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26.10.25

Rossano Putzu, vita e opere del genio del girarrosto L’artigiano di Serrenti crea pezzi unici ispirati alle Ferrari e alle moto da Gran premio:

 unione  sarda  del  26\10\2025 

Il girarrosto creato da Rossano Putzu, di Serrenti

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Rossano Putzu, 71 anni, di Serrenti, è per tutti “il genio del girarrosto”. Da anni porta in giro per l’Italia e per il mondo un pezzo della Sardegna più autentica, l’arte culinaria. Lo fa costruendo dei particolari girarrosti artistici in grado di sostenere la cottura di decine di maialetti contemporaneamente.


Il girarrosto creato da Rossano Putzu, di Serrenti

Ne ha realizzati a centinaia, dalla moto di Valentino Rossi con il numero 46 alla Ferrari. Non solo tema motori, comunque; una delle sue ultime creazioni è ispirata ai Giganti di Mont’e Prama.


Una delle creazioni di Rossano Putzu

Un’arte, la sua, che potrebbe sopravvivergli: il nipote Diego, 12 anni, è più appassionato a quanto succede nel suo laboratorio che dentro lo schermo di uno smartphone anni porta in giro per l’Italia e per il mondo un pezzo della Sardegna più autentica, l’arte culinaria. Lo fa costruendo dei particolari girarrosti artistici in grado di sostenere la cottura di decine di maialetti contemporaneamente. Che sia lui a prendere un volo o i suoi tanti amici sparsi per il pianeta a raggiungerlo nel suo laboratorio a Serrenti, osservarlo all’opera significa assistere a una coreografia di movimenti precisi che ha affinato nel corso degli anni.
La vita
Rossano viene da una famiglia numerosa, affidato a suo padrino all’età di sei anni si ritrova a Cagliari, spesso a bordo del peschereccio di colui che definisce affettuosamente un maestro di vita, dove inizia a imparare i fondamentali di quella che diventerà una vera e propria passione. «Ogni notte era una festa – racconta Putzu – e tante erano le persone che si fermavano a mangiare con noi, è così che ho imparato ad arrostire i pesci da piccolissimo». Per molti anni si guadagna da vivere facendo il meccanico, poi a un certo punto della sua vita queste due passioni sembrano intrecciarsi e Rossano inizia a dedicarsi alla progettazione e costruzione di particolari girarrosti con design di moto e auto da corsa, dando vita a un’arte unica nel suo genere. Ne ha costruiti a centinaia, dalla moto di Valentino Rossi con il numero 46 alla Ferrari, e non solo a tema motori, una delle sue ultime creazioni è ispirata ai Giganti di Mont’e Prama: «Sono oltre 40 anni che mi dedico a questa passione, alcuni lavori richiedono moltissimo tempo, per la moto di Valentino Rossi ho impiegato più di otto mesi. L’impegno è ben ripagato, di recente ho avuto il grande onore di ricevere un riconoscimento al talento artistico dai miei compaesani».
L’erede
Nessuno dei suoi figli la condivide, ma sembra avere inaspettatamente contagiato suo nipote Diego, un dodicenne più incuriosito dal nuovo girarrosto di nonno Rossano che dall’ultimo modello di smartphone in commercio. «Sin da piccolissimo osservo mio nonno arrostire e costruire i suoi girarrosti – racconta Diego – e ho sempre desiderato poter partecipare, con il tempo ho capito che stava diventando una vera e propria passione. Una delle preparazioni che mi affascinano di più è quella della Carapigna, quest’anno ho finalmente memorizzato la ricetta e ho potuto mettere in pratica le mie abilità realizzando così un grande sogno. Spero di poter portare avanti nel tempo la passione di mio nonno». La Carapigna è un sorbetto tipico della Sardegna, di cui Rossano custodisce gelosamente un’antica ricetta scritta a carbone: «Sin da bambino ha mostrato interesse per quello che faccio – spiega Rossano – quando arrostisco mi osserva sempre incuriosito, si vede che è qualcosa a cui tiene, ha appreso subito la preparazione della Carapigna e ora la realizza in autonomia». Rossano potrebbe aver trovato un degno erede della sua passione e chissà, magari tra qualche anno sarà proprio Diego a sfornare qualche originale creazione in acciaio inox.

14.9.25

Corsa, fatica e record di maratone . Silvia Cancedda, 48enne di Carbonia«Ho iniziato a 40 anni, quante emozioni sulle strade di Sidney e New York»

 unione  sarda  14\9\2025


La sveglia, quasi ogni mattina, è alle 6. È attesa da almeno venti chilometri di corsa. Che ci sia pioggia o vento, afa o gelo, prima di calarsi nei panni dell’assicuratrice, mestiere che le dà da vivere, indossa quelli della maratoneta, passione che le nutre lo spirito. E che, benché non più ragazzina, l’ha proiettata nell’olimpo dilettantistico di una disciplina tanto antica quanto carica di suggestione: Silvia Cancedda, 48enne di Carbonia, è la prima atleta sarda ad aver conquistato il riconoscimento speciale: aver disputato le sette più importanti maratone al mondo. In Italia sono solo 28 donne ad aver raggiunto questo risultato.
L’ultima impresa
Pochi giorni fa ha corso la maratona di Sidney. In precedenza ha preso parte, giungendo sempre al nastro finale grosso modo dopo quattro ore di fatica estenuante, a quelle di New York, Tokyo, Boston, Londra, Berlino, Chicago. E al traguardo, ad attenderla, c’è sempre stata la bandiera dei quattro mori sventolata dal marito Danilo Pes. In sostanza ne ha corso una all’anno, dato che questa avventura atletica è iniziata con l’impresa di New York quando di anni ne aveva 40. Da allora, segue una filosofia: «Il tempo per me non conta: contano le emozioni che ti danno gli spettatori, gli scenari urbani che si attraversano, l’intimità del pensieri con cui si fanno i conti nelle lunghe ore della competizione».
Gli allenamenti
Levataccia all’alba, Silvia Cancedda si allena in prevalenza in città, negli impianti o sulla ciclabile che porta a San Giovanni Suergiu. II suo rapporto col lo sport non è stato immediato: «Ho iniziato attorno ai 20 anni con nuoto e corsa, poi attorno ai 40 la folgorazione per questa disciplina che è un lungo viaggio: inizia durante la preparazione atletica, che in sostanza si può considerare come la vera maratona, e finisce il giorno della gara per poi ripartire quando mi pongo nuovi obiettivi».
Le nuove sfide
Silvia Cancedda non si accontenta perché il limite delle sette maratone più rinomate al mondo potrebbe essere superato: «Si ipotizza a livello internazionale di includerne altre due, se la forma e la salute mi accompagnano ci sarò». Delle sette imprese, due le sono rimaste impresse: «L’ultima a Sidney – rivela – corsa dopo che per giorni ho dovuto fare i conti con la febbre ma ormai indietro non si tornava, e la prima sei anni fa a New York perché è stato l’esordio, è stata la più dura e per il fascino di quella metropoli».Silvia Cancedda non si è limitata a conservare per se stessa questa passione: ha fatto proselitismo: «Batti e ribatti ho convinto alcuni amici a lanciarsi in questa avventura e partiranno per la prossima maratona di New York: un altro pezzo di Sulcis alla conquista dell’America».

