«Vietare di fumare per strada quando chi cammina respira i tubi di scappamento è solo ambientalismo talebano. E poi chi farà rispettare i divieto?» si chiede anche lui, concordando su tutti dubbi con il verde Monguzzi. Saranno forse «i vigili urbani invece di presidiare le periferie o i navigli o la Stazione Centrale?», polemizza sempre lo stesso Gallera. Ma sono commenti che seguono solo logica e buonsenso. Inoltre è il classico ecreto propagandistico \ innaplicabile o applicabile all'acqua di rose visto che , sempre dalla sstessa fonte , A essere critici e quantomeno dubbiosi sono proprio quelli che dovrebbero crederci di più. Come Carlo Monguzzi, storico Verde della Giunta Sala, ormai spesso spina nel fianco dell'amministrazione cittadina, pronto a strappare, peraltro, senza troppa difficoltà, il velo ambientalista di facciata. «Benissimo il divieto di fumo - ovviamente plaude Monguzzi sui social - Che peccato non aver fatto neanche una minima campagna di informazione: c'erano 4 anni di tempo», fa notare. E infatti il provvedimento non è né di oggi né di ieri. La decisione del Consiglio comunale risale al 2020. Entra in vigore mercoledì prossimo, ma bisoga ammettere che in giro al momento non c'è un cartello, non un'informazione diffusa e capillare ai cittadini. «Da tanti anni - continua Monguzzi - c'è il regolamento dell'aria, fatto da Granelli (attuale assessore alla Sicurezza ndr). La prima parte cioè il divieto di fumo nei parchi, stadi, fermate bus, in vigore da 3 anni è stata un flop: 7 multe in 3 anni». Un paio all'anno, praticamente nulla. A Milano è un po' così: i divieti continuano a crescere, ma spesso solo sulla carta, senza essere accompagnati di pari passo con i necessari controlli. E quindi, spesso restano lettera morta. Oppure spariscono, giustamente e fortunatamente. Come non ricordare il divieto di mangiare il gelato durante l'estate... .Monguzzi prosegue. «Pensavo che visti gli errori del passato e l'importanza dell'iniziativa si facessero le cose seriamente». Un pensiero che sicuramente condivideranno in parecchi. «Seriamente» infatti significa ad esempio dare adeguate informazioni ai milanesi, ma anche a chi milanese no è, magari arriva dall'estero in visita alla città e non è tenuto a sapere provvedimenti così importanti ma relegati entro il confine comunale. Ma «seriamente» significa anche altro. «Seriamente» (prosegue Monguzi) significa agire «anche per evitare strafalcioni: sento dire che la sigaretta inquina come il traffico! - commenta con tanto di punto esclamativo il Verde - Non è vero, il contributo al pm 10 del traffico è il 45%, quello del fumo di sigaretta è il 7%. Proprio un peccato - conclude - ma l'unica attività di questa giunta è comunicare ai giornali. Speriamo nella fantasia dei milanesi». Non mancano i commenti che rincarano il tono del suo post. E vanno da un «Tranquilli, il divieto durerà (o avrà l'effetto) di un ghiacciolo ad agosto in piazza Castello», a «Non ci sono controlli! In metropolitana a Crescenzago, le persone fumano sotto i minuscoli cartelli che indicano il divieto. E nessuno vede o sanziona, neppure l'inutile controllore nel gabbiotti». Un provvidimento da "Ambientalismo salutista talebano" Quindi che fare ? semplice evitare il proibizionsmo ed usare : il buon senso ed il galateo del fumatore \ della sigaretta e la prevenzione anche con immagini shock , un mio amico ha diminuito ed u altro ha smesso di fumare dopo aver visto tale pubblicità straniera . Stavo per premere pubblica quando mi arriva la Newletters di watsapp dell'amico emiliano moroneBuongiorno per tutto il giorno. Dovevo raccontare questa storia esemplare: Salvatore Mazza è campione italiano di #taekwondo, ma soltanto otto anni fa era obeso e fumava come un turco. Il cambiamento è avvenuto con la passione, le motivazioni giuste e la fiducia in se stesso, grazie a due guide di grandissimo livello: i maestri Zeno Mancina e Jessica Talarico. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria.Grazie per l'attenzione e cordiali saluti.Emiliano Morrone
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
27.12.24
divieto dei fumare all'aperto della regione lombardia "Ambientalismo e proibizionismo talebano".
