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27.12.24

Rahma ragazza algerina contro l’Algoritmo: una ragazza tunisina contro gli stereotipi dell’AI

ne  avevo già  parlato    in qualche  post   qui  sul  blog   . Ma  a  grande  richiesta        visto il n   delle  visualizzazioni     riporto   stavoltà  con  più notizie      la  storia      di  Rahma ragazza algerina  contro l’Algoritmo: una ragazza tunisina contro gli stereotipi dell’AI

da https://it.insideover.com/

 Rahma ha quindici anni, lunghi capelli neri ricci e occhi scuri. La faccia pulita, senza trucco né inganno, uno smalto color lilla alle unghie come tante sue coetanee. Ci risponde da casa, sotto l’occhio vigile ma non invadente della mamma, che la aiuta a ricordare luoghi e date. La sua è una piccola grande storia che da Sfax, sua città di origine, sta facendo il giro d’Italia.Ma andiamo con ordine. Rahma studia e vive nel piccolo e delizioso borgo di Lizzanello, in provincia di Lecce. Dalla Tunisia è arrivata come molti connazionali, a bordo di un barcone. È arrivata in Italia il 9 marzo del 2023 assieme a suo fratello Bayrem e alla mamma: una data che in famiglia ricordano con precisione chirurgica, marchiata a fuoco nella mente. Del loro sbarco, Rahma ricorda distintamente un gruppo di Carabinieri: le loro braccia e le loro divise sono le prime figure di accudimento e accoglienza che ha trovato nel nostro Paese: il segno della salvezza, della fine di una traversata che a tanti come lei è costata, invece, la morte.

Poi arriva la scuola, quella piccola splendida realtà che è l’Istituto “De Giorgi” di Lizzanello-Merine, dove da anni si pratica la “public history”, ovvero una metodologia che “fa” ricerca storica con e per le persone. Come ogni anno la scuola partecipa al Festival Internazionale della Public History, quest’anno intitolato “Gente in cammino. Storie di emigrazione di ieri e di oggi”. I ragazzi si mettono a lavoro e si stringono attorno ai loro compagni con background migratorio. La storia di Rahma e Bayrem va raccontata, come quella del loro compagno John, ghanese.Le prof responsabili del progetto, Anna Grazia Visti e Carmen Mazzeo, aiutano i ragazzi a realizzare un fumetto che racconti le peripezie dei ragazzi e delle loro famiglie. Nel tentativo di approcciarsi alle nuove tecnologie, provano a utilizzare l’intelligenza artificiale per creare le tavole del fumetto, di cui i ragazzi scriveranno “sceneggiatura” e dialoghi. Tutto regolare: volti, colori, ambientazioni. Ma al momento di disegnare il volto della piccola grande Rahma dietro il comando “ragazza tunisina”, il PC restituisce l’immagine di una giovane con il velo


Agli altri alunni potrebbe sembrare normale, del resto stanno appena imparando di più su quel mondo così lontano dal Salento.Ma Rahma punta i piedi.“Io non porto il velo!”, sbotta con le insegnanti. Lei vuole che i suoi capelli lunghi e ricci siano ben in mostra.Prova e riprova non c’è verso di “far capire” all’AI che una donna tunisina non necessariamente indossa il velo. E può perfino non essere di fede islamica. Rahma invece musulmana lo è, ma le è stato insegnato dalla sua mamma che può decidere liberamente. Lei l’hijab ha scelto di non indossarlo: è giovane, è libera, e vuole gustarsi quella libertà che dalla Tunisia è partita e che coltiva in Italia. Come racconterà la sua docente, Rahma da piccola ha indossato il velo, ma poi ha scelto di non portarlo più. Rahma ci racconta di essersi sentita triste e arrabbiata, perché l’intelligenza artificiale-che degli uomini dovrebbe raccontare-ha dipinto qualcosa che non le corrisponde e non ammette eccezioni.Alla fine, studenti e insegnanti, spazientiti, per poter creare un fumetto con una giovane tunisina senza velo, si vedono costretti a inserire il comando per generare l’immagine di un ragazzo tunisino. Un maschio. Così, il laboratorio e l’attività si trasformano da ricerca storica a riflessione sulla “stupidità” dell’intelligenza artificiale. O meglio, sugli stereotipi che ricercatori e programmatori hanno “insegnato” all’intelligenza artificiale che, nei fatti, è una macchina.La piccola storia di Rahma mette i bastoni fra le ruote a un meccanismo al quale stiamo affidando il futuro. “L’intelligenza artificiale non è dotata di pensiero. Siamo noi uomini che possiamo fare la differenzaW l’intelligenza umana, ora e per sempre”, chiosa la professoressa Visti. Rahma, intanto, sbalordita da tanta popolarità, prosegue nella sua vita di adolescente: studia, esce con gli amici, le piace fare sport. E poi vuole imparare bene il francese. Ma quando le chiediamo cosa vuole fare da grande, lei non ha dubbi: il carabiniere.

12.12.24

"Idioti gli slogan anti-Israele nelle piazze. I fanatici dell'islam? Criminali e mafiosi" intervista al IL GIORNALE DELL Imam Pallavicini (Coreis)

 ogni  tanto    a  destra      ci  sono  degli interventi interessanti    come  questo  

  da  ILGIORNALE   tramite  msn.it  

Imam Pallavicini (Coreis) dall'Europa alla Siria si parla di movimenti islamici. Perché c'è un problema islam?

«C'è, consiste innanzitutto nel problema del riconoscimento dei suoi interpreti autentici. Ci sono, schematizzando, due tipologie di rappresentanti dell'islam, il principale è quello che da 14 secoli vive le fede come dimensione civile e religiosa, interagendo e dando un contributo. Il secondo, da pochi secoli, sono altri interpreti, che abusano della religione e si servono dell'Islam in modo estremo e caricaturale come copertura per rivoluzioni di potere, fanatiche o formaliste».

L'islamismo è totalitario?

«Non ridurrei la questione al jihadismo. Hanno avuto dimensione autoritaria tutti coloro che hanno usato l'islam, ma anche chi lo ha rimosso, dopo la decadenza del califfato ottomano, nei vari tentativi di stampo nazionalista o panarabo o socialisteggiante che puntualmente non hanno funzionato, lasciando un vuoto riempito da fanta-califfati».

Non ne se esce. E Houellebecq vede in Occidente la «volontà di scomparire».

«Il problema è in tutte le correnti che hanno strumentalizzato o escluso l'islam. Ci sono esempi interessanti in Indonesia, Emirati, in Asia centrale, Marocco e Senegal, ma per il resto l'impatto con la modernità e la democrazia è tuttora irrisolto. Fra secolarizzazione estrema e fanatismo tribale, l'unica possibilità che vedo è l'islam d'occidente. Chiarendo su quali interpreti vogliamo investire. La fede in Dio è un diritto. L'Occidente non può sottostare ai ricatti. La sua eredità è anche una dimensione di pensiero profonda».

Fanatismo e rimozione della spiritualità sono due facce della medaglia?

«Se in Europa sparisce questa dimensione spirituale non so cosa succede. Mi preoccupa che i cristiani d'oriente diano per sconfitto il Cristianesimo d'occidente. Da imam dico che dobbiamo lavorare al risveglio dell'Occidente e delle sue nobili origini. Politica e fede sono stati profondamente corrotti».

