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25.3.22

Studiare da rifugisti: l'academy è in montagnaUn verso per TikTok, la poesia si fa social.,Missione arance: lotta contro mafia e spreco.,



I gestori di Brioschi e Rosalba lanciano un percorso formativo per aiuto-rifugisti

Gratuito, per un massimo di sei candidati, per imparare il lavoro in rifugio

LECCO – Un lavoro bello ma decisamente duro quello del rifugista, perché la vita in montagna ha il suo grande fascino ma è una sfida personale e, in questo caso, anche professionale.
Il territorio lecchese offre anche questa opportunità di impiego ed oggi c’è anche un percorso formativo per imparare il mestiere: si tratta della ‘Capanat Academy’ di aiuto-gestori di rifugio che ha lo scopo di assumere nuove leve, rivolto a chi vuole intraprendere una esperienza di lavoro in rifugio.
E’ la proposta lanciata da ‘Brialba’, che si occupa si occupa della gestione dei rifugi “Rosalba” e “Brioschi” entrambi sul gruppo delle Grigne, con il patrocinio del Cai di Milano, in collaborazione con guide di montagna e Resinelli Tourism Lab.
Il percorso, completamente gratuito, si svolgerà presso i rifugi Brioschi e Rosalba e prevede la partecipazione di massimo 6 candidati/e ai quali, al termine del percorso, verrà rilasciato oltre che un attestato di frequenza, un attestato corso HACCP.
Ai partecipanti verrà attivata un’assicurazione idonea per attività nel rifugio sponsorizzata da “https://www.quadrifoglio.srl/L’unico obbligo per i partecipanti sarà attivare l’assicurazione attività individuale del CAI.Al termine della Capanat Academy verranno valutate eventuali opportunità di assunzione e saranno anche promosse attività di segnalazione (liste) anche a beneficio di altri rifugi interessati. Il programma si svolgerà nei week end di apertura dei rifugi tranne il modulo “Mountain Experience” che prevede due giornate infrasettimanali di uscita in ambiente con le Guide Alpine di Mountain Dream Guide


Un corso  imopegnativo visto     che  Sul massiccio alpino delle Grigne sono arrivate 150 domande da tutta Italia per il primo corso gratuito che insegna a gestire presidi d'alta quota. I prescelti? Solo 6

Ha 22 anni e ha avuto il coraggio di portare su Tik Tok un'arte all'apparenza lontanissima dai social: la poesia. Scrive testi, li recita seduto alla scrivania di camera sua e pubblica i video. Con successo. Tanto che ha raggiunto 240 mila follower e 3,7 milioni di "mi piace". Il "tiktoker poeta" si chiama Lorenzo Colafrancesco, in arte @madpeopleloveme (letteralmente, "le persone folli mi amano"), è romano di Trastevere, studia Cinema all'Università La Sapienza e segue corsi di recitazione.

Ha tenuto il suo primo reading, fresco della pubblicazione del libro "Amore corri-sposto", in Piemonte, ad Asti, alla rassegna L'École (di cui La Stampa è media partner), organizzata al polo culturale FuoriLuogo e pensata proprio per i giovani. Il rapporto tra l'antica poesia e l'attualità dei social Colafrancesco lo spiega così: "Non è vero che i ragazzi sui social cercano solo superficialità. I social sono anche fatti di parole, e permettono di far arrivare le tue parole a persone anche molto distanti, accorciando le distanze". La poesia, racconta, "ci sembra lontana perché consideriamo quella dei padri della letteratura, che sono e restano mostri sacri. Ma può essere anche pop".
di Giulia Destefanis
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Cinque ettari di terreno di Cosa Nostra sono stati confiscati, ma l'associazione che li curava si è ritirata.

 E così è partita una mobilitazione per salvare gli agrumi

2.10.15

MORTE DEI CAMPI di © Daniela Tuscano

MORTE DEI CAMPI
Come una Nedda cresciuta, o un . Sud verghiano, naturalista e positivista, spietato, di oltre cent'anni fa. Sud dei vinti. Invece siamo nel 2015. E Paola Clemente era italiana. Non un'immigrata. Ma proviamo a sentirla mormorare, mentre s'ammazza letteralmente di fatica in quel deserto di seminagione, "che è quest'Italia?". Sgobbava sette giorni su sette per due euro l'ora, sotto la schiavitù del caporalato. Alla fine è schiattata, ma nelle fotografie, lei, col suo cognome da pontefice (ottocentesco pure quello), riusciva ancora a sorridere. Un sorriso liquido, largamente mansueto sopra un modesto vezzo di perle. Perché la vita è fuori. Deve esserlo. 