16.6.25

DIArio di bordo n 128 anno III Lui non insegna calcio, insegna vita. il caso di Silvio baldini ., “Dopo l’amputazione sono rinato grazie allo sport, ma ora lo Stato mi ha abbandonato”: la storia di Massimo castellani., «Il judo mi mantiene giovane» A 94 anni Pietro Corona continua a essere un esempio per sportività, stile e classe ., Andrea Cadelano, un sardo a Miami tra business, sogni e solidarietà.,Ballerina italiana ferita durante un'esplosione di Parigi, dopo 6 anni la rinascita di Angela

 fonti  cronache  della  sardegna  msn.it    e  unione  sarda 

Lui non insegna calcio, insegna vita.
È nato povero. I suoi sono valori trasmessi da genitori che sono stati umili operai e dai nonni che hanno vissuto la guerra.
Quando non allena si rifugia in montagna, gli piace fare il pastore e andare a caccia di pernici.
È un uomo che ha commesso degli errori ma che poi ha saputo rimediare ed imparare dagli stessi.
Come quella volta che tirò quel famoso calcio nel sedere a Domenico Di Carlo. Un gesto che gli è costato tanto, a tal punto, da restare senza panchina per sei lunghi anni.
È rientrato nel calcio accettando di allenare gratis la Carrarese, senza pretendere nemmeno i rimborsi spese.
L'ultima volta che ha fatto qualcosa per denaro è stato nel 2004 quando Zamparini gli ha offerto per la panchina del Palermo un milione di euro l'anno per tre stagioni. Un'esperienza finita malissimo: da quel momento si è promesso di non fare più niente se spinto solo dai soldi.È un uomo schietto, onesto, sincero e mai banale.È uno dei pochissimi che davanti ai microfoni dice ciò che pensa, senza leggere un copione come fanno quasi tutti i suoi colleghi.È uno che nel bene o nel male ha portato sempre avanti con coraggio le sue idee.È un uomo dall'anima feroce ma che si commuove facilmente perché ha un cuore enorme in petto.Per lui la famiglia è sacra: ama tremendamente la moglie Paola e suoi tre figli, la prima delle quali, Valentina, disabile.È un uomo di fede e cerca di trasmetterla anche ai suoi calciatori per condividere l'esperienza dell'amore, della fatica, della vittoria e della sconfitta.È un allenatore preparato, delle volte sottovalutato.Chi lo conosce bene lo definisce un genio.Ha promosso e salvato l'Empoli in Serie A.Ha promosso il Palermo in Serie B.E proprio ieri sera, ha riportato il Pescara in Serie B, dopo 4 anni di purgatorio.Il calcio dovrebbe essere pieno di gente come te, sarebbe sicuramente un mondo migliore.Complimenti Silvio Baldini...
👏🏻❤️
Testo e foto di Calcio totale.

