Matilde Sorrentino è una donna uccisa dalla camorra nel 2004 a Torre Annunziata. Dopo oltre 20 anni il mandante resta sconosciuto. Matilde si era ribellata al clan che controllava la città ma nonostante questo nessuno conosce le ragioni di questo omicidio. È una storia dimenticata e mai raccontata perché il giorno dopo il suo omicidio venne uccisa a Forcella Annalisa Durante. A Confidential vogliamo raccontare la sua storia per cercare di squarciare il velo d'omertà. Ne parliamo con Tommaso RIcciardelli (Parliamo di Mafia), Marta Casà (Mente Criminale) e Chiara Freddi, l'autrice dell'approfondimento.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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2.12.25
Matilde Sorrentino: la mamma coraggio uccisa per essersi ribellata alla camorrra denunciando gli abusi sul figlio
21.8.25
Il suo nome è Angela Attanasio, ha 35 anni, è una giovane imprenditrice turistica di quelle serie, che ha investito nella sua terra, le isole Tremiti, e crede nella cultura del lavoro. Anche per questo è finita nel mirino dei clan
nome.“Ho subito un vile atto intimidatorio di natura mafiosa. Faccio questo video perché sicuramente la persona che ha fatto questo gesto vile lo vedrà e spero che si senta un po' in colpa. E, soprattutto, per dare una voce di allarme perché ci troviamo in un posto meraviglioso, ma non siamo assolutamente tutelati.Non è possibile investire in un luogo in cui nessuno protegge noi giovani, che vogliamo fare impresa, in un luogo già di per sé difficile e che così diventa impossibile. Atti simili di stampo mafioso e inqualificabili non possono passare sotto silenzio. È ora di dire no e di denunciare con forza una situazione ormai insostenibile.”E subito è partita spontaneamente una raccolta fondi che le ha permesso di ripartire in un momento difficilissimo.Angela Attanasio è un esempio di donna coraggiosa che combatte e si ribella al potere di clan più o meno grandi.Siamo in tanti con lei.Ma non basta il sostegno di singoli, generosi, cittadini. Ora tocca , almeno si spera , allo Stato stare dalla sua parte
10.1.24
le mafie non sono solo lupare o soldi sporchi . il caso della Figlia di Carmine Giuliani ex boss camorrista che lancia il profumo col nome del padre
ma nessuno dice niente . mentre per serie come Gomorra e la paranza dei bambini sono pronti a lanciare merda fango
(ANSA) - NAPOLI, 09 GEN - Di Carmine Giuliano, ex boss di Forcella, si ricorda soprattutto l'amicizia con Maradona: memorabile la foto col pibe de oro nella vasca da bagno a forma di conchiglia. Ora la figlia, Nunzia, del tutto estranea a contesti criminali, lancia sui social un profumo in omaggio del padre e che porta il suo soprannome: 'O Liò, con il muso stilizzato di un leone sulla boccetta.
In uno dei suoi tanti messaggi su TikTok, dove è seguita da circa 14mila persone, Nunzia spiega che acquistando il profumo "state dimostrando tanto rispetto e stima nei confronti di mio padre, perchè voi avete ricevuto rispetto da lui. Leggo bei messaggi, belle parole, frutto di quello che mio padre ha seminato. È scontato che io parli di un grande uomo, un grande papà, sono la figlia. Ma voi? Voi siete il popolo, la bocca della verità e leggere questi commenti per me è un onore".
In effetti, c'è chi parla di Giuliano (morto per una malattia nel 2004) come di "un pezzo di storia napoletana" e ricorda "i reportage con Maradona", dove appare "elegante e gentile, un uomo d'altri tempi". Chi lo descrive "pieno di fascino". A chi commenta che "al di là di tutto era in primis suo padre, ci sarà sempre chi le dirà cose brutte, ma per lei era solo ed esclusivamente il suo papà", Nunzia risponde: "Bravissima, lui per me è stato un papà unico ed esemplare". E pubblica una foto di lei bambina col genitore con la scritta: "Quello era il mio posto sicuro, tra le tue braccia".O lione era uno degli undici figli di Pio Vittorio Giuliano, il patriarca. Assieme ai fratelli Guglielmo, Salvatore e Raffaele, ha affiancato per anni il primogenito Luigi, 'o rre, cioe' il re di Forcella, alla guida del clan. Acerrimi avversari di Raffaele Cutolo, i Giuliano diedero vita con altri gruppi criminali alla Nuova famiglia. Padroni per decenni di Forcella, divennero ricchissimi grazie al contrabbando, alle estorsioni, alla vendita di prodotti contraffatti e allo spaccio di droga. Poi, alla fine degli anni Novanta, arrivò il declino, con gli arresti che ne decimarono le fila.Intanto ora 'O Liò è sold out, "continuamente in produzione", come dice la stessa creatrice del profumo.
