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5.7.24

adesso mi è chiaro il gesto di debora notari donna che ha fatto arrestare Gianluca Molinaro assasinio di Manuela Petrangeli



il mio giudizio espresso precedentemente sulla reazione di Debora Notari altra ex compagna del killer Gianluca Molinaro assassino di Mariangela  Petrangeli  ne   ho parlato   👉🏼qui era espresso a caldo . Ora leggendo gli aggiornamenti ( vedi articolo  sotto 👇🏼 preso  da  msn.it   ) mi accorgo che ha fatto benissimo a scegliere la legalità ed a controllare le proprie emozioni evitando d'esprimersi con la pancia



Manuela Petrangeli è stata uccisa a sangue freddo e in pieno giorno dal suo ex Gianluca Molinaro. Solo grazie all'intervento della sua prima compagna, Debora Notari, l'uomo si è costituito andando dai carabinieri della stazione di Casalotti. È proprio Notari che svela il lato oscuro del killer con cui ha avuto una figlia: l'operatore socio sanitario aveva dei precedenti per stalking e violenze
Il racconto dell'ex Debora Notari
Se le amiche e le colleghe di Manuela Petrangeli, la fisioterapista uccisa a Roma giovedì pomeriggio, non avevano avuto alcune avvisaglie di problemi o di possibili violenze dell'uomo, la sua ex invece conosce perfettamente Molinaro che ha anche precedenti per atti persecutori e stalking e indagini sono in corso anche sul possesso dell'arma. La prima compagna Debora Notari racconta: «lo denunciai per maltrattamenti, mi picchiava e lo feci arrestare. Poi però, dopo un paio di mesi in carcere, aveva fatto dei percorsi».Dopo il delitto Molinaro l'ha chiamata e lei lo ha convinto a costituirsi. «Voleva uccidersi, gli ho detto di andare dai carabinieri. Potevo esserci io al posto di quella donna. Ma ora non so che fare, mia figlia non sa niente, con lui aveva rapporti non buoni, ma un conto è un padre str**, che non paga gli alimenti, un altro un padre assassino

3.12.22

Violenze contro le donne con disabilità, il report della Polizia: "Spesso l'autore degli abusi è una persona vicina alla vittima"

 

  repubblica 03 DICEMBRE 2022 ALLE 08:41    a  cura della redazione Cronaca

Lo studio dell'Osservatorio Oscad: in due anni 230 "reati tipici". Il pericolo può celarsi anche sul web



