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12.11.09

Crocifisso e poveri cristi

 

Poveri cristi, minuscoli e con la minuscola, sono i cassintegrati e i licenziati cui nessuno bada. Irrisi con la corona di spine dell'indifferenza e, addirittura, dell'inesistenza; di loro non si parla, anzi, la crisi sarebbe addirittura finita: la loro vita, quindi, non è. "Nell'area dove lavoro - mi scrive un'amica di Sesto San Giovanni - ci sono lavoratori fuori dai cancelli in continuazione, gente che aspetta gli stipendi da mesi... come se fossero fatti d'aria". "Fatti d'aria", un'immagine potentissima proprio per il suo evocare l'inconsistenza; eppure l'aria è presente, l'aria fluttua nell'aria, cova, scalcia, strepita, grida. L'aria può esplodere. E, concretissimamente, distruggere tutto. Guai a chi uccide l'aria.







E tentano di uccidere l'aria quando quest'ultima si fa colore, lampo. Le squadracce fasciste che organizzano raid punitivi contro i manifestanti dell'Ex-Eutelia non sono teppisti isolati, ma rappresentano, sempre più, la tragica normalità. Anche nel 1919 i ras locali, capitanati dal giovane Benito, andavano all'assalto di sindacati, operai e contadini, col beneplacito degli industriali del tempo e il tacito assenso delle autorità, politiche e religiose: i principi dei nuovi farisei. E, come allora, i poveri cristi erano costretti al silenzio.


Poveri cristi sono i precari della scuola che, giunti laceri alla soglia dei cinquant'anni, mai potranno sperare in un posto fisso. Assieme a loro, altrettanto poveri, gli ex-studenti del liceo serale Gandhi, ai quali, più che agli altri, la cultura serve come il pane; il pane quotidiano. Ma meglio tacitarlo, questi bisogno; renderlo inesistente, aria. Himmler, il teorico dell'ignoranza scientifica, aveva ben chiaro questo concetto, già settant'anni fa: "Per me, basta che la gente sappia contare fino a cento".


Poveri cristi sono i giovani e i senza diritti, come denunciano don Ciotti e don Andrea Gallo. Già altrove scrissi che la nostra società esalta astrattamente la gioventù (esiste anche un Ministero apposito) ma annichilisce i giovani; spezzandone i sogni, costringendoli a navigare a vista nel mare fangoso d'una quotidianità avvilente, consci che nulla potrà cambiare, che la parola futuro è loro preclusa. Gli immigrati, degradati a non-persone, vengono evocati a mo' di spauracchio in un'altra categoria di individui: i nemici, in genere, si ignora se oggetti o bestie, o qualche indistinta entità, ma comunque fuori dell'umano consesso.


Povera crista è quella che don Bottoni chiama democrazia in agonia, e di cui Salvatore Borsellino tratteggia un quadro inquietante. Le cronache dovrebbero esserne piene. Ma ben altri, invece, sono gli argomenti gridati quotidianamente dai media. Parola d'ordine, la mancanza di parola. Abbiamo letto le dichiarazioni di mons. Crociata, secondo cui "i mafiosi non possono appartenere alla Chiesa". Bene, sembrerebbe una tautologia, di fatto però non lo è, quindi accogliamole con piacere, benché assai intempestive. Peccato che poi si precisi che proclamare la scomunica per i mafiosi è "inutile, perché un mafioso si colloca già fuori della Chiesa". In teoria, solo in teoria. Infatti la scomunica "automatica", sempre scrupolosamente attuata, e sonoramente ribadita, nel caso di aborto, per i mafiosi non scatta affatto, se un vescovo non la applica. E certuni evitano di farlo. Mons. Bregantini, da due anni "promosso" a Campobasso, quando si trovava a Locri era uno di quei prelati coraggiosi che scomunicavano gli "uomini d'onore" (...). Ma quanti ne abbiamo visti, di questi ultimi, a fianco dei religiosi nella processione per il santo patrono? Quanti mandanti di stragi sanguinarie hanno giurato e spergiurato sulla Bibbia?


Poveri cristi sono i milioni di morte per fame, un record negativo mai toccato da settant'anni a questa parte. Si sostiene che la speranza può arrivare dalle donne. Ma le donne sono le povere criste per eccellenza.


Marinella, infatti, è stata violentata da bambina; bambina lo è ancora. E' accaduto in Italia, ad opera di italiani. Il suo paese e il "primo cittadino" (Pd), però difendono gli stupratori. D'altra parte, una donna non è nemmeno degna di rappresentarlo, il crocifisso; per la sua stessa natura, peccaminosa e imperfetta, ne è esclusa. Qualcuno di voi ancora ricorderà la querelle sulla crocifissa di Milano, lo scorso anno. Il manifesto venne poi censurato perché il corpo femminile, esclusivamente materiale e inferiore, non poteva in nessun modo raffigurare "il" Cristo. Solo, appunto, "le" povere criste, che non commuovono nessuno.


Ma in questi giorni le cronache, a malincuore, straripano di colui che è diventato, suo malgrado, il povero cristo per eccellenza: e ne avrebbe fatto volentieri a meno. Stefano Cucchi aveva gli occhi persi e fragili fin dall'inizio. Vagolava impercettibile, confuso tra mille altre anime, lontano dal tramestio di qualunque riflettore. Stefano era uno sconfitto in partenza; un martire per caso, come il nome che fatalmente gli era piombato addosso quel giorno, all'anagrafe. Non desiderava testimoniare niente, e le fotografie che ce lo restituiscono ora, col volto tumefatto poco prima di abbandonare per sempre quella periferia d'esistenza da qualcuno chiamata vita, ci raccontano d'un uomo spaurito, indifeso, svaporante in un labirinto incomprensibile. Che ci faccio qui?, sembrava chiedersi. Già: che ci faceva lì? E soprattutto: perché in quel modo? Perché lo si è dato per vinto a 31 anni? Perché lo si è ucciso, ben prima che il suo corpo divenisse la sagoma legnosa che ormai tutti conosciamo, per nulla diversa, tranne che nel colore, dalle salme dei deportati di Auschwitz?


Perché Stefano era, appunto, un povero cristo. La cui appartenenza al genere umano non era per nulla scontata, anzi. Stefano era altro: un drogato, un anoressico, un sieropositivo. Altro. Fatalmente, per forza, nell'ordine delle cose, poteva finire solo così. Perché stupirsene? Il ministro Giovanardi riteneva la sua fine normale, è probabile si sia pure stupito di tanto clamore. Poi Giovanardi ha chiesto scusa. Un sussulto di pietà in un mondo che ha perso l'elementare percezione delle nostre comuni radici. Oggi, quando si parla di radici, non è per unire, ma per separare. Le radici cristiane tanto invocate da Giovanardi a tutela della nostra tradizione gli hanno impedito di vedere in Stefano il volto di quel (povero) Cristo davanti alle cui immagini (in gesso) piamente s'inchina. E l'hanno reso dimentico del fatto che il primo santo della Chiesa, quella Chiesa che tanto gli starebbe a cuore, era un altro povero cristo più disgraziato di Cristo: era un ladro; una nullità, uno sconfitto anche lui. Spazzatura umana, decretano gli americani in questi casi.


Eppure, mai come ora quel corpo infimo, quel rifiuto senza storia, quell'inesistenza così anonima secondo Giovanardi, mai come ora quel silenzio è possente, carnale, vivido. Adesso Stefano finalmente parla e accusa, senza odio, col suo semplice nome. E costringe anche chi voleva silenziarlo a occuparsi di lui. E' stato percosso e umiliato, testimonia un suo compagno di sventure, un nero, un vinto anche lui, che però no, ora "non vuole più tacere". E si scoprono, vieppiù, tanti altri Stefani, tanti altri anonimi confinati nell'anonimato: come quel Giuseppe Saladino defunto a Parma in circostanze oscure. Coetaneo di Stefano, coetaneo di un povero cristo che si credette Cristo duemila anni fa.


I poveri cristi non possono essere oscurati dal crocifisso in legno, o gesso. Per me, quindi, la falsa polemica di questi giorni sarebbe chiusa, anzi, non avrebbe nemmeno dovuto esser aperta. D'altro lato, a parte i già menzionati Ciotti e Gallo, sono stati più esaustivi di me, pur nella diversità di pensiero, Aurelio Mancuso, don Farinella e, soprattutto, Marco Travaglio, nel cui intervento m'identifico del tutto. Riguardo alla famiglia "offesa" dalla presenza della suppellettile, e ai "laici razionalisti libertari" che ne lodano il "coraggio" (naturalmente in Italia, al sicuro e al calduccio) non occorrerebbe spendere neppure una parola, se non fosse per precisare che i fondamentalisti, da qualsiasi parte arrivino, non mi garbano. Li invito a rileggere, anzi a leggere Pasolini in proposito, e per me è chiusa qui.


Qualche parola in più la spendo, invece, dopo aver assistito, su Youtube, alla sarabanda del trittico Santanché-Sgarbi-Meluzzi-Parietti, con la complicità compiaciuta della conduttrice Barbara D'Urso, andata in onda domenica scorsa durante il contenitore per famiglie (!) Domenica Cinque. Anch'essa, come la puntata sullo stupro di Marinella, trasmessa in fascia protetta, in orario di massimo ascolto e alla presenza di bambini.