Ma non c'è un fanatismo degli altri monoteismi.

«Ci sono stati cicli e fasi. Ora ci sono quei barbari e eversivi ma in 2 miliardi di musulmani. Una minoranza rumorosa arrogante, ignorante e violenta ma minoranza. Come la mafia rispetto alla Sicilia o le Brigate rosse a sinistra. I criminali devono essere trattati da criminali. Non legittimati come interlocutori. In Occidente la democrazia è confronto ma si è persa l'idea di un confine per condizionamenti di buonismo, ideologia e lobbies».

Anche Ratzinger parlava di un'Europa scristianizzata.

«Sì è vero. E la sua dottrina dava un preallarme all'occidente. Occorre sviluppare la fede autentica e la cultura vera, non le emozioni dell'arcobaleno, per indifferenti ed estremisti che non contribuiscono al bene comune».

Cosa pensa dei cortei in cui si inneggia a una Palestina «dal fiume al mare».

«Ci vedo arroganza e ignoranza. Questo slogan stupido dove porta? Gli ebrei non devono più stare in quella regione? Quale fondamento c'è in quest'espressione idiota? Io ho seguito la risoluzione Onu su Srebrenica. Genocidio è termine giuridico complesso. Diciamo le cose come stanno. Ci sono qui crimini di guerra, deportazioni, impedimenti agli aiuti umanitari alla popolazione e necessità di difesa e sicurezza dai terroristi e rapitori di Hamas. Il governo italiano sembra avere una politica chiara: no al terrorismo, difesa dei popoli e aiuti umanitari. Quelli che manifestano come aiutano i palestinesi? Come li aiutano se fanno l'errore di confondere Hamas con i palestinesi e i musulmani. Io sono un musulmano che non vuol confondere i musulmani con Hamas. Sostengo il popolo palestinese e quello israeliano e vorrei che vivessero insieme senza odio».

  Rispondo  alla  sua  domanda  :  « Gli ebrei non devono più stare in quella regione >> ?  Secondo  me  si    ci posso  e devono  stare  . La  palestina è  stata abitata   da  sempre   da   arabi e  ebrei (  prima  non sionisti  cioè    tutti  quelli  presenti   in loco   nonostante  la  diaspora   e quelli sionisti   cioè  delle varie  fasi  dell'Aliyah  )    e    mi  sembra   giusto  che   i due  popoli ( o  unico   popolo secondo  alcuni  in  quanto  entrambi  di cepo  semitico  )    vivano insieme  non importa se  in  due  stati  o  in unico  stato  . 

25.11.24

la chiesa pronta ad un passo indietro sull'ora di religione a scuola ?

  Per qualcuno era una noia mortale, un’imposizione statale   e  poi  dei genitori in un’Italia, quella degli anni precedenti  al  rinovo  concordatario   1984 , e  poi   dagli anni ‘90, sempre meno dalla sana e robusta costituzione cattolica; per altri, l’ora di religione, lodevoli eccezioni a parte, rappresentava un mero aggiornamento della dottrina frequentata da bambini. Questo era più che è oggi l’Irc (Insegnamento della religione
cattolica), dal momento che la materia negli istituti scolastici pubblici sta vivendo il suo tramonto strutturale, progressivo ed ineludibile tale da spingere la stessa Chiesa a ripensarla. Anche a costo di compiere un clamoroso passo indietro, rinunciando allo stesso insegnamento.?
Introdotta nel 1929 con il Concordato fra Stato e Santa Sede prima di essere sottoposta a restyling nel 1984 tramite la revisione concordataria che da obbligatoria l’ha resa facoltativa, l’ora di religione ha conosciuto daglia   anni  '90  ad oggi una disaffezione del 10%. I dati sono quelli diffusi dalla Conferenza episcopale italiana che, attraverso le sue 223 diocesi, nomina i docenti da mettere in cattedra, di concerto con le autorità scolastiche. Nell’anno 2022/23, circa 6,8 milioni di studenti, pari all’84% del totale, hanno scelto di frequentare l’ora di religione. La geografia del restante 16%, i cosiddetti non avvalentesi, cambia da regione a regione, nonché da ordine e grado degli istituti: si va dal 23% del nord Italia al 3,7% del sud, si sale dall’11,9% della primaria al 22% della secondaria di secondo grado.
Un’indagine pubblicata da You Trend, relativa all’anno 2020-2021, rivela che chi alle superiori sceglie di uscire durante l’Irc è il 16,1% degli allievi dei licei, il 22,8% di chi frequenta un istituto tecnico e il 23,5% di coloro che vanno al professionale. Anche tra gli studenti dei licei il quadro non è uniforme: i non avvalentesi sono il 14,3% nei Classici, il 15,7% degli Scientifici e il 28,4% negli Artistici.
I numeri raccontano un cambio di paradigma sociale anche rispetto a quarant’anni fa, quando è stato stipulato il Concordato in vigore. Inutile crogiolarsi su una maggioranza di avvalentesi in via di erosione, lascia intendere il vescovo Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della Cei, che, su La rivista del clero italiano, ha di recente pubblicato un saggio nel quale prospetta un nuovo statuto dell’ora di religione. "Nel 1984 lo Stato riconosceva il valore della cultura religiosa e i principi del cattolicesimo come parte integrante del ‘patrimonio storico del popolo italiano’ – sottolinea il presule –. A differenza del ’29, l’insegnamento della religione non era più inteso come ‘fondamento e coronamento’ del sistema scolastico. Il clima era cambiato, ma nel frattempo è mutato ancora. Viviamo un inedito pluralismo religioso e una post secolarizzazione che, se non si traduce in una ripresa delle pratiche religiose tradizionali, evidenzia dinamiche di ricerca spirituale imprevedibili".
In questo contesto sfaccettato anche la presenza ecclesiale nella scuola andrebbe e potrebbe essere riconsiderata. Da qui la proposta   con  un  po'   di ritardo 🙄😜🧠 del ministro dell’Ecumenismo e del Dialogo della Cei. "Non più un’ora di religione cattolica, facoltativa, quanto piuttosto un insegnamento obbligatorio del fenomeno religioso in chiave plurale per abilitare lo studente a diventare un cittadino capace di meglio comprendere la società in cui si trova – spiega il vescovo Olivero –, favorendo uno spirito ecumenico verso chi professa altre confessioni cristiane, altre fedi così come verso i nones, cioè chi non appartiene ad alcuna religione". La Chiesa cattolica così "potrà fare un passo indietro, rinunciando a uno spazio che le spetta di diritto per far fare alla società un passo avanti. Il pluralismo religioso, inteso come tema educativo, aiuta a ripensare la laicità in termini inclusivi più che eslusivi o per sottrazione". La questione di un nuovo statuto dell’ora di religione dovrebbe essere discussa all’assemblea generale della Cei a novembre 2025. Ad oggi la rinuncia non sembra così scontata, meno controversa l’ipotesi di una rinuncia della Cei a selezionare i docenti di religione. Ma qualcosa si muove, la proposta è sul tavolo. E c’è un anno di tempo per acquisire la maggioranza dei vescovi votanti in assise.La  chiesa   saprà   fare un passo indietro   ed  accettarlo  o rimarrà  ferma   nel suo centro  di gravità  permanente  ?  chi  vivrà vedrà  . 