5.10.23
Killer si laurea con lode in cella: Catello Romano nella tesi confessa tre omicidi
REPUBBLICA 5\10\2023
L’uomo ha discusso la tesi ieri a Catanzaro, nel penitenziario dove sta scontando trent’anni di reclusione per l’assassinio del consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino
Killer si laurea con lode in cella: Catello Romano nella tesi confessa tre omicidi

Si legge come un romanzo, ma racconta episodi drammatici realmente accaduti e una clamorosa confessione, la tesi di laurea in “Sociologia della sopravvivenza”, dal titolo “Fascinazione criminale”, che Romano ha discusso ieri a Catanzaro, nel penitenziario dove sta scontando trent’anni di reclusione per l’assassinio del consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino.
L’esponente politico fu ucciso il 3 febbraio del 2009 mentre era in auto con il figlio. All’epoca dei fatti Romano era un fedelissimo di Renato Cavaliere, esponente di spicco del clan camorristico D’Alessandro oggi collaboratore di giustizia.
Alla fine della seduta, la commissione di laurea ha premiato il 33enne con 110 e lode e la pubblicazione della tesi. «È stato molto apprezzato il lavoro di tipo “autoetnografico” svolto dal candidato», spiega il relatore, il professor Charlie Barnao dell’università di Catanzaro.
Si tratta, come scrive Romano nella sua tesi, «di una sorta di intervista con sé stessi» in cui si cerca di comprendere il passato «attraverso un processo di immedesimazione». Poi aggiunge: «Ho creduto di mettere in atto, attraverso questo lavoro, almeno in una certa misura, un’opera di verità e riparazione, non oso dire giustizia, nei confronti di chi è stato direttamente colpito dal mio agito deviante», rivelando «fatti e circostanze che, ancora oggi, a distanza di tantissimi anni, non hanno mai avuto un seguito giudiziario e, dunque, di appuramento di mie responsabilità penali dinanzi a un regolare tribunale».
Romano, che dopo l’omicidio Tommasino iniziò una brevissima collaborazione con la giustizia subito interrotta da una spettacolare fuga e mai più ripresa confessa nelle pagine della tesi di aver preso parte ad altri due agguati di camorra: il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e Federico Donnarumma, uccisi il 28 ottobre del 2008: «L’evento più violento, traumatico, irrimediabile della mia vita», scrive.
Romano rivela di aver addirittura coinvolto in appostamento una delle sorelle, ignara di tutto («le rifilai la balla che volevo far ingelosire la mia ragazza») e che Donnarumma non doveva essere ucciso: «Non so perché, non l’ho capito e non me ne capacito ancora, ma sparai anche a lui». L’altro delitto che Romano ammette di aver commesso è quello di Nunzio Mascolo, ammazzato il 5 dicembre 2008. Quanto all’omicidio Tommasino, il 33enne riconosce che sulla vicenda «ancora non si sono diradate le nebbie». Poi sostiene di aver fatto cenno ai sicari, mentre seguivano in scooter l’auto del consigliere comunale, di non sparare perché a bordo della vettura c’era anche “na criatura”, in realtà il figlio adolescente della vittima. «Malauguratamente quei due capirono l’esatto contrario».
