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14.12.24

Quando la scuola non si fa carico dei problemi e non educa in profondità . Oramai è più comodo vietare che risolvere i problemi.il caso del liceo di torino dove «Resta a mangiare in classe dalle 14 alle 14,30 nonostante il divieto»: sul registro la nota a due liceali




la responsabilità se escono e succede qualcosa deve essere della scuola, l'orario non è spezzabile se entrano alle 8,30 e escono alle 16 anche se c'è pausa per il pranzo la responsabilità ricade all'istituto, aspetto il momento che uno studente si faccia male (anche se spero non accada mai) come farà la scuola a giustificarsi . come    ho  già  detto non  titolo   Non solo la scuola, ma tutte le istituzioni. Avete comunque mai visto un cartello con su scritto "è permesso fare..." oltre  a  quelli   vietato  ..... ?.  Infatti a  Torino  

Resta in classe dalle 14 alle 14,30 nonostante il divieto». Questo è il testo della nota sul registro presa dai liceali che si sono fermati a mangiare a scuola. Segno dei tempi. Una volta veniva sanzionato chi era trovato fuori a bighellonare, oggi chi vorrebbe stare dentro, al sicuro. È successo giovedì al liceo Regina Margherita di Torino, linguistico, scienze umane ed economico sociale, dove è obbligatorio uscire nella pausa pranzo anche nei giorni in cui l’orario arriva a otto ore. Non c’è nessuno che possa sorvegliare. Per protesta alcuni ragazzi della classe 3AS, liceo economico sociale Cambridge, hanno deciso di restare, evitando di mangiare il panino fuori come fatto finora. Seduti sulle panchine o cercando ripari di fortuna in caso di pioggia. Persino in una lavanderia a gettone. I genitori avevano già scritto il mese scorso al direttore dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Suraniti nel tentativo di trovare una soluzione al problema, dopo aver affrontato la questione con la dirigente scolastica Francesca Di Liberti. Non essendo una scuola a tempo pieno, il liceo non dispone di una mensa e non è possibile obbligare i docenti o il personale Ata a fare sorveglianza sui minori durante la pausa. Ma sta di fatto che una volta alla settimana alcune classi hanno il rientro pomeridiano per altre due ore di lezione. In questo caso, due ore di inglese in più. Quindi entrano alle 8 ed escono alle 16,30, con appena mezz’ora di pausa pranzo. Da trascorrere fuori. «La scuola ha allestito dei bellissimi spazi riposo con i fondi del Pnrr, soldi che sono stati investiti per il recupero del benessere dei ragazzi – hanno fatto notare le rappresentanti di classe nella lettera all’Usr –, ma se poi non si possono utilizzare in momenti di reale necessità non ne comprendiamo la spesa». I ragazzi hanno violato la regola che impone loro di uscire da scuola, dove non possono stare se non per le lezioni e ben sorvegliati. Ne potrebbero dedurre che non sia un luogo adeguato dove studiare, incontrarsi, dibattere. Si dirà che a scuola non si può restare fuori orario per una questione di responsabilità nei loro confronti, norme burocratiche varie, contratto collettivo nazionale del lavoro, locali inadeguati. Succede in molte altre scuole superiori, un problema simile si era presentato l’anno scorso al liceo artistico Cottini. I genitori si sono anche offerti di pagare una sorveglianza extra, come alle elementari. Ma davvero i liceali non si possono autogestire per mezz’ora? La questione sarà esaminata lunedì dal Consiglio d’istituto del Regina Margherita, chiamato a decidere per tutte le classi che hanno la pausa di mezz’ora. Ma si teme che qualunque scelta venga adottata debba aspettare il prossimo anno scolastico. Altre norme, altra burocrazia a bloccare le scuole che per altro cercano disperatamente di cambiare. Alle superiori si moltiplicano gli indirizzi, i programmi, le curvature. Ma l’organizzazione del tempo e degli spazi non si adegua e resta indietro. Sarà per il prossimo anno.Infatti   «Se possiamo insegnare l’inglese ai bambini delle elementari, perché non possiamo fare lo stesso con l’educazione emotiva ed  alla legalità ?». Gabriele Plumari, manager e autore di narrative psicopedagogiche, ha ben chiaro il tipo di approccio che, al giorno d’oggi, sarebbe indispensabile tra giovani e adolescenti. Nei suoi libri, infatti, l’autore affronta i drammi adolescenziali per proporre una rivoluzione educativa e culturale, ma che possa essere alla portata di tutti. «Si tratta di un’educazione non solo della mente, ma soprattutto del cuore» racconta Plumari: i suoi libri, "Paolo e i Quattro Mostri" e "10 – La Perfezione dell’Imperfezione" fanno

