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16.9.25

«L’Asinara è come una mamma qui scolpire diventa magico» Enrico Mereu racconta la sua vita e il suo rapporto viscerale con l’arte

 Quando  dice mettere  radici in un posto   da  la  nuova  sardega  del  16 setembre      2025    questa  storia  


 egli   è   stato   protagonista del docufilm “Fuori dal mondo” del regista Stefano Pasetto.   Sempre  dalla nuova  sardegna    , stavolta    del   15 settembre 2024 14:54

«La prima di “Fuori dal Mondo – Vivere all’Asinara” mi ha fatto evadere dall’isola». Enrico Mereu, lo Scultore dell’Asinara, è il protagonista della pellicola firmata dal regista Stefano Pasetto, una produzione della Solaria Film di Emanuele Nespeca insieme a Sud Sound Studios e Rai Cinema. Il film è stato presentato al teatro Litta di Milano nell’ambito del Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo.Enrico Mereu, però, non si sente un protagonista. E non si sente neanche un eremita, nonostante gli oltre 40 anni all’Asinara, più della metà trascorsi come unico abitante insieme alla moglie. «Sono rimasto nell’isola perché mi piace la tranquillità, e perché l’isola ha triplicato la mia vena creativa. Sono arrivato nel 1980 quando ero un sottoufficiale della polizia penitenziaria. Sin da bambino ero scultore e pittore, e all’Asinara ho iniziato a scolpire il legno trasportato dal mare. Non ho mai abbattuto un albero».

Ed è diventato per tutti lo scultore dell’Asinara.

«Ma non ho creato io questo nome. Quando venivano i giornalisti vedevano le sculture che facevo con il legno e quindi ha iniziato a spargersi la voce. Poi ho iniziato a esporre ed è venuto fuori questo nome».

Quando il carcere è stato dismesso lei non è voluto andare via e si è anche incatenato per 23 giorni a cala d’Oliva.

«Ad un certo punto volevano mandarmi via ma io sapevo di essere nel giusto e quel gesto simbolico è servito ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica. Ho vinto la mia battaglia e sono rimasto».

Nel carcere è entrato in contatto con detenuti come Riina e Cutolo ma all’Asinara ha conosciuto anche Giovanni Falcone.

«Falcone la notte usciva e andava allo spaccio per giocare a biliardo e a calcio balilla, quindi, parlava spesso con i miei colleghi. Aveva visto le mie sculture e un giorno ha chiesto di conoscermi. Sono andato a cavallo fino alla centrale, dove abbiamo parlato per un bel po’. Era una persona straordinaria. A lui e a Borsellino ho dedicato un monumento in ginepro, “Il falco e l’arciere”, che si trova nella casa museo dove hanno preparato il maxiprocesso. Mi chiedeva di Riina. Nell’ultimo periodo ero capoposto proprio dove era detenuto. Anche in questo caso devo dire che l’arte mi ha aiutato perché non riesco ad essere indifferente davanti a situazioni o cose molto gravi e pesanti. La scultura era il modo per sfogare la pressione che sentivo».

Lei dice di avere un rapporto particolare con la solitudine.

«Sì, per certi versi la odio ma mi è anche di aiuto. La mente ha bisogno di staccare, di riflettere. Io non ho scelto di stare all’Asinara per fare l’eremita ma perché non c’è alcun essere umano che ti insegni l’educazione come riesce a fare la natura. Cerco anche di trasmettere questa cosa ai gruppi di ragazzi e di scout che vengono ogni anno. Prima di tutto faccio mettere i loro cellulari in una cesta e poi insegno le prime nozioni della scultura. Dopo un po’ non vorrebbero più smettere».

Lei e sua moglie vorreste essere gli unici abitanti?

«Da poco ho sentito un ministro dire in tv di voler portare mille famiglie. Forse sarebbe esagerato, ma una sessantina di famiglie che amano la natura potrebbero ripopolarla, far rivivere il paese. Se non ci fosse stata mia moglie che ha deciso di rimanere con me non sarei riuscito a restare dopo la chiusura del carcere».

