondere alla domanda del titolo : << Come si possono comprendere i fatti che commemorano? È possibile spiegarli astraendoli dal loro contesto e osservandoli con la sola lente delle “vittime ? >> secondo me No non si possono comprendere e spiegare bene i fatti soprattutto quelli cosi complessi e su cui ancoira non si è fatto completamente i conti , a meno che non si vogliono celebrare \ ricordare solo una parte d'essi . Infatti come ha dichiaritoi Pennacchi uno degli attori del film Rosa d'istria : << revisionismo potrebbe rappresentare un pericolo ? : “Il revisionismo può diventare un pericolo ma tutto dipende da come si racconta la storia. Quando fatto bene, con la verifica delle fonti permette di avanzare nella comprensione del passato. Il revisionismo diventa un male quando è fatto al servizio di una bandiera”.
Tali di chiarazioni rilasciate da Penacchi in una intervista promozionale de La rosa dell'istria che andrà in onda il 5 febbraio , mi fanno venire alla mente una mia risposta data qualchje tyempo fa ( e che trovaste sottto ) a mia nipote su tali argomenti
----- le foibe dono state un genocidio o sostituzione etica ?
----- La tua domanda riguarda un tema storico molto delicato e controverso, che ha suscitato molte polemiche e dibattiti. Cercherò di darti una risposta il più possibile obiettiva e basata sui fatti.
Le foibesono dei grandi inghiottitoi carsici, tipici del territorio della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia, dove furono gettati i corpi di alcune vittime (o, in alcuni casi, le stesse ancora in vita) di massacri avvenuti durante e subito dopo la seconda guerra mondiale da parte dei partigiani jugoslavi e dell’ OZNA, l’organizzazione di sicurezza jugoslava Tuttavia, il termine “foibe” è diventato anche sinonimo di tutte le uccisioni e le deportazioni che colpirono migliaia di civili e militari italiani autoctoni di quelle regioni, anche se la maggior parte delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi .
La questione se questi massacri possano essere definiti come un genocidio o una pulizia etnica è molto dibattuta e non esiste un consenso unanime tra gli storici. Alcuni sostengono che si trattò di una violenza di Stato e di una epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali al comunismo titino, e che le vittime furono scelte secondo criteri politici, ideologici e sociali, e non in base alla loro appartenenza etnica o linguistica . Altri invece ritengono che ci fosse una volontà di eliminare o espellere la popolazione italiana dalle zone occupate dai jugoslavi, e che le vittime fossero prevalentemente di etnia e lingua italiana.Al massacro delle foibe seguì l’ esodo giuliano dalmata, ovvero l’ emigrazione forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, dal Quarnaro e dalla Dalmazia, territori del Regno d’Italia prima occupati dall’ Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia tramite i trattati di pace di Parigi del 1947. Spero con questi link di averti fornito una risposta esaustiva e imparziale. --- ok grazie
Per cercare d'essere originale ed evitare di cadere nella retorica anche nella " settimana " del ricordo ovvero nel 1' febbraio , ho deciso d'incentrare il mio post su un intervista \ chiacchierata con l'amico fb triestino Paolo Visnoviz
IO ciao e complimenti per i tuoi scritti . e pensieri in direzione ostinata e contraria . vorrei chiederti , visto che il tuo cognome mi sembra slavo , se t'andrebbe una " intervista " chiacchierata sulle foibe e sull'esodo
PAOLO
Sono triestino da almeno 7 generazioni, poi chissà... Ma anche mi chiamassi Rossi, la storia delle foibe ha segnato tutto il territorio e tutti i suoi abitanti.
IO come hai conosciuto le vicende delle foibe ?