L’ipotesi alla base della tesi è che «il crimine esercita una profonda fascinazione» nei confronti dei giovani, arrivando a «sostituire la famiglia d’origine». Romano, che da bambino voleva fare il poliziotto e ricorda il trauma della separazione dei genitori, afferma di essere stato affascinato dal personaggio di un film, “Il camorrista”: «Nel mio caso, lo spazio interiore è stato occupato prima da “’o prufessore ‘e vesuviano, cioè Raffaele Cutolo, poi da Renato Cavaliere, il mio “compare di malavita”». Oggi Romano dice di voler ripartire «da quel Catello che ero prima di tutto quello che ho raccontato». Per il professor Barnao, «il senso profondo di questo percorso sta già nel fatto di essere arrivato a raccontare, nel dettaglio circostanze che avranno delle conseguenze, pur di riuscire a mettere ordine, una volta e per sempre, nella propria vita
25.9.23
Nando della chiesa attacca la serie tv Gomorra di Saviano
Ora sarà anche vero quello che dice #NandodallaChiesa .Ma quello che mi chiedo come mai adesso ? quando sono quasi diue annoi che la serie è finta ? Evidentemente non sà come riempire la sua rubrica oppure per partorire un ovvietà visto chew sono anni che si dicono talòi cose sula serie tv deve averle viste tutte le stagioni . Ora se uno\a che ha visto o vuole rivedere \ o vedere per la prima volta la serie ha un buon spirito critico e vede una opera in maiera attiva e non passiva saprà distinguere fra apologia ed esaltazione . Inoltre mi sembra strano che un esperto di criminalità e di mafia\e non sappia che prima il film e poi la serie #Gomorra raccontano la storia ed l'evoluzione della #camorra dal traffico di sigarette ed non solo di contrabbando fino agli anni 70\80 e poi della droga con annesse le faide degli anni 80 \ 2000 . Ma soprattutto fa vedere come lo STATO sia stato assente se non complice \ colluso , ed evidentemente a lui uomo delle istituzioni non deve far piacere che lo si racconti . E poi nelle ultime due stagioni lo stato anche se in miera blanda un po' , anche se con il lumicino si vede la presenza d'esso . Lele sue osservazioni , sarebbero simili , se non fosse che ha seguito #Saviano fin dall'inizio , come quelle che fecero alla #serietv cult degli anni 80\90 #lapiovra . Inoltre è vero che le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli ma : dovrebbe scrivere qualcosa anche sui fatti di via Fracchia a Genova e sopratutto di come il padre teneva nella cassaforte il verbale originale del risultato del referendum repubblica e monarchia e dcome si sia procurato e poi non lo abbia consegnato alla magistratura il dattiloscritto integrale dell'interrogatorio di moro da parte dei brigatisti . Poi rubato o fatto sparire dalla sua cassaforte durante il funerale del padre . Ma soprattutto spiegare o domandarsi come mai quando fu trasferito in Sicilia girava senza scorta o senza protezione in particolare il giorno in cui fu ucciso
11.4.22
effetti delle mafie sui ragazzi . i suicidio di Vittorio Maglione 13 anni figlio di un camorrista che non vuole diventare come il padre
effetti delle mafie sui ragazzi . i suicidio di Vittorio Maglione 13 anni figlio di un camorrista
da https://www.facebook.com/leonardocecchi1991
Vittorio Maglione aveva 13 anni quando si impiccò nella sua cameretta, a Napoli, il 10 aprile 2009. Lo scrisse su messanger, dicendo addio a tutti, fuorché al padre, un camorrista. A lui disse solo questo: “Io non voglio diventare come te. Me ne vado, non ti scoccio più”. Vittorio aveva perso il fratello maggiore pochi anni prima, ucciso perché aveva rubato il motorino alla persona sbagliata. E da anni “scocciava” il padre e la famiglia, perché nonostante avesse 13 anni tutto voleva fuorché una vita da delinquente, a cui pure a causa del contesto dove viveva sembrava destinato. Si tolse la vita in questo giorno. Un ragazzo che studiava alla scuola dedicata a Giancarlo Siani e che voleva un futuro lontano dalla malavita. Ricordando questo giorno, è difficile esprimere un concetto che non sia francamente solo il dolore per una morte così. Eppure un pensiero va fatto: quanti Vittorio esistono? Quanti ragazzi vengono condannati ad un futuro a cui non possono sottrarsi? Le mafie sono un cancro e si autoalimentano. Combatterle passa dall’agire preventivamente sulle loro fonti, le famiglie. Perché di Vittorio ce ne sono tanti, ed è compito dello Stato offrire loro una fuga da quel mondo che non sia togliersi la vita.
