Torino, branco aggredisce gay nel cortile di casa: "I vicini guardavano e chiudevano le porte"
È stato preso a calci e pugni da alcuni ragazzini nell'androne di casa sua mentre i vicini guardavano e si chiudevano in casa. Leonardo Ranieri, 53enne residente a Torino, dopo l'aggressione del branco denunciata da Gaynews e avvenuta nel pomeriggio del 2 gennaio è stato ricoverato all'ospedale Molinette per lesioni multiple, ecchimosi e fratture al setto nasale. "Mi hanno massacrato di botte, sono vivo per miracolo - Racconta l'uomo - La cosa che più mi ferisce è che nessuno dei miei vicini mi abbia aiutato".
conferma la frase citata nel titolo di Martin luter king . ecco la cosa vergognosa non tanto per il razzismo in se che èà successo ma per il silenzio che ha circondato il fatto
Adnkronos
November 3, 2018 11:50 AM
Un fermo immagine del video pubblicato su Facebook dall'utente Pasa Anta
Ancora offese razziste sul treno. Dopo l'aggressione avvenuta tre giorni fa sulla Roma-Lido, stavolta a finire nel mirino di un passeggero intollerante è un gruppo di pakistani in viaggio sulla Circumvesuviana di Napoli. A documentare l'episodio, un video pubblicato dall'utente Facebook Pasa Anta, che mostra la ribellione di una passeggera alle parole razziste indirizzate ai pakistani da parte di un uomo. L'episodio risalirebbe al pomeriggio di ieri, non è chiaro il motivo che lo ha scatenato. "Sul treno della Circumvesuviana di Napoli - scrive Pasa Anta - un ragazzo offende dei pakistani (tra l'altro molto pacifici) e a un certo punto una signora non ce la fa più e reagisce dicendogli anche 'preferisco che l'Italia diventi loro piuttosto che dei personaggi come te, fascista e razzista'".
La signora, come si vede nel video, è visibilmente arrabbiata: "E noi dobbiamo stare qua a sentire lei che insulta?", chiede all'uomo che, in piedi e a voce alta, apostrofa e indica i passeggeri stranieri come "pezzi di me...". "E invece sei tu che sei scemo, razzista e aggressivo", ribatte la signora che si sente rispondere "sì, sono razzista e l'Italia è nostra". La risposta della donna? "Allora no, tu non sei razzista, sei stronzo". Il filmato, come spiega Pasa Anta nella didascalia, è interrotto mentre i due ancora litigano. Lite che, stando alle parole dell'utente Facebook, si sarebbe protratta a lungo e aggravata: "Non c'è il resto del filmato, ma la signora, davvero coraggiosa - racconta -, al crescendo di aggressività del tipo in questione, che la minaccia di essere in procinto di sferrargli un pugno, gli dice: 'come ti vedo alzare le mani ti scasso l'ombrellone in testa'. Il ragazzo si alza e se ne va imprecando malamente ma si ferma davanti alla porta di uscita, come in attesa".
E quando la signora "tre fermate dopo, fa per alzarsi, per niente intimorita e con un sorriso sereno - nient'affatto beffardo - non si fa nessun problema a prendere l'uscita verso la porta dove sta sostando il tipo. A questo punto - aggiunge Pasa Anta - un altro ragazzo, un manovale stanco di fatica e sporco di calce, chiaramente uno straniero dell'est Europa, si alza e la segue alla porta. Quando il treno si ferma, la signora scende, il tipo che inveiva e che l’aveva guardata con rabbia all’approssimarsi della fermata rimane sull’uscio e l’ucraino (?), una volta chiusasi la porta, torna a sedersi. Aveva seguito la signora per assicurarsi che non fosse aggreditavigliaccamente mentre scendeva".
Nel post dell'utente c'è poi spazio per un'ultima, amara, considerazione: a ribellarsi al razzismo del passeggero è stata una sola donna mentre gli astanti rimanevano indifferenti o filmavano l'accaduto. "La realtà vera in questo video - scrive Pasa Anta concludendo il post - è la maggioranza silenziosa che caratterizza lo spirito di una società e di un periodo storico, cioè tutti i presenti, indifferenti e silenti".
se come dice questo sito c'è sta disinformazione ed esagerazione da parte dei media locali come mai , le suore non hanno voluto incontrare i media , se non a posteriori per quasi tre\ cinque giorni e hanno mandato messaggi su wzp ai genitori per non parlare ai giornalisti fuori dalla scuola ?