Il video, certo, si commenta, o dovrebbe commentarsi, da sé, anche perché sia la D'Urso sia gli autori del programma sia i protagonisti di quell'immonda canea hanno artatamente omesso di puntualizzare che, nella diatriba sul crocifisso, i musulmani non c'entrano nulla. La Corte europea ne ha ordinato la rimozione non per loro, che venerano Gesù come profeta dell'Islam, pur giudicando un falso la sua crocifissione; ma per venire incontro alle rimostranze d'una laicissima e perseguitatissima famiglia italo-finlandese, sdegnata dalla presenza di "quell'acrobata sulle pareti" (è uno dei commenti che mi è toccato leggere da parte di uno dei "voltairiani" assertore della "causa"). In effetti qualche parola conviene spenderla, specie dopo aver passato in rassegna - schifati - le "osservazioni" di alcuni utenti. E allora ripenso a Pasolini, un laico autentico (e, per questo, religiosissimo), totalmente alieno dalla parodia dei "razionalisti libertari" alla pastasciutta dei nostri giorni. Rammento le sue pagine sull'arte medievale e rinascimentale, il suo Vangelo secondo Matteo. Il suo Usignolo della Chiesa cattolica, le ultime, terribili pagine sulla Fine della Chiesa nell'incompiuto Petrolio. Quanto ci manca, un empirista eretico sano come lui.


E Pier Paolo l'aveva già individuato, quello scadimento della religione da cultura a tradizione (oggi diremmo: radici cristiane), che inevitabilmente rivelava l'anima pagana del popolo italiano. Oggi un'animatrice del Billionaire, fascista dichiarata, rappresentante d'una formazione politica apertamente antisemita, la paladina delle donne che milita in una combriccola di machisti fin nelle ossa, gorgheggia su "Maometto pedofilo" precisando, per rimarcare la differenza, che "per la NOSTRA cultura questo è inammissibile". E il Meluzzi, il filosofo berlusconiano del Vangelo secondo don Gelmini, assente rumorosamente col capoccione squassato dai lunghi capelli, "che Gesù non era palestinese ma ebreo, e Paolo un cittadino romano". Testuale.


La Bibbia, di cui è innervata la NOSTRA cultura, mette in piazza sacrifici umani dei propri figli (Isacco), patriarchi incestuosi (Lot che giace con le proprie figlie per garantire la continuità della specie dopo la distruzione di Sodoma), lapidazioni d'adultere, roghi di streghe e maghi, ostracismo dei lebbrosi (trattati peggio dei cani rognosi e costretti a munirsi d'un campanello ogni qual volta si avvicinavano a un villaggio abitato, per annunciare la loro orribile presenza), sterminio di omosessuali, schiavismo, legge del taglione, imposizione del velo e del silenzio alle donne (proprio il "romano" Paolo, pur se il passo andrebbe, ovviamente, contestualizzato). Eccetera eccetera per quasi settantasette libri.

 

 


Cristiani, ebrei e musulmani nel grembo dell'unico Dio, miniatura del XII sec. (Istanbul, museo Topkapi).




La Billionairina ne è all'oscuro, per il semplice e banale motivo che l'unico testo sacro esistente a casa sua è il catalogo delle protesi di chirurgia estetica. Il filosofo secondo don Gelmini pure, perché lui è convinto che gli ebrei provengano da Alzate Brianza e i palestinesi, invece, appartengano a un'"altra razza"; quanto a Paolo, nato Saul in quel di Tarso, autodefinitosi "ebreo per nascita e, per cultura, fariseo", credete che tutto questo importi? Non siamo più nel campo della cultura; qui, veramente, siamo nello sterco, ma i Meluzzi e le Billionairine crescono e prosperano proprio nel pantano dell'ignoranza, delle radici marce, di tradizione e distinzione senza passato e prive di futuro.


"L'uomo di Nazareth, Gesù il crocifisso, è figlio integro di una cultura e di una civiltà non occidentale, - ricorda don Farinella - Ebreo, figlio di madre ebrea, cresciuto nella dimensione civile palestinese [checché spiaccia a Meluzzi] e nella cultura semitica del suo popolo, egli è latore di una cultura palestinese-semitica che ancora oggi possiamo assaporare negli scritti del NT. Molti difensori d'ufficio del crocifisso, politici e anche cristiani, se prendessero consapevolezza della ebraicità di Gesù, lo crocifiggerebbero per la seconda volta su una croce più alta e più sicura della prima" (il grassetto è mio).


Il messaggio di Gesù è, al tempo stesso, specifico e universale; in una parola, umano. Nel senso pieno. Per i "laici razionalisti" come per i devoti alla triade "Silicone, Fascio e Billionaire", resta una pietra d'inciampo e mai una testata d'angolo, di cui sbarazzarsi o da usare come arma contundente in nome di radici, identità, tradizione e carote varie.



"Gli idoli delle genti sono argento e oro,/opera delle mani dell'uomo" (Bibbia, salmo 114-115).


Daniela Tuscano







15.10.09

Laici senza latino

E va bene, rieccomi al caso-Binetti. Che con la sua assenza al voto parlamentare ha permesso il varo dello scudo anti-evasori, che ha strillato contro i poveri Welby ed Englaro, che ha opposto, al contrario, un tombale silenzio-assenso alle missioni di "pace" in Medio Oriente, segno che c'è vita e vita, e d'altronde dulce et decorum est, pro patria mori: li attenderà una corona in cielo e di questa dovranno gloriarsi, e andarsene cantando da questa valle di lacrime, come eroi di Metastasio. Ma di fronte all'unico peccato che per lei conti, quello sessuale e omosessuale, poteva mancare? Poteva forse permettere una legge contro l'omofobia, elaborata, secondo lei, non per proteggere un gruppo sociale a rischio (anche ieri sono state selvaggiamente aggredite due ragazze), ma volpinamente studiata dalla fosca e potentissima lobby gay per permettere lo scempio del matrimonio sodomita? No di certo.


Detto, fatto: in trenta secondi è stata affossata una legge concepita in estenuanti trattative di un anno, e che possiedono tutti i Paesi civili. Il Vaticano e i giustizieri hanno brindato, per lo sbalestrato Piddì l'ennesima tegola in testa, tanto più che la Binetti, con candida perfidia, ha già fatto sapere che non uscirà dal partito, ma anzi voterà per il favorito dei tre segretari, Luigi Bersani.
Alla limpida analisi di Luca Telese, Il senso della Binetti per la laicità, non si può, oggettivamente, aggiungere nulla, anche perché quando sono costretta a ripetermi provo un'autentica irritazione; e la Binetti, come sapete, la conosco. Mi permetto solo una piccola postilla. Stando così le cose, risulta evidente che contrapporre alla deputatessa ciliciata i Grillini, le Luxuria e i Cecchi Paone non è solo inutile, ma nocivo; e fuori bersaglio. Il problema non è nemmeno la persona-Binetti, ma ciò ch'ella rappresenta: storia, pietra, spirito e non sesso, come s'illude lo sconsiderato Grillini. Affonda le radici in certo Medioevo penitenziale e flagellante, nel dolorismo secentesco (la sofferenza e l'astinenza come valori in sé), nelle orazioni di San Bernardo che, allo stesso modo di Bin Laden oggi, esortava il cavaliere cristiano a uccidere l'infedele non per cattiveria nei suoi confronti, ma "in odio a Satana"; similmente, Binetti sarebbe capace di condurre al rogo un individuo soffrendo con lui.La possiamo chiamare deviazione del messaggio cristiano, e lo è; per me, si tratta addirittura di bestemmia, tanto più grave poiché compiuta in nome di Dio: ma non si può negare che tale deviazione ha plasmato molte menti e molti cuori, e non conoscerne le ragioni storiche e sociali è imperdonabile. Piaccia o no, Binetti propone un'etica o, se vogliamo, una contro-etica, un'etica a rovescio: non le si può contrapporre la mancanza totale di etica, ma un'etica diversa, altrettanto forte, più forte, perché basata sull'umanesimo e non sull'anti-umanesimo. Sulla fiducia e non sul sospetto. Sulla carità e non sulla condanna. Su Cristo e non sul Papa.
Per questo Binetti teme di confrontarsi coi gay credenti, che non -sono solo gay, ma uomini e donne che vivono, lavorano, pregano e si prodigano per i loro simili; potrebbero metterla in crisi l'appello dei preti gayriflessioni di Geronimo Gentile, non gli sberleffi di Luxuria. E non alludo solo ai credenti: il laico Pasolini la zittirebbe in meno di un minuto, ma non è un caso che Pasolini, oggi, sia stato accantonato anche da chi dovrebbe contribuire più di altri a diffonderne il pensiero.Telese auspica che la Binetti sia "laicamente espulsa dal Pd". Lo desidero anch'io, ma bisognerebbe farlo in nome di un'etica, ora del tutto mancante. In altre parole: a certa laicità, oggi, manca il suo latino. E si avverte, purtroppo.



                                       Daniela Tuscano

19.3.09

La festa del padre


Anniversario. Il 19 marzo 1994 cadeva di sabato. Lo ricordo benissimo perché, il giorno dopo, il placido, mite e sonnacchioso cristianesimo della nostra cittadina di provincia subì una sferzata imprevista. "Assassinato in chiesa", titolarono a caratteri cubitali i maggiori quotidiani. L'assassinato era don Giuseppe Diana, don Peppe per gli amici. Non era la prima volta: nel settembre '93 l'aveva preceduto un suo omonimo, don Pino Puglisi; e poco tempo era trascorso dal martirio di mons. Oscar Romero, in un Salvador così maledettamente uguale al nostro Sud.