e da repubblica del 11 aprile 2009
Suo padre è un esponente dei Casalesi, suo fratello fu ucciso giovanissimo
Dopo una lite col padre, lascia un messaggio in chat e si toglie la vita
Napoletano, 13 anni, figlio di boss
annuncia suicidio sul web e s'impicca
di STELLA CERVASIO

A luglio avrebbe compiuto tredici anni. Uno meno di suo fratello, rapinatore ammazzato dagli "scissionisti" di Secondigliano nel 2005 a Mugnano. Vittorio Maglione andava a scuola, faceva la seconda media, e a differenza del fratello Sebastiano, a quattordici anni già sulla strada del crimine, non aveva esordito nel mondo di Gomorra. Una famiglia difficile, la violenza di una periferia congestionata e abbandonata: il padre, Francesco Maglione, nel giro era entrato molto presto.
Finito in galera per il primo omicidio a scopo di rapina nel '78, a diciott'anni, era stato nella Nco di Raffaele Cutolo, e alla fine degli anni ottanta era entrato in forze ai Casalesi, passando prima con il boss Tambaro e infine con il feroce Francesco Bidognetti, "Cicciotto 'e mezanotte".
A trovare il ragazzo quando non c'era più niente da fare è stata la madre, che era uscita per fare la spesa. Il primo giorno di vacanze per Pasqua a scuola. Il tredicenne si era alzato tardi e si era messo al computer per la quotidiana razione di "chiacchiere" elettroniche tra coetanei. I carabinieri della compagnia di Giugliano hanno trovato il pc acceso con una schermata di commenti negativi a quel proposito annunciato con enfasi: "Me ne vado, non ti scoccio più ", rivolto al padre. Gli amici, identificati con nickname dai quali gli investigatori cercheranno di risalire alla vera identità dei ragazzi, hanno cercato di dissuadere Vittorio. Molti i messaggi increduli. "Veramente ti vuoi ammazzare?".
Niente aveva girato pi� in quella casa, dopo la morte violenta di "Bastiano", quattordici anni e la vita a rischio per amicizie sbagliate. In piena faida di Secondigliano, gli "scissionisti", i dissidenti del clan Di Lauro che hanno insanguinato un vasto territorio con un crescendo di sfide, il 9 marzo del 2005 spararono un colpo alla testa a distanza ravvicinata al figlio maggiore di Maglione. Aveva rapinato la persona sbagliata e doveva essere punito: ma il raid degenerò come accadeva spesso in quel periodo, nella cruenta lotta tra bande. Un inseguimento in una strada deserta e poi l'esecuzione.
Dopo pochi giorni squadra mobile e carabinieri arrestarono cinque ragazzi, tre dei quali minorenni. Sebastiano Maglione, in sella a un ciclomotore Honda Sh con un complice, aveva tentato il colpo su uno dei suoi coetanei che era fuggito andando a chiamare i rinforzi. La vendetta del branco non si era fatta attendere.
12.6.13
Saviano: «La Costa Smeralda supermarket della droga». e poi dicono che in sardegna non c'è mafia
Mi sa che Pino Arlacchi dovrà riscrivere o aggiornare il suo libro ( copertina a destra tratta dal suo sito in cui trovate il libro in pdf ) . Infatti questa intervista a la nuova sardegna di Roberto Saviano in tour in sardegna in questi giorni pere presentare il suo ultimo libro e l'arresto di Graziano Mesina ex bandito per estorsione e droga testimoniano il contrario L’autore di “Gomorra” analizza il ruolo di Graziano Mesina nel traffico della coca. «Lui era solo uno dei terminali, l’isola è per le cosche una piattaforma girevole»
Graziano Mesina è stato un simbolo del vecchio banditismo sardo, legato in qualche modo ai valori della tradizionale società agropastorale sarda. Ora viene arrestato come capo di un'organizzazione che gestisce, secondo l'accusa, il traffico della droga nell’isola. Anche la Sardegna omologata all'orizzonte globale dell’economia criminale?