Bimbi migranti in classe: rivolta a scuola. Due alunni ritirati dai genitori
L’episodio in un istituto di un quartiere bene di Cagliari dove la presenza di due piccoli africani ha acceso gli animi all’avvio dell’anno scolastico. Le suore: “Non vogliamo parlare di razzismo. Per noi è solo disinformazione"
Bimbi migranti in classe. Esplode la protesta. E due coppie di genitori ritirano i figli da scuola. A nulla sono valse le rassicurazioni delle suore che gestiscono le elementari (i dettagli di cronaca non verranno resi noti per tutelare i minori interessati, ndr). Neppure dopo l’esibizione dei certificati medici della asl attestanti le perfette condizioni di salute dei due piccoli africani. La decisione è stata irrevocabile: due bambini sono state portati via e seguiranno le lezioni in un altro istituto. È successo in città, nella scuola di un rione della Cagliari bene. Le religiose, interpellate, non vogliono parlare di razzismo: “E’ soltanto disinformazione”.
Il caso esplode all’inizio dell’anno scolastico quando due minori africani non accompagnati, con alle spalle tragedie e miseria, salvati sui barconi e ospitati in una casa di accoglienza, sono stati iscritti in un istituto cagliaritano di un quartiere popolato da famiglie benestanti. “La casa famiglia ci ha chiesto la disponibilità all’accoglienza dei bimbi e noi, ovviamente, abbiamo accettato”, spiega una suora ex insegnante della scuola. Ma la loro semplice presenza in classe ha scatenato un putiferio. “Alcuni genitori però non hanno condiviso questa scelta. E ne hanno detto di tutti i colori”. I dubbi sollevati riguardavano sull’utilizzo dei bagni, la mensa e l’esposizione dei bimbi all’eventuale contagio di malattie. “Tutte cose infondate”, spiega, “i servizi sono separati per maschi e femmine, la mensa i due bimbi africano non la devono frequentare perché rientrano nella casa famiglia. Quanto allo stato di salute ci sono i certificati della asl”.
Due le coppie di genitori che hanno scelto di trasferire i bambini e altre mamme e altri papà sono stati invitati a fare altrettanto. Una vera e propria rivolta. E soltanto un riunione allargata a tutti genitori alla presenza dei tutores dei due piccoli migranti ha fatto rientrare la protesta. E i piccoli ormai sono in classe a lezione. “Sono sempre felici e sorridenti”, aggiunge la religiosa: “le paure sono tutte dei genitori. Anche se sappiamo che una delle due coppie sta pensando di fare marcia indietro e riportare qui la bambina”. La vicenda ha scosso anche don Marco Lai, direttore della Caritas e l’eco è giunto anche a palazzo Bacaredda.
“Ho appreso di questa vicenda dalle parole di Don Marco Lai e ci sono rimasto male perché non esiste che non si tenda la mano a dei minori stranieri non accompagnati che stanno faticosamente cercando di integrarsi”, sottolinea l’assessore alle Politiche Sociali Nando Secchi. “Da questo si capisce che il percorso che porta all’integrazione sarà lungo e difficile. Si fatica molto a far sentire a loro agio questi bambini e ragazzi fra progetti che stentano a partire, qualche intoppo burocratico ed evidenti barriere linguistiche, se poi ci si mettono anche alcuni genitori a creare problemi anziché agevolare il processo di integrazione sarà molto difficile non far sentire emarginati questi bambini. Per fortuna”, conclude, “poco fa mi hanno rassicurato che la protesta è rientrata ed i ragazzi potranno frequentare serenamente la scuola.
