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11.9.25

Alex Schwazer, la rinascita con il record a 40 anni sui 10 km, l'ex allenatore: «Questo risultato è la sua rivincita morale»

corriere    dela  sera  9\IX\2025 

 di Silvia M. C. Senette

Il marciatore ha compiuto un’impresa che supera persino la sua forma olimpica di Pechino 2008. Sandro Donati: «Quello che ha fatto Alex riempie di vergogna chi gli ha fatto del male»

Alex Schwazer e Sandro Donati (nel riquadro)

Alex Schwazer e Sandro Donati (nel riquadro)

Non è più il suo preparatore atletico, ma è Sandro Donati il primo ad applaudire la stupefacente performance in pista di Alex Schwazer. L’ex campione di marcia altoatesino, a quasi 41 anni, è tornato a far parlare di sé con un tempo sbalorditivo sulla distanza di 10 chilometri: un 38’24’’07 che non solo è il suo nuovo record personale, ma è anche l’ottavo miglior tempo assoluto a livello internazionale quest’anno e il quarto di sempre in Italia. Un’impresa che supera persino la sua forma olimpica di Pechino 2008.
Le ambiguità del sistema sportivo
Mentre i riflettori si accendono su questa incredibile dimostrazione atletica, chi ha lottato al fianco di Schwazer negli anni più bui della sua carriera, l’uomo che ha creduto nella sua innocenza e ha denunciato con forza le ambiguità del sistema sportivo, lo storico allenatore Sandro Donati, ha la voce commossa e ferma di chi ha avuto ragione, di chi ha sempre saputo. «Quello che ha fatto Alex riempie di vergogna chi gli ha fatto del male — esordisce senza giri di parole riferendosi alle massime autorità dell’antidoping internazionale —. Un uomo di 41 anni, con un allenamento ridotto perché lavora e deve mantenere la famiglia, che fa una performance del genere deve far riflettere chi l’ha accusato e non uno solo: tutti, sanno benissimo come sono andate le cose. Quella che ha piegato Alex è una finzione gigantesca a cui qualcuno ha pure creduto. E con queste sue nuove performance certamente non ci fanno una bella figura».
Un risultato stupefacente
Il risultato è ancora più stupefacente se si pensa che Schwazer si è presentato ai campionati regionali del Trentino - Alto Adige, a Bolzano, da non professionista, con un approccio quasi amatoriale. La sua nuova vita lo vede lontano dalla marcia a tempo pieno: oggi lavora come preparatore atletico al Palace Merano Medical Spa, dove aiuta atleti e non a ritrovare la forma fisica, e come consulente per il Südtirol calcio, in Serie B. Il suo allenamento, racconta il marciatore, è «limitato a cinque giorni a settimana, spesso in pausa pranzo, per non più di 50 minuti». Un ritmo che non ha nulla a che vedere con quello di un atleta di punta. Per preparare questa prova è stato affiancato da un nuovo volto, l’ex ciclista professionista Domenico Pozzovivo, che lo stesso Schwazer ammette essere «il principale artefice» di questo risultato.
Il nuovo preparatore
«Con Alex abbiamo un rapporto di amicizia e di affetto, ma parliamo di altro: delle nostre famiglie, del lavoro, delle vicende giudiziarie — racconta Donati —. Per quanto riguarda l’allenamento, Alex è così esperto che si organizza da solo. Qualche volta mi accenna a qualcosa e gli offro il mio parere. Ultimamente lo ha aiutato Domenico Pozzovivo, un ragazzo molto in gamba».
Un «sistema corrotto»
L’analisi di Donati non si ferma alla performance sportiva. La sua mente torna inevitabilmente all’ingiustizia subita, a quel «sistema corrotto» e «al mondo dello sport che ha fallito». «Il problema, che ho posto non solo per Alex ma per tutti, è che all’atleta va data una garanzia: l’urina prelevata gli viene totalmente sottratta, non gli rimane niente in mano, nessuna prova per scagionarsi da errori, accuse infondate o manomissioni come quelle che abbiamo visto accadere. Invece l’atleta si deve fidare di queste istituzioni, di una catena complessa e numerosa di figure: dall’ispettore che fa il controllo a chi trasporta l’urina, da chi la riceve a chi la analizza. Tanti livelli in cui potrebbe accadere qualcosa, non solo per malafede ma anche per imperizia — ricorda Donati —. L’atleta, che in molti casi è un professionista, ha il diritto di veder rispettata la sua professionalità e le sue possibilità di guadagno. Non è giusto metterlo in questa condizione».Per Sandro Donati, l’ultima grande performance di Schwazer non è solo un risultato sportivo ma «una rivincita morale» che rende palese l’imbroglio di chi lo ha incastrato. «Tutti questi ragionamenti che facciamo sul caso Schwazer vanno moltiplicati per cento dopo quello che gli è stato fatto» conclude Donati.