L’Anonima della cocaina
Il traffico di stupefacenti collante tra malavita sarda, ’ndrangheta e mafie emergenti l’arresto di grazianeddu
di Pier Giorgio Pinna wSASSARI Forse non c’era bisogno di una conferma tanto eclatante. «Si sa da tempo che i canali della droga portano dalla Sardegna a Milano, con saldature tra personaggi della vecchia mala sarda e boss mafiosi emergenti», commenta un investigatore. Ma certo l’arresto di Mesina e del suo esercito di presunti complici fa riflettere a fondo. Intanto, perché costringe gli inquirenti a rispolverare i faldoni sulle ultime inchieste da cui sono scaturiti collegamenti con la ’ndrangheta. Poi, perché getta luce non tanto sul ruolo dei corrieri – da sempre semplici pedine in una scacchiera molto più ampia - ma soprattutto sugli affari illeciti, da centinaia di milioni all’anno, che legano calabresi, albanesi, barbaricini, capi delle aree cagliaritane a maggior tasso di criminalità. Infine, perché, indirettamente, quest’ultimo blitz dei carabinieri svela aspetti inediti nel sotterraneo spaccio di coca, eroina, ecstasy, anfetamine. Terreno di coltura. La Sardegna è un mercato appetibile per |
8.4.12
la sardegna terra di conquista e penetrazione delle mafie
Le mafie italiane all’assalto del corallo
21.3.12
le mafie in sardegna 1
La Guardia di finanza di Oristano ha posto sotto sequestro l’intero palazzo dove hanno sede gli uffici della sede provinciale dell’Inps. Il sequestro è stato eseguito nell'ambito dell’inchiesta sul gruppo campano Ragosta
![]() |
| La sede dell'Inps di Oristano |
L’inchiesta, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, questa mattina ha portato all’esecuzione da parte delle Fiamme gialle di 60 misure cautelari: 22 in carcere, 25 con i benefici dei domiciliari e 13 divieti di dimora. Tra i destinatari delle misure cautelari ci sono anche sedici giudici tributari, otto funzionari impiegati nelle Commissioni tributarie provinciale e tegionale di Napoli, un membro del Garante del contribuente della Campania e un funzionario dell’Agenzia delle entrate di Napoli.
Complessivamente in tutta Italia sono stati sequestrati beni per un valore di un miliardo di euro. Il palazzo che ospita la sede dell’Inps di Oristano in passato era stato oggetto di un contenzioso che aveva avuto per protagonista proprio il Gruppo Ragosta.
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19.1.12
castellamare di stabia La processione sfila sotto casa del boss e il sindaco abbandona il corteo
Festa di San Catello, incontro sindaco-Vescovo: no ombre di camorra su rito
![]() |
| nella foto: la statua di San Catello (ph. Manzo) |
16.2.11
il significato per noi sardi dell'unità d'italia la strage dei Sardi di Itri 1911
Siamo ad Itri, in provincia di latina ma allora provincia di Caserta, è il 1911, anno di grandi progressi e di sviluppo tecnologico, simboleggiato forse dalla strada ferrata, la ferrovia, ed è in costruzione proprio la tratta Roma - Napoli, nei suoi cantieri lavorano centinaia si emigrati sardi, chiamati sia perche per sfuggire alla miseria si accontentavano di un salario inferiore, sia perche la scarsa dolcezza di clima e suolo li avevano forgiati al lavoro e alla fatica.
Ad Itri sono acquartierati circa 400 di essi, il rapporto con la popolazione locale é inizialmente buono, ma sono gli anni in cui la stampa nazionale, anche per giustificare il banditismo tratta molto poco gentilmente i sardi, cercando conferme nell’antropologia e nella genetica, distanti ancora i tempi in cui i sardi saranno definiti dai bollettini della prima guerra mondiale come la “razza bellicosa e guerriera” che ha salvato l’Italia, dopo aver innaffiato di sangue il carso e il grappa.
Razza, che brutta parola,
Torniamo ad Itri, si comincia a speculare, sugli alloggi, su ogni genere alimentare, in quanto necessario, e poi arriva la camorra, pretende che ogni operaio paghi il pizzo.. Ma ad essa si contrapponeva il netto rifiuto, per l’innata fierezza della cultura «De s’omine», dell’uomo, sia per la matura coscienza dei diritti loro spettanti, conquistata nelle prime lotte operaie nelle miniere del Sulcis, con ancora vivo il ricordo delle repressioni e della strage di Buggerru, nessuno paga, i camorristi reagiscono con le minacce ma davanti a loro hanno persone altrettanto pericolose, e cosi si fomenta abilmente la popolazione, adducendo il furto del lavoro, il carattere dei sardi, le retoriche dei giornali, e si prepara la trappola.