A lui, ne sono sicura, non piaceva la definizione "prete anticamorra"; e lo stesso potrebbe dirsi di don Puglisi e monsignor Romero. Un prete "anticamorra" (o antimafia, antidittatura, antirazzista ecc.) è infatti, o dovrebbe essere, una tautologia. Un prete "anticamorra" è un prete che fa il prete.





A don Peppe bastava la Bibbia. "Per amore del mio popolo non tacerò", aveva letto da Isaia, e così abbiamo udito ripetere tante volte anche noi, da monotoni pulpiti. Solo che, a differenza nostra, la fede di don Peppe non era un pezzo d'antiquariato, ma materia turgida, vulcano ribollente, spasmo incontenibile. Da gridare sui tetti, come tutte le verità trapassate dall'amore. La Bibbia era divenuta libro di carne e d'ossa, sangue vivo. Al punto da trasformare quel versetto nel suo testamento spirituale, che ancor oggi interpella, abbatte e consola. Non ci ardeva forse il cuore nel petto, quando ascoltavamo le sue parole?


Don Peppe non portava il clergyman, ha ricordato Roberto Saviano. Mica per puerile ribellismo, mica per accattivarsi qualche velleitaria simpatia radical-chic. E' che quella roba probabilmente sembrava, anche a lui, una tautologia. Un inutile impiccio. Una palandrana che gl'impediva i movimenti. Al più poteva star bene in un museo, in qualche quadro d'epoca, ecco. Forse non ci pensava nemmeno. Aveva altro per la testa.



Il 19 marzo era la sua festa. La festa di don Peppe, ossia, di padre Peppe. Ad altri padri, piccoli padri, padrini, quella sua paternità non piaceva. Troppo schietta, troppo fastidiosamente femminea nella sua pertinace visceralità di curarsi degli altri, di volerli crescere adulti, liberi, indipendenti e tesi, dritti in faccia. Impertinenti. Così hanno voluto cancellargliela, la faccia, alle 7.30 di quindici anni fa.


Ma non ci sono riusciti.


Censimenti. "In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo" (Lc 2, 1-7). Un altro brano della Bibbia ci presenta un altro padre, il padre: anch'egli Giuseppe, anzi, soprattutto lui. Un padre discacciato dalla sua terra, un padre anche decisamente strano, che a differenza dei padri suoi contemporanei non parla mai, non alza mai la voce, non giudica, non condanna. Ha una sposa incinta d'un figlio non suo, che sia vergine non lo crede nessuno, tranne naturalmente lui, che probabilmente, le sole volte in cui ha aperto bocca sono state per dialogare con la moglie. Magari per chiederle consigli. Pure questo strano, più che altro inaudito: un uomo del suo tempo, e chissà quanti del tempo attuale, cos'ha mai da dire a una donna? E a una donna di quello stampo, poi? Il figlio ancor più strano si spingerà addirittura oltre, come sappiamo.


La strana famiglia si mette dunque in viaggio per essere censita. Cioè, denunciata. Accade nella Palestina sotto il dominio romano, accade agli ebrei nei Paesi occupati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, accade ai rom italiani di cui si pretendono le impronte digitali: coi delinquenti in nuce, non si sa mai! Accade agli immigrati clandestini per i quali è previsto un trattamento peggiore: l'obbligo per i medici di denunciarli alle autorità di polizia. Per loro non c'è posto all'ospedale, figurarsi in albergo. Però, qualche samaritano non ci sta: l'amico Raffaele Mangano mi segnala che esistono, sono tanti, sono anonimi, sono pugnaci. Sono le mani silenti che restituiscono i figli invisibili ai padri rapiti.


Ma cosa dire se persino alcuni esponenti di quelle forze che più favoriscono la disgregazione delle famiglie e la morte del padre si oppongono a certe infamie? Questo: che Dio, malgrado tutto, non ha abbandonato il cuore a sé stesso.


Gli auto-esiliati. Siamo sempre e solo noi che ci allontaniamo. "Una cosa è parlare sorvolando l'Africa a bordo di un aereo, un'altra è vivere tutti i giorni a contatto con chi di Aids muore e con chi, sebbene sieropositivo, cerca di vivere una vita normale - afferma dall'Etiopia suor Laura Girotto, dopo i fulmini di Ratzinger sui diabolici preservativi ("Non servono per combattere l'Aids, anzi, aumentano i problemi", ha sproloquiato, attirandosi il biasimo di qualsiasi persona con un minimo di raziocinio). La religiosa prosegue: "Non si può dire a una coppia di ventenni, di cui uno sieropositivo, che non dovranno più manifestare il loro amore anche attraverso la tenerezza. L'amore fisico non ce lo siamo inventato, ce l' ha dato il buon Dio. E allora in quel caso il profilattico è una sicurezza, consigliarne il suo uso non è più un fatto morale, ma una questione di buon senso". E il card. Dionigi Tettamanzi, attuale arcivescovo di Milano, da tempo ha inserito nei suoi scritti la clausola della "legittima difesa": cioè il diritto del coniuge cattolico di usare il profilattico o di esigerlo se il proprio partner è a rischio o infetto. Il punto, però, è proprio questo: l'amore fisico come dono di Dio. Ratzinger non riesce proprio, a considerarlo tale. Il sesso, per lui, resta peccato.


Anche "papa" significa padre. Di più: babbo. Ma il padre, per Benedetto XVI, non s'identifica con l'uomo bensì col maschio. Lo ha pure scritto: "Madre non è un appellativo col quale rivolgersi a Dio", a rimarcare una differenza sessuale così insuperabile da risultare eterna, addirittura indispensabile per l'accesso in Paradiso.


Gerusalemme: mosaico sull'altare del Dominus Flevit, dove Cristo viene rappresentato come una chioccia attorno ai pulcini. L'edificio è a forma di lacrima.





Eppure: "Ho contato tutte le tue ossa, ti conoscevo ancora prima che tu fossi formato nel grembo materno", recita il salmista. Ma non mi spingo nemmeno troppo oltre: la smentita al padre-maschio Ratzinger viene, a sorpresa, proprio da un giornalista a lui vicinissimo, Vittorio Messori, in un vecchio articolo da lui probabilmente dimenticato.


Povero, casto Papa-maschio. Nella sua residenza principesca, con le sue mani nivee, protetto dal preservativo del suo diritto canonico, cosa gli tocca subire!


La salvezza dai "diversi". Pochi anni fa destò giusta indignazione il rifiuto d'un vescovo di celebrare il matrimonio d'un disabile (e, per quanto possa esser stata condivisa, a me la decisione continua a sembrare inconcepibile e crudele). Ora a cercare l'anima gemella è Pablo, un Down spagnolo fresco di laurea in scienze dell'educazione che pare aver le idee molto chiare su svariati argomenti. Auguri, chissà mai che tu non possa diventare anche un ottimo padre. Un padre vero, intendo: non un semplice maschio.


I padri veri non temono le diversità e Obama, contrariamente al timorato Bush, sembra non avere esitazioni nel perorare la causa delle persone omosessuali. Qui in Italia, invece, dar loro una lezione, specie se portatori di handicap, è diventato un titolo di merito, quasi come stuprare una femmina. Se non fosse stato per altri samaritani...: lo annota Gianni Geraci in una sua lettera aperta.



Quanto risaltano, vive, le parole di Dio, e quanto siamo incapaci di decifrarle noi, anime morte.


Daniela Tuscano






























2.3.09

Quel convertito di Gesù

Per gli ambrosiani la Quaresima è cominciata ieri. Tradizionalmente, il percorso evangelico si apre con le tentazioni di Gesù. Io però sono rimasta colpita dalle letture delle domeniche precedenti che il nostro rito designa, in modo poetico, "della solidarietà", "della divina clemenza" (un tempo, con pregnanza ancor più vivificante: "misericordia") e "del perdono". Tali letture sono pure considerate un'appendice o, meglio, una "Epifania ragionata". La Rivelazione inattesa, abbagliante e stordente, del Dio bambino ai lontani dell'umanità non poteva restare un'isolata vampa di passione. L'amore ha bisogno, per noi umani, di tempi lunghi, deve sedimentare, esser srotolato ed elusivo, perpetuo e quotidiano, altrimenti non riusciremmo a sopportarlo né a capirlo. Cosa significasse quindi quella manifestazione notturna si sarebbe disvelato pian piano, solo in seguito.







Duccio di Boninsegna, Gesù scaccia il diavolo tentatore. Sotto e in basso: Gerusalemme, picco e deserto delle tentazioni.



Gli odierni esegeti concordano ormai nel ritenere lo sconcertante episodio della donna cananea una sorta di "educazione umana" di Gesù che, da uomo, aveva i suoi limiti culturali e intellettuali, fors'anche dei pregiudizi. Fino a poco tempo fa si insisteva comunque sull'aspetto divino del Messia, che - secondo questa lettura - avrebbe maltrattato la straniera per metterla alla prova. Oggi si preferisce osservare Gesù "dal basso", in quanto più ci rassomiglia, e si sostiene che l'antica interpretazione addirittura scarnifichi il Vangelo.