Lo sport salva la vita. Lo sanno  bene 

Massimo Castellani, 50 anni, che da quando nel gennaio 2024 ha subito l'amputazione della gamba destra ha sperimentato una lunga fase di depressione. A convincerlo a uscire di casa dopo molti mesi di solitudine è stato proprio lo sport al quale si è dedicato grazie al supporto delle associazioni della sua Rimini.
Praticare tiro con l'arco, scherma e tiro al piattello gli ha ridato la voglia di lottare per una vita che non sentiva più sua, e conoscere compagni di corso e istruttori lo ha convinto a uscire fuori dalla sua stanza
per mettersi ancora in gioco. Ora però anche questa speranza sembra destinata a spegnersi, come racconta al portale Fanpage.it : "Da quando tutti gli amici si sono dileguati mi sono isolato, ma da quando lo sport ha cominciato a fare parte della mia vita tutto è cambiato. Il problema è che le attrezzature per le persone con disabilità come me sono spesso molto diverse dalle altre e acquistarle in maniera autonoma è praticamente impossibile a causa del costo".
Castellani ha quindi rivolto via mail un appello al ministro dello Sport, Andrea Abodi, e alla senatrice e atleta paralimpica Giusy Versace. "Ho scritto a entrambi ma per il momento la situazione non è cambiata, sento di non avere speranze".
L'appello di Castellani: "Con lo sport ho ritrovato la voglia di vivere, non fatemi smettere"
Dopo l'amputazione della gamba avvenuta l'anno scorso a seguito di una malattia, per Castellani è iniziato un lungo periodo di isolamento, come ammette lui stesso: "Tra luglio e novembre ho passato un periodo di buio totale. Non uscivo mai a causa degli attacchi di panico. Ogni giorno era uguale all'altro". Poi, pian piano, attraverso i benefici ottenuti con la fisioterapia, in lui si è acceso qualcosa e ha iniziato a contattare le associazioni e i circoli sportivi della sua regione.
Da ex atleta di livello agonistico, Castellani aveva già un'idea di come muoversi in questo mondo, e nel momento più buio della sua depressione si è rivolto al comitato paralimpico. Gli organizzatori gli hanno messo a disposizioni i loro contatti e lui è riuscito a entrare all'interno dei gruppi presenti sul suo territorio. Da quel momento la sua vita è cambiata: "Ho trovato un motivo per uscire di casa".
Castellani dopo una serie di mail e telefonate a vuoto tra Roma e Rimini finalmente ha incontrato le persone che lo hanno fatto uscire da casa: "L'allenatore di tiro con l'arco mi viene a prendere tutti i giorni per gli allenamenti e poi mi riporta a casa. Abbiamo partecipato anche al Rimini Wellness ed è stata una esperienza bellissima. Lo è stata ancora di più perché l'ho vissuta con altre persone con le quali ho socializzato. Per me che amo lo sport e ho sempre fatto agonismo sento di riuscire a respirare di nuovo. Prima preferivo gli sport di contatto, ma quando hai l'arco tra le mani devi essere concentrato, se non sei lì con la testa non puoi fare nulla, e questo mi ha fatto bene".
Oltre al tiro con l'arco, Castellani ha iniziato a praticare anche la scherma, ottenendo gli stessi benefici: "Siamo diventati subito come una grande famiglia, la sera andiamo a mangiare tutti insieme. Però c'è un problema che riguarda le attrezzature e non sono il solo a viverlo".
I costi per le attrezzature adatte alle persone con disabilità sono spesso proibitivi e Castellani ha pensato di rivolgersi alle istituzioni, dalle quali, però non ha trovato il riscontro che voleva: "Mi sento preso in giro. Leggo di fondi regionali e nazionali ma al momento di ottenere informazioni concrete spariscono tutti".
"Scarsa informazione e difficoltà di accesso ai fondi"
Castellani ha quindi scritto al ministro dello sport Andrea Abodi e poi alla senatrice Giusy Versace, oggi tra le fila di Azione. Con una mail firmata dalla segreteria di Versace, è stato spiegato a Castellani che i fondi esistono, e che un emendamento della senatrice alla Legge di Bilancio ha destinato 3 milioni di euro in tre anni (dal 2025 al 2027) per protesi e ausili funzionali allo sport. La mail invita quindi a "verificare sul sito della sua regione se è stato già pubblicato un bando al quale può accedere".
Una risposta che non aiuta Castellani, il quale aveva contattato direttamente la senatrice proprio a causa della scarsità di informazioni reperite in Rete: "Mi sento preso in giro io, ma dovrebbero sentirsi presi in giro anche i politici che creano questi fondi di cui poi spariscono tutte le notizie. Penso alle persone che non sono fortunate come me, che non hanno un allenatore che va a prenderli e che li aiuta. Come fanno le persone sole se lo Stato non c'è?".
Anche nel caso del ministro Abodi ha risposto la segreteria e il 22 maggio, il giorno dopo l'invio della mail, Castellani ha ricevuto una telefonata con numerose rassicurazioni. Da allora però è tutto fermo, e nessun ente locale, ad esclusione della Provincia, ha mai fornito informazioni o riscontro.
Eppure, la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni conosce bene il valore dello sport, come ha dichiarato lei stessa nel corso il comizio ad Ancona in occasione della campagna elettorale per le politiche del 2022: "Da ragazzina ero obesa sono stata e sono stata anche bullizzata […] Mi ha salvato lo sport, perché lo sport salva un sacco di gente". Il valore salvifico dello sport, soprattutto per le persone che vivono in contesti di marginalità sociale, non è aneddotico, ma reale.
La psicologa: "Depressione ancora sottovalutata in Italia"
"L'attività fisica agisce sul nostro benessere su più livelli: stimola la produzione di endorfine e serotonina, sostanze che ci aiutano a regolare l'umore, e migliorano e abbassano gli ormoni dello stress come il cortisolo. Inoltre, lo sport favorisce l'autostima e l'autodeterminazione, e crea situazioni di socializzazione molto importanti per chi sta affrontando un momento di difficoltà", spiega la psicologa psicoterapeuta Ilaria Falchi.
Oggi sappiamo che esiste un rapporto tra depressione e il sopraggiungere di una disabilità: "La depressione è collegata a una diminuzione di risorse di cui la persona può usufruire per affrontare il futuro. Si sperimenta la mancanza di ascolto e prospettive, la indisponibilità dell'altro, il voler fare qualcosa e non riuscire, e quindi l'isolamento sociale. Ovviamente non è così per tutti, molto cambia dal tipo di disabilità e dalla sua manifestazione".
Nel caso di persone che iniziano a vivere con una disabilità in età adulta si crea una vera frattura tra il prima e il dopo, come rileva la psicologa: "L'adulto è chiamato a riadattarsi e a trovare strategie compensative a livello fisico ma anche mentale. Si tratta di un'elaborazione simile a quella del lutto perché si è costretti a ripensare a com'era la vita prima rispetto a quella che si vive dopo. Mentre i bambini hanno una capacità velocissima di riadattamento, tale da non influire sempre sul loro stato emotivo, per gli adulti è diverso perché hanno tutta una serie di sovrastrutture, ambizioni e progetti che vengono messi a dura prova nel momento in cui le condizioni di vita cambiano profondamente".
Secondo i dati condivisi da Falchi, più del 30% delle persone con disabilità accusa sintomi depressivi o ansiosi, eppure si tratta di una condizione ancora largamente sottovalutata in tutta la popolazione: "Si fa molta fatica a riconoscerla come una malattia e a trattarla. Ci vogliono molte risorse anche per aiutare una persona a vedere che qualcosa non va e nel nostro Paese purtroppo la salute mentale non è una priorità. Ciò rende molto difficile l'accesso alle cure".



e Pietro Corona di 94 anni  che  continua  con il judo a essere un esempio per sportività, stile e classe



Tutti i giorni indossa pantaloni e giacca da judo, li chiude con la sua cintura bianca e rossa, quella che spetta ai settimo dan, e insegna questo sport ai bambini nella sua palestra a Genneruxi a Cagliari. A 94 anni Pietro Corona continua a essere un esempio per sportività, stile e classe. «Per me il judo è stato la vita, mi ha fatto girare il mondo, mi ha dato tantissime soddisfazioni attraverso non soltanto i risultati che ho ottenuto personalmente, ma soprattutto per i traguardi conseguiti dai miei allievi e dalle mie allieve, che in tanti casi ho aiutato poi ad aprire le loro palestre. Questo per me è lo sport, l’insegnamento che ogni buon istruttore deve dare».

Pietro Corona con la cintura che spetta a chi ha ottenuto il settimo dan (foto p. c.)
Pietro Corona con la cintura che spetta a chi ha ottenuto il settimo dan (foto p. c.)

Pietro Corona è cagliaritano doc, figlio di un impresario edile di quelli tutti d’un pezzo. «Sono nato nel 1931, in seconda media venni rimandato e mio padre mi fece lavorare tutta l’estate come muratore. E si raccomandava al capo cantiere: nessun favoritismo, è mio figlio ma in questo lavoro è l’ultimo, devo solo imparare e obbedire». E così ha fatto: maestro Corona non è mai rimasto con le mani in mano, dopo la scuola ha fatto mille lavori e ha sempre praticato lo spot. «Giocavo a calcio, nella Gennargentu Pacini. Nel 1957 passavo per caso in via Verdi a Cagliari e vidi entrare in una palestra un gruppo di ragazzi vestiti di bianco. Rimasi letteralmente ammaliato da quella visione, li seguii, riuscii a seguire un loro allenamento. Il loro istruttore era Leonardo Siazzu, rimasi così colpito da quello sport che cominciai a frequentare quella palestra, quel gruppo di atleti. Soltanto cinque anni dopo disputai il campionato sardo, il primo organizzato nell’isola: la nostra società contro la Torres di Sassari, in una palestra all’angolo tra via Sonnino e via Grazia Deledda a Cagliari».

