La nuda verità

Sono arrivati. Puntuali e disgustosi come sciacalli. Sempre pronti a giudicare, a scaricare la colpa su altri, ad accusarli di malafede. Ad attaccare per non esser attaccati.

Hanno visto il manifesto-shock dell'Arabia Saudita contro la violenza sulle donne. Una ragazza che s'intuisce bella, nascosta dietro il niqab, con solo gli occhi splendenti, perforanti e spietati. Uno magnifico, nero come la notte. L'altro tumefatto, turgido di sangue. Commento secco, di lama affilata: "Alcune cose non possono essere coperte". 
La campagna, finanziata dalla Fondazione Re Khalid, ha suscitato le ire degli occidentalisti. I quali fingono di non capire. Di fronte all'inequivocabile immediatezza dello slogan, essi, sedicenti difensori dei diritti, lucidi e razionali, dimostrano una doppiezza levantina: "Da quelle parti sono ancora al Medioevo!", "Ecco il ritratto d'una donna libera!" (questa frase è accompagnata da un ghigno storto sotto la fronte imperlata di sudore), "Se è finanziata dalla monarchia si tratta sicuramente di fumo negli occhi per gli occidentali". E così via.
In tal modo ululano gli sciacalli, bene attenti a fissare il dito, quando la mano indica la luna. Come se in Europa, e segnatamente in Italia, le pupattole nude che infestano i media, inculcando fin nei bambini il binomio tra la donna e l'oggetto, fossero invece chiaro indice di emancipazione. Come se in Europa, e segnatamente in Italia, la tragedia del femminicidio fosse un retaggio polveroso di secoli remoti, ormai estirpato per sempre. Come se in Europa, e segnatamente in Italia, il numero di donne uccise dai partner non avesse raggiunto quasi la ventina dall'inizio dell'anno.
E segnatamente in Italia, non esiste alcuna legge contro il femminicidio. Alcuna cultura della differenza di genere. Di recente, un uomo ha inseguito la sua ex compagna con l'automobile, in un folle e disperato inseguimento degno d'un poliziottesco anni '70. Non ha smesso finché non l'ha uccisa. Lei aveva segnalato precedenti episodi di stalking da parte dell'assassino, del tutto sottovalutati dalle forze dell'ordine.
Un altro uomo ha sparato alla fidanzata, rea d'averlo lasciato. Non poteva tollerare si ricostruisse una vita senza di lui. Il giorno prima aveva pubblicato un annuncio sul web: "Ti amo tanto". L'ha amata fino alla morte. Di lei.
Il più agghiacciante dei femminicidi è stato però perpetrato, anche per la valenza altamente simbolica, ai danni di un'avvocata (maschilisticamente definita, da quasi tutti i giornali e Tv, "avvocatessa"). Per lei, l'aguzzino ha studiato una soluzione "all'indiana"; qui, nel razionale Occidente, in un ambiente di professionisti borghesi, il maschio ferito nell'onore ha assoldato un sicario per sfregiare la fedifraga con l'acido. Le ha ucciso il futuro, cancellandole il volto: non sarai mia, non sarai di nessun altro. La mente maschile non riesce a concepire una donna se non in termini di proprietà.
Ora l'avvocata rischia di perdere la vista.
Episodi che, senza sia stata attivata un'efficace campagna di prevenzione, rischiano di diventare routine, se non oggetto di speculazione morbosa. Come avviene per gli efferati omicidi delle ragazze e bambine Poggi, Scazzi e Gambirasio; come avviene per quella pubblicità d'un panno miracoloso esposta a Casoria, e fortunatamente ora ritirata, dove un bullo belloccio, stile "uomo-che-non-deve-chiedere-mai", fissava spavaldo l'obiettivo sotto la scritta "Elimina tutte. Le macchie", presumibilmente anche di sangue, dato che alle sue spalle giaceva esanime un corpo femminile.
Occorreva la velata ragazza saudita per distoglierci da quest'atmosfera di squallido film. Per ricordarci che la violenza è sempre nuda, sempre svergognata, pur se si nasconde dietro spesse coltri nere.
Gli apologhi della superiorità occidentale ne fanno una questione di centimetri di stoffa. Basta toglierla, magari per deliziare estenuati sguardi maschili, e tutto si risolve. Il rivoluzionario creativo/a arabo non ha invece esitato a infrangere uno dei più inossidabili simboli della tradizione culturale e religiosa del suo Paese: attenzione - avverte - il femminicidio riguarda ogni donna, non solo le "ribelli" e le insubordinate (mentre alcuni mesi fa, in Italia, il prete don Corsi affiggeva alle porte della sua chiesa un'intemerata tratta dal sito fondamentalista Pontifex contenente il più retrivo concentrato di brutalità misogina, secondo cui le donne subivano stupri per aver rinunciato al "naturale" ruolo di asservimento all'uomo). Il femminicidio interessa ogni donna. E ogni uomo. È, anzitutto, un problema di uomini.
Se la donna non viene rispettata nella sua dignità nessun velo potrà proteggerla. E nessun velo potrà nascondere l'occhio del dolore, quell'occhio muto che, nella cultura arabo-islamica, è spoliazione e varco, come l'ombelico rotante nella danza del ventre, suo corrispettivo profano, continuamente ci ricorda.
L'occhio pesto della donna in niqab è l'occhio d'una madre, d'una sorella, d'una sposa. Ci dice, quell'occhio, che la violenza misogina nasce in famiglia, cellula della società, e si alimenta con la cultura del pregiudizio e della prepotenza. Attraverso un'immagine tradizionale, il manifesto saudita fa dunque a pezzi una sciagurata tradizione. Non sorprende sconquassi la cattiva coscienza dei violenti d'ogni latitudine.

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