immergere i suoi lettori in un mondo vero e diretto, fatto di dolore, di sofferenza, ma anche di rinascita e speranza. Nel primo libro, Paolo cresce in un ambiente crudele, segnato da abusi sessuali, violenza fisica e bullismo. L’unico conforto è il cibo, che diventa il suo “quarto mostro”.Ma  potrebbero essere   anche  le  droghe e  lo  sballo  . Questi mostri, metafora delle sue dipendenze e traumi, lo accompagnano fino all’età adulta, trasformandolo in una persona che perpetua la stessa violenza subita. Ma grazie all’amore e al supporto, “le catene di odio” possono essere spezzate.  E  fenomeni come  violenza  di genere  e   femminicidio   debellare o ridurre  
Nel secondo libro, invece, si parla di Marta, un’adolescente brillante e disciplinata, che insegue la perfezione in ogni aspetto della sua vita: a scuola, nella danza e persino nel controllo del cibo. Cresciuta in una famiglia ossessionata dal successo e dall’apparenza, si trova schiacciata sotto il peso di standard irrealistici. È un viaggio tra pressioni sociali e complessità dell’adolescenza, ma che permette una profonda riflessione sul concetto di felicità. «I miei libri non sono semplici racconti – spiega Plumari – ma degli specchi che riflettono la realtà di oggi. Gli adolescenti devono affrontare sempre più drammi, e spesso si ritrovano ad “affogare” nella loro solitudine. Vorrei davvero che ci fosse un cambiamento, che può avvenire solo attraverso l’impegno di noi adulti». Dietro le sue storie, infatti, c’è un progetto più grande: il sogno di una rivoluzione educativa. Secondo Plumari, infatti, ci sarebbe la necessità di introdurre dei percorsi di educazione sentimentale nelle scuole, supportati dalla presenza di terapeuti che possano fungere da ponte tra insegnanti, genitori e alunni. «La nostra società è sempre più connessa, ma sempre più fragile – sottolinea l’autore – e i nostri ragazzi si ritrovano soli, i genitori e i docenti sono spesso impreparati ad affrontare le nuove sfide emotive. Vorrei un mondo in cui i problemi fossero prevenuti attraverso un cambiamento culturale e scolastico, in cui ogni bambino possa essere accolto e guidato verso una crescita emotiva consapevole». La sua scrittura evidenzia come una maggiore consapevolezza emotiva potrebbe prevenire molti dei drammi che popolano le cronache: suicidi, violenze, isolamento e disturbi psicologici.  

Video correlato: Pedagogista di genere Biemmi: "Il patriarcato è nei libri di scuola" (Il Messaggero)

Per Plumari, la chiave è formare una generazione capace di affrontare le difficoltà con empatia e resilienza, rompendo il ciclo di sofferenza che troppo spesso caratterizza la crescita. L’anima creativa del manager, inoltre, ha uno stile ben preciso, basato sulla semplicità e la chiarezza. «Vorrei raggiungere tutti, anche chi non legge abitualmente. Non mi interessa impressionare con lo stile. Mi interessa che il mio messaggio arrivi forte e chiaro, e che sia capace di sostenere i bambini più vulnerabili, di formare genitori più consapevoli e di aiutare gli insegnanti a gestire la complessità delle nuove generazioni. «Dietro ogni tragedia c’è l’opportunità di riscatto, e dietro ogni difficoltà si nasconde una possibilità di crescita», aggiunge Plumari, convinto che una rivoluzione “gentile” sia indispensabile, ma perfettamente attuabile. «Basta solo volerlo. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi». 

16.12.23

diario di bordo n°24 anno I dopo le minacce il licenziamento dalla cooperativa di Roberto Mantovani, alias Red Sox, il taxista che rispetta la legge sul poss., Si risposano 43 anni dopo il divorzio: “Ci riproviamo per la seconda volta” Si ritrovano 43 anni dopo essersi detti addio e ci riprovano.,la sostituzione dei giornalisti con l'intelligenza artificiale

  canzone  suggerita

Gracias a la vida - versione di Ginevra di marco

Vi ricordate la storia di Roberto Mantovani, alias Red Sox, il tassista bolognese dichiaratamente antifascista che ha combattuto con coraggio i colleghi No-Pos (e No-Tax…) pubblicando ogni giorno gli incassi del proprio lavoro, tanto in contanti quanto digitali.Ebbene, dopo le gomme dell’auto tagliate, minacce, insulti di ogni genere, poco fa la notizia che Red Sox è stato addirittura sospeso dalla cooperativa per cui lavora.Invece di premiarlo ed elevarlo a esempio, Mantovani è stato sanzionato con motivazioni a tratti surreali, adducendo sue presunte dichiarazioni lesive degli associati.Invece di difendere Mantovani da vandalismi, violenza verbale e avvertimenti, lo si isola e lo si tratta come una specie di pericolo pubblico. D’altronde, in un Paese che dichiara guerra ai pos e in cui la Presidente del Consiglio definisce le tasse “pizzo di Stato” è perfettamente in linea e coerente. Il mondo al contrario, questo sì, davvero.Piena e massima solidarietà a Roberto Mantovani, sicuro che andrà avanti con la sua battaglia per la legalità e la trasparenza.