Una discriminazione multipla: è quella che ogni giorno subiscono molte donne italiane, vittime in quanto donne e in quanto persone con disabilità. Come il caso di una ragazza siciliana affetta da una grave forma di deficit cognitivo, ricoverata durante il lockdown in una struttura sanitaria, abusata più volte da un operatore che avrebbe dovuto assisterla. Non c'è stata denuncia e nessuno si sarebbe accorto delle violenze se la giovane non fosse rimasta incinta. Soltanto a quel punto la struttura ha comunicato la situazione ai familiari. È solo una delle tante storie di violenza nei confronti di donne con disabilità che l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) della Direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza registra nella sua attività contro ogni forma di crimine d’odio. In occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità di oggi, l’osservatorio ha pubblicato un report dedicato alla violenza contro le donne disabili, vittime di discriminazioni multiple - come donne e come persone con disabilità. In questi casi le vittime tendono a essere esposte agli abusi per periodi prolungati nel tempo, a causa del loro stato di vulnerabilità e isolamento, della limitata capacità di difendersi, di fuggire, di chiedere aiuto e di essere credute. L’analisi, già affrontata il 25 novembre scorso in occasione della presentazione annuale dei dati sulla violenza di genere, ha riguardato lo studio, in due anni (1 ottobre 2020 - 30 settembre 2021 / 1 ottobre 2021 – 30 settembre 2022), di casi in cui sono stati commessi reati tipici della violenza di genere su donne con disabilità, come maltrattamenti contro familiari o conviventi - riscontrati in 230 casi - la violenza sessuale e lo stalking, 50 e 21 episodi in totale. Molto spesso, si legge nel report, gli abusi sessuali avvengono all'interno della famiglia o nelle strutture deputate alla cura e all'assistenza e sono commessi da persone vicine alla vittima, che godono della sua fiducia, come familiari, amici o operatori sanitari. Per quanto riguarda gli atti persecutori, invece, a volte il pericolo si nasconde sul web: molte giovani con disabilità vengono contattate sui social, circuite e convinte a produrre materiale sessualmente esplicito, per poi essere ricattate. Storie drammatiche in cui le vittime, spesso più delle altre donne, non hanno la possibilità di denunciare quanto accaduto per timore di ritorsioni o di perdere il supporto della persona che si prende cura di loro o per la stessa difficoltà di riconoscere l’abuso. Le donne con disabilità sono quindi vittime delle stesse forme di violenza che colpiscono le altre donne ma con conseguenze spesso amplificate a causa della loro particolare vulnerabilità. Da questo deriva la notevole quota di "sommerso" che riguarda questi reati e la necessità di tenere alta l’attenzione su un fenomeno che resta sovente celato, sconosciuto se non addirittura negato. Per questo può essere anche molto utile far luce sui più comuni stereotipi e pregiudizi contro le donne disabili, terreno fertile per fenomeni di violenza che vanno combattuti anche con l’informazione e una maggiore consapevolezza.