Paola voleva sentirsi umana e s'insinuava in feste amicali per restituirsi all'umanità. Quell'angolo d'esistenza, i caporali non erano riusciti a spegnerlo. E lei vi s'aggrappava tenacemente. Appesa a un pensiero, alla gioia della famiglia, come Rosso al ricordo del padre. La femminilità di Paola si sformava avvilita nel sole, ma lei insisteva a sentirsi bella, annotava scrupolosamente sul calendario le "giornate" che le restavano, la miseria largita. Lenta pure la grafia, così grottescamente infantile, ansante, inesorabile. Perché manca poco, ce la posso fare, solo per oggi, poi finalmente la pace.
Ma la pace non è giunta. Il corpo s'è arreso. L'anima forse no. Oggi quegli appunti mai trascurati rappresentano un formidabile atto d'accusa contro i suoi aguzzini. I conti non tornano, a Paola hanno dato ancor meno del nulla che le rifilavano.
E che è, quest'Italia. Nel frattempo divenuta repubblica e, almeno sulla carta, Stato di diritto. Era il paese di Paola e di tante vinte e vinti come lei, sul cui sangue questo diritto è nato. Ma quando soccombe al profitto diventa involucro vuoto, suono inarticolato. La cifra dei nostri anni tecnologici e bestiali. E tuttavia il diritto esiste, l'inesorabilità non è più destino. Il sorriso di Paola, dietro l'aria da povera crista, ne trasmetteva la consapevolezza.
Lo si chiami assassinio, il suo. E lo si punisca con la massima severità.

                                .© Daniela Tuscano

25.11.12

Sigari Doge, i coltivatori fanno l'impresa In Veneto i coltivatori di tabacco diventano produttori di sigari. Con l'aiuto delle banche, della Regione e del gruppo Maccaferri


leggo su  www.panorama.it questo articolo  di  Giovanni Iozzia .  Una buona news  dal mondo  dell'agricoltura  . Finalmente   qualcuno che reagisce  alla crisi  e non si piange  addosso 

Una tradizione agricola centenaria, nuove risorse finanziarie, l’alleanza commerciale con un leader di mercato. Nasce così un nuovo marchio del made in Italy in un settore difficile come quello del fumo. Il caso del “Doge”, l’Antico Sigaro Nostrano del Brenta, racconta della possibilità di creare impresa valorizzando uno storico distretto del tabacco, fra Vicenza, Padova e Treviso.

Li chiamavano “pifferi” i sigari prodotti da quelle parti negli anni fra le due guerre mondiali, ma in quell’area del Nordest il tabacco abitava già da secoli, certamente dal 1763, anno in cui la Serenissima concesse a Campese, e altri piccoli comuni della provincia di Vicenza, la prima coltivazione ufficiale del tabacco che lì coltivavano “clandestinamente” dal ‘500. È la storia che sta dentro il Consorzio Tabacchicoltori MonteGrappa, che per anni ha conferito le sue foglie alle multinazionali del fumo. Attivitàdiventata economicamente poco conveniente con la fine delle sovvenzioni europee.
Cinque anni fa l’intuizione di “mettersi in proprio”, di recuperare la capacità manifatturiera del passato, di aggiungere una dimensione industriale a quella agricola. Per farlo però servono gli “sghei”, i soldi. Ad accompagnare il progetto, benedetto dal governatore Luca Zaia, tre anni fa entrano in scena due consulenti che la zona la conoscono bene, Massimo Zerbo e Giuseppe Zuccolo, che a Thiene, provincia di Vicenza appunto, guidano una società specializzata nell’avviamento di nuove imprese.
Si crea un pool di sei banche, guidato da Agrileasing, che investe 4,580 milioni di euro. Il Consorzio così diventa anche manifattura: una fabbrica a Campese, dove lavorano 10 sigaraie che “rollano” tra i 20 e i 21mila sigari al mese. A chiudere il cerchio l’alleanza commerciale con le Manifatture Sigaro Toscano del Gruppo Maccaferri, che sta lavorando alla valorizzazione dei territori del tabacco (ha recentemente lanciato una serie di “cru”, tra cui proprio uno veneto).  
Lo chiamano anche il Toscano del Brenta, il nuovo prodotto, ma non ha nulla a vedere con il sigaro italiano per eccellenza. Perché il tabacco è della famiglia Havanna, trapianto in Italia secoli fa, e non Kentucky americano. Perché è essiccato con l’aria e non con i forni. E perché la costruzione prevede ripieno, sottofascia e fascia (il Toscano non ha la sottofascia). Come un cubano.  E non è escluso, anticipa Zerbo, che dopo il lancio, in dicembre, del primo Doge, a forma conica, possa arrivare un sigaro cilindrico proprio come gli Habanos. A Campese intanto stanno già formando nuove sigaraie. Pronti ad aumentare la produzione se il mercato accoglierà bene il ritorno del Doge.

