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4.12.13

Dalla tanca alla cattedra I Taviani: perché decidemmo di girare “Padre padrone”

mentre  aggiornavo  il la  seconda puntata (  come risparmiare e non sprecare in tempo di crisi durante le festività natalizie - seconda puntata i regali ) della mia guida   natalizia   di quest'anno  e  contemporaneamente  gettando un occhio sull'edizione  giornaliera   dell'unione sarda  d'oggi  , ho trovato   questa storia  . 

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Un grande film, che vinse la Palma d'oro a Cannes, ispirato al libro di Gavino Ledda  Dalla tanca alla cattedra I Taviani: perché decidemmo di girare “Padre padrone”



Di anni ne sono passati 36, eppure il film Padre padrone (da domani in edicola con L'Unione Sarda) resta un modello di cinema da imitare. E da amare. Inutile dire che per Paolo e Vittorio Taviani   ( foto  a destra  ) quest'opera sia più di un pezzo della loro vita, e non solo perché vinse la Palma d'oro al festival di Cannes del 1977 con la benedizione di Roberto Rossellini. Per i Taviani Padre padrone
da google  immagini 
significa aver ritrovato, nella storia personale di Gavino Ledda  (  foto  sotto al centro  )  , anche le radici della loro decisione di voler fare cinema.
Racconta Vittorio Taviani (anche a nome del fratello). «Un giorno leggemmo per caso su “Paese sera” la notizia di un pastore, rimasto quasi muto fino a vent'anni, diventato professore di glottologia. Non avevamo ancora letto il libro di Ledda ma la storia di questo giovane che in nome del bisogno di comunicare con gli altri diventa un professionista della comunicazione, con la volontà della testardaggine, la sentivamo nostra». Un istinto di ribellione che riportò i Taviani molti anni indietro, quando ventenni scoprirono il cinema vedendo in una saletta di Pisa Paisà di Rossellini. «Quel film ci mostrava qualcosa che avevamo vissuto. Uscimmo dicendoci: o facciamo cinema o morte!».

idem foto precedente 

Taviani e Ledda, uniti dalla stessa consapevolezza di voler comunicare col mondo. «Decidemmo - dice Vittorio - di andare a trovare Gavino. In quei giorni era a Pisa, relatore in un piccolo circolo. “Io saprei come risolvere i problemi politici della mia terra”, proclamava. Restammo stupiti e ammirati da quest'uomo piccolo ed esagerato. Aveva dentro una forza, parlava come se lui pensasse davvero di fare queste cose». Così i Taviani decisero di leggere il libro: «Ci piacque moltissimo e pensammo di prendere, come abbiamo fatto con altri autori letterari, questa bellissima creta e rimodellarla a modo nostro». Gavino, spiega ancora Vittorio, disse: «Non dirò una parola sul vostro film». Capì, da fine intellettuale e persona intelligente, che libro e film erano due cose diverse.
Un poster di Padre padrone (versione israeliana) dove si vede la tanca, appeso alla parete dello studio di Vittorio Taviani, suscita altri ricordi. «Per una decina di giorni facemmo i sopralluoghi in Sardegna. Ci facevano vedere cose troppo belle, come quelle straordinarie rocce rosse sul mare. Non era questo che ci interessava. Eravamo preoccupati: l'ultimo giorno di perlustrazione non avevamo ancora trovato la tanca. Sulla strada verso l'aeroporto di Alghero, dal finestrino della macchina scorgemmo qualcosa di interessante. “Ferma!”, dissi. Era la tanca che cercavamo. Il film è nato lì, in quel momento».
La parte di Abramo (che nel film si chiama Efisio) cioé del padre padrone, doveva essere di Gian Maria Volontè. «Avevamo fatto con lui il nostro primo film, Un uomo da bruciare. Pensiamo sia stato
locandina del film presa da http://www.mymovies.it/
             ne trovate negli url sopra la recensione
il più grande dei nostri attori, anzi lo consideriamo un autore perché portava una creatività che diventava una delle pulsioni dei film. Però era anche una persona che viveva una nevrosi, una sofferenza che faceva male a se stesso e agli altri. Comunque lui diede l'ok al progetto, tanto che la Rai annunciò il film col suo nome. Andammo a Malta a trovarlo, lui stava lì per aggiustare la sua barca; parlammo, modificammo anche qualche dettaglio della sceneggiatura. 
Ci dicemmo: inutile incontrarci a Roma, vediamoci direttamente sul set in Sardegna. Tutto era pronto ma Gian Maria non rispondeva al telefono. Non si faceva trovare. Giuliani, il nostro produttore, era infuriato. Non si poteva più aspettare. Ci ricordammo allora di aver visto a teatro, in una versione di Giulio Cesare , Omero Antonutti, che ci aveva molto colpito. In fondo fu una fortuna: Omero ha portato una forza nuova, originale. Per la prima volta faceva cinema e, oltre la sua bravura, aveva anche uno stupore genuino davanti alla cinepresa. Volontè forse avrebbe imposto la sua maschera». Già, ma perché rifiutò il ruolo? «Disse che avrebbe voluto farlo ma si era accorto che i Taviani amavano più il personaggio di Gavino di quello del padre».
I ricordi affiorano ancora. La polemica in Sardegna («Il film fu attaccato, anche ferocemente. Non rispondemmo a nessuno ma avvertimmo: “Ne parleremo fra dieci anni”. Il tempo ci ha dato ragione»), il bluff di Saverio Marconi («Imbrogliò sull'età per avere la parte»), la grande collaborazione della gente sarda. «Siamo riconoscenti a tutti, a Gavino in primis al quale mandiamo un pensiero di affetto. La Sardegna resta un punto di appoggio nel nostro rapporto con la vita. E, credetemi, quando ora vedo la disperazione dei pastori sardi, sto male».