10.10.24
«Mi rimanevano 3 anni da vivere a causa di un tumore terminale, ma una nuova passione mi ha rimesso al mondo»
Un tumore terminale che le lasciava tre anni di vita: «Pensavo che la mia vita fosse finita», ricorda la giovane mamma con angoscia. Poi qualcosa è cambiato e una nuova passione le ha permesso di rinascere, di riprendere in mano il suo futuro e combattere per rimanere il più a lungo
possibile con la sua famiglia, per veder crescere i suoi figli e trovare la felicità, giorno dopo giorno. Ora Michelle sogna di diventare un'atleta e partecipare al triathlon, nonostante non sapesse né nuotare né andare in bici, e questo obiettivo le ha dato modo di esplorare una nuova prospettiva: «Il cancro non mi definisce».Il viaggio di Michelle
Michelle Hughes aveva 34 anni quando, dopo la nascita del suo terzo figlio, è collassata in casa. Non ci è voluto molto per la diagnosi: numerosi tumori ai polmoni e 15 cisti al fegato. Inoperabili. I dottori le hanno detto che le rimanevano tre anni. La prima reazione è stata terribile: «Improvvisamente ho perso la vita che avevo immaginato per me e la mia famiglia». Poi un sogno l'ha fatta uscire dal tunnel e ha iniziato un percorso per diventare una triatleta, pur non essendosi mai dedicata né alla corsa né al nuoto. Eppure da allora ha preso parte a 12 eventi podistici, tra cui una mezza maratona. Ad agosto ha completato un mezzo triathlon - come riporta il DailyMail - ripercorrendo il tragitto dall'ospedale dove ha ricevuto la diagnosi fino alla sua casa estiva. Proprio quest'impresa è stata trasformata in un breve documentario. Sui social scrive: «Tenevo in braccio il mio bebè di tre settimane ed ero seduta accanto a mio marito quando l'oncologo ha detto che mi restavano cinque anni di vita, probabilmente tre. Le mie bambine avevano cinque e due anni all'epoca». La consapevolezza di non avere molto tempo a sua disposizione l'ha spinta a vivere il più intensamente possibile: «Non avevo capito, allora, che la mia vita era appena iniziata. Mi era stato fatto il dono di sapere che sarebbe stata più breve di quella di molti altri, e dovevo smettere di stare seduta ad aspettare la morte». Alla Michelle è stato diagnosticato un raro sarcoma chiamato emangioendotelioma epitelioide (EHE), che ha origine nelle cellule che rivestono i vasi sanguigni, più comune tra i giovani, gli adulti di mezza età e le donne.Oggi ha 37 anni, sono passati tre anni dalla diagnosi, e ha realizzato il suo sogno: «A tutti i miei compagni che lottano contro il cancro, ai ai sopravvissuti, ai vincitori e a quelli che il cancro ha rubato, lo faccio per voi. Per noi. Ora sono una triatleta».
22.8.24
Morte Giovanni Iannelli, condannati organizzatori gara. Il dolore del padre
Apro come di consueto il portale msm.it\ bing è leggo ( trovate sotto l'articolo in questione ) della bella notizia finalmente un po' di giustizia anche se in primo grado per il padre carlo e tutta la famiglia ,della condanna per ora in primo grado , degli organizzatori della gara in cui mori il povero Giovanni Ianelli ( foto a sinistra ) di cui parlai a suo tempo in questo blog , vedere archivio post per i dettagli degli insabbiamenti e le manomissioni dei verbali ed altro dei pezzi grossi co relative coperture politico \ amministrative . riassumiamo la vicenda per ch non volesse andare a leggere i precedenti miei post compresa l'intervista al padre Carlo .