PAOLO Abitando dove abito, è difficile non aver mai sentito parlare delle foibe. Ma anche la memoria va contestualizzata. Nel senso che la mia memoria non è diretta, per ovvi motivi anagrafici, ma nasce in un preciso contesto sociale e politico. La mia famiglia era di sinistra. Mio nonno era un attivista del PCI, e fu internato in Risiera. Sopravvisse. Mio padre, anch'esso di sinistra (seppur equilibrato e affatto integralista), era stato preso dai tedeschi e obbligato a scavare trincee nell'ultimo periodo dell'occupazione nazista. Delle foibe, in famiglia, non se ne parlava mai. Forse perché non ci avevano mai toccato direttamente. Forse perché avevamo altre tragedie da ricordare, come il bombardamento del 10 giugno del '44, che mi impedì per sempre di conoscere uno zio materno, morto adolescente.Oltre che le memorie e i discorsi a mezza voce di "quelli grandi", da piccolo la guerra mi regalò una baionetta nazista, usata da mia nonna per fare lavori di giardinaggio e lasciataci da un giovanissimo soldato, che la mia famiglia aveva nascosto per qualche giorno in un sottoscala, e un bel tavolo in legno massiccio lasciatoci da una famiglia ebraica, che pure i miei avevano aiutato. Le foto in bianco e nero di quelli che non c'erano ormai più. I racconti di mia madre e mio padre di quando andavano al mare, a tuffarsi da un relitto di nave bombardato. O, ancora, i racconti di mio nonno, il quale aveva, all'epoca, una piccola osteria dove dalla porta uscivano tedeschi, incrociando partigiani che entravano, facendo finta di nulla. Quasi in una specie di tregua mai dichiarata, ma da tutti rispettata.
IO secondo te il 10 febbraio è utile o inutile ? Oppure tale giornata Istituita nel 2004 su iniziativa di esponenti dell'allora Alleanza nazionale e da una sinistra revisionista “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”, la ricorrenza del Giorno del Ricordo ha finito per inglobare non solo le memorie per troppo tempo marginalizzate degli esuli e delle loro famiglie, ma anche dei fascisti, le cui responsabilità sono intrinsecamente legate con il destino di quelle comunità. ?
PAOLO Come sempre la politica, o meglio la strumentalizzazione politica dei fatti storici, fa sembrare tutto rosso o nero, ma non fu così. Non è mai così.
Nella mia fretta ( sia del parlare che nella scrivere ) gli ho fatto tre domande in una
IO "Sul tema si è imposta una verità ufficiale fatta di stereotipi e luoghi comuni. Chi la mette in discussione è tacciato di negazionismo" che ne pensi ? Eric gobetti afferma in questo articolo su https://www.ildolomiti.it/societa/2021/ << [...] Per gli studiosi parlare di questo tema, come di molti altri, è diventato sempre più difficile. Ma questo è un meccanismo che va fermato, perché gli studiosi devono poter analizzare le fonti, fare ricerca e dare le proprie interpretazioni liberamente” [....].>> e qui introducendo il suo ultimo libro
concordi o non concordi ?
Per me A dominare la narrazione sul confine orientale è il nazionalismo, che a fronte di decenni di repressione e oppressione degli slavi tende a isolare gli episodi in cui gli italiani sono stati vittime. << La verità ufficiale che si è imposta sul tema delle foibe non si basa sulle fonti bensì sugli slogan – prosegue Gobetti – si sente ad esempio ripetere che i territori in questione fossero italiani da sempre. È totalmente falso, perché diventano italiani dopo la Prima guerra mondiale e lo restano fino alla fine della Seconda, quindi per poco più di 20 anni. Sono terre in cui per secoli hanno convissuto gruppi linguistici differenti. A questo aspetto dedico uno dei tanti capitoli del libro, dove punto per punto analizzo cosa ci sia di vero e cosa di falso negli slogan>> e vanno studiati e ricordati a 360 gradi . Per te ?