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Si risposano 43 anni dopo il divorzio: “Ci riproviamo per la seconda volta”
Si ritrovano 43 anni dopo essersi detti addio e ci riprovano. "Adesso che siamo in pensione entrambi, abbiamo pensato che sia giusto risposarsi...






Si sono nuovamente scelti dopo essersi detti addio 43 anni fa. Una storia incredibile che ha fatto presto il giro del mondo: parliamo dell’amore (ri)sbocciato tra Jazmín Olguín e José Manuel Tovar. Erano diventati marito e moglie da giovanissimi, poi lei diede alla luce tre figlie. Sembrava la famiglia perfetta e vi erano tutti i presupposti per la felicità. Tuttavia, le cose si misero male e l’amore precipitò mentre i litigi erano ormai all’ordine del giorno. Divorziarono e stettero lontani l’una dall’altro per ben 26 anni. Una vita intera. Le figlie erano ormai grandi e i due si ritrovarono.
“Abbiamo iniziato una relazione più libera”, ognuno poteva vivere il nuovo riavvicinamento a modo suo, senza oppressione, reduci e memori dalla prima esperienza insieme, stavolta hanno deciso di procedere con i cosiddetti “piedi di piombo”. Ed è andata avanti così per 17 anni, fin quando non hanno compreso di nuovo di essere troppo innamorati per non riprovarci a giurarsi amore eterno in chiesa, di nuovo davanti ai propri cari. Causa forza maggiore, chiaramente, tra gli invitati mancava qualcuno stavolta.



Ma, rovescio della medaglia, c’era qualche new entry, come appunto le tre figlie della coppia, oltretutto decisive per il grande riavvicinamento dei genitori. “Le nostre figlie ci hanno detto: ‘Non troveremo mai un padre bravo come te o una madre brava come te’. Abbiamo parlato e abbiamo deciso di ricominciare la nostra relazione e ora che siamo in pensione, lei mi ha chiesto di sposarmi”, ha raccontato l’uomo ai media locali. Tutto è bene ciò che finisce bene. A volte si comprende subito cosa si vuole dalla vite, a volte ci vogliono 43 anni, come nel caso di José e Jazmin. E allora, di nuovo auguri!
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20.7.23

ma prima di modficare le leggi sui reati di mafia ci pensano o fanno finita solo per fare parata e gazzosa a cosa ha vissuto e vive questo paese ora che le mafie sono ovunque non più solo al sud ?

 dopo   la  firma   del decreto che  abolisce  il reato dell'abuso d'uffico   e la proposta  (  speriamo resti  una  proposta per tranquillizzare  i sodali mafiosi )    in ricordo delle   stragi  del 1992     di abolire il reato   d'associazione    mafiosa   e il  solito pistolotto ipocrita  «Combattiamo le zone grigie»  che  vie  pronunciato ogni   anno     all'anniverario  di Facone  e Borselino ,   mi chiedo   la stessa   del titolo  del blog  e  del    post   , vedere  sotto , di 

  Leonardo Cecchi 

Quando qualcuno dice di voler mettere mano ai reati per mafia, depotenziandoli, dovrebbe pensare a cosa ha vissuto e vive questo Paese.

Era il 20 luglio quando questi tre ragazzi furono crivellati con oltre 40 colpi di fucile mitragliatore. Si chiamavano Alberto Vallefuoco, Rosario Flaminio e Salvatore De Falco. Avevano tutti vent’anni o poco più. Erano semplici tirocinanti in un pastificio a Pomigliano d’Arco. Avevano da poco vinto una borsa di lavoro e stavano imparando il mestiere, con la speranza di venire assunti. Tutti e tre bravi ragazzi, nessuno aveva a che fare con la camorra. Il 20 luglio, mentre prendevano un caffè in pausa pranzo al bar vicino lo stabilimento, un commando di camorristi fermò la macchina davanti a quel bar, aprì il fuoco e li uccise tutti. La “colpa” fu della Y10 di uno dei tre, scambiata per quella di un camorrista di un clan rivale. Y10 che, pensate, non era neppure sua, ma del padre, che gliel’aveva prestata per andare a lavoro. Quei ragazzi vivevano con i genitori e non potevano neppure permettersi un’auto. Come sempre, dopo la strage la camorra iniziò a diffondere bugie sul loro conto. A infangarne la memoria.Furono i colleghi della fabbrica a opporsi, a fare quadrato e a difendere la loro memoria, mettendo un freno alle bugie che già iniziavano a girare sul loro conto. Uccisi a vent’anni per uno scambio di persona. Oggi avrebbero famiglia. Ci pensi chi parla di modificare le leggi sulla mafia.