1.4.24

Diario di bordo n 41 anno II -amicizie feline , Uova di Pasqua più costose per la crisi del cacao che affonda le radici nella crisi climatica ., Nel mese di Ramadan come nella Pasqua la condivisione del cibo è sacra ., I nazisti andarono a caccia di balene per ottenere l’autarchia della margarina ., e altre storie

 Care lettrici e cari lettori, buona pasquetta.
Spero che ieri abbiate passato un sereno giorno di festa. E che anche oggi possiate trascorrere la giornata all'aria aperta (tempo permettendo) con le persone a voi più care. Se avrete tempo per leggere, in questa newsletter trovate oggi articoli e racconti presi  come  sempre  di più ampio respiro, slegati (   almeno  ci  ho  provato  )  dalla pressione dell'attualità.




25 m ·

In Corso Matteotti a Tempio, c'è una coppia inseparabile che ha catturato il cuore di tutti: Anita e Rocco, due gatti affascinanti per la loro dolcezza e pulizia. Questi amici pelosi hanno scelto di celebrare la loro amicizia ritrovandosi, da anni, sempre davanti allo stesso negozio. Stanno diventando un simbolo per le
passeggiate quotidiane dei cittadini di Tempio, attirando sorrisi e saluti affettuosi dai passanti. Osservandoli, non ho potuto fare a meno di notare l'onda di tenerezza che suscitano in chiunque li incontri. Anita e Rocco non sono solo compagni di vita, ma anche testimoni silenziosi delle storie che si snodano attorno a loro. Condividere la loro storia è un modo per celebrare l'amicizia perché spesso, nel loro piccolo, gli animali sanno insegnare qualcosa a noi umani.
Poi io adoro i gatti, quindi non posso che pubblicare questa foto







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  da   :www.editorialedomani.it/


Uova di Pasqua più costose: la crisi del cacao affonda le radici nella crisi climatica

I prezzi alle stelle del cacao di questi ultimi mesi sono lo specchio di come gli eventi estremi legati al cambiamento climatico stiano già modificando le disponibilità di alcuni dei prodotti alimentari più diffusi e consumati al mondoCacao amaro. Non tanto nel gusto, ma certamente nel prezzo a tonnellata, che è quasi quintuplicato rispetto agli scambi del 2020. In questi giorni a New York una tonnellata di cacao è arrivata a toccare quota 10.000 dollari.A parità di peso, il cacao vale oltre 11 volte più del petrolio. Una crisi di tutto il settore, ma che affonda le sue radici in Africa Occidentale, dove si produce il 70 per cento delle fave di cacao a livello globale. Già nelle prime settimane di marzo, infatti, i principali impianti di lavorazione in Costa d’Avorio e Ghana segnalavano di aver interrotto o ridotto le operazioni perché i prezzi delle fave erano troppo elevati, non permettendo loro di acquistare la materia prima.E tutto questo arrivava dopo un’eccezionale ondata di calore che ha colpito l’area del golfo di Guinea e che ha indubbiamente avuto un impatto anche sul settore agricolo. Molti contadini infatti riportavano danni alle colture, riduzione nella crescita delle piante e un rallentamento in quella dei baccelli, causati proprio dalle temperature estremamente elevate per la stagione.
ONDATA DI CALORE ANOMALAA febbraio, l’Africa Occidentale è stata colpita da un’ondata di caldo insolitamente intensa per l’inizio della stagione, con temperature che normalmente non vengono raggiunte fino a marzo o aprile. Il caldo più intenso si è verificato dall’11 al 15 febbraio, con temperature superiori a 40°C.
Secondo uno studio pubblicato dalla World Weather Attribution (Wwa) la combinazione di temperature elevate e di aria relativamente umida ha portato a valori medi dell’indice di calore di circa 50°C, mentre a livello locale i valori hanno raggiunto addirittura il livello di “pericolo estremo”, con valori percepiti fino a 60°C. Secondo i ricercatori l’indice di calore è più elevato di 4°C a causa dei cambiamenti climatici in atto, e gli eventi di caldo umido così intensi sono diventati 10 volte più probabili con un aumento delle temperature medie di 1,2°C (l’attuale riscaldamento registrato a livello globale).
UOVA DI PASQUA
Non solo. Nel dicembre 2023 la Costa d’Avorio e il Ghana, i due maggiori paesi produttori di fave di cacao al mondo, hanno registrato piogge intense che hanno decimato le rese delle coltivazioni. Precipitazioni totali che sono state più del doppio della media trentennale per quel periodo dell’anno.Le condizioni umide estreme hanno così portato molte piante a contrarre la cosiddetta “malattia del baccello nero”, che causa la marcescenza dei frutti della pianta del cacao. Tuttavia, queste condizioni umide sono state rapidamente seguite dalla siccità tipica di El Niño a febbraio 2024, portando a un’ulteriore perdita dato che la coltura del cacao è estremamente sensibile alla carenza d’acqua. Gli agricoltori si son così trovati dall’avere troppa acqua a non averne abbastanza.
«Gli agricoltori dell’Africa Occidentale che coltivano l’ingrediente principale delle uova di Pasqua che molti di noi non vedono l’ora di ricevere stanno lottando contro condizioni estreme di caldo e di precipitazioni intense», ha commentato in un recente rapporto Amber Sawyer, analista presso l’Energy and Climate Intelligence Unit (Eciu) inglese. Mentre Ben Clarke, assistente di ricerca sull’analisi e l’interpretazione dei dati climatici per le condizioni meteorologiche estreme presso il Grantham Institute, ha sottolineato come «il cambiamento climatico, guidato sempre più dal consumo di combustibili fossili, sta moltiplicando questa sfida naturale in molte regioni, alimentando condizioni sempre più estreme, devastando i raccolti e facendo aumentare i costi del cibo per tutti».
CHI PAGA QUESTA CRISI ?
Fa riflettere un punto su tutti. Chi sta pagando per questa crisi? Certamente i consumatori, che si ritrovano con prezzi al dettaglio estremamente elevati.Ma se guardiamo dall’altra parte della catena la situazione è ancora peggiore: basti considerare che, in media, il 70 per cento del valore totale e il 90 per cento dei margini totali generati dai coltivatori di cacao vanno agli ultimi due attori della catena: ai marchi e ai rivenditori. A monte, solo il 18,6 per cento del valore totale e meno del 7,5 per cento del margine totale sono generati dalla forza lavoro presente nei paesi produttori di cacao (dalla coltivazione del cacao fino alle esportazioni delle fave).C’è da chiedersi, quindi, chi stia realmente guadagnando da quella che sembra essere una crisi di approvvigionamento mondiale, mentre la cioccolata sta diventando sempre più un bene di lusso.