10.8.12

Alex, fai come me: denunciali! L'ex campionessa di marcia Giuliana Salce racconta la sua esperienza di ex atleta dopat

"Alex Schwazer è un grande marciatore ma anche un ragazzo che lo sport non ha fatto crescere. È stato un campione solitario, lasciato a se stesso da gente che di lui apprezzava soprattutto i muscoli."
(Vincenzo Cerami)

infatti  ha ragione  Vittorio  Zucconi




DA   http://sport.panorama.it/olimpiadi-londra-2012/ 09-08-201218:06







Giuliana Salce, felice, in una foto scattata a casa sua




Per me ha significato vivere con il peso di dover essere costretta a dimostrare ogni volta di essere ancora la numero uno, vincere una gara e dopo dieci minuti pensare già a quella successiva, fare il record del mondo e sapere di doverlo battere. Quando indossavo la maglia della Nazionale, sentivo di avere lo Stivale sulle spalle. Ero oppressa dal senso di responsabilità, dal giudizio degli altri. Ho iniziato a gareggiare da bambina e mi sono presto ammalata di bulimia e anoressia. Eppure nessuno si è mai accorto di nulla.Giuliana, cosa significa per un atleta essere il più forte di tutti?

Tanto allenamento fisico, nessuno mentale?

Il problema di molti atleti è proprio questo: a forza di allenarti diventi una macchina da guerra, un robot, e spesso chi ti sta intorno si dimentica che sei un essere umano. Nessuno si accorge, o vuole accorgersi, della tristezza, della malinconia che hai negli occhi. Così finisce che tutto il malessere che accumuli inizi a sfogarlo nel mondo più sbagliato, nel mio caso prima nel water, poi facendomi di Epo.

Nel 1988 Giuliana Salce dice addio alla marcia. Una decisione maturata in seguito al salto truccato diGiovanni Evangelisti ai Mondiali di atletica di Roma dell'anno prima quando si scoprì che la misurazione del salto che gli aveva regalato la medaglia di bronzo era stata truccata da alcuni giudici. Insieme ad altri atleti, la Salce aveva sottoscritto un documento pubblico con cui prendeva le distanze da tutti gli illeciti sportivi, compreso il doping. Convinta che qualcuno l'avrebbe fatta desistere dalla sua intenzione, decise di non gareggiare più fino a quando le cose non fossero cambiate. “Invece smisero pure di salutarmi. Per la Federazione ero diventata il diavolo”.

Nel 1999, a 44 anni, Giuliana Salce riceve dalla Federciclismo la proposta di provare con la bicicletta. Nel giugno dello stesso anno corre la sua prima gara nella categoria over 30. Ad agosto è sesta ai campionati europei. Nel 2001 un dirigente della Federazione le comunica che nelle sue analisi c'è qualcosa che non va: è troppo anemica e rischia di ammalarsi. La soluzione? Doparsi.

E' a questo punto che avviene il suo incontro con l'Epo?