11.7.23

L' AMORE PER UN FIGLIO TI FA' COSTITUIRE E RITORNARE IN CARCERE A SCONTARE LA PENA LA STORIA DI PIERO BASILE

 di  solito  si  sente  parlare ,    vedere  i  lik  sotto  i  recenti  casi  di conaca   solo per  citare i più clamorosi 

di generazioni allo sbando o succubi  dei  like      . invece oggi propongo una storia , sarà una mosca bianca ma fa ben sperare,  di Piero Basile Pietro Basile, il 29enne latitante condannato a 16 anni di reclusione per l'omicidio del padre Franco, 42 anni, la notte di Capodanno del 2014 nella loro casa dopo l'ennesimo litigio in famiglia.


da la nuova sardegnas del 11\7\2023
«Pietro si è costituito per suo figlio»Nuoro Parla la compagna di Basile, il giovane che era latitante da 13 mesi Daniela Agus ha una voce serena: «Sono contenta che l’abbia fatto, che si sia deciso per il fi- glio. Finalmente il bambino potrà conoscere il padre».

Lei è la compagna di Pietro Basile, il giovane di Bitti che ha messo fine alla latitanza dopo 13 mesi, durante i quali è diventato padre. Basile si è consegnato ai carabinieri di Nuoro. Il giovane finiva di scontare la condanna a 16 anni per aver ucciso, nel 2014, il padre Franco. Sono contenta che l’abbia fatto, che si sia deciso per il figlio. Finalmente il bambino potrà conoscere il padre». Daniela Agus è la compagna di Pietro Basile, il giovane di Bitti che ieri ha messo fine alla latitanza dura- ta 13 mesi e 24 giorni, durante i quali è diventato padre. Basile, assente ingiustificato dal 24 maggio dello scorso an- no e poi latitante, ieri mattina alle 13 ha varcato l’ingresso del Comando provinciale dei carabinieri di Nuoro. Con lui il suo avvocato, Angelo Manconi, ad attenderlo il comandante provinciale Elvio Sabino Labagnara, quello del Nucleo investigativo Francesco Giola, il sostituto procuratore della Repubblica Giorgio Bocciarelli. C’era anche don Alessandro Muggianu, ex parroco di Mamone, dove Basile stava finendo di scontare la condanna a 16 anni per aver ucciso, nel 2014, il padre Franco, al ter- mine di vessazioni e violenze imposte dall’uomo a tutta la famiglia. La costituzione di ieri è il culmine di un percorso di riflessione di Pietro Basile: per la sua sorte si era temuto il peggio, dopo che si era letteralmente volatilizzato, non rientrando a Mamone dal quale era uscito per un permesso premio. 



Per sostenere gli esami di ammissione alla maturitàall’Istituto alberghiero Oggiano di Siniscola. Prove superate, avrebbe dovuto fare l’esame, ma qualcosa, nel meccanismo virtuoso di questo ragazzo, si era improvvisamente rotto. «Si è sentito sotto pressione, per lo studio, per la tensione, per il bimbo che stava arrivando. Ha pensato di risolvere con una fuga. Sbagliando», lo dice l’avvocato Man- coni al quale Basile si è rivolto nei giorni scorsi. Non ci sono versioni ufficiali, ma si capisce che il giovane è sempre stato nella zona di Bitti. Qualcuno, probabilmente i famliari stretti, lo ha aiutato in tutto questo periodo. Anche a riflettere su cosa ci fosse in gioco continuando in una latitanza inutile, arrivato pratica- mente a cento metri dal traguardo di una vita normale. Nel momento in cui si è allon- tanato aveva in tasca il biglietto per la semilibertà. Eppure. Un vissuto tormentato, un presente incerto e le incognite del futuro, la paternità. Ma alla fine è stata questa la chiave di volta che lo ha convinto ad affrontare tutto quello che la fuga, tecnicamente una vera e propria evasione, comporterà. «Voglio vedere mio figlio» ha detto all’avvocato, e evidentemente il passo successivo era costituirsi. Quindi, con il legale, ha cominciato a creare le condizioni per la costituzione. Ha avvisato la famiglia, e la famiglia ha chiesto che al momento giusto ci fosse anche don Muggianu, una figura importante per Pietro Basile negli anni a Mamone. Ieri mattina i due si sono parlati per pochi minuti, poi a Basile è stato notificato l’ordine di carcerazione ed è stato condotto a Badu ’e Carros. «C’è stata umanità, accoglienza da parte dei carabinieri», ha sottolineato l’avvocato Manconi. E il colonnello Labagnara ha specificato che «Abbiamo apprezzato il gesto della costituzione, non ci ha voluto dire altro ma comunque è stata una scelta corretta». Ora Pietro Basile dovrà finire di scontare la pena, allungando una conclusione che era a un tanto così nel mo- mento in cui si è allontanato, dicendo alla sua compagna che avrebbe fatto delle commissioni. Lasciando in casa il cellulare, il portafoglio, i documenti serviti per sostenere l’esame, tutto quanto rima- sto sul tavolo della casa che i due condividevano. Via senza neanche un cambio di ve- stiti. C’erano stati appelli, ricerche anche di volontari, e delle forze dell’ordine. Pietro non si trovava, nessuna voce dalle campagne sembrava indicare che fine avesse fatto. Nel frattempo, è nato il figlioletto. La riflessione ha porta- to Basile all’unica conclusione accettabile, tornare. Ora sarà processato per l’evasione. Ma riprenderà in mano i libri e la sua vita. E incontrerà il figlio. Finalmente.