La risposta alla domanda è unica : sopno entrambi .... nè più ne' meno . Ottima la tecnica del silenzio cioè nel non rilasciare dichiarazioni alla stampa da parte delle responsabili dell'edificio scolastico e di fare pressioni tramite wzp sui genitori per non rilasciarle . Peccato che la tecnica del silenzio per non alimentare la cosa abbia ottenuto l'effetto contrario cioè se ne parla ancora di più . Alcuni genitori ( sia i salvinisti che i non salvinisti ) diranno si è trattato di un equivoco e che la stampa ha ingigantito le cose . Ma allora se cosi fosse perchè le suore chiedono ai genitori di non rilasciare interviste ai media davanti alla scuola ? non era più semplice rilasciare , anche se poco sincero un comunicato stampa dove si diceva la loro versione ?
ecco i fatti
da la nuova sardegna 1\10\2016
Cagliari, razzismo a scuola: bagni separati per gli allievi migranti. Ma il caso è rientrato Inquietante episodio di discriminazione nell'Istituto parificato religioso Nostra Signora della Mercede. I piccoli erano sbarcati in Sardegna senza genitori
CAGLIARI.
I bambini non volevano andare al bagno, non in quello destinato anche ai compagni arrivati dall’Egitto e dall’Etiopia. Probabilmente messi in guardia dai genitori non volevano rischiare chissà quale contagio. Per questo la direzione dell’istituto parificato religioso Nostra Signora della Mercede aveva preso una decisione che rimanda all’apartheid sudafricano: servizi separati, qui i bianchi e là i neri.
Ma non è finita: alcuni genitori, già impauriti davanti al pericolo che i loro pargoli s’ammalassero, avevano manifestato il timore che i due bimbi senza famiglia, sbarcati a Cagliari tra giugno e luglio, avessero tendenze violente. La ragione? Il loro vissuto, le sofferenze patite nei paesi d’origine, la perdita della madre e del padre, una matrice sociale certo lontanissima dal mondo dei ragazzi cagliaritani, tutto iphone, pokemon e playstation. Insomma: tante minacce contenute in due bambini di dieci anni, ospitati in una casa famiglia e iscritti alla quinta elementare con tanto di insegnante di sostegno perché la loro vita avesse una prospettiva. Minacce patite al punto da indurre due coppie di genitori a ritirare i loro figli da scuola malgrado frequentassero classi diverse da quella dei due piccoli migranti.
Ora è tutto rientrato, i servizi igienici sono di nuovo aperti a tutti, neri compresi. Ma perché alla scuola di via Barone Rossi cadessero i pregiudizi e tornasse il conformismo tipico della cagliaritaneria c’è voluta un’assemblea generale, dove le due tutrici degli scolari migranti - le avvocate Marina Bardanzellu e Maria Antonella Taccori - hanno spiegato con grande impegno e pazienza quanto era scontato: nessun rischio per la salute, i due ragazzi erano entrati in aula coi certificati dell’Asl, dopo visite accurate e controlli clinici rigorosi. La violenza poi, bastava guardarli: «In pochi mesi hanno imparato a parlare e a scrivere in italiano - spiega l’avvocata Bardanzellu - sono ragazzi dotati di un’intelligenza viva, attenti e scrupolosi, educati e gentili».
E le suore mercedarie? Alla richiesta del cronista di un colloquio telefonico la risposta è stata: «Non rilasciamo interviste, arrivederci». Su altre testate filtrano spiegazioni prive di autori dichiarati: «Non è stato razzismo, solo disinformazione». A spezzare una lancia in favore dell’istituto scolastico è l’avvocata Bardanzellu: «I ragazzi musulmani sono stati accolti e inseriti - spiega la tutrice - e questo va riconosciuto. Poi si è verificata una catena di situazioni complicate, per le quali ero sul punto di rivolgermi al giudice minorile». La ragionevolezza - e il rispetto della legge - si è fatta strada dopo una decina di giorni, in cui le suore si sono trovate a lottare tra il rischio di perdere studenti e quello di passare per una scuola del Missouri: «Alla fine è arrivato il chiarimento - taglia corto Bardanzellu - questo è l’importante».