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Nel mese di Ramadan come nella Pasqua la condivisione del cibo è sacra

Cibo e religione sono legati da un connubio antichissimo. Si vede nel rito della messa, ma anche nell’islam, con l’Iftar, il pasto conviviale che spezza il digiuno nel mese di Ramadan La celeberrima frase «L’uomo è ciò che mangia», formulata nell’Ottocento dal filosofo Feuerbach, contiene in sé una verità umana fondamentale. Se andiamo al di là del senso materialistico con cui il filosofo la intendeva, ci rendiamo conto che il cibo non è solo l’alimento necessario per la sopravvivenza fisica, ma è anche un importante segnale attraverso il quale l’uomo interagisce con il prossimo, condividendo le gioie ma anche i dolori. Al di là dei nutrienti, il cibo risulta “condito” da un profondo valore simbolico e conviviale la cui massima espressione la si ritrova in gran parte delle religioni. Il cibo allora rappresenta un importante paradigma che non solo predispone il contatto tra gli uomini ma realizza anche l’incontro con la divinità.Cibo e religione sono legati da un connubio che risale alla notte dei tempi. Sono i dettami alimentari e i precetti da rispettare a tracciare il fil rouge che lega le tre religioni monoteiste, cristianesimo, ebraismo e islam.

Oggi, abituati a mangiare da soli, talvolta in piedi e spesso compiendo altre azioni, le religioni ci ricordano che il cibo non è solo un elemento materiale, ma è un dono di Dio e il sedersi a tavola insieme è espressione di intimità non solo tra i commensali ma anche con il divino.

Prendete e mangiatene tutti


In questo contesto trova ampio respiro la dimensione conviviale del cristianesimo che secondo Montanari, storico dell’alimentazione, è emersa nel momento in cui da religione di popolo si è aperta a religione universale, scegliendo di condividere e rispettare gli usi di tutti.Nei cristiani, l’espressione più significativa della convivialità la si ritrova nell’ultima cena quando Cristo spezza il pane e lo con-divide insieme al vino con gli apostoli. Basti pensare che, la messa si celebra intorno ad un altare che è ara sacrificale, dove viene “reso presente” il sacrificio di Cristo, e mensa conviviale, dove la famiglia di Dio partecipa al banchetto eucaristico. La messa, infatti, è proprio un pasto comune in cui “si mangia Dio”.Tutto ruota intorno al «Prendete e mangiatene tutti...» dove nel condividere un pasto c’è un elemento di partecipazione tra i membri del convito, partecipazione che viene estremizzata perché uno dei membri assimila a sé gli altri e da loro vuole essere assimilato.Ciò che il cristianesimo condanna è l’atteggiamento egoistico di trattenere tutto il cibo per sé: è la voracità a rappresentare un principio antisociale, d’altronde anche Dante colloca i golosi all’inferno. E a dare il buon esempio, non poteva che essere Gesù: mangia con chiunque lo inviti e non solo con gli amici, tanto che l’ultima cena si svolge a casa di un estraneo.
L’Iftar
E a proposito di condivisione del cibo, non possiamo non fare cenno alla singolare condivisione del cibo che spezza il digiuno quotidiano durante il Ramadan. Nel nono mese lunare di ogni anno i musulmani compiono un digiuno durante il quale non è possibile ingoiare nemmeno una briciola né deglutire liquidi, dall’alba fino al tramonto.
Il digiuno, sawm, introdotto da Maometto nell’anno 624, ha lo scopo sia di esercitare l’autocontrollo, ponendo il credente di fronte alle sue dipendenze fisiche e mentali, sia di dimostrare amore per Allah e rispetto per i poveri.
Ebbene, durante questo mese c’è un momento della giornata molto significativo: l’Iftar, la rottura del digiuno al calar del sole. Questo pasto serale permette di recuperare le forze spese durante le attività quotidiane che non vengono sospese.
Ma c’è una sfumatura di significato che va oltre il puro interesse sostanziale del cibo: per il musulmano che osserva il precetto, condividere il pasto dopo il digiuno, non solo è incontro con il divino ma ha un profondo valore comunitario. I fedeli sono uno di fronte all’altro con la propria individualità ed insieme condividono la vita e i beni della terra.
Dopo il tramonto, la condivisione di pasti e di cibo si moltiplica non solo nelle case, ma anche nelle moschee e, in alcuni paesi, anche ai lati delle strade che si affollano di banchetti che vendono cibo. La rottura del digiuno porta con sé una convivialità così estremizzata che i musulmani tendono a stare svegli più a lungo nelle ore notturne tanto che il ritmo sonno-veglia è alterato.
L’ospitalità e lo stare insieme sono infatti caratteri religiosi importanti per la società islamica, soprattutto se legati alla misericordia, principio fondamentale per il profeta che amava gli Iftar collettivi e aveva piacere di rompere il digiuno insieme ai poveri. Una delle sue raccomandazioni era proprio quella che i compagni non celebrassero l’Iftar da soli ma che coinvolgessero poveri ed emarginati.
Tre datteri sono i protagonisti dell’Iftar accompagnati da un bicchiere di acqua o di latte per preparare lo stomaco al pasto successivo, proprio sull’esempio di Maometto che «…celebrava l’Iftar con datteri freschi, se non ne aveva, altrimenti utilizzava i datteri secchi ed in mancanza anche di quelli, con acqua» (Abu Dawood).
Dopo i datteri, rigorosamente in numero dispari, si alternano altre due portate: una zuppa a base di lenticchie, pollo, avena e patate seguita da un’ulteriore portata più abbondante e varia, con carne, verdure e formaggi.

Leggi   anche  
Natale in Egitto, i copti tra tradizioni culinarie e il terrore del fondamentalismo islamista ( Youssef Hassan Holgado ) 


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I nazisti a caccia di balene per ottenere l’autarchia della margarina

Anche il regime di Hitler aveva grandi aspirazioni autarchiche. Che passarono però dalla ricerca di un animale molto particolare. A un certo punto balenò l’idea di produrre margarina usando il grasso dei cetacei. Tanto da provare a conquistare un pezzo di AntartideSi racconta che Adolf Hitler fosse rimasto particolarmente sconvolto dalle conseguenze del blocco navale che gli inglesi imposero alla Germania nel 1914, durante il primo conflitto mondiale. Le condizioni in cui riversava il paese lo convinsero della fondamentale importanza per una nazione di avvicinarsi il più possibile all’autarchia, per non dipendere in alcun modo da nazioni estere.Al tempo, un terzo del fabbisogno della popolazione tedesca veniva importato e, a causa della restrizione operata per mano della Royal Navy, si stima che nel paese persero la vita 800mila persone, soprattutto per la mancanza di cibo. Quando nel 1933 salì al potere, il Führer pianificò di evitare gli errori dei suoi predecessori: il popolo tedesco avrebbe avuto la sua margarina.

La margarina

Nel 1869 il chimico francese Hippolyte Mège-Mouriès, spinto da un cospicuo premio finanziario offerto da Napoleone III, brevettò un nuovo grasso spalmabile a base di sego bovino e latte. Chiamò il prodotto Margarin, un termine derivato dalla parola greca margaritēs che significa perla, per via del suo aspetto bianco e lucente. L’imperatore era convinto che questa alternativa, più economica del burro, avrebbe giovato alle classi sociali più indigenti. Se in Francia però questo prodotto non fu mai davvero apprezzato, la margarina diventò fondamentale nelle cucine tedesche del primo dopoguerra. Dopo il trattato di Versailles la Germania si trovò a dover affrontare un periodo di grande instabilità economica e in questo contesto drammatico trovare un’alternativa più accessibile al burro fu una salvezza per tanti. Quando in sostituzione del latte vaccino si scoprì che era possibile utilizzare gli scarti di grasso animale abbassandone ancora di più il prezzo, questa antagonista del burro si diffuse ancora di più tra le classi meno abbienti.Si stima che in quel periodo il consumo annuo di margarina tedesco fosse di circa otto chili pro-capite. Di pari passo con la sua popolarità però crescevano anche i timori legati a questo prodotto controverso: prima di tutto perché si scontrava con gli interessi degli agricoltori tedeschi che producevano burro e vedevano le loro produzioni minacciate, in secondo luogo perché la margarina veniva prodotta a partire da grassi importati da altre nazioni.