Paolo Ritornando in tema e alla tua domanda, delle foibe iniziai ad interessarmi grazie a Roberto Menia (quello che poi sarebbe diventato il braccio destro di Gianfranco Fini). Andavamo allo stesso liceo, ma in classi differenti (credo lui sia più vecchio di me di un anno), e mi aveva preso di mira. Lui già allora era un "capetto del Fronte della Gioventù, mentre io mi definivo anarchico, e tra tutti i 600 studenti di quella scuola, eravamo forse in 3 ad esserlo. Avevamo però un certo seguito e carisma, ovviamente soprattutto a sinistra, e quindi Menia mi prese un po' di mira. Nulla di che, mai nulla di violento. Forse, una volta qualche spintone e un giornale strappato (credo fosse una copia de "il Male").Un giorno, in un confronto verbale in corridoio, mi rinfacciò le foibe, non a me, ovviamente, ma a quella parte politica cui lui credeva fossi vicino. Non era la solita contrapposizione verbale, il solito esercizio dialettico (classico, per dei giovani stupidi, come tutti a quell'età eravamo). No, per lui era qualcosa di più profondo, di più vivo: una ferita ancora aperta.Ne parlai a casa con i miei. Chiesi loro direttamente delle foibe. Non negarono, ma quasi giustificarono quei massacri con i torti da molti subiti. I villaggi in fiamme, la gente uccisa o deportata. Gli orrori perpetrati dai nazifascisti.Non subito, ci volle tempo, ma da quel giorno iniziai a capire che i torti non stavano da una sola parte, e che gli orrori li avevano commessi tutti.La famiglia di mia moglie è italiana d'origine, italiofona e vive in Istria, Croazia. La maggior parte di loro sono rimasti anche nel travagliato dopoguerra. Vivono non molto distante da una foiba, e i loro ricordi sono terribili. Sono sopravvissuti, come la madre di lei, poi emigrata a Trieste che, un giorno, camminando per strada si prese un proiettile in un braccio. Di storie così ogni triestino può raccontarne. Eppoi la triste storia degli esodati, ben raccontata da Cristicchi in Magazzino 18. Un lavoro teatrale che ha portata in giro per l'Italia, e che io ho visto a Trieste, dove ha avuto un impatto emotivo molto forte, per ovvi motivi. Lo hanno minacciato, gli hanno bucato le gomme della macchina. Ancora oggi c'è gente che non riesce a far pace con la storia. D'altra parte, quando venne eletto Nesladek sindaco di Muggia (TS), di sinistra, in piazza c'era gente che per festeggiare ha tirato fuori le bandiere titine. Ancora oggi ci sono moltissimi triestini che non vanno in Slovenia nemmeno se pagati. Ancora oggi in molti esercizi della minoranza slovena, servono prima chi entra dicendo "doberdan" di quello che ha detto "buongiorno", anche se sarebbe stato il suo turno.Ancora oggi ci sono persone che negano o giustificano. Almeno oggi se ne parla, almeno oggi c'è il 10 febbraio. La verità viene raccontata, anche se non tutti vogliono sentirla. Più in generale ci sono stati storici e giornalisti che hanno riletto la storia della 2° guerra mondiale in modo più critico e obiettivo, non ideologico, come Giampaolo Pansa.Dal mio canto, quando mi capita di parlarne con qualcuno, ricordo semplicemente che riconoscere le atrocità dell'esodo e delle foibe, non sminuisce affatto gli orrori del nazifascismo. Nessun revanscismo, nessun odio, solo la necessità di raccontare la storia. Tutta la storia, non solo una parte.
Concordo con lui soprattutto sull'ultima parte perchè dopo quasi 60 anni di silenzio istituzionale e ufficiale , rotto ogni tanto come un Geysir da scritti e studi ma limitatoi solo per gli specialisti e un pubblico di nicchia , certe ferite ancora aperte bruciano ancora per il sale che viene sparso su d'esse da un uso politico \ ideologico della storia alimentato dalle celebrazioni ufficiali . Infatti anche se sono critico verso il 10 febbraio ricordo tale evento e cerco di sfatare la vulgata delle foibe e dell'esodo solo ed esclusivamente come i eccidi comunisti . Ma soprattutto mettere in evidenza che quello che accade nell'Adriatico ( quelo che una volta si chiamava confine orientale ) in quegli anni non è solo dal 1947 al 1960\75 e che farsi un idea diversa da quella ufficiale non vuol dire necessariamente giustificare o negare talli fatti. Infatti La cristallizzazione istituzionalizzata delle memoria delle vicende delel foibe in una ricorrenza nata a qualche anno dall'istituzione del Giorno della Memoria contiene in sé un'irrisolvibile contradditorietà. Il 10 febbraio l'Italia si ferma a ricordare una comunità sradicata dal proprio territorio e accolta a fatica nel seno della nazione. Lo fa in una data che è al tempo stesso l'inizio della fine per gli italiani adriatici e l'imposizione di un trattato come vinti per l'intero Paese. Agli occhi degli italiani, digiuni dalla Storia e dalla conoscenza delle terre di confine, il ricordo diventa rivendicazione, in continuità diretta, geografica e politica, con la “vittoria mutilata”. L'iter per l'istituzione della ricorrenza, al tempo stesso, ne marca il senso politico. “Colonizzata” dalla destra post-fascista, accettata dalla sinistra post-comunista in nome della “memoria condivisa” - lo scotto da pagare per la consunzione dell'utopia – questa data “dialoga” con il Giorno della Memoria, quasi fosse contrapposta allo sterminio nazi-fascista. "Pareggiare la storia", equilibrare le morti, presentarsi come vittime dimenticando deliberatamente d'essere stati carnefici.