Foto di gruppo dei primi appassionati di judo cagliaritani (foto p. c.)
Foto di gruppo dei primi appassionati di judo cagliaritani (foto p. c.)

Pietro Corona ha cominciato tardi con il judo, ma ha subito dimostrato il suo valore e ha cominciato a ottenere importanti successi. «Ma i risultati più importanti poi li ho avuti da veterano, nella categoria master, dopo che sono andato in pensione: sono diventato campione del mondo nella categoria 66 chilogrammi, ho battuto anche alcuni maestri giapponesi. Una grandissima soddisfazione».L’insegnamento del judo è stato importante per la sua vita: «Ho cominciato in un locale di 50 metri quadri in via Giardini, ma subito grazie al passaparola sono venuti a me tantissimi bambini e giovani, così dopo qualche anno ho dovuto cercare uno spazio più grande, e l’ho trovato qui, a Genneruxi, dove ho aperto la palestra dal 1973». Judo non a tempo pieno, ovviamente. «Ero dipendente del Comune di Cagliari, ho sempre lavorato nel settore dei mercati sino a quando sono diventato direttore di quello di via Quirra: ancora oggi ho un bellissimo rapporto con tante persone che lavorano ancora nella zona di Is Mirrionis, ho sempre cercato di risolvere i problemi per il bene di tutti, spero di aver lasciato un buon ricordo anche negli uffici comunali».

Pietro Corona a 94 anni con alcun idei trofei vinti nella sua carriera (foto p. c.)
Pietro Corona a 94 anni con alcun idei trofei vinti nella sua carriera (foto p. c.)

Ancora oggi Pietro Corona mantiene il suo peso forma: «Mi sono pesato anche oggi: 66 chili spaccati. Quando sono alto? Non lo so, credo 1,68». In palestra ancora oggi dimostra tutti gli schemi dello judo ai suoi allievi. «Evito soltanto alcune cadute, ma non tutte» sorride.
Il segreto per una longevità che è anche sportiva? Corona comincia dalla dieta: «Uova, caffè e frutta a colazione, pasta e pesce a pranzo, pesce e verdure a cena. Niente dolci, niente alcol». E poi lo sport: «Ogni giorno faccio qualcosa, mi tengo in forma, sono ancora di fare piegamenti sulle braccia e sulle gambe, fondamentali per un sport come lo judo».E così che il suo palmares è davvero invidiabile per chiunque abbia praticato sport a livello agonistico: oltre a essere maestro benemerito di judo, Pietro Corona è settimo dan di judo, ha vinto la medaglia d’oro ai mondiali master di San Paolo in Brasile nel 2007 , lo stesso anno in cui gli è stata conferita la stella d’oro al merito sportivo del Coni. Riconoscimento che onora ogni giorno quando indossa pantaloni e giacca da judo, all’età di 94 anni, nella sua palestra di Genneruxi a Cagliari

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Andrea Cadelano, un sardo a Miami tra business, sogni e solidarietà
Partito da Cagliari si è stabilizzato in Florida, con delle “fughe” in Kenya per aiutare i villaggi senza acqua potabile


Al centro Andrea Cadelano dopo aver ripulito con un gruppo di amici le spiagge di Miami


In valigia, Andrea Cadelano aveva solo sei mesi. Il tempo per imparare l’inglese, «fare un’esperienza», guardare il mondo da un’altra angolazione. Ma come spesso accade ai viaggi più autentici, la meta si è trasformata in casa.
Andrea è partito da Cagliari con il desiderio di misurarsi con qualcosa di più grande, di nuovo. Ma non ha portato solo ambizione e competenze: con sé ha portato anche uno spirito profondo di appartenenza e un senso del dovere che ha radici nei valori della sua terra.
Così, mentre a Miami costruiva un’azienda solida e innovativa, metteva anche le basi per iniziative

di solidarietà che oggi toccano gli Stati Uniti e arrivano fino all’Africa.
«Ho lasciato la Sardegna non perché non la amassi, anzi, le mie radici sono profondamente legate a
quell’Isola meravigliosa, ma perché sentivo il bisogno di mettermi alla prova in un contesto nuovo, dove poter crescere professionalmente e realizzare alcuni progetti che lì, purtroppo, erano difficili da sviluppare».
A segnare quel punto di svolta anche un evento personale doloroso: la perdita del padre. Un vuoto che Andrea ha trasformato in forza propulsiva. L’idea iniziale di un soggiorno breve si è allungata fino a diventare una nuova vita, fatta di lavoro, responsabilità e anche tanto altruismo.
«Sono partito con l’idea di restare sei mesi – racconta – per migliorare l’inglese e fare un’esperienza all’estero. Avevo un visto studentesco valido per cinque anni e, quasi senza accorgermene, ho finito per costruire una nuova vita qui».
Prima della svolta americana, Andrea aveva già tracciato un percorso professionale importante in Sardegna: dalla finanza ai media, collaborando con testate e realtà come Sardegna 1, Videolina, Radiolina, L’Unione Sarda e i portali del gruppo PBM. Un’esperienza che ha mescolato comunicazione, creatività e impegno civico.
«È stato un periodo intenso e creativo – ricorda – che mi ha lasciato tanto a livello umano e professionale».
Il volo verso gli Stati Uniti parte grazie a un suggerimento arrivato quasi per caso, da un’insegnante di inglese. Tra le ipotesi sul tavolo, Londra, New York e San Francisco. Poi la scelta di Miami, dove il clima favorevole e le condizioni economiche più accessibili lo convincono.
«La Florida, rispetto ad altri Stati americani, offre anche numerose agevolazioni fiscali e incentivi finanziari per le nuove imprese: un elemento fondamentale per chi, come me, desiderava costruire qualcosa da zero».
Quel “qualcosa” è oggi un’impresa specializzata in servizi ambientali, sanificazione e sicurezza. Ma il giovane cagliaritano non si è fermato alla logica del profitto.
Nei momenti più duri della pandemia ha messo gratuitamente a disposizione i suoi mezzi per aiutare la comunità, disinfettando ambienti pubblici, partecipando a iniziative per pazienti oncologici e fondando una charity – Victor Water for Life – che ha già portato acqua potabile in dieci villaggi del Kenya.
«Credo profondamente nel restituire qualcosa – spiega – . Sono partito da solo, senza conoscere nessuno, ma oggi sento il dovere di aiutare chi è in difficoltà, così come io stesso sono stato aiutato nei momenti più duri».
C’è però qualcosa che Miami non potrà mai dargli. Lo si intuisce quando parla dei ricordi, dei profumi della macchia mediterranea, di certe albe sarde che non si dimenticano.
«Gli affetti, prima di tutto. La mia famiglia, i miei amici, i miei nipoti. E poi gli odori, i sapori, la luce del sole. Non si dimenticano mai».
Per Andrea Cadelano la Sardegna non è mai davvero distante. Non solo perché ci torna ogni volta che può, ma perché ogni gesto – imprenditoriale o umanitario – ha la forma di chi parte da lontano, senza mai tagliare il filo.
«Sì, torno. Almeno per le vacanze. Ma intanto continuo a costruire, a lavorare, a dare il mio contributo qui. Perché, anche lontano, un pezzo di Sardegna resta sempre con me».