Il 12 luglio un carretto urta per strada un sardo, alle proteste di esso comincia la caccia, urla, insulti e spintoni e poi le armi, stranamente già pronte, ed in quantità, comincia una caccia all’uomo, all’animale sardo, con una ferocia ed una brutalità che si vedranno solo trenta anni dopo nei nazisti, lo stesso sindaco, e alcuni carabinieri furono visti sparare, molti caddero, morti o feriti, e i supersiti scapparono nelle campagne, tornarono l’indomani, per reclamare i caduti, e la caccia ricomincia, da ogni parte, urla lame spari, non arrivò nessun soccorso, il telegrafo fu chiuso…
Libera caccia.
Il terzo giorno furono recuperati otto morti ed una sessantina di feriti, e di essi molti moriranno dopo, molti invece non furono più ritrovati, fatti sparire, morti o moribondi per eliminare le prove.
Militi ignoti in patria, prototipi di lupara bianca.
Tacquero alcuni giornali, altri minimizzarono ed altri parlarono di aggressione sarda agli itriani, ad essere arrestati furono solo alcuni sardi, nessun itriano scontò nessuna pena, i sardi supersiti andarono via.
Ma la camorra non vide un centesimo
Perche lo racconto? Ripeto, perche deve essere ricordato, ma soprattutto perche penso che davanti alla storia in Italia siamo tutti colpevoli, ognuno porta i suoi scheletri, le sue menzogne e le sue vergogne, ciò che può essere riparato lo deve essere, ma dopo un secolo non ci sono più colpevoli, neanche ad itri, o nelle fabbriche del nord o nelle foibe, ma non si deve dimenticare, la memoria e storia, e la storia è il passato, ma soprattutto il futuro, essa insegna, fa da esempio, da stimolo, la storia è tante cose…
Ma soprattutto la storia non è un alibi .>>
La canzone "Sas tres mamas" è la versione in lingua sarda di " Tre madri " di Fabrizio De Andrè ed è cantata da Elena Ledda
Ho trovato solo tre foto d'epoca; per raccontare la storia ho scelto i dipinti di Pavel Filonov.
Le foto della Grande Guerra sono del film "Uomini contro" di Francesco Rosi, soggetto tratto da "Un anno sull'altopiano" di Emilio Lussu, un grande scrittore sardo.
Concludo con questo commento lasciato al post sul blog dell'autore dell'articoo citato prima
<<
Globalizzazione e lavoro
Si è parlato molto, spesso a sproposito, negli ultimi anni di globalizzazione; e parecchi anche tra quanti praticano la politica, fuori o dentro dai quadri istituzionali, sono stati spesso mediocri, superciali e deleterei, questo per non dire falsi. Da destra, pur vedendo la globalizzazione quale invasione culturale, ci si è accodati in nome di un invisibile vantaggio economico; la sinistra in nome di quel garantismo che probabilmente non sa neppure cosa è, ha accettato la libera circolazione di merci e persone, senza limiti, senza porsi il problema della mutazione genetica del rapporto tra il lavoro ed i lavoratori, tra i datori di lavoro ed il costo stesso del lavoro, situazione che di fatto ha delegittimato i risultati delle lotte sociali conquistati negli anni vicini al 2000, distruggendo di fatto ogni conquista, pagata anche col sangue, ottenuta a partire dall'inizio del novecento. Nessuno dei nostrani politici si è reso conto ( uso questi termini per semplice fiducia concessa, ma non lo credo ) che da noi sosteniamo il welfare soprattutto grazie alle tasse sul lavoro; che in altri paesi del welfare non esiste neppure l' ombra. Nessuno dei nostrani politici si è reso conto che se permettiamo alle nostre industrie di fingere la chiusura, per poi riaprire le stesse attività in paesi del terzo mondo, producendo quindi ( sfruttando il più basso costo della manodopera ) a costi inferiori, permettendogli poi di reimportare quegli stessi prodotti sul nostro mercato privi di dazio d'entrata, pianifichiamo la perdita del lavoro futuro dei nostri operai e, l'annientamento di tutti quei diritti sociali tanto duramente conquistati dalla fine del '800 fino ai giorni nostri. Un serio aiuto al terzo mondo non ha come significato l'impiantare quintali di fabbriche sul loro territorio, atte poi in verità solo a sfruttarli, ma tramite uno studio logico, una seria programmazione, finanziare