Il resoconto della vicenda che ha fatto seguito alla morte di Giovanni Iannelli causata dalla caduta nell'87° Circuito Molinese, a Molino dei Torti (Al), il 5 ottobre 2019 con Le irregolarità e gli insabbiamenti e l'orreda vicenda giudiziaria penale
come è morto Giovanni
Giovani Ianelli Era morto il 7 ottobre del 2019 a soli 22 anni durante una gara ciclistica in Piemonte, ora al termine del processo di primo grado il Tribunale di Alessandria ha condannato gli organizzatori a pagare agli eredi circa 1 milione e 100 mila euro di risarcimento. Il giovane ciclista dilettante di Prato, Giovanni Iannelli, era caduto nella volata finale di una corsa a Molino dei Torti, in provincia di Alessandria, ed era morto dopo 36 ore di agonia nell’ospedale della cittadina piemontese. La vittima correva con la squadra del team Hato Green Tea Beer.L’incidente era avvenuto il 5 ottobre all’arrivo dell’87/o Circuito Molinese: a 70 chilometri all’ora, Iannelli, dopo un contatto con altri corridori nel centro del gruppo, a 100 metri dal traguardo, era sbandato finendo contro un muro. Nel violento urto il casco è andato completamente distrutto e il ciclista pratese ha riportato gravissime lesioni. Era stato sottoposto a intervento chirurgico, ma le sue condizioni erano peggiorate e il 7 ottobre era infine deceduto
di CINZIA GORLA • dal Corriere Toscano 1 ora/
PRATO
Morte Giovanni Iannelli, il tribunale di Alessandria ha condannato in primo grado a risarcimento di 1.1 milioni gli organizzatori dell’ 87esimo Circuito Molinese in cui perse la vita Giovanni Iannelli il 7 ottobre 2019, in seguito a un tragico incidente avvenuto nella gara a Molino dei Torti, in provincia di Alessandria.
Aveva solo 22 anni Giovanni Iannelli, promessa del ciclismo di Prato. Giovanni morì in ospedale.Da allora babbo Carlo Iannelli, avvocato, si batte senza sosta per avere giustizia per suo figlio. Sempre puntando il dito. Sempre con accuse ben precise.Babbo Carlo Iannelli via social: “Questa sentenza costituisce una pietra miliare per la sicurezza dei corridori di ogni età, di ogni categoria, di oggi e di domani. La sentenza civile emessa dal giudice del tribunale di Alessandria in un certo qual modo mi fa ancora più male poiché stabilisce che la morte di mio Figlio Giovanni doveva e poteva essere evitata, che Giovanni è stato ammazzato. Inoltre, rimangono ancora tanti aspetti oscuri ed inquietanti di questa vicenda orrenda, disumana ed agghiacciante che devono essere chiariti in sede giudiziaria affinché coloro che si sono adoperati con le menzogne, con i depistaggi per coprire, per insabbiare l’omicidio di un ragazzo innocente di 22 anni vengano giustamente puniti. Per il bene di tutti”.
Poi: “Al sottoscritto, alla mia famiglia questa sentenza non interessa, non è mai interessata. Avviai la causa civile come moto di reazione alle umiliazioni che la Federciclismo stava infliggendo a mio figlio Giovanni. Al sottoscritto in particolare interessava ed interessa che venga celebrato un giusto processo per accertare la verità ed assicurare davvero la giustizia per la morte di mio figlio Giovanni. Affinché questa morte ingiusta ed evitabile serva a concentrare l’attenzione sul tema troppo spesso ignorato della sicurezza alle corse ciclistiche, serva ad evitare altri corridori morti a 144 metri dalla linea di arrivo. Affinché la vicenda giudiziaria di mio figlio Giovanni serva a fare un po’ di pulizia in questo Paese”.
4.7.24
La favola dell’underdog: non aveva mai vinto una partita prima di Wimbledon! Chi è l’avversario di Musetti al 3° turno
La favola dell’underdog: non aveva mai vinto una partita prima di Wimbledon! Chi è l’avversario di Musetti al 3° turno
A volte lo sport regala favole che sembrano uscire direttamente dalla fervida mente di qualche autore fantasy. Ed è certamente questo il caso di un giovane, ma non giovanissimo giocatore argentino. Che ha dalla sua una innata simpatia, che gli viene riconosciuta dagli addetti ai lavori, ma il cui curriculum tennistico era piuttosto povero. Almeno fino a un paio di giorni fa. Stiamo parlando dell’argentino Francisco Comesana, 24 anni il prossimo ottobre, 1,78 per 72 chilogrammi di peso, che solo grazie ai risultati nei tornei Challenger era riuscito a salire fino al 122esimo posto nella classifica mondiale. Tanto che il sito dell’ATP, accanto al suo nome, riportava (fino all’altroieri) questa segnalazione: “Nessuna biografia disponibile. Sfortunatamente, al momento non disponiamo di informazioni sulla biografia di questo giocatore”. Comesana è arrivato a Wimbledon senza avere mai vinto in carriera nemmeno un match ATP nel circuito maggiore. Prima di essere ammesso nel tabellone principale a Londra, l’argentino aveva rimediato due sconfitte al primo turno nei tornei minori italiani ed era stato battuto dal numero 245 del mondo Broom nelle qualificazioni di Eastbourne.
