Porcino dà alle stampe
un nuovo lavoro, Ciao, Prof!, ed è subito gioia. Come
definirlo? Diario d'un insegnante ai tempi del Covid? Riflessioni
degli studenti alle prese con la DaD? Troppo poco, e anche scontato,
per un autore la cui cifra è l'imprevedibilità. Assieme a Cristian
Porcino si sa da dove si parte ma non dove si arriva. E ciò fa di
lui, oltre che un narratore, un autentico docente: colui che conduce,
stimola e fa emergere la creatività di ogni ragazzo/a. Un novello
Socrate - uno dei ricordi del Nostro si apre proprio con questo nome
- che prende per mano i suoi Fedone e le sue Diotima, infrange le
loro certezze, li fa deragliare, li emoziona, li diverte, per poi
condurli sui Campi Elisi del sapere infinito. E irrisolto. Porcino
assomma l'entusiasmo del giovane alla saggezza del filosofo. Non
fornisce risposte, non è il suo compito. Solo nella diuturna ricerca
crescono le civiltà, solo in essa si diviene adulti. Un filosofo
sorridente, come il Luciano De Crescenzo cui il volume è dedicato,
come la Filosofia del sorriso della quale vengono elargite
vivide pennellate, ma non per questo meno rigoroso. Il titolo
confidenziale del libro non deve ingannare: il "prof" è sì
un amico, però la sua è una philia, affinità d'animo;
elevazione. Così, si possono affrontare temi molto seri - i più
squisitamente letterario-filosofico-amorosi quali Abelardo ed Eloisa,
la coppia Sartre-De Beauvoir o un commosso ricordo di Sepulveda, e
altri storico-antropologici (appassionanti i monologhi di Eva e
Ipazia sulla condizione femminile), o di più stretta attualità: la
pandemia certo, ma anche il razzismo, l'omofobia, la nonviolenza,
spaziando da Marco Mengoni a Tiziano Ferro, da Woody Allen ad Harry
Potter, da Pinocchio a Margaret Atwood, senza dimenticare la lezione
di papa Francesco. Al termine, Porcino si fa da parte per lasciare la
parola a Chaplin e al suo celeberrimo Discorso all'umanità: e
ha l'umiltà di non affiancargli chiose, che necessariamente
svilirebbero la pregnanza di quell'appello. Perché se è vero che le
parole hanno un peso - per citare ancora Ferro -, le troppe parole
sono un vuoto affabulare, un cupio dissolvi della
comunicazione; chi le dilapida è una mala persona, ammoniva
Carducci. Un poeta, naturalmente. E la poesia è il luogo dove il
verbo si fa carne: "Io sono il ricordo, io sono te",
sintetizza Porcino nella lirica conclusiva. E qui, davvero, non
occorre aggiungere altro.
(Prof.ssa Daniela Tuscano)
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