L’opzione balena

Nel contesto dell’ascesa del nazionalsocialismo, queste condizioni risultavano essere semplicemente inaccettabili. Quando il partito nazista salì al potere nel 1933 infatti, la produzione di margarina venne ridotta del 40 per cento per legge e venne imposta anche una tassa sui grassi di origine estera, in modo da favorire la produzione di burro tedesco. Nel 1936 Adolf Hitler annunciò il celebre piano quadriennale, un ambizioso programma economico il cui obiettivo finale era quello dell’autarchia entro il 1940. L’incarico di gestire il programma venne affidato a Hermann Göring, al tempo un semplice funzionario nazista di alto rango, diventato successivamente leader della Gestapo e consegnato alla storia come il secondo uomo più potente del Reich.

Tra i molti punti del piano, che spaziavano dal riarmo della nazione alla costruzione di nuove infrastrutture, venne anche ridisegnato l’approvvigionamento dei grassi e in particolare dell’olio di balena, ingrediente fondamentale sia per l’industria bellica (utile, ad esempio, nel processo di creazione della nitroglicerina) che per la realizzazione di prodotti alimentari. Nello stesso periodo il cherosene, una nuova sostanza raffinata a partire dal petrolio, si stava diffondendo sempre più velocemente come combustibile economico per le lampade a olio, soppiantando proprio l’olio di balena fino ad allora impiegato e producendo un’eccedenza che non si capiva come poter smaltire. Furono due aziende produttrici di margarina a capire che quel grasso poteva essere impiegato come ingrediente nelle loro ricette. Il paese che forniva la quasi totalità di questo ingrediente era la Norvegia, che si era spinta fino all’antartico per la caccia dei cetacei, a causa della decimazione già avvenuta in tempi precedenti nell’oceano Atlantico. Göring iniziò quindi a valutare l’idea di compiere una spedizione per far sì che anche la Germania potesse avere un proprio accesso alle acque antartiche, assicurandosi tutto l’approvvigionamento di olio di cui necessitava per soddisfare i consumi dei tedeschi. Nell’agosto del 1936, il ministro degli Esteri Konstantin von Neurath trovò un territorio non reclamato in Antartide e l’idea prese definitivamente forma. L’area designata era nota come Queen Maud Land ed era stata precedentemente esplorata proprio dai norvegesi, che le diedero il nome della loro regina. La spedizione fu organizzata nell’estate del 1938 e alla guida fu posto Alfred Ritscher, un comandante navale decorato della Prima guerra mondiale. La nave Schwabenland, dal nome della regione tedesca della Svevia, salpò da Amburgo il 17 dicembre 1938 e alla spedizione presero parte 82 persone tra scienziati, ufficiali e balenieri, più due aeroplani utili per la ricognizione di tutto il territorio dall’alto. La porzione di territorio destinata ad essere conquistata si sarebbe chiamata Neu-Schwabenland, o Nuova Svevia. A bordo dell’imbarcazione un ufficiale nazista si occupava di controllare il rispetto degli standard richiesti dal regime. Ci volle un mese prima che l’imbarcazione raggiungesse la costa antartica e una volta approdati l’equipaggio iniziò subito a cartografare la regione.

Piano sfumato

Le cose però andarono diversamente da come erano state pianificate. Il 14 gennaio 1939 infatti, mentre la baleniera era ancora in viaggio, attraverso una proclamazione reale la Norvegia decise di ufficializzare la propria rivendicazione sulla Terra della Regina Maud. Per questo motivo la spedizione non durò a lungo e il 5 febbraio del 1939 la nave ripartì per la Germania. Tornato a mani vuote, Göring cercò un modo per risolvere la situazione. Venne a sapere di un farmacista che aveva scoperto come sintetizzare la margarina dal carbone, il suo nome era Arthur Imhausen. ùIl comandante convinse il partito nazista ad investire sulla nuova promettente tecnologia e quando Hiltler venne informato della scoperta, ne fu entusiasta. Possiamo immaginare che lo fosse meno nell’apprendere che la reputazione del suo partito stava venendo salvata da un uomo di origine ebrea, ma in quel momento l’autarchia era più importante.


legi anche 
  
L’autarchia impossibile del fascismo Andrea Strafile
La torta fascista per sostituire il panettone Alberto Grandi

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Quest’anno si va in gita l’anno prossimo


I casi di Pioltello e di Torino hanno oscurato altri problemi, che riguardano molti più studenti in numerosi istituti. Per la precisione, per il 50% degli studenti, quest’anno, le gite scolastiche rimarranno un miraggio. La ragione principale è quella economica, con le famiglie che fanno fatica a permettersi l’esborso per mandare i figli in viaggio. Ma questo aspetto tocca anche i professori, che da tempo chiedono compensi maggiori per l’impegno e la responsabilità che si assumono in questi contesti. 👉🏼 Gite scolastiche? Per uno studente su due sono un miraggio: costano troppo e i docenti non vogliono partire








Le università telematiche rischiano di chiudere


Negli ultimi mesi si è complicata anche la situazione delle università telematiche. Tutto verte attorno al rapporto tra il numero degli studenti e quello dei professori. Nelle università telematiche c’è un professore ogni 380 alunni, in quelle tradizionali lo stesso rapporto è oltre dieci volte minore: 28,5. Differenza eccessiva secondo un decreto del governo Draghi, che stando ai termini attuali deve essere sanata entro il prossimo novembre. Al momento, però, una soluzione sembra lontana.
👉🏼 Università telematiche, boom di studenti ma rischio fallimento con le regole di Draghi. Il governo Meloni le salverà?


I problemi della primavera in anticipo


La primavera non è solo la stagione delle gite scolastiche. È anche quella delle scampagnate, delle allergie e delle giornate tiepide. Protagoniste del periodo che anche quest’anno si sono presentate ben prima del normale. Già prima dell’equinozio le temperature di molte città italiane si sono avvicinate ai 20 gradi, mandando in tilt le simbiosi naturali tra fiori e rispettivi impollinatori, anticipando la fine del letargo di molti animali, e mettendo la parola fine a un inverno che non è mai veramente iniziato.👉🏼 L'equinozio di primavera arriva un giorno prima con temperature sopra la media

Sulle Alpi manca la neve e lo sci muore

Gli inverni sempre più caldi non stanno mettendo a repentaglio solo gli equilibri naturali, ma anche le attività umane. In questi anni, a soffrire particolarmente è stato lo sci, con decine e decine di impianti che ogni stagione chiudono definitivamente, e centinaia d’altri che continuano a sopravvivere solo grazie a centinaia di milioni di euro di finanziamenti pubblici. Iniezioni di liquidità definite da Legambiente come un «accanimento terapeutico».👉🏼 «150 milioni di soldi pubblici agli impianti sono accanimento terapeutico»


Il nuovo codice della strada non agisce sulla principale causa di morte sulle strade