Non c’era da stupirsi, peraltro, visto che quello, per Comesana, era il primo match su erba della carriera. Poi è successo il primo “miracolo”: opposto al numero 6 del tabellone, il bizzoso Andrey Rublev, Francisco ha giocato la partita della vita. Al suo secondo match su erba in assoluto. Oltretutto, essendo come molti argentini un “regolarista“, l’erba non sembrava essere il terreno più adatto a lui. Invece, come in una favola il 24enne argentino ha battuto il molto più quotato atleta Russo in quattro set, provocandogli una crisi di nervi. Tanto che Rublev ha finito per spaccarsi letteralmente una racchetta su un ginocchio. Comesana gioca un tennis essenziale, è veloce nel muoversi sul campo e possiede un innato coraggio nel tirare i colpi. Coraggio che lo ha portato a scrivere un’altra pagina della sua storia tennistica nel secondo turno del torneo londinese. Opposto al neozelandese Walton, il giovane argentino ha vinto un’epica e infinita battaglia terminata con il punteggio di 7-5 1-6 6-7 (12-14 al tie break!) 6-1 7-6 (10-8 al tie break).
Un epilogo pazzesco per il più inaspettato degli underdog che si sia visto da tempo sull’erba inglese. Un giocatore che non aveva mai vinto una partita del circuito ATP e che ha inanellato due piccoli trionfi proprio nel torneo più prestigioso del mondo, eliminando uno dei primi 10 giocatori in classifica. E ora si troverà opposto al terzo turno al nostro Lorenzo Musetti, che ha vinto un match maratona contro l’altro italiano Luciano Darderi al quinto set. Un motivo in più per seguire un’altra puntata della favola di questo giovane underdog argentino, anche se ovviamente tiferemo per il talentuosissimo Lorenzo. Ma con un occhio di riguardo per questo 24enne argentino che, come minimo, si è guadagnato una vera biografia sul sito dell’ATP, oltre all’ammirazione del pubblico e, chissà, a una carriera futura giocata a livelli più alti. I colpi li ha, il coraggio non gli manca. Benvenuto nel tennis di Serie A e in bocca al lupo, Francisco Comesana!
11.6.24
FEDERER-NADAL Da grandi rivali a grandi amici e il loro spot da favola ., Poliziotto salva la sua ex professoressa che voleva suicidarsi., il circo ti cura
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Poliziotto salva la sua ex professoressa che voleva suicidarsi
Delfina Rebecchi da thesocial.post.it pubblicato: 11/06/2024 10:52
Drammatico tentativo di suicidio a Roma. Ma stavolta la storia termina con un lieto fine. A sventare la tragedia è stata la prontezza e la forza d’animo di un poliziotto. Secondo quanto si apprende, infatti, una volta arrivato fuori dall’abitazione dove una donna minacciava di farla finita, l’agente di polizia ha riconosciuto la voce di quella che era stata una sua ex professoressa di scuola.
“Il poliziotto, intervenuto con il collega per una segnalazione di un possibile tentativo di suicidio, ha sentito la voce della sua ex professoressa attraverso la porta e, dopo essersi fatto riconoscere, ha iniziato a parlare con lei dei vecchi tempi”, si legge in un comunicato della questura che ricostruisce quanto accaduto. A quel punto sono entrati in azione i vigili del fuoco e, si conclude la nota, “una volta aperta la porta, alunno e professoressa si sono abbracciati”.