 

 

E' la nostra attuale sensibilità. Per me, non mi sono mai posta il problema. Ho un'idea tutta mia della perfezione, che non faccio mai coincidere con l'infallibilità. Questa è una prerogativa che, del tutto arbitrariamente, si sono attribuiti i Papi. Ma Gesù non si è mai dichiarato né comportato da infallibile, e il suo cammino di perfezione (S. Teresa) è stato dunque graduale, accidentato, innervato d'incertezze e di rimpianti.
Senza dubbio il Gesù della cananea non è il "buon Gesù". Ci troviamo, anche qui, di fronte a un'epifania, a qualcosa cioè d'inatteso e d'imprevedibile. Veramente Gesù credeva d'esser stato inviato solo per i suoi, veramente considerava la donna lontana una intoccabile e una reietta. Peggio: un cane, e il diminutivo "cagnolino" a me addirittura non è mai suonato come un'attenuazione, ma piuttosto il contrario. Nel Medio Oriente, ancor oggi, il cane, lungi dall'essere l'"amico dell'uomo", è ritenuto un animale sommamente impuro perché simbolo del randagio che si ciba di rifiuti e si abbandona a pratiche sessuali infami. Anticamente, era associato alla sacra prostituzione in uso presso i popoli pagani.

Di conseguenza Gesù affibbia alla sua interlocutrice (quando si degna, nemmeno direttamente, di rivolgerle la parola) il confortante epiteto di "puttanella", tutt'altro che eufemistico; carico, invece, di disprezzo e d'alterigia.

Molti sacerdoti osservano che, di fronte a questo trattamento, o se ne sarebbero andati offesi, o addirittura sarebbero venuti alle mani con quel Gesù non solo maleducato, ma crudele e razzista. Una reazione più che naturale, certo; ma i preti sono maschi e dimenticano sempre che quella "puttanella" è una madre, e una madre - a differenza di non pochi padri - per i figli è disposta a sacrificare anche l'orgoglio personale.

Pertanto la madre insiste, e inghiotte umilmente persino quell'ingiuria. Sa abbassarsi al ludibrio, e solo allora viene esaudita; Gesù la chiama "donna" e sembra quasi che, per la prima volta, riconosca pienamente la sua umanità.

Gesù dunque imperfetto e prevenuto, capace però sempre di mettersi in ascolto e di lasciarsi educare; e la maestra del Maestro è donna e straniera.

A casa di Simone il fariseo Gesù torna quello che conosciamo. Anche qui la mediatrice è una donna, che in tal caso, indirettamente, con la sua sola presenza, insegna la misericordia al dotto e sussiegoso custode della Legge (oggi diremmo: al prete). Sempre il prete, nella parabola del fariseo e del pubblicano, è ulteriormente smascherato nella sua grettezza e ipocrisia.

A me piace immaginare che all'evoluzione del pensiero di Gesù, all'allargarsi della sua prospettiva inizialmente ristretta in ambito locale (una riprova del profondo ebraismo del Nazareno, checché ne blaterino i lefebvriani), abbia contribuito in modo decisivo l'incontro con quella dimenticata "cagnolina" cananea. Ma non è tutto. Mi conforta il fatto che anche Gesù abbia sofferto, o almeno sia stato lambito, da quella perniciosissima malattia dell'anima che si chiama perbenismo. Il perbenismo è stupidamente malvagio, malvagio perché stupido, venefico perché svuota il cuore, corrodendolo dall'interno. Rinsecchisce l'anima, divide in buoni e cattivi, degrada le persone a categorie, i soggetti ad oggetti. Colpisce anche i più misericordiosi.
In verità, le letture citate sarebbero scandalose anche per il semplice fatto di veicolare messaggi quanto mai sgraditi in questi tempi sospettosi e vendicativi, dove noi cristiani non brilliamo certo per una particolare pietà. Siamo forse disposti a dimostrare un alone di tolleranza - sempre più flebile, peraltro - verso i "nostri" emarginati: italiani, innanzi tutto (purché tenuti a debita distanza), e addomesticati. Il vagheggiamento decadente e incolore del debole buono, mite, umile o forse umiliato, cui lasciare un'offerta nelle cassette della chiesa, per missioni sperdute. Ma quando il debole s'avvicina, e magari lo scopriamo di pelle scura, magari nomade, magari disoccupato, magari di un'altra cultura e con gusti amorosi diversi dai nostri, allora diventa molto antipatico, un cane, e noi non siamo stati mandati per lui e non è giusto gettargli il pane nostro.

Siamo buoni cristiani e quindi, argomentano i nuovi teologi in salsa verde, europei e occidentali e padani. Come se l'orientale Gesù fosse nato a Olgiate Olona. Siamo buoni cristiani e quindi non ci scandalizzano le ronde anti-immigrati, perché quelli sono cani. Siamo buoni cristiani e quindi non proviamo alcun ribrezzo ad accettare una cultura e una politica pagane che sul mercimonio del corpo femminile hanno fondato uno dei capisaldi della loro fortuna, perché comunque ci viene promesso il finanziamento alle scuole cattoliche. Siamo buoni cristiani e quindi chiudiamo un occhio sui continui scempi alla Costituzione, ai diritti dei lavoratori, alla libertà d'espressione (anzi un eminente cardinale inquisisce sulla stampa che osa pubblicare le critiche di Hans Küng al Vaticano): il Sillabo, e la conseguente alleanza trono-altare, sono ancor oggi vagheggiati da tremebondi e feroci porporati di scarsissima fede. Siamo buoni cristiani e quindi, in nome della lotta al relativismo dei "cani", riapriamo i sacri palazzi a un manipolo di antisemiti impenitenti, mentre trattiamo da nazista ("è un assassino" , lo bolla il card. Barragan) un disperato uomo solo, divelto, scaricato col suo calvario quotidiano per diciassette lunghi anni. Un uomo che, come l'indesiderata ospite di Simone, ha forse molto sbagliato, ma ha molto amato.


Gesù non è nato a Olgiate Olona.

 

Però si trova anche a Olgiate Olona.

Gesù ha nutrito preconcetti.



Gesù si trovava a casa di un fariseo (oggi diremmo: di un prete. Addirittura di un cardinale. Forse di un Papa). Quel fariseo era perciò suo amico.




Ciò che infine sorprende, in Gesù, non è mica più tanto che abbia vinto le sue umanissime e iniziali chiusure per aprirsi ai  diseredati, anche a quelli antipatici. Questi ultimi incarnano il verbo in modo esplicito.




Per un "ricco" (un tipo rispettabile, benpensante ecc.) entrare nel Regno di Dio è invece difficilissimo; però non impossibile. La salvezza non sarebbe mai tale, se si limitasse a una qualche parzialità.

Gesù supera i preconcetti non solo verso gli stranieri, ma anche verso i suoi. La maggior parte dei farisei (oggi diremmo: dei preti) gli è ostile, ma il Gesù "rinnovato" (dalla cananea?) non ricambia l'ostilità. Ha saputo convertirsi. E' divenuto circolare. Il fatto che la maggioranza dei "preti" del suo tempo non lo accetti né lo comprenda (e alla fine, in combutta con le autorità politiche, lo sacrifichi in nome del trono-altare), non lo spinge neppure per un attimo a rinnegare la legge. Non ragiona per categorie. Nell'altro vede sempre l'uomo.
Anche Saul era fariseo, cioè prete. E ogni tanto, ancora dopo la conversione, ormai divenuto Paolo, tornava a parlare in lui il prete. E nonostante tutto era stato scelto e s'era fatto scegliere.

La Chiesa dei Barragan, dei divieti, delle scomuniche,che condanna gli E. e riammette la sètta di Lefebvre, che abbandona i "cani", non appare, non si presenta, come la Chiesa di Gesù. La Chiesa di noi cristiani della domenica, che di domenica, del resto, neppure vi mettiamo piede, non è (più) la sua. Eppure anche per noi, anche in questa Chiesa comunque voluta e amata, ci sarebbe possibilità di riscatto. Sì, anche per i benpensanti, anche per chi parrebbe il più remoto dei lontani.

La Chiesa di Barragan non è nemmeno la Chiesa di Madre Teresa, di don Carlo Gnocchi , di Lorenzo Milani. Ma proprio Milani confidava a un amico: "Errori nella Chiesa ce ne sono. Ma la Chiesa è la madre. Se uno ha la madre brutta, chi se ne frega!".

La Chiesa è la madre (come la cananea). Ogni volta che ci comportiamo da infallibili, la deturpiamo. Ma non per questo smettiamo di esserle figli. Se ciò avviene, la responsabilità è solo nostra.

Quando si recita, meccanicamente, "Dio si è curvato sulla miseria", si pensa a quella dei "cani". Invece la miseria più miseranda è la nostra, dei Simone moderni, che pure hanno creduto ma si sentono a posto, giudicano e condannano.

Anche per i piccoli e mortali dèi esiste dunque una possibilità di riscatto. Dio conosce davvero il nostro cuore, ne ha uditi i palpiti; per questo non ci abbandona mai.


 

                            Daniela Tuscano




 






18.2.09

Benigni sulle strade di Corinto

D'accordo: gustosissima, a Sanremo, la satira su Berlusconi, Mastella, Alfano & Co., una frecciata allo sfacelo veltroniano ci poteva pure stare, ma non importa. Importa il "dopo".