26.10.12

[halloween in cucina 2 ] halloween sardo


ecco come  promesso  il nostro  halloween  altro  che  quelle fesserie  ( per  altro non tanto  originale, salvo le  zucche  ,da quelli europei  ) il primo articolo viene dall'amica Ele  casula  sul mio https://plus.google.com

non potendo  copia e  incollarlo  ne  riporto un pezzo


Sardegna Una festa dei morti tutta particolare con pabassini e pane ‘e sapa | Mediterranews »
La ricorrenza di Ognissanti e della festa dei morti affonda le sue radici nella notte dei tempi. Ogni zona d’Italia conserva usanze e tradizioni differenti  (  contnua http://mediterranews.org/2012/10/sardegna-una-festa-dei-morti-tutta-particolare-con-pabassini-e-pane-e-sapa/ 




il secondo  invece  riesco a  copiarlo  ed incollarlo tutto   viene da questo bel  portale  ( eccetto il  2  video  )  http://www.portalesardegna.com/blog/enogastronomia-sardegna/ 













Rispecta sos mortos et time sos bios. Venera i morti e temi i vivi.”Antico detto sardo


È da qualche anno che anche qui in Sardegna, il 31 ottobre e i primi di novembre, si festeggia Halloween, ci si traveste da scheletri, zombie, mostri, streghe e si addobbano le case con grandi zucche intagliate.
Ma quando ero bambina io, negli anni ’90, i giorni dei Morti e di Tutti i Santi erano vissuti in modo completamente diverso, con dei riti appartenenti alla nostra cultura e al nostro passato, legati a leggende e a storie di anime e cibo.
Quando ero bambina io, qui in provincia di Oristano, nello specifico a Solarussa, ci si travestiva da Maria Pintaoru, in alcuni paesi chiamata Maria Puntaoru, e si andava in giro per le case del paese con indosso gli abiti delle nonne, una gonnella lunga e scura, uno scialle e su muccadori (fazzoletto) sulla testa. Bussavamo casa per casa, non a chiedere ‘dolcetto o scherzetto’ ma monete, frutta secca, castagne, mandarini e qualche dolce.
Maria Pintaoru era una figura misteriosa e paurosa. La leggenda racconta che la donna, oltre a essere particolarmente brutta, fosse anchemolto povera e che a causa di questo morì di fame, letteralmente.







Noi bambini re-interpretavamo la sua storia e chi ci apriva la porta non poteva rifiutarsi di regalarci un po’ di cibo… guai a dir di no a un’anima affamata!
Per saperne di più su Maria Pintaoru, vi rimando a questo articolo, che dà una versione un po’ diversa rispetto a ciò che i miei nonni mi hanno raccontato, ma comunque molto simile. In altri paesi, infatti, la tradizione vuole che la porta di casa si lasci sempre aperta la notte tra il trentuno ottobre e il primo di novembre.La tavola deve rigorosamente essere apparecchiata in modo che lei possa entrare e sfamarsi in tutta tranquillità. Se non trova ospitalità e accoglienza, con il suo affilato spiedo, buca la pancia dei bambini per cibarsi di ciò che loro hanno mangiato.Questo era un modo per venerare i morti.
Ma non finisce qua. La notte del primo novembre, in molte case si fa tutt’ora, si imbandiva la tavola anche per i familiari defunti. Un piatto di pasta, un cesto con noci, noccioline, mandorle, fichi secchi, uva passa, una bottiglia di vino e gli immancabili papassini, i dolci tipici di quei giorni. Sì perché, in Sardegna, ogni festa ha i suoi dolci tipici.

E già a metà ottobre, le donne si riuniscono e iniziano a impastare, infornare e decorare questi squisiti dolci fatti di farina, uova, mandorle, noci e uva passa e decorati con glassa e diavoletti colorati. In alcune zone a tutto ciò si aggiunge nell’impasto, anche la marmellata e ‘sa sapa’, composto liquido ottenuto dalla bollitura del mosto con bucce d’arancia, in altre anchemelacotogna. Insomma, come ogni cosa qui in Sardegna, ogni paese ha la sua versione.
Trovate una delle tante ricette complete in questo documento che riporta tutte le ricette dei più importanti dolci sardi.
E tutto ciò accadeva fino a 20 anni fa e ne parlo con piacere ma anche con una punta di malinconia per una tradizione che sta via via sparendo. È da tanto che a casa mia non bussano bambini vestiti da Maria Pintaoru.

                                      di Giulia Mada

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...