16.5.24
Da una foto su Facebook l’inizio dell’avventura da guide di atleti non vedenti la storia di Paolo de Pani e di Rosa ambrosi ., L’ex bimbo di Chernobyl dona la terra russa degli Alpini caduti in guerra
Per riconoscenza nei confronti della Penna nera e della famiglia italiana che lo ospitò dopo la tragedia, Oleg Sorokin l’ha raccolto la terra dove tanti giovani italiani caddero, spedendola a Rezzato
Oleg Sorokin dalla Russia racconta le tappe della sua ricerca - © www.giornaledibrescia.it
Il suo nome è Oleg Sorokin, abita nella russa città di Tula, ed è lui che per tre giorni ha vagato per le sterminate campagne della Russia, in cerca della terra, sotto la cui coltre sono stati sepolti migliaia di nostri Alpini morti in guerra.Zolle di terra, che poi ha inviato, non senza difficoltà e varie peripezie, a Rezzato, dove ora questa terra è posta in una teca di vetro incassata nel pavimento, della neorestaurata Chiesetta del Gruppo Alpini di Rezzato.
Riconoscenza
A portarla lì è una storia di riconoscenza e amore nei confronti dell’Alpino e della sua famiglia italiana (che desidera mantenere l’anonimato) che da piccolo lo avevano amorevolmente accolto dopo la terribile tragedia di Chernobyl, ma anche di ricordo verso gli Alpini che in quella terra di Russia hanno trovato la morte, combattendo per la pace. La sua storia dimostra quanto le due parole, se lo si vuole, siano strettamente collegate.
Oleg, oggi 41enne, a Rezzato venne per la prima volta nel 1993. Era un bambino di Chernobyl e aveva 10 anni. Molti bambini erano, come lui, in un orfanotrofio e soffrivano ancora le conseguenze della radioattività; per questo fra Russia e Italia in quell’occasione si era instaurato un ponte solidale. Da subito, in quella famiglia italiana che gli fu assegnata, Oleg respirò quell’affetto e quella tenerezza, che ogni bambino dovrebbe avere, e che ancora oggi lo fa sentire figlio e fratello.
I primi soggiorni furono brevi, ma man mano divennero sempre più lunghi, in particolare quando Oleg si ammalò di tubercolosi, e fu amorevolmente curato in ospedale e a casa, per poi riandare nel suo orfanatrofio con tutti i medicinali di cui aveva bisogno per curarsi, grazie anche alla generosità alpina.
I luoghi simbolo
Non appena saputo del progetto di portare un po’ di terra russa presa là dove erano caduti i nostri Alpini, per metterla nella chiesetta a loro dedicata, si è messo in viaggio non senza difficoltà con la moglie e con uno dei suoi due bambini, per raccoglierla nei luoghi simbolo della guerra dove caddero a migliaia.
Il più noto è stato Nikolajewka, dove non ha potuto avvicinarsi al luogo esatto delle fosse comuni per ragioni di sicurezza. L’altro luogo è Rossosch, dove sino a poco tempo fa un cippo collocato dall’Associazione Nazionale Alpini, ed ora distrutto, ricordava, in segno di fratellanza, tutti i Caduti nella Seconda Guerra Mondiale. Da ultimo, il sito di Nowo Postojalowka, costato una ricerca difficile e infruttuosa per un intero giorno.
Era ormai sera, e Oleg, senza speranze ma non arreso, trovò l’anziano avventore di un bar, che, sentendo le sue domande, lo ha accompagnato sul luogo dove c’è la fossa comune, al cui interno, all’epoca, gli abitanti furono costretti a buttare i corpi di migliaia di soldati emersi, nel disgelo, dalla neve.
Solo allora per Oleg è stata missione compiuta. In Italia la terra avrebbe voluto portarla lui, ma troppe le difficoltà burocratiche, perciò ha spedito la terra accompagnata da un video, in cui ha filmato e raccontato il suo viaggio per raccoglierla. Dopo 79 anni, quella terra resa sacra dal sacrificio di tanti uomini, lancia il suo messaggio di speranza per la pace e la libertà.