26.12.22

Il sogno di una giovane donna: vincere la criminalità seguendo Falcone e Borsellino In "La ragazza che sognava di sconfiggere la mafia" la magistrata Annamaria Frustaci racconta dell'educazione "civica" di Lara, 13enne calabrese con il sogno di fare la giornalista

  fonte    repubblica  del  25\12\2012 



Lara è una ragazzina di 13 anni che da grande vuole fare la giornalista. Ma anche fare la scrittrice le piacerebbe molto. Vive in una terra difficile, impenetrabile, misteriosa come la Calabria. Una terra nella quale, spesso, anche soltanto pronunciare la parola “giustizia” diventa quasi un’impresa. Lara l'ha capito presto, tra gli ulivi del nonno, alle prese con i soprusi del vicino di casa, e sui banchi di scuola, dove a dettare legge sono Totò – un coetaneo della ragazza - e i suoi amici.
Un giorno, in un edificio abbandonato, Lara e Totò trovano un cagnolino bianco e morbido, che guaisce chiedendo aiuto. È lei a vederlo per prima, eppure il ragazzo reclama il suo diritto di tenere il cucciolo tutto per sé. Lo fa con la rabbia e la prepotenza del bullo, del “malacarne” che ha un destino segnato. Non ci sta Totò a farsi portare via il cucciolo da quella ragazzina che lo affronta a testa alta, senza paura. Ma Lara ha ormai intuito che il solo modo per sconfiggere la mafia, che si insinua tra le case e le vie del paese, è guardarla in faccia con onestà e coraggio. Così decide di fare a Totò una proposta che non può rifiutare.
 
Lara sceglie insomma da che parte stare, sceglie il destino suo e, con esso, cambia quello del suo intero mondo. [ ... ]

il  libro La ragazza che sognava di sconfiggere la mafia scritto da Annamaria Frustaci (  foto a  destra  ) , magistrato  (  ops   magistrata     atrimenti  i  politicamente  corretti   si offendono  e     ti  danno  del sessista  ) del pool guidato a Catanzaro dal procuratore Gratteri, è un libro per bambini che ha il
grande pregio di far riflettere i grandi. Frustraci, nata proprio a Catanzaro ma cresciuta a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, le zone che racconta le conosce bene. Tanto che, dopo la laurea a Pisa, in Calabria è voluta tornare per lavorare in quella squadra di magistrati che ha rivelato i legami tra criminalità organizzata, politica e imprenditoria.
Ora Sempre   secondo  repubblica   l'ispirazione  del libro    sarebbe   venuta dall'incontro che le ha cambiato la vita è stato quello con Gherardo Colombo: aveva soltanto 14 anni quando il magistrato protagonista dell’inchiesta su Tangentopoli andò a parlare di legalità nella scuola di Anna Maria.
 << Quelle parole  – racconta lei – mi hanno insegnato che è sempre possibile cambiare le cose e lottare per la legalità, anche quando si vive in territori difficili >>. Come succede a Lara, e allo stesso Totò.
[...] Per questo l’autrice ormai da mesi sta girando l’Italia per parlare con i ragazzi delle scuole medie e superiori. Ricordando soprattutto le figure straordinarie di Falcone e Borsellino, magistrati vittime della mafia nel 1992, che aprono il libro con due frasi-simbolo: “Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola” diceva Falcone. “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo” ricordava Borsellino. Parole che Lara – e la sua autrice Anna Maria Frustraci – hanno trasformato in scelte di vita.