Le giornate lunghe e il tepore spingono tante persone a rispolverare la bicicletta e a unirsi a quelli che invece la usano tutto l’anno per fare attività sportiva o semplicemente spostarsi. L’uso della bici come mezzo di trasporto è tra le soluzioni più efficaci per agevolare gli spostamenti nei centri urbani, eppure il nuovo codice della strada, al voto in questi giorni alla Camera dei Deputati prima di passare al Senato, ha diverse misure che penalizzano i ciclisti e gli altri utenti deboli della strada. Il nuovo testo è stato duramente criticato da esperti ed attivisti. Infatti l’obiettivo dichiarato dal ministero dei Trasporti di Matteo Salvini è ridurre il numero di vittime sulle strade, ma non agisce sulla prima causa di morte: la velocità dei veicoli a motore. Anzi, propone di alzare i limiti, riduce la facoltà di controllo e quella di multare i contravventori.👉🏼 Il nuovo codice della strada al voto alla Camera: «È un codice della strage, così non rende le strade più sicure»


Perché le auto elettriche non si ricaricano con la dinamo


Una mobilità più sostenibile passa anche da una decarbonizzazione dei mezzi a motore, che dovranno cedere il passo alla mobilità attiva e a quelli elettrici. Da giorni è diventata virale   soprattutot sui  social  e   condivisa  anche  da  me  che  sono ignorante  in materia  nonostante  abbia  fatto  il liceo scientifico     , un’immagine che mostra la ruota di un’auto elettrica collegata a una dinamo. Una soluzione apparentemente semplice per estendere di molto la durata della batteria del mezzo. Ma che in realtà è solo controproducente.
👉🏼 L’auto elettrica che (non) si ricarica con la dinamo






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1.12.23

diario di bordo n 22 anno I . oriente ed occidente , fede , femminismo

  <<    al di là delle faglie che hanno prodotto profonde fratture nell’occidente, è possibile un futuro multipolare di “convivenza tra identità diverse”, come auspica Daniele Segre? O “nessun nuovo ordine oggi è possibile”, come conclude pessimisticamente Lucio Caracciolo ?  >> .   secondo me    ancora  risposta non  c'è  .  Almeno     finche  si  continuerà    con questa   ormai  anacronistrica   contrapposizione   fra    oriente   ed  occidente   . Quindi   la     domanda  che   viene  spontanea  dopo   la  lettura     di  quest  articolo      su il Fatto Quotidiano  del  30\11\2023   


.QUANDO I BARBARI. .ERANO ALL’OVEST.

“Buoni” e “cattivi” I conflitti tra Greci e Persiani sono il fondamento narrativo della superiorità occidentale


Oriente e Occidente sono poli opposti nel mondo globale, ma stranamente anche l’america si autodefinisce Occidente e considera l’asia Estremo Oriente. Da dove si è originata tale polarizzazione unidirezionale? Gli Assiri per primi introdussero la distinzione tra Ereb o Irib, terra del sole che 

scompare dall’orizzonte, e Asia, Asu, “terra del sole che nasce”. Ma era solo un’indicazione di labili confini, non di reali frontiere in un continente che non aveva separazioni naturali. Anche il testo biblico dei Salmi (103, 12.20) si limitava a indicare la vastità del mondo da Oriente a
Occidente come paradigma simbolico dell’immensa misericordia divina. Sono stati per primi i Greci e lo storico Erodoto, in particolare, a chiedersi che cosa divideva l’europa, la terra d’occidente, dai popoli selvaggi e servili dell’est e a inaugurare tale visione asimmetrica e monocentrica con un asse portante privilegiato. La storia millenaria del mondo che noi ci rappresentiamo è stata segnata fin dall’origine dallo scontro di civiltà tra Greci e barbari che ha visto l’occidente rivendicare la sua superiorità sull’oriente. Una superiorità attribuita alla costituzione politica, all’ordine, all’intelligenza, contro l’autocrazia, il disordine e il caos informe dell’‘altro’. La storia dello scontro ideologico tra due sistemi di valori è cominciata e si è snodata sulle rive dell’ellesponto dalla guerra di Troia alle guerre persiane, rappresentate per la prima volta nella tragedia I Persiani di Eschilo. Ed è continuata come perpetua inimicizia nei secoli fino al trionfo di Alessandro e ancora dopo nello scontro che perdura tuttora tra mondo ebraico-cristiano e mondo islamico. Ma la sconfitta di Serse, presentata come vittoria della democrazia contro l’autocrazia, rivelava una lettura pregiudiziale dell’altro. Gli imperatori persiani, tra cui Ciro il grande, rappresentato anche nella Bibbia come liberatore degli Ebrei e tollerante nei confronti dei popoli vinti, e il popolo persiano non potevano essere solo autocrati dominatori su una massa amorfa di schiavi. Le fonti restituite, comprese le iscrizioni, l’arte e le recenti scoperte archeologiche in Iran dello studioso Lloyd Llewellyn-jones potranno aiutare la ricerca della verità e dar corpo a un’autentica “versione persiana” di questo straordinario primo impero dell’antichità.

Allargando lo sguardo alla vastità dell’oriente, le coordinate si perdono e la cultura greca, presentata nel corso dell’ottocento come “un miracolo”, non appare più come un unicum. Certamente la filosofia greca diede un contributo importante allo sviluppo del Logos nella storia occidentale, ma che cosa la distingue dalla saggezza orientale? Gli stessi filosofi greci si riconoscevano debitori di una civiltà millenaria più antica. Si può parlare allora di “comune lascito dell’“età assiale” o di “miracolo greco”? Di età assiale ha parlato per primo nel 1949 Karl Jaspers e da qualche decennio se ne discute: un arco di tempo che va dall’800 al 200 a.c., in cui sono sorte contemporaneamente diverse tradizioni religiose e filosofiche: in Cina con Confucio, in India con Buddha, in Iran con Zaratustra, nel contesto ebraico con Geremia, Isaia ed Elia, per non parlare dei greci. Perciò in questo quadro sfaccettato anche la storia non appare diretta linearmente, ma sembra ruotare intorno al medesimo asse. Accanto alla discussione sulla filosofia greca si possono quindi considerare aspetti di questa saggezza orientale, entrata tangenzialmente in Occidente, come gli editti del principe indiano Ashoka, scritti in pracrito, aramaico e greco, ritrovati incisi su pilastri, massi e caverne in Afghanistan, Bangladesh, India, Nepal e Pakistan, precetti ispirati al buddismo. O il manuale sull’arte della guerra o meglio del conflitto di Sunzi, un classico di strategia militare, la più importante opera dell’antichità cinese, che è anche uno dei più raffinati e influenti manuali di strategia politica e sociale, di attualità sconcertante. Ma per lo più quel mondo del “sole che sorge” restava avvolto nella leggenda, alimentando il mito o il pregiudizio dell’autoctonia della città simbolo della Grecia: Atene; un modo per autocelebrarsi e rafforzare la contrapposizione tra se stessi e i barbaroi. E la barbarie era soprattutto rappresentata nell’ethos tragico delle donne, che si manifesta in alcune tragedie di Eschilo e di Euripide.