attività produttive atte a migliorare il loro tenore di vita e il loro PIL. Se quanto viene prodotto in un territorio non circola nel mercato interno ma viene dirottato sul mercato occidentale vi si legge un solo risultato: sfruttamento del popolo locale e regressione nostra nel campo dei diritti di Stato Sociale acquisiti. Vedo come deterrente l'applicazione di dazi di entrata a tutti quei prodotti che senza difficoltà potrebbero essere prodotti qui in occidente, questo a salvaguardia dei nostri lavoratori. Non dobbiamo permettere ai nostri industriali di trasferire la parte manuale per sfruttare la manodopera di quei paesi eludendo così ,di fatto, tutte le conquiste sindacali; una globalizzazione giusta e severa non può che prescindere da una regola certa e sicura: se in un mercato vuoi vendere in quel mercato devi produrre.Si potrebbe anche affermare:”se preferisci produrre fuori (per aggirare i costi dello "stato sociale" che le nostre leggi ti impongono) dovrai pagare delle tasse di entrata pari a quegli oneri sociali che hai tentato di eludere, ma ciò non tutelerebbe ne moralmente ne, tuttosommato, economicamente i nostri lavoratori dipendenti. La globalizzazione non può e non deve essere uno scambio di merci e persone senza un serio condizionamento, uno squallido sfruttamento di popoli e mercati così come chi, economicamente parlando, domina ha voluto, ma un incrocio economico-culturale che si richiama ai diritti umani.Con la globalizzazione attuale si vedono solo grossi guadagni per i soliti noti e discriminazione per le popolazioni. Da tempo ormai lì Europa ha “chiamato all' invasione” extra-comunitari provenienti dai paesi del terzo mondo in cerca di lavoro e di una vita migliore. Senza ombra di dubbio questa migrazione è comprensibile ed accettabile da parte di chi vede il mondo utilizzando il lato umano, ma sostanzialmente, però, bisogna impegnarsi affinchè i soliti ( e anche qualche cittadino, diciamo distratto ) non credano di poter vedere in loro dei moderni schiavi fatti giungere qui nell' intesa di poter abbassare il costo del lavoro, cosa che oggi alcune nuove leggi sul lavoro permettono di fatto, una meschinità studiata dai poteri forti ed avvallata, ignobilmente, da molti cittadini convinti che i diritti civili siano qualcosa di esclusivo. Questo genere di globalizzazione avvallata da contratti differenti tra loro ( in cui incappano anche i cittadini italiani e comunitari, non dimentichiamolo ) sfrutta le nuove leggi sul lavoro, perchè così si potrà dare loro una paga inferiore e si potranno versare meno contributi per lo "Stato Sociale". I nostri politicanti che negli anni hanno creato questo stato di cose hanno ignorato lo "Statuto dei Lavoratori" stipulato nel 1970 che parla di lavoratori e non fà distinzioni tra lavoratori nazionali ( tra loro ) e lavoratori extracomunitari. Continuando con distinzioni di questo tenore noi continueremo perpetuamente ad essere la causa e l'origine dell'embrione del razzismo, è ovvio ed inopinabile che ogni datore di lavoro, a condizioni tali, preferirà quel lavoratore che gli garantisce il più basso costo, con questo creando di fatto delle iniquità sociali. Oggi qualcuno distribuisce gratis frasi del tipo: " sono lavori che gli italiani non vogliono più fare".. , certi lavori, grazie a leggi ad hoc, gli italiani non possono più reggerli, sottopagati con un costo della vita ormai alle stelle, certi lavori retribuiti con paghe allo sfruttamento, non consentono di tirare avanti una famiglia ! Succede questo perchè ( e sono gentile a dirla così, in realtà penso di peggio ) delle classi politiche inette non hanno visto bene la situazione prestandosi così, di fatto, ad un gioco speculativo che ha donato all' Italia ed a parte dell' occidente un solo risultato: una guerra tra poveri, il nuovo razzismo da sopravvivenza, non da mentalità! Forse noi in qualche modo, con un pò di buona sorte riusciremo a districarci in questa situazione, ma il futuro dei nostri figli ormai è drammaticamente segnato!
Giorgio Bargna.
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