26.1.17

io non mi sento italiano dopo i casi di Mantova ( pestata a colpi di sedia: «Nessun cliente del bar mi ha difesa» ) e il caso di venezia dove un extracomunitario affoga e oltre ad insultarlo e filmarlo nessuno lo salva o choama soccorsi

Mantova, pestata a colpi di sedia: «Nessun cliente del bar mi ha difesa»

Parla la donna ferita in un locale di Borgochiesanuova dal compagno dell’ex amica. «Continuava a picchiarmi anche a terra, ma i dieci presenti non hanno fatto nulla»

MANTOVA. Oltre alle botte, tante botte, a farle ancora male è l’indifferenza degli uomini che hanno assistito al pestaggio senza muovere un dito per fermare la furia dell’aggressore, o anche solo per chiamare i soccorsi. «Lo scriva, mi raccomando, l’omertà dei dieci clienti che erano nel bar e anche del titolare. Sì, fa tanto male...». Giulia (nome di fantasia a tutela della donna) è stata aggredita sabato mattina, in un bar del quartiere Borgochiesanuova.
«Ero con un’amica, siamo entrate per comprare le sigarette – racconta Giulia, trentadue anni – seduta a un tavolino abbiamo visto un’amica comune, insieme al suo compagno. Un uomo violento che ci ha allontanato da lei facendoci perdere l’amicizia. Ecco, io mi sono avvicinata per chiederle di uscire qualche minuto fuori, giusto il tempo di parlare un po’, di chiarirci. Ma lui è scattato come una furia, in un lampo, le ha impedito di alzarsi e mi è saltato addosso».
A questo punto il racconto della donna accelera per sgranarsi come il fotogramma di un incubo. «Mi ha preso a sediate, sedie di ferro. Con la prima sedia mi ha buttato a terra, colpendomi alle braccia, alla schiena, al collo – ricorda Giulia con voce spezzata – cadendo ho sbattuto contro il bancone e lui ha continuato a colpirmi anche quando ero a terra, con un’altra sedia. La terza sediata l’ho ricevuta quando mi sono rimessa in piedi, poi, non contento, ha rotto un bicchiere e con i cocci mi ha ferito all’inguine. E intanto nessuno è intervenuto».
Il referto del pronto soccorso parla di una prognosi di guarigione di ventitré giorni, sufficienti per innescare l’indagine d’iniziativa da parte delle forze dell’ordine, senza che sia necessaria la querela della donna. Ma Giulia l’avrebbe denunciato di sua iniziativa, anche per un pugno scarso di giorni.
E poi, a bruciare, ci sono anche le altre ferite. L’indifferenza di chi non è intervenuto a difenderla, l’omertà degli stessi – della serie «un’aggressione? noi non abbiamo visto niente» – e poi la reazione dell’amica, ormai ex.
«Quando mi sono trascinata fuori, insieme alla mia amica, quella vera, per chiamare i carabinieri e il 118, lui e lei mi hanno seguito urlandomi addosso delle minacce irripetibili. Sì, anche lei. E poi c’è un’altra cosa che non mi va giù». Quale? «Io continuo a passarci davanti a quel bar, e lui è sempre dentro, tranquillo, come se non fosse successo nulla. Meno male che le telecamere del locale hanno registrato tutto, le immagini non mentono».
Ora il film dell’aggressione è compresso nella chiavetta usb dei carabinieri.
 Sta nel palmo di una mano, ma per Giulia pesa più di un macigno. (ig.cip)