Quando ha parlato degli omosessuali (mai definiti gay, e non a caso). Il bersaglio non era quel gocciolone di Povia, ma Ratzinger e i suoi epigoni. Li ha stracciati sul loro stesso terreno [cfr. il video completo]. La citazione "L'amore è superiore alla fede" è tratta infatti dall'Inno alla carità di san Paolo. Senza nominare niente e nessuno, con le semplici e sublimi armi dell'arte e della cultura, Roberto ha fatto capire dove sta la verità.


Daniela Tuscano

11.2.09

Lettera sulla Carità/Agàpe

Grassetti nostri.
 


 


La sera della morte di Eluana, alle ore 21,30 circa suona il mio telefono. Una voce di donna dice: “Ora sarete contenti. L’avete ammazzata. Siete nazisti”. Ho messo giù il telefono, senza proferire parola. Se l’irrazionalità raggiunge simili livelli abissali, svanisce qualunque parola di confronto.
Mi ha addolorato vedere cattolici, uomini e donne, preti e qualche cardinale parlare con sicurezza di “assassinio” e altre nefandezze. Ho visto la scritta su un muro vicino alla clinica che diceva “Beppino boia”. Credo che un cattolico avrebbe dovuto essere legato come ad una roccia solida alla Parola: Non giudicate e non sarete giudicati; con il giudizio con cui giudicate sarete giudicati; e con la misura con cui misurate vi sarà misurato (cf Mt 7,1-2). Avrei voluto ascoltare parole come: «Tu sei un Dio pronto a perdonare, misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e non li hai abbandonati» (Ne 9,17). Come si concilia l’urlo di «assassino» con il rosario in mano o la croce sbandierata come una spada di morte? Ho visto l’assalto all’ambulanza con la stessa atroce violenza di chi voleva linciare lo stupratore catturato. Ho visto e ho chiesto perdono nel mio cuore perché questa non è la mia chiesa, non è la Chiesa di Gesù. E’ solo un branco di animali che sarebbero capaci di uccidere mentre proclamano la sacralità della vita. Il 3° comandamento «Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio» (Es 20,7), Dio lo ha pensato apposta per i cattolici, perché sapeva che avrebbero bestemmiato facendo finta di pregare.



I cattolici hanno il diritto di pensare in modo diverso, ma non hanno il diritto di imporsi agli altri, magari con le ingiurie e gli insulti. Quando un cattolico insulta la coscienza di un padre e di una madre che per diciassette anni hanno salito il calvario insieme alla figlia e non sono ricorsi al metodo dei farisei, ma si sono rivolti allo Stato e alla Magistratura per avere una risposta ad un dramma, non solo sbaglia sempre, ma nega e infanga quel Dio in cui crede di credere. Il peccato di questi lanzichenecchi della religione urlata e violenta non sarà perdonato né in cielo né in terra perché è un peccato contro l’Amore che è lo Spirito Santo. Avrei voluto che i sedicenti cattolici avessero letto le sublimi parole che scrive San Paolo ai cristiani di Corinto:

«1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’Agàpe, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna ... 4 L’Agàpe è paziente, è benigna l’Agàpe; non è invidiosa l’Agàpe, non si vanta, non si gonfia,  8 L’Agàpe non avrà mai fine … 13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e l’Agape; ma di tutte più grande è l’Agape!» (1Corinzi 13,1-8).

La stessa lettura attualizzata fino all’estremo teo-cristo-logico, suona così:
1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi Cristo, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna ... 4 Cristo è paziente, è benigno Cristo; non è invidioso Cristo, non si vanta, non si gonfia, 5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6 non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. 7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 Cristo non avrà mai fine…13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e Cristo; ma di tutte più grande è Cristo!

Noi sappiamo purtroppo che i cattolici hanno tanto rispetto per la Bibbia che non la leggono nemmeno e le loro sguaiate dimostrazioni violente e le loro grida per strada ne sono la prova. No! Essi non rappresentano Gesù Cristo e tanto meno Dio perché Dio per fortuna nostra non è cattolico, praticante e osservante, ma è il Padre di Gesù Cristo che svela la sua tenerezza perché «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Gv 3,17). Avrei voluto che i cattolici fossero andati per strada e avessero gridato a squarciagola: Beppino, Sati ed Eluana Englaro, venite da noi, voi che siete stanchi e oppressi, ed noi vi daremo ristoro (cf Mt 11,28). Hanno invece fatto come i farisei e gli scribi che «legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4).


Dov’erano questi cattolici che amano la vita ad ogni costo, in tutti questi 17 anni? Uno di loro è mai andato a fare una notte di assistenza, un’ora di compagnia, mezz’ora di aiuto? Si sono svegliati all’improvviso, al suono delle trombe e dei tromboni con candele, bottiglie e cibo come se andassero ad un pic-nic fuori porta. Dio ci scampi da codesto modo di cattolici. Ancora una volta, molti hanno perso l’occasione propizia per tacere.

Io non so che cosa avrei fatto nelle condizioni date in cui si è trovato papà Beppino, io so che ho invocato la morte per mia mamma e la invocherei anche oggi e forse mi spingerei anche più in là. Non so, ho poche certezze e molti dubbi. So però anche che lo Stato deve tutelare il diritto di ciascuno di agire e scegliere secondo coscienza, senza aggravi particolari. Paolo VI nel 1970 scrisse una lettera al card. Jean Marie Villot in cui afferma: «Pur escludendosi l’eutanasia, ciò non significa obbligare il medico a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza infaticabilmente creatrice. In tali casi non sarebbe una tortura inutile imporre la rianimazione vegetativa, nell’ ultima fase di una malattia incurabile? Il dovere del medico consiste piuttosto nell’adoperarsi a calmare le sofferenze, invece di prolungare più a lungo possibile, e con qualunque mezzo e a qualunque condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va verso la conclusione».
Di fronte a queste parole, che provengono da un papa – e che papa! – vorremo che i nostri parlamentari avessero, tutti, un sussulto di orgoglio nazionale e proclamassero, magari con decreto approvato «ad horas» di essere figli e custodi della laicità dello Stato, la stessa non un’altra che è custodita dalla nostra Costituzione che garantisce a ciascuno la libertà di coscienza, senza imporre etiche proprie, purché non lesive delle libertà degli altri, in una visione unitaria e molteplice della convivenza e della dignità della polis civile. A tutti un grande abbraccio.


 

 

("Repubblica sez. Genova", Paolo Farinella, prete)

3.12.08

Senza titolo 1068

Comunicato Stampa
Gianni  Geraci
Gruppo del Guado – Cristiani Omosessuali
Via Soperga 36 – Milano
Telefono 347 73 45 323 – Email: gruppodelguado@gmail.com


Quando le immagini degli omosessuali [minorenni, vedi foto sotto, n.d.r.] che il regime iraniano ha condannato a morte hanno fatto il giro del mondo abbiamo atteso che la Santa Sede dicesse qualche cosa per difendere la vita di questi giovani che venivano impiccati solo perché erano omosessuali. Abbiamo atteso, ma la diplomazia vaticana ha osservato un assordante silenzio.




Adesso che i Paesi europei hanno presentato alle Nazioni Unite una mozione in cui si raccomanda agli Stati membri di depenalizzare l'omosessualità ci saremmo attesi, da parte della Santa, Sede parole di incoraggiamento e di sostegno. Abbiamo invece letto le dichiarazioni del rappresentante del papa presso le Nazioni Unite in cui si sostiene che una tale mozione è da rifiutare perché porterebbe, prima o poi, al riconoscimento delle unioni omosessuali.


 

Ha detto in sostanza monsignor Migliore che: o si sta con i paesi che, come la Francia e come la Spagna, hanno fatto del rispetto della persona umana e della sua integrità fisica e psicologica il paradigma di riferimento delle loro politiche; o si sta con i paesi che, come l'Iran e l'Arabia Saudita, ancora puniscono con la pena di morte le persone che hanno rapporti omosessuali. E dopo aver diviso il mondo in due parti ha dichiarato che il Vaticano, dovendo scegliere tra le democrazie europee e le teocrazie mediorientali, sceglie queste ultime.

Noi ci sentiamo Europei e siamo orgogliosi di esserlo.


Ci sentiamo omosessuali e siamo contenti di essere così.

Ci sentiamo credenti e, pur ringraziando Dio per il dono della Fede, proviamo vergogna per questa Chiesa che confonde il suo potere teocratico con il messaggio del Vangelo e uccide la speranza di tante donne e di tanti uomini a cui il Signore l'ha mandata.



Chiediamo allo Spirito Santo di illuminare le menti dei vertici vaticani, ormai ottenebrate dalla paura e ricordiamo al papa e ai suoi collaboratori che un giorno anche loro dovranno rendere conto al Signore delle tante parole sbagliate che hanno pronunciato quando hanno parlato di omosessualità.
 

 

 

 

2.12.08

Il NO del Vaticano alla depenalizzazione dei comportamenti omosessuali è contro lo spirito di accoglienza e di carità

Comunicato stampa

Il portavoce nazionale di “Noi Siamo Chiesa” Vittorio Bellavite ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“Dopo il fantasma “eutanasia”, che ha innescato la campagna della CEI sul caso Englaro, ora è il fantasma “matrimonio omo” ad allontanare il Vaticano dal buonsenso e dalla carità cristiana e a fargli assumere una posizione odiosa e incomprensibile come quella di osteggiare la depenalizzazione universale dell’omosessualità, proposta all’ONU dalla Francia con il consenso di tutti i paesi dell’Unione Europea. Per chiarezza nella definizione delle responsabilità, mi sembra impensabile che una tale linea non sia diretta espressione di una decisone di Benedetto XVI, di cui l’arcivescovo Celestino Migliore è un semplice portavoce.