Ballerina italiana ferita durante un'esplosione di Parigi, dopo 6 anni la rinascita di Angela




(Adnkronos) - "Dopo sei anni di inferno, dieci operazioni complicate e altrettante anestesie, posso finalmente dire che è finita. E non ho dovuto amputare la mia gamba. Oggi sono davvero felice. Il prossimo passo sarà adesso il processo. Intanto, mi voglio godere questo momento, dopo tanti mesi, anni, di angoscia...". Ha gli occhi che brillano, Angela Grignano, 30 anni, la giovane trapanese che la

mattina del 12 gennaio 2019, rimase gravemente ferita nella tragica esplosione avvenuta in Rue de Trévise, a Parigi, che causò 4 morti e centinaia di feriti tra i quali anche lei, che ha visto distrutto il suo futuro nella danza. Ha rischiato l'amputazione della gamba sinistra, ma grazie all'intuizione di un chirurgo e ad un complesso intervento è riuscita a salvare la gamba e la vita, anche se il sogno di un futuro da ballerina a Parigi si è infranto.
"Negli ultimi tre anni, dopo l'ennesimo intervento chirurgico, il piede era peggiorato molto. Tendeva a torcersi verso l'interno. Era una postura dolorosa, difficile, anche realizzare le scarpe ortopediche era molto complicato. Non riuscivo più a camminare. Era davvero molto doloroso. Il piede non aveva la possibilità di essere mantenuto adeguatamente. La situazione era peggiorata l punto che non riuscivo più a camminare. Negli ultimi mesi avevo anche ripreso la sedia a rotelle, quando dovevo fare tratti un po' più lunghi", racconta all'Adnkronos Angela, visibilmente commossa.
"Mi sono rivolta a diversi medici ortopedici. Il Covid, poi, non mi aveva permesso di fare visite e altri interventi, nonostante sia andata a Londra, Milano, e in altri posti. Ho visto almeno dieci chirurghi. Erano sbalorditi per il lavoro fatto dai chirurghi francesi, ma quando chiedevo questo intervento avevano paura, perché c'era il rischio di amputazione. Quando vedevo gli altri con le protesi, pensavo 'Se va bene abbiamo superato un altro limite, se va male metto la protesi. Ormai ti danno una buona qualità di vita. Meglio che camminare con il dolore". Poi, la svolta.
"Alla fine ho conosciuto un chirurgo francese che mi ha parlato della ipotesi di artrodesi, cioè il blocco definitivo e permanente della caviglia", racconta ancora Angela Grignano. L'artodresi è un intervento chirurgico che trasforma un'articolazione mobile in una rigida, fissando le ossa che la compongono. Questa procedura, conosciuta anche come anchilosi chirurgica o fusione articolare, può essere eseguita su diverse articolazioni del corpo, come il ginocchio, la colonna vertebrale, il piede, come nel caso di Angela. "Da ex ballerina sentirmi dire di avere la caviglia totalmente bloccata, un po' mi spaventava- continua Angela- Alla fine ho deciso di fare l'intervento. Almeno poteva essere il penultimo passaggio, prima dell'amputazione. Ad agosto 2024 sono tornata a Parigi con la previsione di due interventi. A settembre mi hanno tolto la placca che avevo nella gamba. Ma siccome si è ben consolidato, mi hanno detto è inutile tenerla. E a novembre sono stata operata per artrodesi. Hanno dovuto forzare parecchio la caviglia per rimetterla in asse. L'intervento è durato diverse ore. E ho tenuto il gesso per quasi tre mesi"
"Il chirurgo mi aveva avvertito: 'La situazione migliorerà, ma dovrai tenere scarpe ortopediche perché ci possono essere differenza e di altezza tra le due gambe'. Ringrazio sempre mia madre e gli amici perché il Comune di Parigi se n'è lavato la mani. A gennaio quando abbiamo tolto il gesso ci siamo commossi perché abbiamo capito che la gamba aveva recuperato, tanto da permettermi di camminare. L'ortopedico mi ha detto che è andata meglio di come immaginavamo. E' andata meglio di quanto immaginassi". "Ho cercato di rimettermi in sesto, ho comprato le prime scarpe normale, da ginnastica, cammino senza stampelle ed è incredibile. E' migliorata la posizione della schiena, anche loro sono rimasti".
"Se fosse andata male sarei stata costretta a fare l'amputazione. Adesso finalmente riesco a camminare quasi normalmente. Posare tutto il piede per terra è stata una sensazione incredibile, Camminare scalza per casa è stata quasi commovente- dice - La sensazione più bella è vedere gli altri felici per me. Mi sono rasserenata, non avere il dolore forte come prima è un'altra storia. Prima era una coltellata a ogni passo. Prima contavo i passi, perché ogni passo era un dolore. Oggi riesco a modulare anche la velocità del mio passo. Da sei anni il mio desiderio era quello di potere camminare bene".
Ma ora arriva la nota dolente: il risarcimento. A distanza di sei anni ancora non si è celebrato il processo. "A Parigi hanno detto che il processo poteva essere fatto a febbraio 2026. A quanto pare il Comune di Parigi ha chiesto di potere spostare le date e hanno posticipato all'autunno 2026, dopo le elezioni", racconta. "Sa quale è la verità? Che siamo stati abbandonati, ma continuiamo la nostra battaglia per ottenere giustizia e i risarcimenti adeguati e proseguiamo la lotta per ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento e un adeguato supporto per ricostruire le nostre vite". "La situazione burocratica va molto per le lunghe nonostante il comune di Parigi sia stato dichiarato colpevole di omicidio colposo con la società proprietaria dell'immobile", dice.
"Le assicurazioni sono di una crudeltà inaudita- si sfoga - Volevano pagare un risarcimento da 500 mila euro per una donna morta nell'esplosione, una spagnola. E alla figlia un risarcimento da 10 mila euro. Aveva solo un anno quando è morta la sua mamma...". E conclude: "Non mi fermerò mai. Voglio ottenere giustizia. E la otterrò". (di Elvira Terranova)

17.4.25

l'ospedale delle bambole ,"Europol e Frontex non si scambiano dati per non violare la privacy dei trafficanti" , cameriere robot licenziato ma ancora richiesto dal pubblico

Ecco  le storie    e  non  solo    di questo numero   .