 

 per  altre  opere  letterarie  ed  artistiche   contro la  mafia  anzi meglio e mafie     ecco  un elenco   di Saggi, romanzi e inchieste: ovvero  un viaggio nelle mafie in quindici libri fondamentali

19.10.21

La storia del padre che denuncia il figlio 16enne che aveva pestato un compagno di scuola È accaduto a Castrolibero, in provincia di Cosenza. Il giovane ha pestato un ragazzo di 14 anni e, alla fine, ha confessato tutto ai genitori che non hanno esitato e lo hanno portato dai Carabinieri


Questa lettera  e  questo  fatto mi interrogano prima come zio diretto ( la figlia di mio cugino ) ed indiretto  (  il nipote di un parente lontano di mia nonna   paterna  )  e poi come cittadino. Essa Impone a tutti noi una riflessione profonda sulle nostre idee, le nostre convinzioni, sul confine tra le nostre certezze e le nostre debolezze umane. Mi auguro di non vivere mai quello che stanno vivendo i genitori di entrambi, vittima e carnefice, ma mi auguro, se mai dovessi ritrovarmi in quei panni, di avere la stessa dignità di questi genitori. Ma  soprattutto  , mette  in discussione   , le mie credenze  che     certi   genitori    difendo  i  figli a spadfa  tratta  anche  quando  sono  colpevoli  e  li giustificano  sempre  . 
 riprendono  la  news  dal  contatto

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A Castrolibero (Cosenza) accade che un ragazzo di 16 anni massacri di botte uno di 14 e poi confessi tutto ai genitori. In tanti avrebbero difeso il figlio, lo avrebbero coperto, giustificato oltre ogni evidenza. Loro, i genitori dell’aggressore, no. Hanno fatto una cosa molto più semplice e difficile a un tempo: hanno informato le forze dell’ordine. Poi il padre ha spiegato tutto in una lettera di rara dignità e cruda bellezza.
“Da poche ore abbiamo appreso, da nostro figlio, che è lui l'autore dell'aggressione al giovane di Castrolibero. E, da quello stesso istante, il mondo ci è crollato addosso, con una sola certezza: quella di dover informare le Forze dell'Ordine.
Il fatto, da qualunque angolazione lo si guardi, è di gravità inaudita. È grave per la giovane vittima, è grave per la sua famiglia, è grave per nostro figlio, è grave per nostra figlia che,
frequentando quella stessa scuola, rischia di portare il peso di comportamenti non suoi e, se possibile, è ancora più grave per me e mia moglie, che stiamo vivendo il dramma di un fallimento. Perché in questo momento ci troviamo a sperimentare che quello del genitore è veramente il mestiere più difficile al mondo.
Non facciamo altro che chiederci dove abbiamo sbagliato, dopo aver vissuto una vita intera guidati dai valori dell'accoglienza, della correttezza e del senso di responsabilità. Valori lontani anni luce da queste azioni. Non so se avremo mai risposta a questa domanda, ma, proprio sulla base dei valori che ci guidano, riteniamo giusto che nostro figlio impari ad assumersi le sue responsabilità ed a rispondere delle sue scelte e delle sue azioni, sebbene ancora minorenne”.
[....] << Se davvero voglio aiutare mio figlio >> ha dichiarato   a https://www.nextquotidiano.it/  << devo farlo alla luce del sole, non possiamo nasconderci. C’è bisogno che la comunità capisca”, ha scritto il padre del 16enne che aveva picchiato, solo qualche giorno fa, un 14enne in un cortile della sua scuola. Perché il giovane, per motivi ancora da chiarire, aveva ripetutamente colpito al volto l’altro ragazzo. E la madre di quest’ultimo aveva condiviso sui social le foto del minore con il volto insanguinato dal letto del Pronto Soccorso della cittadina in provincia di Cosenza.
Lo aveva fatto per cercare la verità dietro a quell’assurda aggressione. Lo aveva fatto per chiedere a chi avesse visto quel pestaggio di farsi avanti e testimoniare. Ma i giorni sono passati, senza notizie in merito. Fino al “crollo” del 16enne che ha deciso di raccontare ciò che aveva fatto al suo compagno di scuola. E, allora, i suoi genitori hanno trovato il coraggio educativo di fare quel che doveva essere fatto: andare dai Carabinieri per auto-denunciare il proprio figlio. E il padre ha spiegato perché ha deciso di portare avanti questa dolorosa decisione: “Il fatto, da qualunque angolazione lo si guardi, è di gravità inaudita. È grave per la giovane vittima, è grave per la sua famiglia, è grave per nostro figlio, è grave per nostra figlia che, frequentando quella stessa scuola, rischia di portare il peso di comportamenti non suoi. Ed è grave per me e mia moglie, che stiamo vivendo il dramma di un fallimento. Perché in questo momento ci troviamo a sperimentare che quello del genitore è veramente il mestiere più difficile al mondo>>.
Credo come lui che tutti dovremmo dir loro grazie per questo esempio in quanto questi sono Genitori di rara correttezza e responsabilità nei confronti della vittima, del figlio e di loro stessi....decisione difficile, molto difficile , ma che in futuro consentirà a questi genitori il poter andare a testa alta davanti al mondo ...... e per il figlio speriamo un grande insegnamento di vita che difficilmente dimenticherà !!! Infatti questa è una vicenda che racconta di come, spesso e volentieri, sia difficile per i genitori rendersi conto di ciò che fanno i propri figli. Ma si racconta anche come ci sia il tempo per recuperare e restituire al mondo un senso di educazione in linea con il proprio ruolo genitoriale.