Mi chiedo se questa è la messa in pratica, all’oggi, delle tanto conclamate e sollecitate “radici cristiane” dell’Europa; mi chiedo perché si dicono cose di cui la Chiesa si dovrà pentire in un futuro, magari non troppo lontano.

Con Vito Mancuso (“Corriere della sera” di oggi 2 dicembre) mi sembra che “la Chiesa rischia di essere poco cattolica, poco accogliente, non cattolica, cioè non universale, in fin dei conti, poco cristiana”.

Ora “Noi Siamo Chiesa” e, in generale, i cattolici “del dissenso” o “critici” sperano che si esprimano con chiarezza e ad alta voce, individualmente o mediante le tante associazioni, i molti credenti che si trovano a disagio di fronte a questa presa di posizione, che è estranea ad una autentica sensibilità evangelica, oltre che molto dannosa dal punto di vista pastorale.”

Roma, 2 dicembre 2008



Vittorio Bellavite

Via Vallazze 95

20131 Milano (Italy)




27.11.08

Don Farinella: Il Papa benedice liberalismo e teocon


Grassetti nostri.



Come sicuramente sapete, il papa ha scritto una lettera prefazione ad un saggio del sen. Marcello Pera [colui che fra l'altro, in un'applauditissima lectio magistralis al Meeting ciellino del 2005, si era scagliato con veemenza contro il "meticciato culturale", n.d.r. ], in cui dichiara che il liberismo e il cristianesimo sono intrinsecamente coerenti e il primo senza il secondo crolla. Nella lettera il papa declama il De profundis per ogni forma di dialogo tra religioni (e/o fedi), dicendo che il dialogo a questo livello è negazione della propria fede, mentre approva il dialogo tra le culture... il papa sposa le tesi del Pera e mettendosi in contraddizione con il Vaticano II (non è una novità), con Giovanni Paolo II e con se stesso perché in altre occasioni ha fatto affermazioni diverse.

Resto scandalizzato dal fatto che un papa si presti al gioco dell’instaurare una religione civile dal vestito cristiano e non si rende conto che è caduto in una trappola, smentendo anche molti esimi vescovi e cardinali impegnati sul fronte del dialogo interreligioso, come i cardinali Martini, Tettamanzi, Scola, il vescovo Paglia, ecc. ecc. ecc. insieme alle centinaia e migliaia di migliaia di operatori pastorali che sparsi nel mondo operano in diuturno e proficuo dialogo di rispetto e di ricerca con tutte le donne e gli uomini di buona volontà. E’ la prima volta che un papa si presta a scrivere una prefazione ad un ateo devoto, avallandone le tesi e quindi dandogli il peso dell’appoggio papale. Chi fermerà più l’orda dei lanzichenecchi che assaltano il cristianesimo per risucchiargli l’anima e svuotarlo del suo contenuto originario che è la Persona di Gesù Cristo? Il papa che si scaglia contro il relativismo, con questa lettera prefazione ha fatto del cristianesimo l’evento più relativo che più relativo non si può.



A questo proposito ho preparato un documento di una pagina che oggi [ieri, n.d.r.] ho inviato al Corriere della Sera, nella speranza che vogliano pubblicarlo, dicendo che attendo un giorno, cioè domani giovedì 27, e dopo lo metto in internet invitando chi vuole a firmarlo: viene un tempo in cui non si può tacere e chi inorridisce della situazione che è davanti a noi, può firmare come testimonianza. Non intendo inviare le eventuali firme raccolte a questo o a quello. Desidero solo porre un segno di distanza anche dal papa, perché verrà un giorno in cui si dovrà distinguere tra chi è rimasto fedele al Vangelo e chi «ha sfriculiato» col potere e con i finti religiosi che usano la religione e la fede per idolatrare un sistema liberista che è il padre e la madre del capitalismo di mercato che ha generato e sta generando nel mondo la strage degli innocenti: i poveri la cui povertà è il sostegno più sicuro della ricchezza dei pochi.

 


A sinistra: la copertina di Senza radici, libro che nel 2004 l'allora card. Ratzinger scrisse con Marcello Pera.


Se consideriamo la forma del testo della lettera, si evince che il papa ha scritto da solo la lettera senza nemmeno la mediazione della segreteria di Stato, segno che è un atto strettamente personale e poiché su questa materia, secondo la teologia tradizionale della Chiesa, il papa esprime sue opinioni personali opinabili, io le contesto, le rifiuto e le ripudio come estranee al mio patrimonio culturale e religioso di credente cattolico.


Nella chiesa cattolica vige l’uso, di stampo sovietico, del culto della personalità che riguardo al papa raggiunge vertici parossistici: anche chi dissente radicalmente non critica mai, non si espone mai, ma sottovoce fa scorrere lamentele e dissapori. Non così impone il vangelo che esige un parlare chiaro del tipo «sì, sì; no, no». Già la sala stampa vaticana oggi si è arrampicata sugli specchi per fare coincidere il cerchio col quadrato, ma quando le uova sono rotte, solo una cosa può venire buona: la frittata.


Spero e prego che il papa si renda conto di quello che ha scritto, si converta e chieda scusa.






Paolo Farinella, prete - Genova






20.11.08

Monsignor Casale: «La vita è relazione, basta accanirsi»

in "l'Unità" del 16 novembre 2008

«La vita è relazione, non un fatto biologico. Nel caso di Eluana siparla di stato vegetativo, e non è opportuno accanirsi». È l'opinione controcorrente di monsignor Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia. Che invita il Parlamento a esprimersi «con saggezza: una legge sultestamento biologico potrà evitare casi analoghi».


Il silenzio invocato da Beppino Englaro non è mai sceso. Anzi, si moltiplicano le pressioni per dissuadere il Friuli ad accogliere gli ultimi giorni di Eluana. Perché?«Noi in Italia ragioniamo di alti problemi dimenticando le persone. Ci schieriamo in partiti come guelfi e ghibellini tralasciando dilavorare per soluzioni concrete. Così la politica diventa difesaaprioristica di punti di vista».


Fa eccezione il governatore friulano Tondo, che comprende il doloredella famiglia. Pur facendo parte di uno schieramento, il PdL, contrario alla sentenza.


«È così, è vero. Il punto è che bisogna guardare la realtà di questagiovane da anni in una situazione difficile. E guardare la realtà del padre depositario della volontà da lei espressa in senso contrario all'accanimento terapeutico».


C'è chi mette in dubbio la volontà di Eluana: mancherebbe la «piena consapevolezza».


«Come si fa a dubitare di un padre che sembra persona seria e preoccupata? Come si può pensare che tiri in ballo una fandonia? Misembra così pregiudiziale tutto questo».


Secondo lei, le cure a Eluana configurano accanimento terapeutico?


«La questione di fondo è proprio se dopo tanti anni sia opportuno interrompere cure che sono un accanirsi sul corpo di una ragazza incoma irreversibile. Io credo di sì e che si debba lasciare agli interessati libertà di decidere in modo sereno».


Anche di interrompere l'alimentazione artificiale?


«La mia opinione è che la nutrizione forzata vada considerata come cura. Se non nella sostanza, almeno nella forma: viene erogata con tubicini, attraverso espedienti. È un'operazione non naturale ma collegata a interventi medici, solo grazie ai quali Eluana vive. Attardarsi dietro la distinzione tra terapia e alimentazione mi sembra, se non un sofisma, spaccare il capello in quattro».


Su questo sofisma presto dibatterà il Parlamento. Prevedibilmente, in modo aspro.


«Speriamo che ragioni con saggezza. Al di là degli scontri e delle posizioni precostituite. Servirebbe un sussulto di dignità perché unalegge sul testamento biologico potrà impedire casi del genere».


Non solo la politica ha opinioni restrittive. Anche la Chiesa si èfatta sentire in modo pressante. Dalla Santa Sede alla Cei ai movimenti più oltranzisti.


«La Chiesa si sente di dover difendere grandi principi e la primareazione è tenere fermo il cammino. Nella sua storia ci sono sempre stati due momenti: il primo per erigere una diga che fermasse riflessioni reputate pericolose per la vita sociale. Nel secondo momento sono arrivati riflessione e discernimento delle novità giuste da quelle sbagliate».


Significa che la Chiesa si aprirà sui temi bioetici?


«Faccio un esempio storico. Dopo Pio IX è arrivato Leone XIII con la Rerum Novarum. Di fronte ai grandi movimenti di opinione la Chiesa siè sempre comportata così».


Ha avuto contatti con il signor Englaro?


«No. Studio, lavoro, prego. Spero che la cosa si risolva con serenità. Non è una battaglia di opinione: è la difesa di chi soffre».


Si spegnerà una vita?


«La vita è relazione, non un fatto biologico. In questi casi si parla di stato vegetativo. Quella di Eluana non è una vita piena, è ridotta al minimo».


 

Soffrirà?




«Secondo i medici non dovrebbe».