La  prima  è di come   nonostante  il paese  sia  svenduto  ( è notizia  di questi giorni  della  vendita e   della : <<  Bialetti venduta, il made in Italy delle caffettiere ora parla cinese >>  di   Wired Italia >> )  A  napoli   c'è  un ospedale  per gli antichi giocattoli non solo bambole   .Un laboratorio bambole orsetti e tanti giocattoli d’infanzia, così stropicciati e feriti dal tempo, riprendono luce. Pezzo per pezzo, cucitura dopo cucitura li restituiamo ai proprietari emozionati, in un attimo di nuovo bambini. Utilizziano antiche tecniche di restauro per recuperare porcellana, legno, cartapesta, plastica, latta; recuperiamo stile, acconciature (parrucche sintetiche, mohair, prodotti specifici) e vestitini di una volta perché non perdano la loro storia (riproduciamo merletti, tessuti e modelli dall’800 ai giorni nostri.) Curiamo anche teneri peluche! Lavaggio, sarciture, imbottiture, trapianto occhi, trapianto nasi, sostituzione di vero pelo. Nel reparto trapianti abbiamo raccolto negli anni braccia, gambe, occhietti e voci diverse per curare tutte le bambole che ci vengono affidate.Sembra retorico affermare che dal 1800 ad oggi, attraverso quattro generazioni, l’Ospedale delle Bambole prosegua un discorso artigianale nato dall’amore per il bello, per tutto ciò almeno che bello era ma che il tempo e altro hanno sconvolto e che proprio in virtù di questo amore ritorna ai fasti di un tempo. Infatti come dicono le proprietarie << Il restaurare oggetti, Santi, pastori bambole diventa nell’ospedale artigianato di qualità, diventa arte proprio perché le quattro generazioni citate si sono tramandate, oltre a tutti i segreti del mestiere, l’amore, la passione e il desiderio di restituire il sorriso a chi in fila, davanti alla porta di questa singolare bottega attende, come in un ambulatorio il proprio turno; ci sono adulti, bambini, tutti per lo stesso motivo: ritrovare nei propri oggetti lo splendore perduto.>>( da Ospedale delle Bambole  il  sito dell'attività  )  


dalla loro pagina  fb https://www.facebook.com/OdBNapoli


Una storia antica, una storia di emozioni,ricordi e oggetti preziosi, di memoria e tradizione



la seconda di  Astrusità della legge  sulla privacy  che   protegge  i criminali   e  punisce   gli onesti   o  peggio   se  tu  pubblichi  un numero  di cellulare   passi  casini  mentre   i trufattori  ma  anche n  ti  possoo  chiamare  da matina  a sera  .  

 da il giornale  tramite   msn.it  

"Europol e Frontex non si scambiano dati per non violare la privacy dei trafficanti"


L'ultima follia europea venuta alla luce è la difesa ad oltranza della privacy dei trafficanti di uomini e dei clandestini a discapito della sicurezza dei cittadini. Frontex ed Europol, le due agenzie che dovrebbero cooperare per contrastare criminalità e immigrazione illegale, non comunicano questi dati personali dal 2022. Il responsabile è il polacco Wojciech Wiewiorowski, garante europeo per la privacy, che pure per questo sta perdendo la fiducia di popolari e conservatori nel Parlamento europeo. «Ci diamo la zappa sui piedi da soli, il garante avalla con le sue decisioni l'assurdità che la tutela della riservatezza di potenziali criminali o clandestini prevale sulla sicurezza dei cittadini europei. È una follia da scardinare» denuncia Sara Kelany al Giornale, deputata e responsabile del dipartimento immigrazione di Fratelli d'Italia. La sospensione della condivisione dei dati fra le due agenzie europee scaturisce da due pareri emessi dal garante per la privacy del 7 giugno 2022 nei confronti di Frontex. Il risultato è che l'agenzia per la difesa delle frontiere esterne respinge diverse richieste di Europol, che lotta contro la criminalità organizzata compresi i trafficanti di uomini. L'assurdo è che sia stata bocciata pure una generica richiesta di dati riguardanti i flussi migratori lungo la rotta dell'Africa occidentale verso le isole Canarie. Non solo: il garante polacco ha avviato un'indagine contro Frontex sul trattamento dei dati personali di delinquenti ed illegali. Due anni dopo ha concluso l'inchiesta «censurando» l'agenzia, la sanzione meno grave, perché Frontex aveva subito interrotto la trasmissione dei dati, cruciali per indagini ed incroci investigativi. Kelany, che fa parte della delegazione della Camera al Gruppo di controllo parlamentare congiunto su Europol, è decisa a dare battaglia e ha presentato un'interrogazione. «Abbiamo ricevuto conferma che lo scambio tra Frontex ed Europol di dati personali relativi a soggetti sospettati di aver commesso reati transfrontalieri, in particolare connessi alla immigrazione illegale, è stato interrotto a seguito dei pareri emessi () dal Garante europeo», riporta il testo. «Non sono stati indicati i tempi per la definizione di un accordo in materia tra Europol e Frontex - continua l'interrogazione - né è stata fornita dal Garante una valutazione sulla opportunità di interventi legislativi volti a bilanciare la protezione dei dati personali con altri interessi pubblici, quali la lotta alla criminalità e la sicurezza». La domanda chiave è «quali iniziative Europol intende assumere () affinché lo scambio dei dati personali () riprenda in maniera sistematica e regolare?». Anche Alessandro Ciriani, Nicola Procaccini e Giuseppe Milazzo, eurodeputati dell'Ecr, il Gruppo dei conservatori europei, hanno presentato un'interrogazione alla commissione di Bruxelles. Il garante polacco, bocciato in gennaio nella Commissione Libertà civili del parlamento europeo a favore dell'italiano, Bruno Gencarelli, rischia il posto. Nel frattempo guai a scambiare i dati di potenziali criminali transfrontalieri, trafficanti di uomini e clandestini.


e   per  finire    sempre  sulle nuove tecnologie  

  a  msn.it

Cameriere robot “licenziato” dal bar di Treviso dopo soli 4 giorni. «Vengono ancora a chiederci di lui»