 Questo per tutti quelli che dicono che dietro ad un qualsiasi gesto, non c'è una buona famiglia. I ragazzi seppur abbiano alle spalle una buona educazione e valori spesso compiono gesti che nulla hanno a che fare con ciò che gli è stato insegnato. Non sappiamo cosa in quel momento gli passava per la testa, questo non significa che i suoi genitori non siano delle brave persone. Il fatto che lui stesso alla fine abbia denunciato la cosa ai genitori vuol dire che le basi le ha... Ora resta solo da capire e lavorare su di lui perché non si ripeta questa violenza. Complimenti ai genitori per la denuncia, la lettera e per metterci la faccia prendendosi tutta la responsabilità.


 

 

17.6.21

I Briganti tornano in campo: donato un pulmino alla squadra di rugby attaccata dalla mafia

 


p.s    i se  il video  non si dovesse  vedere   lo  trovate  qui   non dipende  da me   ma  da  BLOGSPOT  infatti   nonostante  abbia copiato regolarmente il codice   embed  dal sito di repubblicavideo     non  c'è  stato niente  da fare   . Io  ho segnalato  un anno  fa   nel forum  do blogger  il problema   ma  non  ho ma i  ricevuto  riposta  

Rubgy Briganti A.S.D. è una società sportiva nata nel 2006 a Catania, nel difficile quartiere periferico di Librino, per offrire un'alternativa alla strada ai giovani e giovanissimi della zona. Negli anni centinaia di ragazzi si sono alternati nei campi da gioco, passandosi la palla ovale. E questa attività sociale è stata vittima di intimidazioni, atti vandalici o incendiari. L'ultimo, il pulmino che la società utilizzava per portare i propri rugbisti in trasferta per la Sicilia dato alle

fiamme. E' per questo che l'Ance, l'associazione dei costruttori edili italiana, ha deciso di donare un furgone nuovo di zecca ai volontari dell'associazione. "Ci siamo subito messi in contatto con loro  perché la loro iniziativa va sostenuta e noi siamo i primi ad essere al loro fianco", ha spiegato il presidente di Ance Gabriele Buia. "Noi non ci sentiamo in pericolo perché siamo una squadra e non molliamo - ha detto Giusi Sipala, vicepresidente della squadra - e tornare in Sicilia con questo nuovo pulmino vuol dire fare una smorfia a chi ha dato fuoco a quello vecchio".

4.6.17

Se la mafia non è il nemico ma lo è la cultura mafiosa (di M.Galli)

da http://www.alessioporcu.it/commenti/galli-mafia-cultura-mafiosa/  del  

di Marco GALLI

Sindaco di Ceprano


Il problema più complesso non è combattere la mafia (  anzi le mafie  aggiunte  mia  ) , ma la cultura mafiosa che la sostiene, si prostra, la difende.Un’impresa ancora più difficile in una nazione che ha fatto del clientelismo e del servilismo verso i potenti una peculiarità quasi unica, tra i Paesi avanzati del continente. Una nazione dove l’onestà non è di moda, così come la legalità. E che per questo sconta un livello di corruzione altissimo, con un costo in termini economici e di qualità della vita che non ha uguali.





Il ritardo dell’Italia sul piano economico e sociale non è dovuto al mancato investimento di risorse. Ma dalla corruzione che ha deviato gli investimenti nelle tasche dei mafiosi e dei politici corrotti.Purtroppo ancora oggi si fa troppo poco e i centri di potere restano sostanzialmente gli stessi, anche se cambiano nome, simboli e slogan, dimostrando una capacità di adattamento straordinaria. Li facilita una non cultura che si è incardinata su un populismo strisciante privo di reali contenuti.A questo si aggiunga l’assenza del cambiamento, frutto anche della non alternanza al Governo di questo Paese per oltre 50 anni.Non sarà facile modificare questo stato di cose, perché non è modificando un logo o un simbolo che si può trasformare in meglio il presente. Basta sfogliare i giornali per rendersi conto di questa generalizzata e trasversale illegalità.Serve una rivoluzione culturale che mobiliti le forze sane del Paese che ora sono indifferenti, perché ritengono inutile impegnarsi. Ma per cambiare, mandando a casa chi da trent’anni occupa posti di “comando” e condiziona la vita politica dei territori, non ci sono alternative.E qui ritorna il discorso della legalità, quale elemento indissolubile per creare un Paese “normale”.La legalità come pari opportunità, come giustizia sociale, come prospettiva di sviluppo, perché soltanto rispettando le leggi tutti potranno sentirsi a pieno titolo portatori di diritti e doveri in questo Paese.Ricco e povero, bianco e nero, di destra e di sinistra, maschio e femmina il rispetto delle norme consente tutti di essere semplicemente cittadini con i medesimi diritti e doveri, in un Paese straordinariamente “normale”.