la  seconda     successa a Venezia  qui  maggiori  news    che si può riassumer e cosi 
L'immagine può contenere: sMS

12.5.13

Gavino Ledda : no all’uomo padrone «I matrimoni non durano per sempre, anche Papa Francesco cambi le regole»


Quando il tuo amore non produce amore reciproco e attraverso la sua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fa di te un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura.
                                                     Karl Marx


riprendendo  l'argomento femminicidio e sul  veregognoso \  turpe  violenza  sulle donne   già trattato  precedentemente  su  questo blog  (I II )    riporto qui   sotto questa interessantissima  provocazione   dello  scrittore  sardo   Gavino Ledda ( foto sotto   a destra  )   sul rapporto  femminicidio religione   fonte di Pier Giorgio Pinna   dalla nuova sardegna del  12\5\2013


INVIATO A SILIGO. «I femminicidi si stanno trasformando in fenomeno terribile, sconvolgente. E allora io, l’autore di Padre padrone, dico un no deciso alla violenza. Basta con le donne usate e distrutte come cose. Basta con chi, pensando solo adavere e mai a essere, giudica le persone come una sua proprietà privata. Basta con matrimoni destinati a durare per sempre. Basta divinizzare sa proprietà de sa femmina». Gavino Ledda è sofferente per una lieve indisposizione. Ma dalla sua casa di Siligo coglie con estrema lucidità le degenerazioni di una società malata.
E per meglio spiegare il proprio pensiero parte da lontano. Come sempre con immagini visionarie: «Non uccidere: così dice il quinto comandamento. Già migliaia di anni prima di Mosé il padre padrone, cacciatore e predatore, esercitava il suo potere con la forza. Ma erano i primordi dell’umanità. Adesso la mente deve avere il sopravvento sui muscoli. Così capisco quel che succede oggi solo ricordando quanto sia stato incompreso Gesù quando predicava il perdono. Ed ecco, riflettendo sull’appello ad amare il prossimo come se stessi, dobbiamo tutti pensare di essere senza il bisogno di possedere. Queste stragi che partono dall’idea che le donne debbano appartenere a un padrone devono cessare, sono dissennate».
«Ritenere che l’impegno preso dai cristiani a non separare ciò che il Signore ha unito non rende gli uomini simili a Dio – incalza Ledda – Solo il dieci per cento di ciò che Cristo ha detto, appena la sommità di un iceberg, è stato recepito dagli apostoli. Ed è perciò che adesso mi rivolgo alle istituzioni e al vicario di Pietro, nella sua umana santità, perché tutti comincino a pensare di cambiare le regole. È stata l’esperienza a diretto contatto con la natura fatta in tanti anni fin da giovane a mostrarmi quanto sia sbagliato pensare che le donne, i bambini, la famiglia siano proprietà esclusive del padre».
Una breve interruzione per un sorso di caffè nella cucina della casa con il portone d’ingresso circondato da un arco sovrastato dalla testa di montone in trachite rosa. Poi, lo scrittore riprende: «È da cristiano che lancio il mio appello: si rifletta a fondo sulle conseguenze che derivano da un altro comandamento, il nono: non desiderare la donna d’altri. Ecco il punto da tenere presente con estrema attenzione: Mosè, nonostante la grandezza di conduttore scelto da Dio, ha messo il piede in fallo. Del resto, erano tutti uomini e potevano sbagliare». «Ma dare quest’imperativo dopo aver prima ammonito a non desiderare la roba d’altri fa credere ai deboli di spirito, agli uomini più fragili, che la donna sia un oggetto – osserva – E così oggi, con un metodo di revisione galileiano, bisogna assolutamente superare questo concetto errato di proprietà applicato non alle cose ma agli essere viventi».
«Io d’altronde l’avevo capito fin dal mio incontro-scontro col padre padrone, una lunga esperienza che mi è servito da collaudo umano»,prosegue il narratore di Siligo.
«Mio padre infatti non ha mai alzato una mano su mia madre: sapeva che noi figli l’avremmo difesa e lui le avrebbe prese», spiega. «Ma nell’ovile, quando facevo il pastore con lui, mi ha picchiato spesso – racconta Gavino Ledda – Sino a 24 anni, sinché ho deciso di andare via di casa. Quel giorno lui ha cercato di colpirmi ancora una volta. Ma io l’ho bloccato e l’ho spinto verso il muro immobilizzandolo. Davanti a tutti i familiari, allora mi ha provocato: “E dai ischude, picchia”, mi ha detto sfidandomi. Ma non sono cascato nella trappola: “Vedi che si può discutere senza ricorrere alla forza”, ho replicato. Ed è stata la mia vittoria, la vittoria di tutti quelli che rifiutano la violenza. Mi ha salvato la grazia di Dio, una scintilla arrivata dal cielo. È stata la giornata più bella della mia vita. Anzi, io quel giorno sono rinato».

30.4.13

La nuda verità

Sono arrivati. Puntuali e disgustosi come sciacalli. Sempre pronti a giudicare, a scaricare la colpa su altri, ad accusarli di malafede. Ad attaccare per non esser attaccati.