L'uso politico della storia strumentalizza la tragedia d'una comunità, acuendo le divergenze, impedendo la comprensione. Infatti concordo con quanto dice in questo articolo dell'anno scorso sempre dal sito https://www.ildolomiti.it/societa/ Raoul Pupo uno degli storici fra i più citati dai "seguaci " del 10 febbraio ufficiale .
Professor Pupo, cosa avvenne nel confine orientale negli anni della Seconda guerra mondiale e cosa si celebra nella ricorrenza del Giorno del Ricordo?
È un periodo lungo quello che si ricorda nella celebrazione del Giorno del Ricordo, così come diversi sono i fenomeni al centro di questa ricorrenza. Si parte con gli infoibamenti, un'espressione in cui è forte la tendenza a semplificare e all'uso pubblico della storia. Si indicano le stragi avvenute a ondate nell'autunno '43 e nella primavera/estate del '45. Si ricorda poi l'esodo, un fenomeno lungo cominciato con lo sfollamento di Zara nel 1943 e concluso nel 1956. Vi sono poi le altre vicende del confine orientale, per cui si va indietro all'occupazione italiana. Complessivamente nel Giorno del Ricordo si commemora il collasso dell'italianità adriatica, di un intero gruppo nazionale, che per il 90% decise d'emigrare. I numeri precisi non si conoscono, si parla di alcune migliaia di scomparsi, tra i 3000 e i 5000, e di 300mila esuli. Sul tema, Italia, Slovenia e Croazia diedero vita a commissioni d'esperti, che si conclusero nel caso italo-sloveno mentre è rimasta in sonno quella italo-croata. Alla pubblicazione in Slovenia, in Italia non corrispose una pubblica comunicazione. Il Ministro degli Esteri, comunque, lo ha lasciato a disposizione degli studiosi. Su questo “collasso” vi è poi stato il tentativo di colonizzazione da parte della destra, un uso politico che si è inserito sullo spirito originario della legge di recupero e valorizzazione di una memoria per lungo tempo rimossa dalla scena pubblica.
Uso politico della storia e semplificazioni nel linguaggio segnano questa ricorrenza. Non è forse l'accento sulla memoria a determinarne la problematicità?
Sulle vicende di giuliani, istriani e dalmati ha operato per lungo tempo una generale amnesia, a partire dal dopoguerra. Per gli esuli e i parenti degli scomparsi è rimasta una ferita. Il Giorno del Ricordo agisce in questo senso su un lutto non elaborato, recuperato e valorizzato, come detto, ma su cui poi si è prepotentemente inserito un uso politico. L'utilizzo di un linguaggio banalizzante e semplificatorio ne è l'esempio. Si parla tanto di foibe perché impattano maggiormente sull'opinione pubblica, ma nella categoria di infoibati si comprendono anche persone uccise in altri modi o scomparse. Si parla di pulizia etnica, ma se fosse stata davvero una pulizia etnica ci sarebbero attualmente in quei territori circa 100mila italiani. Infatti quando parliamo di italiani in questi territori ci riferiamo a italiani d'elezione, non a italiani etnici. Paradossalmente “pulizia etnica” è un termine riduzionista, una semplificazione che finisce per essere un boomerang per chi la fa. Si guardino i cognomi degli esuli, ci si renderà conto di questo concetto. Con l'istituzione della legge il racconto di queste storie è delegato alle associazioni di profughi, variegate al proprio interno, alla rete degli istituti della Resistenza e agli enti locali. È chiaro che in quest'ultimo caso le maggioranze politiche influiscono in modo più o meno evidente. La problematicità delle iniziative, d'altronde, si ritrova proprio nell'accento che si fa sulla memoria. Nella caccia ai testimoni, sempre di meno, si mettono in difficoltà queste persone. Non si può, in aggiunta, far spiegare da un figlio di un infoibato come funzionano le stragi. Bisognerebbe che ci fosse sempre uno storico o un esperto accanto al testimone, perché va bene quando la memoria fa memoria, ma quando la memoria fa la storia è un disastro.
Tutti gli anni, a margine del Giorno del Ricordo, il dibattito pubblico viene percorso da opposte prese di posizione che negano o ingigantiscono il fenomeno degli infoibamenti. Quanto e perché è problematica questa ricorrenza?