                                            Sergio Naitza

12.5.13

Gavino Ledda : no all’uomo padrone «I matrimoni non durano per sempre, anche Papa Francesco cambi le regole»


Quando il tuo amore non produce amore reciproco e attraverso la sua manifestazione di vita, di uomo che ama, non fa di te un uomo amato, il tuo amore è impotente, è una sventura.
                                                     Karl Marx


riprendendo  l'argomento femminicidio e sul  veregognoso \  turpe  violenza  sulle donne   già trattato  precedentemente  su  questo blog  (I II )    riporto qui   sotto questa interessantissima  provocazione   dello  scrittore  sardo   Gavino Ledda ( foto sotto   a destra  )   sul rapporto  femminicidio religione   fonte di Pier Giorgio Pinna   dalla nuova sardegna del  12\5\2013


INVIATO A SILIGO. «I femminicidi si stanno trasformando in fenomeno terribile, sconvolgente. E allora io, l’autore di Padre padrone, dico un no deciso alla violenza. Basta con le donne usate e distrutte come cose. Basta con chi, pensando solo adavere e mai a essere, giudica le persone come una sua proprietà privata. Basta con matrimoni destinati a durare per sempre. Basta divinizzare sa proprietà de sa femmina». Gavino Ledda è sofferente per una lieve indisposizione. Ma dalla sua casa di Siligo coglie con estrema lucidità le degenerazioni di una società malata.
E per meglio spiegare il proprio pensiero parte da lontano. Come sempre con immagini visionarie: «Non uccidere: così dice il quinto comandamento. Già migliaia di anni prima di Mosé il padre padrone, cacciatore e predatore, esercitava il suo potere con la forza. Ma erano i primordi dell’umanità. Adesso la mente deve avere il sopravvento sui muscoli. Così capisco quel che succede oggi solo ricordando quanto sia stato incompreso Gesù quando predicava il perdono. Ed ecco, riflettendo sull’appello ad amare il prossimo come se stessi, dobbiamo tutti pensare di essere senza il bisogno di possedere. Queste stragi che partono dall’idea che le donne debbano appartenere a un padrone devono cessare, sono dissennate».
«Ritenere che l’impegno preso dai cristiani a non separare ciò che il Signore ha unito non rende gli uomini simili a Dio – incalza Ledda – Solo il dieci per cento di ciò che Cristo ha detto, appena la sommità di un iceberg, è stato recepito dagli apostoli. Ed è perciò che adesso mi rivolgo alle istituzioni e al vicario di Pietro, nella sua umana santità, perché tutti comincino a pensare di cambiare le regole. È stata l’esperienza a diretto contatto con la natura fatta in tanti anni fin da giovane a mostrarmi quanto sia sbagliato pensare che le donne, i bambini, la famiglia siano proprietà esclusive del padre».
Una breve interruzione per un sorso di caffè nella cucina della casa con il portone d’ingresso circondato da un arco sovrastato dalla testa di montone in trachite rosa. Poi, lo scrittore riprende: «È da cristiano che lancio il mio appello: si rifletta a fondo sulle conseguenze che derivano da un altro comandamento, il nono: non desiderare la donna d’altri. Ecco il punto da tenere presente con estrema attenzione: Mosè, nonostante la grandezza di conduttore scelto da Dio, ha messo il piede in fallo. Del resto, erano tutti uomini e potevano sbagliare». «Ma dare quest’imperativo dopo aver prima ammonito a non desiderare la roba d’altri fa credere ai deboli di spirito, agli uomini più fragili, che la donna sia un oggetto – osserva – E così oggi, con un metodo di revisione galileiano, bisogna assolutamente superare questo concetto errato di proprietà applicato non alle cose ma agli essere viventi».
«Io d’altronde l’avevo capito fin dal mio incontro-scontro col padre padrone, una lunga esperienza che mi è servito da collaudo umano»,prosegue il narratore di Siligo.
«Mio padre infatti non ha mai alzato una mano su mia madre: sapeva che noi figli l’avremmo difesa e lui le avrebbe prese», spiega. «Ma nell’ovile, quando facevo il pastore con lui, mi ha picchiato spesso – racconta Gavino Ledda – Sino a 24 anni, sinché ho deciso di andare via di casa. Quel giorno lui ha cercato di colpirmi ancora una volta. Ma io l’ho bloccato e l’ho spinto verso il muro immobilizzandolo. Davanti a tutti i familiari, allora mi ha provocato: “E dai ischude, picchia”, mi ha detto sfidandomi. Ma non sono cascato nella trappola: “Vedi che si può discutere senza ricorrere alla forza”, ho replicato. Ed è stata la mia vittoria, la vittoria di tutti quelli che rifiutano la violenza. Mi ha salvato la grazia di Dio, una scintilla arrivata dal cielo. È stata la giornata più bella della mia vita. Anzi, io quel giorno sono rinato».

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...