Come ha convinto sua moglie?

«Anche lei è stata convinta dall’Asinara».

E i suoi cinque figli?

«Quando erano più piccoli c’era ancora il carcere e hanno frequentato elementari e medie nell’isola. Sono cresciuti benissimo, amano la natura come noi. Ora sono grandi, abbiamo sei nipoti. Certo, ci manca non poterli vedere tutti i giorni ma alle volte andiamo noi, altre volte vengono loro. Hanno sempre assecondato, e assecondano la nostra scelta».

Lei si sente, come il titolo del film, fuori dal mondo?

«Un po’ sì ma quando mi chiedono come faccio a stare dove non c’è niente io rispondo che qui c’è proprio tutto quello di cui ho bisogno».

Come è stato essere filmato nella sua quotidianità e per così tanto tempo?

«All’inizio un po’ di effetto lo ha fatto, ma poi io a 65 anni ormai mi accorgo quando ho a che fare con brave persone. Sono rimasto naturale, anche perché non riesco a fingere».

Quale messaggio vorrebbe che passasse da questo film?

«Per me l’Asinara è come una madre, vorrei che non venisse intaccata dall’egoismo umano. Vorrei che anche fuori capissero che è un’isola magica e che la natura bisogna amarla perché la natura capisce chi le vuole bene e ricambia tutto l’amore che riceve».

26.9.22

«Dal mare e dalla natura selvaggia arrivano le mie creature magiche» La storia di Enrico Mereu, scultore e unico abitante dell’Asinara

da la nuova sardegna del 25\9\2022

 In quella che a tutti può sembrare una pietra insignificante, lui ci vede del preziosissimo materiale per scolpire le sue creature, a volte fantastiche, a volte ispirate alla natura. E da quei detriti di legno che il mare quotidianamente gli deposita sulla spiaggia sotto casa, lui riesce a realizzare opere stupefacenti. Così come fa plasmando con mazzetta e scalpello una gigantesca radice di olivastro recuperata per caso in campagna. Per esempio “L’esaltazione del creato”, capolavoro realizzato appositamente per il Giubileo del Duemila, dal quale prendono corpo, oltre a San Francesco, ben trentacinque animali: dal lupo ai cinghiali, dal serpente ai colombi. Sculture capaci di impressionare molti critici d’arte, ma che non hanno mai cambiato la personalità umile e gentile del loro autore, Enrico Mereu, 63 anni, ormai  noto come “Lo scultore dell’Asinara”, visto che da tempo è l’unico abitante dell’isola. Un paradiso che non ha più lasciato dal gennaio del 1980, quando vi si trasferì, a dirla tutta senza troppo entusiasmo, per fare l’agente di polizia penitenziaria. «Fu mio padre, quando ero pronto a partire per la leva militare, a convincermi a fare quel mestiere – racconta Mereu –, in fondo nella nostra numerosa famiglia uno stipendio fisso contava moltissimo. Ma pur avendo svolto il mio lavoro con estremo zelo, non mi sono mai appassionato, anzi. Poi, certo, all’Asinara mi è capitato anche di conoscere persone eccezionali come Falcone e Borselllino, che negli anni Ottanta passarono alcuni mesi sull’isola per istruire il maxiprocesso contro la mafia. 