La scelta del 10 febbraio è tutta politica. Nello spirito delle associazioni dei profughi è una data che segna l'inizio della tragedia, una data simbolicamente molto forte. Dal punto di vista storico, però, è estremamente problematica. Il governo italiano è oggetto del Trattato di pace, l'Italia è un Paese sconfitto e sul banco degli imputati. C'è inoltre il grosso limite d'essere vicini al Giorno della Memoria, segno che tra alcuni proponenti ci fosse l'idea di metterli sullo stesso piano. È una data infelice, se ne deduce, ma non era facile trovarne un'altra. Le ricorrenze si pongono spesso all'incrocio tra due fenomeni: la ricerca dei testimoni e il vittimismo come esaltazione della vittima. Queste due ricorrenze ne sono il simbolo. Riguardo ai diversi atteggiamenti nei confronti dei fenomeni al centro di questa ricorrenza, nel mio libro del 2003 ("Foibe", scritto con Roberto Spazzali) vengono avanzate alcune categorie come quelle di “negazionista” e “riduzionista”. Categorie scivolosissime da usare con attenzione, visto che il negazionismo è un reato punito per legge, e che rischiano d'essere utilizzate per ogni critica. C'è un grosso equivoco, a mio giudizio, e consiste nel fatto che cercar di capire cosa accadde nell'Adriatico in quegli anni non vuol dire giustificare.
Lo so che il mi ricordare e parlare di tali argomenti crea stupore tipo quanto mi si disse quasi a sfotto un amico di destra anni fa : << come miracolo un comunista che critica gli stessi comunisti , e ricorda ed condanna i loro eccidi >> Ma certi eventi , aldilà dell'interpretazione che ne viene data da una parte e dall'altra
Sul suo profilo Facebook, lei ha scritto: “Perfino un banale incidente viene raccontato in mille modi diversi. Per raccontare esodo e foibe occorrono anni di studi, onestà intellettuale e più voci”. Che motivo l’ha spinta a scriverlo?
Ho scritto questo perché io ho letto e leggo molto, anche per il mestiere che ho fatto. Mi sono reso conto che tante manifestazioni che sono organizzate per il ricordo o per altri motivi, sono spesso poco equilibrate. C’è gente che si improvvisa storico. E’ vero che ognuno ha i propri ricordi e quindi la storia la vede sotto il proprio punto di vista e non da quello degli altri. L’estrema sinistra e l’estrema destra hanno due approcci diversi nel raccontare la storia di quegli anni. Bisogna avere più equilibrio. E questo manca tante volte, anche in alcuni di noi. Perché io mi rendo conto che il dolore provato da mio padre, da mia madre, da mio nonno è stato grande, ma bisogna tener conto anche dell’opinione degli altri.
Non puoi raccontare solo la tua, devi indagare, vedere poi trarre le conclusioni. Per questo per me sarebbe importante che certe manifestazioni fossero organizzate con tutti e due i punti di vista, sia chi nega certe cose sia chi le esalta troppo. In modo da raggiungere un certo equilibrio in modo che la gente senta le opinioni di tutti e poi possa trarre le sue conclusioni. Io voglio sapere qual è la verità, la verità mia quella dell’altro, poi ognuno farà i suoi ragionamenti.
La storia e il dramma del professor Picot, il racconto della tragicità delle foibe e della fuga dall'Istria
non si possono negare o far finita che non siano mai avvenuti . Inoltre io ricordo oltre a quanto ho già detto precedentemente in altri post tali eventi perchè : 1) combatto , almeno ci provo . l'uso strumentale e politico di tali complesse e dolorose vicende ., 2) perchè essendo La memoria, come un fiume carsico, percorre le profondità della terra prima di ritornare alla luce. E quando lo fa, spesso, è prorompente. La memoria degli italiani adriatici, silenziata e rimossa nell'Italia del dopoguerra - lacerata dalla guerra civile, ferita da vent'anni di regime, spaccata politicamente e socialmente dalla Guerra fredda - è esempio significativo. ed io sono cresciuto con ciò . Da un lato mio nonno e i miei prozii paterni che coltivavano la vulgata come eccidi comunisti sulle foibe e mio padre e mio zio che la contrastavano . 3) perchè ancora non si è fatto i conti con il nostro passato dimenticando che siamo stati "noi" ad averle innescate e poi tacerle ed ora usarle strumentalmente tacendo \ nascondendo sotto il tappetto o quando c'è un briciolo di onesta intellettuale e politica cioè non li si nega sminuendo quello che è avvenuto prima e concentrandosi solo su quello chè è avvenuto dopo .