10.4.24
Jannik realizza il sogno di Arthur, un ragazzo affetto da paralisi cerebrale, palleggiando insieme a lui 💙
Jannik realizza il sogno di Arthur, un ragazzo affetto da paralisi cerebrale, palleggiando insieme a lui
9.3.24
[ i Nuovi Italiani ] IL giorno in cui ho smesso di essere invisibile la storia di Danielle Madam
La solitudine, la rabbia, le giornate passate fuori dalla classe, seduta in corridoio. E poi un professore si ferma: «Vieni in palestra con me». Inizia così la carriera di lanciatrice del peso di Danielle Madam, ma soprattutto inizia così la sua nuova vita, quella in cui si vuole bene
di Mario Calabresi
Ci sono persone che ci restano nella testa e continuano a venirci in mente anche se le abbiamo incontrate una sola volta. A fare la differenza è una frase o un’immagine che si impiglia nei nostri pensieri. L’immagine che non ho dimenticato è quella di una ragazzina infelice e irrequieta che passa le sue giornate seduta nel corridoio della scuola, vicino al calorifero, a guardare dalla finestra. Gli insegnanti la mandano regolarmente fuori dalla classe perché non segue e disturba. Nessuno di quelli che passano si cura di lei, che si sente incompresa e invisibile. Finché un uomo non si ferma: è il professore di educazione fisica. Le propone di lasciare il corridoio e di seguirlo in palestra. Un gesto che cambierà per sempre la vita della ragazzina.
Danielle Madam durante la registrazione dell’ultima puntata del mio podcast Altre/Storie
Danielle è nata in Camerun ed è arrivata in Italia all'età di sette anni insieme a suo fratello gemello Ivan. La mamma, per sottrarli ad una faida familiare, li aveva affidati a uno zio che viveva a Miradolo Terme, vicino a Pavia. I due bambini cominciano una nuova vita e crescono in fretta, lo zio lavora sempre e arriva a casa solo la sera, così Danielle impara a fare la spesa, a cucinare, e a prendersi cura del fratello. Scoprono la neve e si sentono accolti dalla scuola e dal paese. Ma quando hanno nove anni lo zio muore all’improvviso e il loro equilibrio si spezza di nuovo: i servizi sociali li dividono e mandano lei dalle suore e lui dai preti. Si riescono a vedere solo mezz’ora la settimana. Tutto va in pezzi.
Danielle si riempie di dolore ed è sempre arrabbiata: la bambina che faceva da mamma a suo fratello diventa intrattabile. Comincia la scuola media e i voti non sono mai sopra il 4, le insegnanti chiamano continuamente le suore per lamentarsi: «Non volevo seguire nessuna regola, ero costantemente irrequieta. Le professoresse dicevano: “Se devi disturbare sei fuori”.
Nessuno si chiedeva che cosa stessi passando, nessuno si preoccupava della mia situazione, così io stavo seduta fuori dalla classe e quello era il modo in cui passavo le mie giornate».
Oggi Danielle, che ha 26 anni e di cognome si chiama Madam, racconta tutto con il sorriso, con grande calma e pace. Se ci riesce è grazie a quell’incontro con il professore di ginnastica, Giampiero Gandini.
Danielle insieme a suo fratello Ivan
«Mi disse: “Perché invece di stare lì seduta non vieni a provare a lanciare il peso? Ci sono le gare tra poco e ci manca proprio la pesista. Secondo me tu potresti fare bene, vieni con me, andiamo fuori a provare”. Siamo andati in giardino, ho iniziato a lanciare e ho visto lo stupore nella sua espressione». Da quel momento Danielle inizia ad allenarsi tutti i giorni: «Ero in seconda media e il professor Gandini veniva in classe e diceva: “Devo prendere Madam perché dobbiamo andare giù a lanciare”. Le professoresse erano senza parole. I compagni non capivano. Io avevo qualcosa da fare e non ero più seduta fuori».
Poche settimane dopo la iscrive alla prima gara, tra le scuole della provincia di Pavia: «L’ho vinta e ho adorato il senso della vittoria. I miei compagni, che fino a quel momento non mi avevano mai calcolata, cominciano a farmi i complimenti e a voler essere miei amici».
Da quel momento cambia tutto, fuori e dentro di lei: «Avevo un valore e lì è iniziato il mio viaggio. Ho capito che volevo continuare a vincere e che per riuscirci dovevo continuare ad allenarmi. Le cose mi venivano semplici. Era incredibile. Non c'erano più mille passaggi, non c'erano assistenti sociali, non c'era il tribunale, c'ero solo io che impegnandomi ottenevo dei risultati».