TREVISO - Quella mattina di un anno fa, in Piazza dei Signori, sembrava l'inizio di una piccola rivoluzione. Al bar Signore&Signori, storico locale nel cuore del centro, era arrivato Bob: non un nuovo cameriere in carne e ossa, ma un robot. Moderno, operoso e silenzioso, programmato per portare con precisione piatti e bevande ai tavoli, aveva destato curiosità e simpatia tra i clienti ancora prima di servire il suo primo caffè.
Peccato che il suo servizio sia durato appena quattro giorni: tra la pavimentazione irregolare e la calca degli avventori, Bob ha dovuto issare bandiera bianca. Eppure, a distanza di più di un anno, qualcuno continua a chiedere di lui, spinto dalla curiosità per quella particolare parentesi hi-tech. «Vengono ancora a chiederci del robot – racconta il titolare Luca Marton –, anche la settimana scorsa qualcuno l’ha nominato».
L’idea era semplice: non sostituire il personale, ma alleggerirne il lavoro, rendendo il servizio più veloce e, nelle intenzioni, anche più efficiente. Per il titolare Luca Marton, Bob era "un aiuto concreto, non un rimpiazzo", una sorta di compagno di squadra metallico che avrebbe permesso ai camerieri di concentrarsi di più sui clienti, risparmiando loro le corse dalla cucina alla sala. Il robot, dal valore di 20mila euro, era stato presentato con entusiasmo: mappatura autonoma del locale, velocità fino a 20 km/h, programmazione personalizzata. Insomma, tutto faceva pensare a un perfetto connubio tra tecnologia e ospitalità. E invece, dopo soli quattro giorni di prova, l’avventura si è interrotta.
 DIFFICOLTÀ
Il motivo? A tradire Bob non sono stati i circuiti, ma i sampietrini. «Qui faceva fatica perché il terreno è accidentato» racconta oggi Marton, con un sorriso tra l’amaro e il divertito. Piazza dei Signori, con la sua antica pavimentazione irregolare, si è rivelata un ostacolo insormontabile per il robot cameriere, che se la cava egregiamente, invece, sulle superfici lisce e lineari. Il bar, poi, vive di un’umanità disordinata: gruppi che si spostano all’improvviso, clienti che si alzano e si siedono, tavoli disposti a seconda delle esigenze. Bob, abituato a seguire un percorso prestabilito, era incapace di districarsi tra avventori in continuo movimento. «La domenica qui sembra di essere a Roccaraso» scherza Marton, riferendosi alla folla che riempie il locale nei giorni più gremiti. Con quel via vai, anche il robot più evoluto si ritrovava spaesato. E così, dopo quattro giorni di tentativi, il piccolo cameriere è stato messo da parte.
IL FUTURO
Nonostante la breve esperienza, Marton non ha dubbi: «Quella tecnologia è il futuro, è già una realtà nei locali con spazi più adatti. Al Sud queste macchine vanno a ruba», osserva. Nel frattempo, al Signore&Signori, il personale è tornato a servire senza aiuti meccanici: quattordici dipendenti in carne e ossa, una squadra che, tra pioggia, sole e gruppi di turisti, continua a fare il suo lavoro con l’elasticità e l’intuito che, almeno per ora, le macchine non possono replicare. Ma a quanto pare, la memoria di Bob continua a vivere nei ricordi dei clienti: «Vengono ancora a chiederci del robot – racconta il titolare –, anche la settimana scorsa qualcuno l’ha nominato». La storia del piccolo cameriere finito a riposo dopo appena quattro giorni fa sorridere, ma solleva anche uno spunto profondo: la tecnologia, per quanto brillante, non sempre può sostituire l’esperienza umana. Soprattutto in luoghi dove a contare non è solo la velocità, ma anche la capacità di adattarsi al momento, agli imprevisti e a quell’atmosfera viva che rende un bar come Signore&Signori un piccolo pezzo di comunità. Bob, intanto, aspetta tempi (e pavimenti) migliori.

10.10.24

«Mi rimanevano 3 anni da vivere a causa di un tumore terminale, ma una nuova passione mi ha rimesso al mondo»

 Un tumore terminale che le lasciava tre anni di vita: «Pensavo che la mia vita fosse finita», ricorda la giovane mamma con angoscia. Poi qualcosa è cambiato e una nuova passione le ha permesso di rinascere, di riprendere in mano il suo futuro e combattere per rimanere il più a lungo

possibile con la sua famiglia, per veder crescere i suoi figli e trovare la felicità, giorno dopo giorno. Ora Michelle sogna di diventare un'atleta e partecipare al triathlon, nonostante non sapesse né nuotare né andare in bici, e questo obiettivo le ha dato modo di esplorare una nuova prospettiva: «Il cancro non mi definisce».

Il viaggio di Michelle

Michelle Hughes aveva 34 anni quando, dopo la nascita del suo terzo figlio, è collassata in casa. Non ci è voluto molto per la diagnosi: numerosi tumori ai polmoni e 15 cisti al fegato. Inoperabili. I dottori le hanno detto che le rimanevano tre anni. La prima reazione è stata terribile: «Improvvisamente ho perso la vita che avevo immaginato per me e la mia famiglia». Poi un sogno l'ha fatta uscire dal tunnel e ha iniziato un percorso per diventare una triatleta, pur non essendosi mai dedicata né alla corsa né al nuoto. Eppure da allora ha preso parte a 12 eventi podistici, tra cui una mezza maratona. Ad agosto ha completato un mezzo triathlon - come riporta il DailyMail - ripercorrendo il tragitto dall'ospedale dove ha ricevuto la diagnosi fino alla sua casa estiva. Proprio quest'impresa è stata trasformata in un breve documentario. Sui social scrive: «Tenevo in braccio il mio bebè di tre settimane ed ero seduta accanto a mio marito quando l'oncologo ha detto che mi restavano cinque anni di vita, probabilmente tre. Le mie bambine avevano cinque e due anni all'epoca». La consapevolezza di non avere molto tempo a sua disposizione l'ha spinta a vivere il più intensamente possibile: «Non avevo capito, allora, che la mia vita era appena iniziata. Mi era stato fatto il dono di sapere che sarebbe stata più breve di quella di molti altri, e dovevo smettere di stare seduta ad aspettare la morte». Alla Michelle è stato diagnosticato un raro sarcoma chiamato emangioendotelioma epitelioide (EHE), che ha origine nelle cellule che rivestono i vasi sanguigni, più comune tra i giovani, gli adulti di mezza età e le donne.Oggi ha 37 anni, sono passati tre anni dalla diagnosi, e ha realizzato il suo sogno: «A tutti i miei compagni che lottano contro il cancro, ai ai sopravvissuti, ai vincitori e a quelli che il cancro ha rubato, lo faccio per voi. Per noi. Ora sono una triatleta».