Ma nella rappresentazione dell’altro come barbaro, forma onomatopeica che mima la balbuzie, c’è una certa arroganza che trascura millenni di civiltà orientale, come quella indiana e cinese, coltivata senza ambizioni di espansione militare. Un mondo che resterà lontano e si aprirà lentamente allo sguardo dell’occidente soprattutto attraverso le vie del commercio di un prodotto raffinatissimo e prezioso come la seta, veicolo di incontri di culture. Un reale incontro tra culture fu invece il risultato del sogno ambizioso di Alessandro Magno, il sogno di unire Oriente e Occidente, risolto rapidamente col taglio del nodo di Gordio, ma diventato realtà duratura soprattutto con la nascita della cultura ellenistica in cui la lingua greca, divenuta koiné, veicolò le varie culture del vicino Oriente. La nuova città Alessandria in Egitto e la sua Biblioteca furono al centro di incontri, ma anche di scontri tra culture e religioni dell’oriente. Fu in quei luoghi che iniziò la traduzione in greco dell’antico Testamento scritto in ebraico, che divenne nota come “Bibbia dei Settanta”; ma Alessandria fu anche teatro del primo pogrom della storia, testimoniato con parole toccanti dall’ebreo Filone. E in Alessandria si consumò il femminicidio di Ipazia, vittima del fanatismo e dell’invidia, di cui ha ricostruito “la vera storia” Silvia Ronchey. Ma le categorie di Oriente e Occidente sono diventate sempre più vaghe e ambivalenti da quando una religione d’oriente come quella cristiana è diventata valore identitario in Occidente. Scontro o incontro? “Che cos’hanno in comune Atene e Gerusalemme?”: a questa domanda provocatoria di Tertulliano risponderanno il cardinale Gianfranco Ravasi e Ivano Dionigi sabato al teatro Carignano nel corso del festival di Torino. La religione cristiana, assimilando anche la cultura greco-romana, si impose in Occidente con Costantino che spostò la capitale dell’impero romano a Costantinopoli, su quelle rive dell’ellesponto che costituivano l’avamposto dell’oriente. E lì, dopo Teodosio e la divisione dell’impero di Roma, si affermò quell’impero romano che sarebbe sopravvissuto mille anni di più dell’impero romano d’occidente. E che avrebbe mantenuto quella raffinata cultura greco-romana, che in Occidente si era perduta e trasformata nei regni romano-germanici fino alla nascita del Sacro romano impero carolingio. Maometto e Carlo Magno era il titolo del libro di Pirenne dedicato alla storia del primo incontro/scontro tra Islam e Impero carolingio. Quell’incontro ebbe momenti di pacifica convivenza, produttiva di risultati culturali importanti, come il ritorno in Occidente del pensiero di Aristotele mediato dalla cultura araba, ma col tempo ripropose il cliché dello scontro di civiltà iniziato con le Crociate. Uno scontro che riuscì anche a rimescolare le carte nei rapporti tra Oriente e Occidente, come quando la quarta crociata, promossa dalla piccola nobiltà franca e da Venezia, fece apparire i crociati come veri barbari agli occhi della coltissima principessa bizantina Anna Comnena. Al punto che si poté dire in seguito, a proposito della successiva caduta di Costantinopoli a opera dei Turchi ottomani: “Meglio il turbante turco che la tiara latina”. Un vero capovolgimento dell’immagine tradizionale dell’oriente e dell’occidente, due categorie ambigue e ambivalenti che riflettono le faglie dell’europa, su cui si interrogheranno nel festival anche politologi e analisti, affrontando il “tema della “deriva dell’occidente”, la prospettiva di “una tempesta perfetta” nello scontro bipolare o quella di “un futuro asiatico”. Ma, al di là delle faglie che hanno prodotto profonde fratture nell’occidente, è possibile un futuro multipolare di “convivenza tra identità diverse”, come auspica Daniele Segre? O “nessun nuovo ordine oggi è possibile”, come conclude pessimisticamente Lucio Caracciolo?


è  arriveremo mai  a  ciò    a  

traduzione  in italiano  di Immagine  di J.lennon  


  proprio la canzone   di Lennon mi      riporta  alla mente una  discussione   avuta   con  un amica   femminista  su  film  Il film, intitolato Il Vangelo secondo Maria, prende spunto dall'omonimo testo di Barbara Alberti, in  cui   secondo  IL  GIORNALE    mi pare  di  martedi  o  mercoledi  : << Sarà una Maria di Nazareth "pagana, ladra, selvaggia e femminista", come la descrive l'Ansa, quella che verrà proiettata al Torino film festival. Una Madonna che non è per niente felice del progetto che Dio ha per Lei e che, quasi provocatoriamente, Gli chiede: "Perché proprio a me?". Come se non volesse accogliere in Sé il Figlio di Dio. Come se quella gravidanza fosse un peso e non un dono per l'umanità intera. Il film, intitolato Il Vangelo secondo Maria, prende spunto dall'omonimo testo di Barbara Alberti, la quale, intervistata dall'Ansa, afferma: "Ho scritto questo libro nel 1979 al solo scopo di far sorridere la Madonna. Viene sempre rappresentata come una serva assoluta che per destino dovrà solo piangere e partorire senza conoscere uomo. Insomma, l'indicazione che veniva data alle donne era piangere. Credo che noi donne possiamo essere qualcosa di più di una figurina del dolore". [...]>>.   

  IO 

da Una Maria di Nazareth pagana, selvaggia e femminista: ecco il nuovo film del regista cagliaritano Paolo Zucca (unionesarda.it del 26\11\2023 )

Una Maria di Nazareth pagana, selvaggia e femminista: ecco il nuovo film del regista cagliaritano Paolo Zucca

Ad interpretarla Benedetta Porcaroli: Alessandro Gassman sarà Giuseppe
Una foto di scena del film \"Vangelo secondo Maria\" di Paolo Zucca con Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann (foto Ansa)
Una foto di scena del film "Vangelo secondo Maria" di Paolo Zucca con Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann (foto Ansa)



Piomba sul Torino Film Festival una Maria di Nazareth mai vista prima, pagana, ladra, selvaggia e femminista e soprattutto una donna che non è affatto contenta del suo destino e non manca a dire a Dio in persona: «Perché proprio a me?».
È “Vangelo secondo Maria”, il nuovo film del regista cagliaritano Paolo Zucca con Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann, tratto dall'omonimo romanzo di Barbara Alberti, che lo ha anche sceneggiato assieme a Paolo Zucca e ad Amedeo Pagani. «Ho scritto questo libro nel 1979 al solo scopo di far sorridere la Madonna. Viene sempre rappresentata come una serva assoluta che per destino dovrà solo piangere e partorire senza conoscere uomo. Insomma, l'indicazione che veniva data alle donne era piangere. Credo che noi donne possiamo essere qualcosa di più di una figurina del dolore», spiega oggi Barbara Alberti.Il film Sky Original, prodotto da La Luna, Indigo Film, Vision Distribution, mette in campo una Maria ragazzina a Nazareth dove tutto le è proibito, anche imparare a leggere e scrivere, un vero inferno per lei che sogna di scappare quanto prima su un asino come fanno i profeti per andare alla scoperta del mondo. Dopo aver messo a tappeto ogni pretendente trova in Giuseppe (Alessandro Gassmann) un maestro di saggezza, ma il loro matrimonio è casto, mentre lui segretamente la istruisce, preparandola alla fuga. Ma ecco un ostacolo imprevisto: Maria e Giuseppe si innamorano. Stanno per abbandonarsi alla passione, quando l'angelo dell'annunciazione rovina tutto. [...] 
io  in verde    lei  in bianco  


cerco l'originale e poi ne faccio una mia interpretazione . Per il femminismo io distinguo tra femminismo conservatore e femminismo progressista \ pluraree . Ciò no vuole dire che il patriacato non esiste anzi esiste sotto nuove forme Come dice Nando della chiesa su il Fatto Quotidiano d'oggi