Un commento, nell’indignazione palpitante registrata dai social network, arriva da Angela Quaquero, presidente dell’Ordine sardo degli psicologi e referente della Regione per l’emergenza migranti: «Un episodio gravissimo, che si configura come un pesante trauma per tutti e che richiede un’azione immediata». Prosegue la Quaquero: «Il trauma riguarda sia chi subisce questa inaccettabile discriminazione, sia chi ne è inconsapevole esecutore. Per questo è indispensabile la disponibilità delle stesse famiglie che hanno di fatto costretto la scuola a riservare bagni separati per i bambini di colore. L'episodio, di per sè gravissimo, lo è ancora di più se si considera che va ad incidere su un'età, quella evolutiva, nella quale restano tracce indelebili, con pericolosi esiti nel corso della vita, soprattutto sul versante della maturazione affettiva». (m.l)
ed ecco i genitori che tentano di smarcarsi e \o di sminuire i fatti
io dico che
coloro che rilasciano tali dichiarazioni anzi che starsi zitti che sono allo stesso livello di quei genitori idioti che hanno esercitato pressione sulle suore e delle suore ( ? ) che per paura di perdere qualche € hanno accettato tali aut aut .
applicare loro , sia a quei genitori che sminuiscono e minimizzano , sia a quelli che hanno fatto pressioni o noi o loro e alle suore la legge del contrappasso dantesco facendoli subire quello hanno subito i nostri connazionali che fra il XIX e il XX secolo emigrarono nelle Americhe e in Europa e forse capiranno il male fatto perchè chi cede ( le suore ) e chi ( altri genitori ) sminuisce e minimizza i fatti è .... complice se non allo stresso livello
E che in Italia , chi sa fin quando ancora [sic ] ci sono anticorpi , anche se a volte in maniera ipocrita e lava coscienza \ buonista come definiscono alcuni\e alle imbecillità dettate dalla paura e dai pregiudizi come di mostra la storia che riporto sotto
BOLZANO. Giuseppe De Vivo oggi guarda la terra dal cielo con un sorriso pieno d’orgoglio. “Sepp”, come lo chiamavano tutti, è morto il 3 gennaio scorso, ucciso da un cancro a soli 65 anni. La moglie Wally Rungger per ricordarlo ha “donato” un contratto di lavoro a Mounirou Yakoubou, un giovane profugo del Togo di 28 anni. Con gli amici - attraverso una sottoscrizione - è stata raccolta la somma di 10.400 euro. Con questi soldi, Mounirou è stato assunto part-time per un anno dalla cooperativa sociale Akrat di piazza Matteotti, che produce mobili, arredi e articoli di sartoria. Un anno di lavoro in regola, con i contributi e lo stipendio pagati. «Sepp ne sarebbe contento - dice Wally Rungger trattenendo le lacrime -: perché lui aveva un rispetto sacro per il lavoro. E sapeva quanto fosse importante per la nostra dignità».
Quando muore una persona molto cara, spesso si cerca una maniera per continuare a farla vivere, a tenerla ancora un po’ con noi. Un gesto di vita che illumina il buio della perdita. C’è chi fa una donazione alla ricerca contro le malattie (il cancro, la Sla, l’Alzheimer...), chi aiuta associazioni che si occupano di bambini o donne in difficoltà, chi si affida ad Emergency o a Medici senza frontiere. «Ogni causa è nobile - continua Wally Rungger - e rispecchia anche la persona che vogliamo ricordare». Sepp De Vivo era un uomo con un forte senso civico. Con un’etica inossidabile. Allergico ai soprusi e al razzismo. Insofferente ai giudizi facili e al conformismo. Tanti amici si sono fatti avanti per trovare il “modo giusto” per rendergli omaggio nel tempo. «Per me - continua la moglie - era importante fare qualcosa di concreto. Dare un aiuto “vero”. Che fosse anche l’occasione per ricominciare per una persona con cui la vita non era stata generosa». Mounirou Yakoubou ha impiegato due anni per raggiungere l’Italia. Dal giorno alla notte, è dovuto scappare dal Togo dove la sua famiglia veniva perseguitata per motivi etnico-religiosi. «Degli amici - racconta mentre cuce delle stoffe - mi hanno avvisato che se restavo, sarei stato ucciso. Non ho avuto scelta». La fuga prima in Benin, poi in Nigeria, quindi in Libia. «Sono rimasto 11 mesi a Tripoli. Quando è scoppiata la guerra, mi sono dovuto nascondere. Noi africani veniamo trattati peggio delle bestie. Depredati e picchiati. Mi hanno rubato tutto, anche i soldi per la traversata sui barconi. Ero disperato. Non so come, un compatriota è riuscito a farmi salire lo stesso sulla nave senza pagare. E mi sono trovato in Italia». Dalla Sicilia è stato spedito in aereo a Bolzano con i contingenti previsti dal ministero. Dopo un anno mastica già l’italiano, e, grazie all’Akrat, ha ricominciato a fare il suo lavoro: il sarto, appunto. Wally Rungger, che è stata a lungo anche consigliera comunale dei Verdi a Bolzano, è una delle fondatrici della cooperativa. L’Akrat impiega profughi segnalati dalla Caritas (che hanno già una formazione professionale alle spalle), o persone in difficoltà mandate dai servizi sociali. Lo scopo è ridare una chance, una ripartenza a chi non riesce a entrare (o rientrare) sul mercato del lavoro.