4.4.17

conta e cammina edizione 2017 tempio pausania 3\4\2017 reading di mafia caporale Giuseppe de Trizio ( musiche ) e Leonardo palmisano ( Testi )

L'impressione   che mi sono fatto assistendo  al  reading  (  Leonardo Palmisano testi e lettura  ., Giuseppe de Trizio musiche )   di mafia caporale tenuto a il 3\4\2017 a  tempio  pausania 







 per l'edizione   di quest 'anno  di  conta  e  cammina    Festival della Legalità in Sardegna unico nel suo genere, con proiezioni, spettacoli teatrali, libri, laboratori interattivi, mostre, tappe itineranti, e appuntamenti mirati dai 0 ai 100 annidi    è che  esiste  ( per  parafrasare  un  famoso  libro )  una quinta  mafia  che non è quella  classica  ( 'ndrangheta  , mafia   ,camorra  , sacra corona unita ,mafie  straniere  )   ma  è  fatta di mentalità  ,  di clientelismo  ,  di piccola e grande e corruzione    non solo finanziaria  ,ecc. ma  soprattutto del  io  no vedo  , io  non parlo io non sento , che  possono essere  sintetizzati   o nelle tre  scimmiette  (  🙈🙉🙊  )  o  negli indifferenti di Gramsci .Essa non ha  un luogo  geografico  fisso   ma   si estende   da sud  a  nord   indistintamente , mescolandosi \  vivendo in simbiosi    con illegalità e   con quella  classica  o nuova vedi esempi dei Casamonica  e  di mafia  capitale ovvero riciclaggio    di denaro e sfruttamento   quella che Loretta Napoleoni chiama  economia  canaglia
Infatti


mafia caporale
Dopo GHETTO ITALIA, premio Livatino contro le Mafie, Leonardo Palmisano continua la sua inchiesta sul mondo del lavoro.
Il Global Slavery Index 2016 – il rapporto annuale sulla schiavitù nel mondo – conta in 129.600 le persone ridotte in schiavitù in Italia, collocandoci al 49esimo posto nel ranking dei 167 Paesi presi in considerazione. In Europa unicamente la Polonia fa peggio.
Siamo il vertice europeo della sparizione dei minori non accompagnati (a un ritmo di 28 al giorno, secondo l’Oxfam) e dello sfruttamento delle prostitute provenienti dalla Nigeria e dai Paesi ex Socialisti, ma siamo soprattutto lo Stato dove caporalato e impresa tendono a fondersi con le più consolidate organizzazioni mafiose. Questo intreccio è Mafia Caporale. Il business di questa metamafia è l’illecito sfruttamento del lavoro. Dall’agricoltura ai servizi, fino alla piccola industria, il mercato del lavoro si riempie di lavoratori e di lavoratrici schiavizzati.
Mafia Caporale è oggi più forte del collocamento pubblico, e dà vita a una moltitudine di agenzie di somministrazione lavoro dentro le quali lava somme inimmaginabili di denaro sporco.
Sarte, braccianti, camgirls, muratori, prostitute, blogger, coccobello!, lavavetri, parcheggiatori, vigilanti, camionisti, mendicanti e minori, sono solo alcuni dei volti della schiavitù di cui ci parla Leonardo Palmisano nel suo viaggio dal nord al sud di Italia dove ha incontrato personalmente ognuno di loro, e per ognuno ha raccolto una storia, un’immagine, un ritratto.
Non si può rimanere indifferenti dopo la lettura di Mafia Caporale, ogni storia rimane impressa nella memoria.Questo accade ogni giorno in tutta Italia.

 da   http://www.fandangoeditore.it/shop/documenti/mafia-caporale/


Peccato per la scarsa partecipazione !  Ma  si sa  certi argomenti non interessano non fanno presa  o    forse  perchè l'autore  e  poco noto   .Ma  pazienza  ,  le  vere  lotte    le hanno iniziate  sempre  in pochi  . E  stato davvero molto interessante  e  coinvolgente esserci  !


Non si sentiva   volare  una mosca  tanto    s'era     attenti  e coinvolti nello spettacolo .   Grazie agli organizzatori !!  ma  soprattutto agli autori  per  aver  ricordato e  ribadito  , cose  certo  già note  ed  endemiche in  italia  dal metà del  XIX  e per  tutto  il  XX   secolo  ,  con forza  e coraggio .



«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...