Sì. Io non ho nessuna scusante, perché a 46 anni, ancor più che a 20, devi avere la forza di dire di no. Ma io posso testimoniare che nessun atleta, per conto suo, decide un bel giorno di iniziare a doparsi. No, c'è sempre qualcuno che goccia dopo goccia ti mette nella testa che se tu “ti curi” – perché nessuno ti dice che ti devi dopare – sicuramente starai meglio e le salite ti peseranno di meno finché, a un certo punto, anch'io ho trovato quasi normale dire di sì.

Per quanto tempo ha assunto Epo?

Per 4 mesi, quelli che mi separavano dai mondiali di master che si svolgevano in Austria. Tenevo la sostanza in frigo, avvolta nell'alluminio e nascosta nella scatola del tubetto della pasta di acciughe, dove nessuno, mi dicevano, sarebbe andato a vedere. Mi sono fatta tutti i giorni, un giorno di Epo e un giorno di Gh, l'ormone della crescita. Dopo un mese le mie gambe erano cambiate, le salite non mi pesavano più.

Chi le forniva l'Epo?

So che ci sono persone che vanno su internet e fanno acquisti, io non c'ho mai nemmeno provato. Le sostanze le ho avute da un dirigente della Federazione ciclistica italiana. Una dose me la diede lui stesso nel suo ufficio, un'altra me la fece recapitare da un altro atleta corredata da una ricetta in codice. Funzionava così.

Quand'è che ha deciso di smettere?

Dopo la gara. Quando ho capito che per rimanere in quell'ambiente avrei dovuto continuare con quella roba. Allora ho preso la bicicletta e l'ho buttata sul prato.

E ha raccontato tutto.

Sì, nel 2003 con un'autodenuncia anonima al Nas di Padova. L'anno dopo pubblicamente.

Cosa l'ha spinta a farlo?

Il suicidio di Marco Pantani. Una fulminata. Era febbraio, ricordo che ho preso mio figlio, che allora aveva 16 anni, e gli ho detto: la madre che ti ha sempre proibito di drogarti, di bere, è quella che per 4 mesi si è dopata. Adesso ho deciso di denunciare tutto. Ma sappi che ci renderanno la vita difficile. Stai con me? E lui mi ha abbracciato.

E' stato davvero così? Le hanno reso la vita difficile?

Difficile? Impossibile. Tutto quello che ho raccontato ha trovato riscontro nelle intercettazioni telefoniche e da allora mi è stata fatta di nuovo terra bruciata intorno. Nessuno mi ha più fatto lavorare nemmeno in palestra. Mi sono ritrovata a vivere con 200 euro e la pensione di mia madre. Ho chiesto aiuto alla Federazione di atletica e quello che mi hanno offerto è stato di andare ad attaccare i manifesti del Golden Gala sul litorale romano. Mi sono messa a fare le pulizie, oggi faccio la spazzina, l'operatrice ecologica all'Ama.

Che effetto le fa oggi la vicenda di Alex Schwazer?

Se si trattasse di mio figlio pretenderei che mi dicesse “chi” ce l'ha portato, e dopo averlo saputo pretenderei che lui stesso dicesse al mondo “chi”, perché fino a quando avremo paura di denunciare “chi”, “chi” continuerà sempre a fare danni. Perché io avevo 46 anni, ma ci sono ragazzini di 15 anni che si dopano e che non sono assolutamente in grado di dire di no, come non ce l'ho fatta io alla mia età.

Non crede che, al di là della gravità della colpa di cui si è macchiato, sia pericoloso sottoporre a una gogna tanto severa una persona che, come Schwazer, si sta dimostrando psicologicamente ed emotivamente così fragile?

Ho molta tristezza, io non sono una psicologa, ma gli occhi di Alex mi ricordano tanto quelli di Pantani, e i miei di quando stavo male. Io a un certo punto sono stata davvero a un passo dal baratro. E se sono qui oggi devo ringraziare solo mio figlio.

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