28.12.23

social legioni di complottisti da tastiera stanno mettendo in dubbio non solo la qualità ma anche la veridicità della straordinaria foto di Valerio Minato su Superga, il Monviso e la Luna, premiata dalla Nasa per la sua meraviglia.



Dando un occhiata alle bache dei followeras di fb  ho  appreso   che  Valerio Minato, un fotografo professionista di Biella, classe 1981, ha vinto il premio come foto del giorno della Nasa nel giorno di Natale

 

La foto,che ritrae in un immaginifico incastro la Luna, il Monviso e la basilica di Superga è stato premiato dalla Nasa e dalla Michigan Technological University.  Una  foto   attesa per sei lunghi anni, mostra una scena pittoresca con la Basilica di Superga, il Monviso e una meravigliosa Luna al tramonto nella sua fase crescente.



Si intitola “Cathedral, Mountain, Moon”, non serve, almeno si  spera  aggiungere altro.Ma  ecco  che      arrivano   i  ptrimi  commenti  : << “È falsa come una banconota da tre euro”.,“Photoshop”.,
“È solo uno che aveva molto tempo da perdere”.,“Ma a chi la date a bere? Il Monviso si trova dall’altra parte di Superga”.,“Manca solo E.T. poi il tarocco è completo >>Questi sono   una minima parte delle centinaia di commenti con cui ovunque sui social legioni di complottisti da tastiera  e  non  solo  stanno mettendo in dubbio non solo la qualità ma anche la veridicità della straordinaria foto di Valerio Minato su Superga, il Monviso e la Luna, premiata dalla Nasa per la sua meraviglia.
Ora, sarebbe pure una questione modesta rispetto all’eccezionalità  ed  alla  bravura    dello scatto, eppure è un riflesso impietoso dello stato drammatico di larga parte di questo Paese.
In pratica, qui abbiamo un fotografo di eccezionale talento e costanza che ha trascorso gli ultimi sei anni - SEI anni - della sua vita prima per capire se, come e quando un simile allineamento si potesse verificare, poi a trovare il luogo esatto - uno soltanto tra miliardi possibili - in un bosco di notte a 30 chilometri dalla città, e ritrovarsi esattamente nel luogo giusto, al momento giusto, col grado di sereno giusto affinché questo spettacolo straordinario potesse verificarsi, senza alcun fotomontaggio o intelligenza artificiale, finendo per essere anche premiato dal principale ente scientifico astronomico al mondo.
Però poi arriva manuelino77 o @noncielodikono ed  altra 
gente che fino a ieri mattina non sapevano nemmeno cosa fosse un teleobiettivo, ma oggi ci vengono a dire che è tutto un grande inganno e giurano che siamo ingenui e che uno scatto del genere è semplicemente impossibile. E che potranno farla pure alla Nasa, ma a loro no.
Ora Capisco essere ignoranti in ambito fotografico e tecnico , visto che ad un occhio in esperto può sembrare fotoshop e simili , ma un minimo di documentazione . Ma soprattutto quando si apprende che ha reso una cantoinata o ametti il tuomerrore \ la tua ignoranza o ti rifuggi in silenzio , non che come un idiota continui ad insistere ed adduci teorie assurde. Come Nicolò Oppicelli _ << Ho passato diverse ore a guardarla chiededomi quanto Valerio la avesse sognata e ricercata. Riguardo ai troppi commenti che girano sul web, beh...è facile nascondersi dietro commenti superficiali come generata con AI o "photoshopped", quando si guarda una fotografia straordinaria. Tali commenti ignorano l'incredibile abilità, la passione e l'impegno che stanno dietro la creazione di quella fotografia. La fotografia è una forma d'arte che richiede una visione unica e una dedizione senza pari: ogni scatto cattura un momento irripetibile, una storia non raccontata, un'emozione che parla al cuore. Invece di criticare, dovremmo celebrare la magia che queste immagini portano nelle nostre vite, ricordandoci che dietro ogni fotografia c'è un artista che ha messo a disposizione del mondo una parte di sé. >>
Concordo inoltre con Lorenzo tosa quando dice : <<E allora capisci. Non che ce ne fosse bisogno, ma realizzi, da una vicenda tutto sommato trascurabile come questa, come siamo finiti fino a questo punto, con quale livello fuori scala di abiezione e arroganza dell’ignoranza dobbiamo fare i conti ogni giorno su questioni molto più complesse e vitali, quando si parla di salute pubblica, giustizia, politica, voto.>>Alla  faccia   haters   odiatori   e ei  complottisti     sia vedendo le sue  foto    sul  suo  sito https://www.valeriominato.it/   sia  

 


  il backstage  che  trovate    sopra ( o qui  da suo  Facebook     se   non     si riesce  a  vedere  il  video )    ❤️ 15 Dicembre 2023, ore 18:52. Non perdetevi la chicca che arriva al secondo 20 ✈️  <<<  Condividetelo se vi va per aiutarmi a far capire che siamo circondati di meraviglia anche senza fotomontaggi o intelligenza artificiale 🙏💘 >>  non  mi  sembra  abbiato  usato  montaggi    digitali   . Ma  sopratutto  non è un fotografo  alla   sbaraglio o improvvisato ma uno che  ci mette  passione   e studio  vista  l'abilità   con cui  ha  saputo  immortale  con precisione   oraria  e    derl luogo di tale  fenomeno  . Infatti  ecco la     Spiegazione  di APOD: 25 dicembre 2023 – Cattedrale, Montagna, Luna (nasa.gov) :

 
Singoli scatti come questo richiedono pianificazione. Il primo passo è rendersi conto che un triplo allineamento così sorprendente ha effettivamente luogo. Il secondo passo è trovare la posizione migliore per fotografarlo. Ma era il terzo passo: essere lì esattamente al momento giusto... E quando il cielo era sereno, quella era la cosa più difficile. Cinque volte in sei anni il fotografo ha provato e trovato maltempo. Finalmente, solo dieci giorni fa, il tempo era perfetto e un sogno fotografico si è realizzato. Scattata in Piemonte, Italia, la cattedrale in primo piano è la Basilica di Superga, la montagna al centro è il Monviso, e, beh, sapete quale luna c'è sullo sfondo. Qui, anche se la Luna al tramonto è stata catturata in una fase crescente, l'esposizione era abbastanza lunga per la luce terrestre doppiamente riflessa, chiamato bagliore da Vinci, per illuminare l'intera parte superiore della Luna.

non so  cos'alòtro dire  davanti  a  tale bellezza   

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...