Dopo le manifestazioni per Giulia di sabato scorso vale la pena continuare a riflettere su quanto è accaduto. Perché una causa cruciale è certo il patriarcato. Ma ce ne sono anche altre, che la travalicano.Vissi con ammirazione e i dovuti sensi di colpa la rivoluzione femminista, che entrò nella mia giovane casa con dolcezza pari all’intransigenza. Il mondo “progressista” la fece formalmente sua. Ma negli anni Ottanta accadde una cosa che doveva pur allarmare. I settimanali impegnati e progressisti iniziarono a fare a gara a mettere in copertina donne nude, provocanti, ammiccanti, con ogni pretesto. In alcune riunioni di redazione si chiedeva addirittura, come fosse l’asso da poker, “ma abbiamo la f… in copertina?”. Rientrò così dalla finestra la donna-oggetto. Perché “vendeva”. Il fatto non apparve grave ma piuttosto “libertario”. Erano stati o no quei settimanali in prima fila per i diritti della donna, a partire dal divorzio? Con quell’alibi, e la concorrenza delle tivù commerciali appena nate, tornò in forma nuova il vecchio mondo, che l’ingresso delle donne in alcune carriere rendeva meno visibile. Al punto che con Gianni Barbacetto pubblicammo nel 1988 un numero speciale del mensile Società Civile (“Sbatti il nudo in prima pagina”) per denunciare quanto accadeva, ripubblicando pagine e pagine di quelle copertine. Pura testimonianza.PERCHÉ L’ONDATA politico-ideologica successiva restituì piena dignità a quel mondo. Non era solo patriarcato. Era qualcosa di diverso. E il nostro Parlamento nato dalla Costituzione più bella del mondo ne fu invaso. “La Lega ce l’ ha duro” di Bossi alla senatrice Boniver, il “taci gallina” in aula alla senatrice Acciarini, gli insulti irriferibili del suo schieramento alla ministra Prestigiacomo proprio sui diritti. E le ironie su Rosy Bindi “più bella che intelligente”. E le alleanze internazionali nutrite dalla offerta di grazie femminili ai potenti in visita in Italia, come neanche le schiave nell’iliade. Non persone, appunto, ma oggetti. Da anni la donna fa notizia solo se vittima di stupro (quanto siamo indignati) o se sale ai vertici di qualcosa (quanto siamo civili). Le sue fatiche più nobili e dure, la sua stessa storia civile viene ignorata. Decine di migliaia di insegnanti hanno tenuto in piedi non la scuola ma anche le istituzioni nei periodi più duri della storia nazionale, da Palermo a Milano, e non glielo ha mai riconosciuto nessuno.I girotondi dei primi anni duemila furono inventati e alimentati soprattutto da donne ma sono stati raccontati al maschile. Le donne sono da quarant’anni la spina dorsale del movimento antimafia ma, non solo per l’immagine incombente dei grandi eroi, la narrazione che se ne fa le tiene accuratamente sullo sfondo, salve alcune familiari di vittime. La sinistra ha eletto a cuore della sua battaglia per i diritti l’“orientamento sessuale”, quando la questione delle questioni era d ra m m at i c a m e n t e l’“appartenenza di genere”, ossia l’altra metà del cielo. Come una Maria Antonietta repubblicana che sventoli le brioches (il “politicamente corretto”) quando il popolo non ha il pane. Spesso facendo dei celebri asterischi il simulacro della modernità. Incapace di vedere che mentre il numero degli omicidi scendeva a precipizio aumentava invece quello dei femminicidi, quasi che la società avesse gradualmente ma implacabilmente selezionato il bersaglio del suo potenziale di violenza. Non la violenza di una pistola, si badi; ma quella più efferata del coltello, del bastone o dello strangolamento (“Ma lei sa quanto ci vuole per strangolare una persona?”, chiese una volta un collaboratore di giustizia al giudice che lo interrogava).emblematica fu la vicenda di Lea Garofalo. Uccisa, fatta a pezzi, bruciata, sotterramento delle ossa in campagna. Per avere tradito lo speciale patriarcato mafioso, fuggendo con la figlia Denise a cui voleva dare un futuro libero. Ci vollero anni perché il suo processo trovasse ascolto. Quando arrivò il cronista di un grande quotidiano in aula e mi chiese di che cosa si trattasse, avendolo saputo mi rispose “Ah, una mafiata”. Alzò le spalle e se ne andò.Oggi decine di donne del sud sono sotto protezione, in luoghi lontani, addirittura con nome diverso, per la stessa ragione. Non è forse un grande problema sociale? Il fatto è che dietro Giulia c’è un mondo immenso fatto anche della nostra ipocrisia, del nostro narcisismo politico, della irresponsabilità delle istituzioni. Un mondo fatto della nostra indolenza, perché “accorrere a un grido” chiede corsa, ossia fatica. Per questo nel 2007 Marianna Manduca fu uccisa a Palagonia dopo avere denunciato l’ex marito dodici (12!) volte. C’è, se possibile, qualcosa di più grande del patriarcato. La mattanza ha molti padri. E anche qualche madre.


Io sono per un femminismo plurale ed aperto Il femminismo almeno quello vecchio stile non è legato al passato mi ero spiegasto male . Però è poco attento ai cambiamenti . Maschio in crisi d'identità ed assueffatto ( salvo alcuni ) alla cultura della donna oggetto vedere articolo di Dalla chiesa Infatti vede solo ( tranne poche ) il femminicidio come frutto \ derivazione del patriarcato , almeno da discorsi che ho sentito ., e non come una sua crisi . Non tiene in considerazione che cin sono anche uomini chge lottano , soffrono ed hanno bisogno d'aiuto per liberarsi di tali cose . ed li esclude Ok sei contro la fecondazione eterologa ed gravidanza per gli altri ( cosa diversa dall'abberrante pratica dell'utero in affitto ) ma manch di rispetto e insulti chi la fa . Io ho sentito ed letto , magari come ti ho già detto mi sto avvicinando a tali tematiche , che si critica solo gli uomini che fi fanno ricorso mentre se sono due donne viene accettatao assa in secondo piano . si considera una donna che sceglie d'essere oggetto la si attacca . vedi  questa  discussione





 qua  per  i commenti  che   essa   ha  suscitato   .  Io   la penso come pina e con aldo . ma visto il post di maria ho seri dubbi e credo che la rimetterò in discussione. Ma  soprattutto  provare   a dialogare   fra   I membri del Cum  (  centri uomini maltrattati )  e  concordare un'azione comune con i centri antiviolenza sulle donne  delle iniziative  contro la  violeza  di genere   e una maggiore apertura al dialogo e l'adozione di punti di vista alternativi capaci di relativizzare la contraddizione esistente fra i due sessi in un'ottica di mutua comprensione. 

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...