Hanno visto il manifesto-shock dell'Arabia Saudita contro la violenza sulle donne. Una ragazza che s'intuisce bella, nascosta dietro il niqab, con solo gli occhi splendenti, perforanti e spietati. Uno magnifico, nero come la notte. L'altro tumefatto, turgido di sangue. Commento secco, di lama affilata: "Alcune cose non possono essere coperte". 
La campagna, finanziata dalla Fondazione Re Khalid, ha suscitato le ire degli occidentalisti. I quali fingono di non capire. Di fronte all'inequivocabile immediatezza dello slogan, essi, sedicenti difensori dei diritti, lucidi e razionali, dimostrano una doppiezza levantina: "Da quelle parti sono ancora al Medioevo!", "Ecco il ritratto d'una donna libera!" (questa frase è accompagnata da un ghigno storto sotto la fronte imperlata di sudore), "Se è finanziata dalla monarchia si tratta sicuramente di fumo negli occhi per gli occidentali". E così via.
In tal modo ululano gli sciacalli, bene attenti a fissare il dito, quando la mano indica la luna. Come se in Europa, e segnatamente in Italia, le pupattole nude che infestano i media, inculcando fin nei bambini il binomio tra la donna e l'oggetto, fossero invece chiaro indice di emancipazione. Come se in Europa, e segnatamente in Italia, la tragedia del femminicidio fosse un retaggio polveroso di secoli remoti, ormai estirpato per sempre. Come se in Europa, e segnatamente in Italia, il numero di donne uccise dai partner non avesse raggiunto quasi la ventina dall'inizio dell'anno.
E segnatamente in Italia, non esiste alcuna legge contro il femminicidio. Alcuna cultura della differenza di genere. Di recente, un uomo ha inseguito la sua ex compagna con l'automobile, in un folle e disperato inseguimento degno d'un poliziottesco anni '70. Non ha smesso finché non l'ha uccisa. Lei aveva segnalato precedenti episodi di stalking da parte dell'assassino, del tutto sottovalutati dalle forze dell'ordine.
Un altro uomo ha sparato alla fidanzata, rea d'averlo lasciato. Non poteva tollerare si ricostruisse una vita senza di lui. Il giorno prima aveva pubblicato un annuncio sul web: "Ti amo tanto". L'ha amata fino alla morte. Di lei.
Il più agghiacciante dei femminicidi è stato però perpetrato, anche per la valenza altamente simbolica, ai danni di un'avvocata (maschilisticamente definita, da quasi tutti i giornali e Tv, "avvocatessa"). Per lei, l'aguzzino ha studiato una soluzione "all'indiana"; qui, nel razionale Occidente, in un ambiente di professionisti borghesi, il maschio ferito nell'onore ha assoldato un sicario per sfregiare la fedifraga con l'acido. Le ha ucciso il futuro, cancellandole il volto: non sarai mia, non sarai di nessun altro. La mente maschile non riesce a concepire una donna se non in termini di proprietà.
Ora l'avvocata rischia di perdere la vista.
Episodi che, senza sia stata attivata un'efficace campagna di prevenzione, rischiano di diventare routine, se non oggetto di speculazione morbosa. Come avviene per gli efferati omicidi delle ragazze e bambine Poggi, Scazzi e Gambirasio; come avviene per quella pubblicità d'un panno miracoloso esposta a Casoria, e fortunatamente ora ritirata, dove un bullo belloccio, stile "uomo-che-non-deve-chiedere-mai", fissava spavaldo l'obiettivo sotto la scritta "Elimina tutte. Le macchie", presumibilmente anche di sangue, dato che alle sue spalle giaceva esanime un corpo femminile.
Occorreva la velata ragazza saudita per distoglierci da quest'atmosfera di squallido film. Per ricordarci che la violenza è sempre nuda, sempre svergognata, pur se si nasconde dietro spesse coltri nere.
Gli apologhi della superiorità occidentale ne fanno una questione di centimetri di stoffa. Basta toglierla, magari per deliziare estenuati sguardi maschili, e tutto si risolve. Il rivoluzionario creativo/a arabo non ha invece esitato a infrangere uno dei più inossidabili simboli della tradizione culturale e religiosa del suo Paese: attenzione - avverte - il femminicidio riguarda ogni donna, non solo le "ribelli" e le insubordinate (mentre alcuni mesi fa, in Italia, il prete don Corsi affiggeva alle porte della sua chiesa un'intemerata tratta dal sito fondamentalista Pontifex contenente il più retrivo concentrato di brutalità misogina, secondo cui le donne subivano stupri per aver rinunciato al "naturale" ruolo di asservimento all'uomo). Il femminicidio interessa ogni donna. E ogni uomo. È, anzitutto, un problema di uomini.
Se la donna non viene rispettata nella sua dignità nessun velo potrà proteggerla. E nessun velo potrà nascondere l'occhio del dolore, quell'occhio muto che, nella cultura arabo-islamica, è spoliazione e varco, come l'ombelico rotante nella danza del ventre, suo corrispettivo profano, continuamente ci ricorda.
L'occhio pesto della donna in niqab è l'occhio d'una madre, d'una sorella, d'una sposa. Ci dice, quell'occhio, che la violenza misogina nasce in famiglia, cellula della società, e si alimenta con la cultura del pregiudizio e della prepotenza. Attraverso un'immagine tradizionale, il manifesto saudita fa dunque a pezzi una sciagurata tradizione. Non sorprende sconquassi la cattiva coscienza dei violenti d'ogni latitudine.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...