Federica Fantozzi


13.11.08

Si accetti la sentenza sul caso Englaro

Il portavoce nazionale di “Noi Siamo Chiesa” Vittorio Bellavite ha rilasciato la seguente dichiarazione :

“Finalmente la magistratura ha chiuso il caso Englaro secondo i principi generali del diritto, secondo la stessa normativa internazionale e secondo le attese della famiglia di Eluana.
Non condividiamo le mobilitazioni a favore della vita che sono state fatte e che si faranno, contestando le sentenze della magistratura. La situazione di fatto di questa povera ragazza, strappata alla vita nel fiore della giovinezza, vince qualsiasi argomentazione di segno contrario.

Ci meravigliamo, con sofferenza, della linea delle autorità ecclesiastiche. Essa ci sembra ideologica, tesa a difendere principi, del tutto astratti, che noi riteniamo lontani dal messaggio di libertà, di umanità e di rispetto delle vita e della morte che sono contenuti nel Vangelo.

Nel mondo cattolico si stanno diffondendo posizioni diverse dalla pretesa ortodossia indicata dai vertici della Conferenza Episcopale. Ne sono testimonianza le 856 adesioni al documento che si allega (si veda http://appelli.arcoiris.tv/Eluana_Englaro/).

Si torni a ragionare pacatamente, non si faciliti su questa vicenda nel nostro paese, che ha altri gravi problemi di cui occuparsi, un clima di scontro che è gravemente dannoso alla società e alla stessa funzione evangelizzatrice che è compito della nostra Chiesa”.

Roma 13 novembre 2008


 


 

11.11.08

Niente tagli per le scuole cattoliche




Fiera Milano di Rho, ore 13:05 dello scorso 5 novembre, il presidente Berlusconi ammette "una svista colpevole". «Ho una grossa colpa - afferma - non mi ero accorto che nella Finanziaria era previsto questo taglio alle scuole private e cattoliche». E le agenzie, informano: «il Premier assicura il suo impegno per evitarlo». Stop. In tempi di tagli per 8 miliardi di euro alla scuola pubblica. Di aumento smodato di alunni per classe così da diminuire le classi. Di riduzione degli insegnanti di sostegno per gli alunni handicappati. Di chiusura del 24% delle scuole, perlopiù ubicate nei piccoli centri. Di perdita del tempo scuola, da un max di 40 a 24 ore settimanali nelle primarie, da 32 a 29 nelle medie, da un max di 40 a 32 o 30 alle superiori. Di tagli occupazionali per 160.000 unità in danno di quanti sono in servizio, da decenni, in regime di permanente precarietà. Perlopiù, in tempi di recessione. Ecco, questa sì che è una "carineria". Non intesa come battuta, più o meno idiota ed inopportuna, ma come regalo, dazione o merce di scambio che dir si voglia. Il travaso di risorse dalla scuola statale a quella privata è la "carineria" pretesa dal Vaticano che, prima, ha affossato con premeditazione ed ostinazione Prodi e, poi, ha appoggiato con determinazione e convinzione la destra.

 


                                 prof. Gianfranco Pignatelli ("L'Espresso.it")














 

31.10.08

BINETTI (PD). BENE LA CHIESA SU PRETI GAY, COSì SI COMBATTE LA PEDOFILIA

Binetti: un rimedio contro i pedofili



ROMA — Senatrice Paola Binetti, ha visto il documento del Vaticano sui gay che non possono diventare preti?



«La Chiesa sta ribadendo una dottrina consolidata per la scelta dei suoi pastori. Del resto...».



Del resto cosa?



«Non dimentichiamo che proprio recentemente si è verificata la situazione drammatica dei preti pedofili».



E la pedofilia ha a che fare con la omosessualità?



«Stiamo attenti. Il documento della Congregazione per l'Educazione cattolica parla di "tendenze omosessuali fortemente radicate" ».



Quindi?



« Quindi queste tendenze omosessuali fortemente radicate presuppongono la presenza di un istinto che può risultare incontrollabile. Ecco: da qui scaturisce il rischio pedofilia. Siamo davanti ad un'emergenza educativa ».



Educativa?



«Ma sì. Il compito dei pastori della Chiesa si esplica al massimo proprio con i giovani, giovanissimi. Non mi stupisce che il Santo Padre abbia voglia di avere sacerdoti sani, sportivi, vissuti come modelli potenziali. Per questo ha ribadito anche l'importanza della castità. Perché...».



Perché?



«La pedofilia, in fondo, c'è anche nei confronti delle ragazzine. Anche se molto meno frequente».




Alessandra Arachi ("Corriere della Sera")




***




Nemmeno in tal caso ci sarebbe da commentare. La senatrice Binetti, so benissimo chi è. Cfr. http://www.gionata.org/notizie/approfondimenti/cara-binetti-sullomosessualit-le-scrivo-che.html e, a proposito di pedofilia, http://www.associazioneprometeo.org/pilot.php?action=new_pg&cl=0&ip=1&iv=1&im=52 . Certa gente parla solo per dar aria alla bocca. Del resto, di questi tempi, non c'è null'altro di serio di cui occuparsi, vero, senatrice? E poi blaterano di fannulloni dagli stipendi troppo elevati...






2.10.08

Il poeta e il presidente - Vendola a Cormano commenta i "Promessi Sposi"

Dopo Lella Costa è toccato a un altro illustre ospite presentare il suo percorso umano e artistico a fianco di Alessandro Manzoni: stiamo parlando di Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia e fra i protagonisti dell'Ottobre Manzoniano, quest'anno dedicato al tema della giustizia.




Nella suggestiva cornice del sagrato di Villa Manzoni, di fronte alla chiesa secentesca, un pubblico numeroso ha sfidato i primi freddi e riscaldato, coi suoi convinti applausi, la rievocazione di Vendola. Il quale, da poeta prima che da politico, e da politico perché poeta, ha saputo irretirlo con la pastosità viscerale della sua sofferta parola. Vendola è uomo di carne e d'istinto, di sole e immediatezza, all'apparenza così distante dalle brume intellettuali del grande lombardo. E invece a lui così sorprendentemente vicino, nel senso della civitas, del cuore della polis che è poi l'umanità intera. Occorre rispolverare - ha introdotto Giorgio Cremagnani di "Diario", cui spettava il compito di moderare l'incontro - Manzoni dalla fissità del monumento, dalla noia dell'obbligo scolastico, dalla cattiva e didascalica lettura che ha scandito, inesorabile, la nostra vita tra i banchi. Ma mentre Cremagnani puntava a cercare legami tra Manzoni e la più immediata attualità, Vendola ha saputo affrontare il discorso con un respiro più ampio; da artista, appunto, e non da uomo delle istituzioni.


I ricordi di Vendola, in fondo, sono i nostri, e certo i miei, che appartengo più o meno alla sua stessa generazione. Sono i ricordi dello sceneggiato di Sandro Bolchi, quando la tv e l'inchiostro si richiamavano reciprocamente: "I mezzi di comunicazione servivano per l'incivilimento del Paese e non erano vettori dell'attuale pornografia unificata", ha esordito Vendola rammentando, inoltre, come a casa sua la lotta alla povertà passava anche dalla lotta contro l'analfabetismo: "Mio padre mi obbligava a imparare Il Cinque Maggio a memoria. Perché povertà non significa solo 'non possedere denaro', ma non aver padronanza della parola". Concetto, quest'ultimo, già caro a don Milani, secondo cui la vera differenza tra un povero e un ricco è che il ricco conosce mille parole, il povero cento.


La lingua è stato quindi il punto di partenza della riflessione vendoliana: quella lingua che può anche raggelarsi e ammutire, quando appunto viene codificata in schemi rigidi come il Manzoni scolastico, per poi essere riagganciata e quasi conquistata, come in un corteggiamento, nella libertà della passione solitaria, nel piacere del libro riscoperto quasi fugacemente.



La lingua è un segno che codifica una società: e anche la giustizia passa dalla lingua. La giustizia inizia dal piano culturale: "Manzoni ha inventato una lingua nuova, dedicando il suo romanzo alle 'genti meccaniche' fino allora ignorate. Non si è occupato di grandi imprese, nobili e cavalieri, che certo sono presenti nel suo romanzo, ma non ne sono mai i veri protagonisti. No, i protagonisti sono due persone comuni, due persone come tante e come tutti". E anche oggi, ha proseguito Vendola, i problemi dei "tanti" sono usciti dal cono di luce dei media: oggi conta il denaro, il possesso, l'apparenza, anche nella politica in senso stretto.

Non solo: si assiste al ritorno d'una semplificazione che, a differenza della semplicità, è intrisa d'un manicheismo gretto e, poiché mitico, estremamente pernicioso. Manzoni è stato esattamente il contrario: cattolico e illuminista, senza escludere né l'uno né l'altro, ed equilibrandone le componenti. Ci sembra che Vendola abbia voluto sottolineare soprattutto l'importanza tra due diverse verità: quella della fede e quella della ragione, entrambe giuste ed entrambe esplicitatesi su piani asimmetrici, ma complementari: "Manzoni condivide i tormenti e le inquietudini d'un credente serio, con le geometrie e i limiti della ragione". Mentre oggi si torna alla distinzione insanabile tra laici e cattolici, Manzoni ha dimostrato il valore del "relativismo", inteso come ricerca, complicazione, approssimazione.