«I giovani profughi - spiega il presidente-designer-artigiano Peter Prossliner - hanno una gran voglia di imparare subito, per essere indipendenti e non pesare sulla società che li ospita. Hanno l’età e l’energia per dare il massimo. Questo dovrebbe capire chi li vede come un nemico». Un’immagine ben diversa dallo stereotipo “dei fannulloni mantenuti dallo Stato”. «Il lavoro in un Paese sicuro è il loro unico obiettivo. Non l’assistenza sociale fino alla tomba. Vogliono guadagnare per mandare i soldi a casa alle famiglie. Come facevano i nostri emigranti nel Novecento». Quando arrivano in Italia, anche se hanno già i fondamentali del mestiere, devono essere formati all’uso delle attrezzature europee (molto diverse da quelle più arretrate dei Paesi d’origine) e alle normative di sicurezza. Hanno anche delle storie personali molto dure: uno dei ragazzi che lavorano qui, ogni giorno deve farsi ancora curare le pieghe sul corpo delle torture e le ferite di guerra. Quella di Mounirou è una delle prime assunzioni vere e proprie che l’Akras si è potuta permettere, ma solo grazie alla sottoscrizione per Sepp De Vivo. Un tipo di donazione - il contratto di lavoro - che potrebbe fare da apripista ad altre. «Un anno di lavoro retribuito, può aprire molte porte e garantire un futuro a questi ragazzi», spiega Prossliner.
I piani di sviluppo della cooperativa prevedono una forte crescita per il 2017. Ovviamente è dura per una realtà che, pur stando sul mercato, ha fini sociali e non commerciali.
La coop, fondata nel 2012, conta solo sulle proprie forze: le vendite, le quote dei soci, il lavoro dei volontari e le piccole donazioni. «Per resistere, dobbiamo vendere i nostri prodotti. Le spese sono tante, ma è prezioso anche il sostegno di alcuni “sponsor”, come la Salewa». Per quanto riguarda l’inserimento lavorativo delle persone con disagio psichico, l’ente pubblico paga solo gli oneri previdenziali. Mentre tutti i costi per i profughi tirocinanti sono a carico di Akras. Nello store di piazza Matteotti, “nascosto” dietro il bar Debby, la coop vende, produce, aggiusta e reinventa mobili e articoli d’arredamento. I laboratori e la falegnameria sono nel semi-interrato. Il rapporto con il cliente è diretto. Se hai una vecchia poltrona, te la rifanno con una linea totalmente nuova, oppure usano il materiale per costruire qualcos’altro: un tavolo, un comò, una lampada... La coop ora può contare anche sull’aiuto (gratuito) del designer Nitzan Cohen, docente della Lub.
Come dice Prossliner, questo è anche un esempio di vera innovazione. «Perché ricicliamo materiale, diminuendo i rifiuti, e creiamo nuove professioni. L’innovazione non è solo quella tecnologica, ma anche quella sociale. Che aiuta le persone».
Giusto Peter.
Sepp De Vivo, da lassù, annuisce e strizza l’occhio.