Danielle con in mano il peso prima di prepararsi al lancio
L’idea di non essere più invisibile e di avere un valore contamina ogni aspetto della sua vita: «Mi sono detta: perché non provo a trasferire questi valori che sto imparando, grazie allo sport, anche nella scuola? La mia situazione era disastrosa a dir poco, ma ho iniziato a studiare per vedere che cosa veniva fuori, per vedere se l'emozione che provavo nello sport potevo provarla anche con gli studi. E così è stato». Comincia con la matematica: «Per me era sempre stata come l’aramaico, e invece è diventata la mia materia preferita perché è molto metodica, come gli allenamenti: se tu fai gli esercizi con costanza i risultati arrivano». Le professoresse chiamano le suore che, preoccupate, si presentano a scuola: «Rimasero stupite di fronte alla domanda: “Cosa è successo? Come ha fatto a passare dal 4 all’8?”. La risposta a me era chiarissima: avevo bisogno che qualcuno credesse in me più di quanto lo facessi io».
Danielle premiata a un meeting nazionale di atletica leggera con una delle 25 medaglie ricevute nella sua giovane carriera
Il viaggio di Danielle la porta sempre più in alto, fino a vincere cinque campionati italiani nelle sue categorie di età e a raccogliere 25 medaglie. Poi si qualifica per i mondiali, per scoprire, però, che non può partecipare, perché non è italiana e la maglia azzurra non la può indossare. «Rappresentare l'Italia, il posto che mi ha accolta, era un po’ come ringraziare tutte le persone che mi hanno aiutato e permesso di essere la persona che sono. Ero incredula, non capivo perché non potessi, ma da quel momento diventare cittadina italiana è stato il mio più grande obiettivo».
Danielle capisce che si diventa italiani solamente se si nasce in Italia e che non basta nemmeno fare tutte le scuole e raggiungere la maggiore età «Io sono arrivata qui all'età di sette anni, per cui dovevo seguire l'iter degli adulti: dieci anni di residenza e tre anni di redditi. Ma io ero dalle suore e non avevo famiglia e nemmeno redditi».
Ma non molla, prende la maturità, si iscrive all’università e continua ad allenarsi, a gareggiare e a fare le file davanti alla questura all’alba. Diventata maggiorenne non può più stare dalle suore, loro le trovano un posto dove abitare ma deve mantenersi, così fa la babysitter e la sera le consegne delle pizze con la bicicletta.
Non si scoraggia e dopo 17 anni in Italia riesce a diventare cittadina e nello stesso momento a laurearsi in Scienze della Comunicazione. Oggi vive a Roma dove lavora e tiene seminari e workshop per le aziende: «Parlo dell’importanza della diversità e dell'inclusione. Cerco di trasmettere quello che ho imparato».
L’immagine del professore che si ferma e parla con la ragazzina seduta in corridoio, l’avevo sentita raccontare da Danielle alla presentazione del libro del demografo Francesco Billari sull’Italia del futuro. Quel gesto era stato capace di cambiare la direzione e il destino di una vita e volevo conoscere tutto il resto del racconto, così ci siamo incontrati a Roma e la voce di Danielle è diventata protagonista della nuova puntata del mio podcast Altre/Storie che potete ascoltare qui.
3.8.23
Il salto in alto che nessuno aveva mai visto. il caso di Dick Fosbur considerato sfigato ma che vincerà un oro olimpico e creerà uno stile nel salto in alto
La storia che oggi propongo è questa dell' 'americano Richard Douglas Fosbury,detto Dick (Portland, 6 marzo 1947 – Portland, 12 marzo 2023 foto sinistra ) che Nel 1968 ha vinto la medaglia d'oro nel salto in alto alle Olimpiadi del Messico. Il modo in cui ci è riuscito è diventato un simbolo di innovazione.
qui su Dick Fosbury - Wikipedia e nel video sotto altre news su di lui è siulla novità importata nella specialità del salto in alto .
Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.
Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...
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Come già accenbato dal titolo , inizialmente volevo dire Basta e smettere di parlare di Shoah!, e d'aderire \ c...
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Aveva ragione de Gregori quando cantava : un incrocio di destini in una strana storia di cui nei giorni nostri si è persa la memor...