Ma il carcere è un ambiente triste sia per i detenuti sia per le guardie». E poi Enrico, sin da bambino – cioè da quando viveva a Nurri, paese al confine tra Barbagia e Ogliastra – aveva mostrato attitudini artistiche non comuni. «Avrò avuto al massimo sei anni – rivela lui stesso – e ricordo che per tre giorni mi presi una brutta influenza con febbre così alta che durante la notte avevo quasi delle allucinazioni: vedevo creature mostruose, animali, cose del genere. Fatto sta che una volta guarito mi venne voglia di riprodurre quelle visioni tanto particolari plasmando la creta o scolpendo le pietre. Diciamo che avevo questa dote: guardavo le pietre o il legno e nella mia mente mi appariva l’opera già finita. Furono i miei fratelli maggiori a procurarmi i materiali per muovere i primi passi da artista». I riconoscimenti e le prime soddisfazioni non tardarono ad arrivare. «Alle scuole medie – continua Enrico – un insegnante rimase incredulo davanti ad alcuni miei lavori e per sincerarsi che era tutta farina del mio sacco mi chiese di realizzarne uno durante la lezione. Ricordo ancora il suo stupore. Ma la vera svolta ci fu quando un professore acquistò una mia scultura in pietra che raffigurava un’aquila reale. Me la pagò la bellezza di 25mila lire, all’epoca una cifra considerevole. Tanto che davanti a tutti quei soldi persino mio padre, che da ufficiale giudiziario guadagnava 23mila al mese e che francamente non aveva mai visto di buon occhio la mia passione per la scultura, cominciò pian piano a cambiare idea e a puntare sul mio talento. Da un giorno all’altro iniziò a portarmi davanti a grandi pietre e a chiedermi: “Enri’, che cosa vedi? Ajò, dimmi che cosa vedi dentro questa pietra? “E io a rispondergli: “Babbo, ma così a comando non ce la faccio, deve essere una cosa spontanea». Negli ultimi anni Enrico Mereu ha allestito molte mostre personali e numerose sono le sue presenze a esposizioni collettive o a simposi, così come molteplici sono i riconoscimenti e i premi ricevuti. Le sue opere sono diventate parte di collezioni di grande prestigio, sia pubbliche che private, tanto che tra i luoghi che le ospitano ci sono il Quirinale, il Palazzo della Provincia di Sassari, il Palazzo Reale all’Asinara e nelle piazze principali di numerosi paesi. Tutto fatto senza mai   lasciare l’Asinara. «Ormai non potrei più andarmene – rivela – e anche d’inverno quando si svuota dei visitatori, riesco ad apprezzarne la bellezza, con gli animali che si avvicinano a casa. La solitudine è dura, ma a me piace»

10.10.15

La tragedia della Nave Regia Roma nella seconda guerra mondiale: il racconto di uno dei superstiti ancora in vita Aldo Baldasso

Il 9 settembre 1943, alcune ore dopo l’annuncio radiofonico della firma dell’armistizio di resa, la Nave Regia Roma, fiore all’occhiello della Marina Militare Italiana, libera gli ormeggi dalla base di La Spezia e inizia quello che si rivelerà il suo ultimo viaggio.


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Con la supercorazzata armata c’è la flotta italiana, composta da 23 unità navali, comandata dall’ammiraglio in capo Carlo Bergamini, sulla plancia della Roma. Imbarcato anche un giovane piemontese di 23 anni.
Oggi Aldo Baldasso ha 95 anni e vive a Pirri con la moglie Gina e la figlia Paola. Non ha dimenticato nulla di quell'immane tragedia che si è consumata a una ventina di miglia a nord dell’Asinara.
L'album di Aldo Baldasso
L'album di Aldo Baldasso
Baldasso è uno dei pochi superstiti sardi, ancora in vita, e oggi racconta una delle pagine più tristi e drammatiche dalla storia della Marina Militare Italiana e della Seconda Guerra mondiale.
Nel pomeriggio di quel 9 settembre due ordigni guidati con un carico esplosivo di 1400 chili, sganciati da un aeroplano tedesco, un Dornier Do 217 K-2, misero fine alla storia della grande nave italiana: 1700 caduti, 622 superstiti.
Sette navi italiane portarono i naufraghi a Mahon (Minorca) e i loro equipaggi (circa 2000 uomini).
Il 17 giugno 2012, l’ingegnere Guido Gay, grazie a un robot sottomarino da lui stesso progettato (il “Pluto Palla”), individua il relitto della Roma su un fondale di circa 1200 metri.
Lo scorso anno è nata un'Associazione “Reduci e familiari caduti nave Roma e navi Vivaldi e Da Noli” per ricordare la storia della Roma ma anche delle altre 2 navi affondate in quell’attacco aereo: appunto il Vivaldi e il Da Noli.

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...