"Una parola, approssimazione, cui sono molto legato - ha confidato il presidente pugliese - perché significa guardare alla propria verità relativa, ma che si avvicina al prossimo, si 'fa' prossimo". Si potrebbe aggiungere che l'approssimazione ci spinge e ci obbliga alla ricerca, alla vicinanza, ma non all'indistinzione del pensiero unico, malattia della parola prima che del pensiero: "Politica, filosofia e cultura dovrebbero ridare dignità e giustizia alle parole. Altrimenti diventiamo schiavi del presente e il futuro altro non è che la reiterazione della Babele in cui viviamo". I "cattivi", nei Promessi Sposi, hanno sempre spazi di redenzione a portata di mano e i "buoni" incontrano inciampi e difficoltà. Non esiste alcuna separazione netta tra "amico" e "nemico". Anche per ragioni nobilissime - ha ricordato Vendola - la cultura del "nemico" porta ai lager, ai gulag e alle distruzioni. Manzoni, per Vendola, è lo scienziato delle sfumature e la lingua lo attesta. La lingua non nasce insomma per partenogenesi ma dentro la fangosità della vicenda storica: e anche la fede è un cammino illuminato dall'evidenza della ragione.


Parola e giustizia: due termini che s'intrecciano, si rincorrono, non vivono l'uno senza l'altro: e, se la giustizia attuale non ha compiuto molta strada, non è soltanto per colpa degli emuli di Azzeccagarbugli che oggi siedono in Parlamento, e coi quali il paragone pare a Vendola fin troppo scontato. "Azzeccagarbugli o, meglio, la degenerazione da lui rappresentata ci dimostra che giustizia è innanzitutto sentimento. Quando si separa la giustizia dal sentimento, quando la si degrada a mera amministrazione, il meccanismo si corrompe e salta. Non è possibile una giustizia eguale per cittadini diseguali. Ancora oggi è così, malgrado lo Stato di diritto. Se non puoi permetterti l'avvocato di grido, la giustizia per te sarà sempre e solo arbitrio". L'ingiustizia in Manzoni si palesa nella scommessa di due volgari prepotenti, di poter razziare qualunque "cosa" (donna compresa) al povero, considerato di razza inferiore e pura entità numerica. Ma don Rodrigo, il mafioso del suo tempo, trova un decisivo complice nel "buon senso comune" incarnato da don Abbondio: "L'omertà e la vigliaccheria, la cecità di fronte alle violenze: atteggiamenti morali diffusissimi in Italia. Don Rodrigo è 'invincibile' non per merito di qualche insondabile fatalità, ma per l'acquiescenza e il silenzio dei numerosi don Abbondio. Gli stessi che, oggi, rendono 'invincibili' Titò Riina con la loro reticenza e complicità istituzionale".


La strage di Castel Volturno , fatta passare dai mezzi di comunicazione come un regolamento di conti fra bande criminali, è particolarmente indicativa: dopo l'arresto dei capi, il controllo della zone è passato in mano a "sei cocainomani pazzi che hanno voluto far intendere ai nigeriani, aspiranti spacciatori, che non potevano 'alzare la testa'". Ma nell'eccidio sono morti un bianco e sei neri, nessuno dei quali nigeriano: "Si trattava di manovali, non di spacciatori. Ma la camorra ha voluto lanciare un segnale a loro attraverso il sacrificio di persone qualunque. La vita d'un nero, per loro, non conta nulla e nulla conta da che parte arrivi. Quei sette disgraziati potevano giungere da chissà dove. Era il messaggio che doveva passare, alimentato dal clima d'odio che oggi circonda gli immigrati e che i camorristi hanno saputo, come al solito, interpretare benissimo". Perché attualmente - ha puntualizzato Vendola - si può affermare ciò che un tempo era vietato: l'uccisione di Abdoul Guiebre lo dimostra alla perfezione. Oggi ci si dichiara francamente razzisti, certo per motivi sempre molto comprensibili, perché le ragioni per ammazzare l'altro, se si perde il senso della sua appartenenza umana, risultano tutte quante validissime. Il Male può diventare radicale se circondato da banalità, come ricordava Hannah Arendt riguardo al processo a Eichmann: "Non ci trovavamo di fronte a un pazzo criminale, non a un esaltato di qualsivoglia stramba ideologia, ma a una persona normale che da perfetto funzionario muoveva la macchina dello sterminio, dopo aver accettato l'idea che quelli che sgozzava non appartenevano al genere umano, ma erano oggetti, pezzi di ricambio o da buttare a seconda delle proprie esigenze". Vendola non ha tralasciato di ricordare che furono i capitalisti, e non quattro fanatici, i veri finanziatori di Hitler: "L'industria capitalistica dei Krupp - nome tornato tristemente alla ribalta di questi tempi - aveva bisogno di dentiere, di capelli per sostituire la seta, di lavoro forzato per ottenere manodopera a bassissimo costo. Hitler gliel'ha servita su un piatto d'argento".


Giustizia ingiusta è, senza dubbio, anche e soprattutto la Colonna Infame: "La peste, come l'Aids oggi, evocava qualcosa di terribile. Sembrava provenire dal diavolo. A Milano, di fronte al flagello, i poteri costituiti non sapevano come agire". La peste ha prodotto quindi una tensione all'anarchia, una perdita di controllo sociale, un cuneo contro l'autorità: "Si è pertanto cercato il capro espiatorio, l'untore, sottoposto al procedimento della prova attraverso la tortura". Di fronte alle proteste per l'inumanità della pena, si replicava che, in tempi calamitosi, non si poteva andare tanto per il sottile: "Sono le stesse parole pronunciate dagli aguzzini di Guantanamo per giustificare le violenze inferte ai prigionieri". Il capro espiatorio ha dunque una funzione sociale: ripristina l'ordine, ridona autorità al potere, riconferisce forza a chi l'ha sempre posseduta.


Da', anche, appagamento alla sete di vendetta collettiva. Renzo scambiato per untore, Renzo arrestato da un capitano di "giustizia" che pure ha compreso la sua innocenza, ma che vuol sacrificarlo sul trono della sete di rivalsa, incarna l'ambiguità e la pericolosità d'una giustizia "amministrata in nome del popolo" (massima coniata dalla Lega, già presente nei tribunali nazisti) quando questo "popolo" è trasformato in "massa" dal pensiero unico e semplificatore: "E' la stessa 'giustizia' che muove le azioni di Pilato nell'ultimo libro di Gustavo Zagrebelsky, Il Carnefice, processo a Gesù. Pilato ha paura di usare il potere di cui pure dispone, quando si accorge della folla bramosa di sangue". La giustizia, invece, deve stare "in testa al popolo" e prescinderlo: "Ma poi, chi è il popolo così spesso evocato? E' massa; perché il 'popolo' ricorre sempre nelle parole dei populisti e dei dittatori. Quando la volontà popolare non sottostà al primato della legge, si uccidono le persone e torna il dominio belluino".



H. Daumier, Nous voulons Barabbas (Ecce homo), 1850.




Per avvalorare il suo pensiero, Vendola ha passato in rassegna episodi contemporanei dimenticati quando non ignorati dai media, come il massacro perpetrato in un Paese violentemente antisemita come la Polonia nel 1946: molti ebrei, reduci da Auschwitz, vennero uccisi perché rapidamente si era sparsa la voce che "stavano rubando i bambini". Gli stessi rom e sinti, che noi chiamiamo zingari, hanno subito una sorte molto simile: "Non essendo ebrei ma nomadi sfuggivano al controllo sociale, e lombrosianamente considerati 'geneticamente criminali'. Per questo si riteneva necessario, e comunque non colpevole, il poter sottrarre loro i figli, un delitto di cui noi oggi incolpiamo proprio loro".


Ma l'"affondo" è stato riservato alla cultura dell'individualismo: "Oggi siamo educati a essere individui, non comunità. Ciò che conta è essere proprietari, per valere noi stessi. E, se non lo siamo, ci sfoghiamo con qualcuno più povero di noi, che potrebbe 'insidiare' il nostro possesso. Vent'anni di tv consumistica hanno insegnato che esistiamo perché abbiamo bisogno di merce, e solo la merce ci dà una ragione di vita". Un processo di disumanizzazione dal quale il corpo e l'anima a un certo punto vorrebbero uscire, senza però averne più i mezzi: il valore, la parola sono andati perduti. "Ecco spiegato il successo della cocaina, un tempo privilegio delle classi agiate, oggi alla portata di tutti, e non a caso: è una droga 'individuale', che tende a 'rinchiudere' ciascuno nel proprio singolo delirio, lo fa entrare da solo nel suo illusorio castello di emozioni forti". Quelle distorsioni che in natura si chiamavano semplicemente sentimenti, e di cui adesso si anela un surrogato letale.


Ma quello che più ha affascinato Vendola, in questa sua appassionante rilettura del capolavoro manzoniano, è la ricerca, il cammino. "La parola Provvidenza associata a Dio è quella che meno condivido della poetica manzoniana, a meno di non intendere la Provvidenza come il volto dell'altro (e dell'Altro)". Quell'altro che, per il silenzio talora inspiegabile di Dio stesso, siamo costretti a ricercare sempre: ognuno è solo nella morte, ma ognuno è affratellato in questa esperienza. Il silenzio ci spinge alla relazione, al riflesso, allo specchio, al ritrovamento di occhi e parole, all'arcano dei segni, alle "tracce" disperse da raccogliere con pazienza nell'immenso affresco della storia umana.



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