Visualizzazione post con etichetta ciclismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ciclismo. Mostra tutti i post

22.8.24

Morte Giovanni Iannelli, condannati organizzatori gara. Il dolore del padre

Apro come di consueto il portale    msm.it\  bing   è leggo ( trovate   sotto l'articolo in questione  )   della bella notizia     finalmente un po'  di giustizia   anche se  in  primo grado   per il  padre  carlo e tutta  la  famiglia   ,della condanna    per  ora  in primo grado  , degli organizzatori   della  gara in cui  mori  il     povero    Giovanni Ianelli (  foto  a  sinistra  )   di cui   parlai    a suo tempo in questo blog   , vedere  archivio post   per i dettagli degli insabbiamenti     e le manomissioni   dei verbali  ed altro dei pezzi grossi  co relative  coperture  politico \  amministrative  .   riassumiamo   la  vicenda   per ch non volesse    andare  a  leggere  i  precedenti miei  post  compresa l'intervista  al padre   Carlo .


Il resoconto della vicenda che ha fatto seguito alla morte di Giovanni Iannelli causata dalla caduta nell'87° Circuito Molinese, a Molino dei Torti (Al), il 5 ottobre 2019 con Le  irregolarità  e  gli  insabbiamenti    e  l'orreda  vicenda  giudiziaria  penale 

     come è  morto  Giovanni  

Giovani  Ianelli  Era morto il 7 ottobre del 2019 a soli 22 anni durante una gara ciclistica in Piemonte, ora al termine del processo di primo grado il Tribunale di Alessandria ha condannato gli organizzatori a pagare agli eredi circa 1 milione e 100 mila euro di risarcimento. Il giovane ciclista dilettante di Prato, Giovanni Iannelli, era caduto nella volata finale di una corsa a Molino dei Torti, in provincia di Alessandria, ed era morto dopo 36 ore di agonia nell’ospedale della
cittadina piemontese. La vittima correva con la squadra del team Hato Green Tea Beer.
L’incidente era avvenuto il 5 ottobre all’arrivo dell’87/o Circuito Molinese: a 70 chilometri all’ora, Iannelli, dopo un contatto con altri corridori nel centro del gruppo, a 100 metri dal traguardo, era sbandato finendo contro un muro. Nel violento urto il casco è andato completamente distrutto e il ciclista pratese ha riportato gravissime lesioni. Era stato sottoposto a intervento chirurgico, ma le sue condizioni erano peggiorate e il 7 ottobre era infine deceduto

 Lo so  ,  capisco  pur non avendo figli   e non vivendo  una vicenda  simile  ,  che   è poco   visto  che i pezzi grossi ( vere  post  precedenti )   autori  di manomissioni , depistaggi  , insabbiamenti  ,    non sono stati toccati  .  Ma  è  già qualcosa  .  Infatti   credo che (  da quel oco che  ne  so  di giurisprudenza  ed  diritto )  negli altri gradi  di giudizio  possonoo venire  oltre  a conferma   di quanto già si sa  ,  ulteriori  fatti  e  prove di quanto   dice   d' anni il padre   e  degli articoli da me  riportati su  tale vergognosa  storia . Infatti  come ho  detto privatamente  al  padre   non credo  che   i condannatii  in primo grado  accettino  di fare   da capro espriatorio  per  loro .  Qui   io ci vedo rispetto a lui   un po'  d'ottimismo  e  di speranza  .
Infatti personalmente ritengo che se emergono (   anche  se  nel caso Ianelli    sono evientissime    fatevi  un gior  in  rete   per  vederlo  )  delle negligenze o delle lacune queste debbano essere prese in considerazione e sanzionate secondo gravità. E' impossibile portare il rischio a zero ma è un dovere cercare di minimizzare e dimostrare di aver adottato ogni misura per minimizzare rischi e danni. Cosa che in questa vicenda come nel recente caso di Alice Toniolli dimostra che quanto a valutazione e gestione dei rischi siamo molto superficiali.


Morte Giovanni Iannelli, condannati organizzatori gara. Il dolore del padre
di CINZIA GORLA • dal Corriere Toscano 1 ora/

PRATO 
Morte Giovanni Iannelli, il tribunale di Alessandria ha condannato in primo grado a risarcimento di 1.1 milioni gli organizzatori dell’ 87esimo Circuito Molinese in cui perse la vita Giovanni Iannelli il 7 ottobre 2019, in seguito a un tragico incidente avvenuto nella gara a Molino dei Torti, in provincia di Alessandria.
Aveva solo 22 anni Giovanni Iannelli, promessa del ciclismo di Prato. Giovanni morì in ospedale.Da allora babbo Carlo Iannelli, avvocato, si batte senza sosta per avere giustizia per suo figlio. Sempre puntando il dito. Sempre con accuse ben precise.Babbo Carlo Iannelli via social: “Questa sentenza costituisce una pietra miliare per la sicurezza dei corridori di ogni età, di ogni categoria, di oggi e di domani. La sentenza civile emessa dal giudice del tribunale di Alessandria in un certo qual modo mi fa ancora più male poiché stabilisce che la morte di mio Figlio Giovanni doveva e poteva essere evitata, che Giovanni è stato ammazzato. Inoltre, rimangono ancora tanti aspetti oscuri ed inquietanti di questa vicenda orrenda, disumana ed agghiacciante che devono essere chiariti in sede giudiziaria affinché coloro che si sono adoperati con le menzogne, con i depistaggi per coprire, per insabbiare l’omicidio di un ragazzo innocente di 22 anni vengano giustamente puniti. Per il bene di tutti”.
Poi: “Al sottoscritto, alla mia famiglia questa sentenza non interessa, non è mai interessata. Avviai la causa civile come moto di reazione alle umiliazioni che la Federciclismo stava infliggendo a mio figlio Giovanni. Al sottoscritto in particolare interessava ed interessa che venga celebrato un giusto processo per accertare la verità ed assicurare davvero la giustizia per la morte di mio figlio Giovanni. Affinché questa morte ingiusta ed evitabile serva a concentrare l’attenzione sul tema troppo spesso ignorato della sicurezza alle corse ciclistiche, serva ad evitare altri corridori morti a 144 metri dalla linea di arrivo. Affinché la vicenda giudiziaria di mio figlio Giovanni serva a fare un po’ di pulizia in questo Paese”.

24.7.24

Pogacar rinuncia alle Olimpiadi per quello che hanno fatto alla fidanzata Urska: “Sono disgustato” E Beatrice Colli che parteciperà a parigi 2024spiega i segreti dell’arrampicata speed: “Se non sali come vorresti impazzisci”

leggi anche

 https://www.fanpage.it/sport/ciclismo/

il più forte ciclista al mondo in attività, Tadej Pogacar non sarà alle Olimpiadi a rappresentare la sua Nazione, la Slovenia. Colpa del ct Penko che non ha convocato per i Giochi Urska Zingart, la compagna
di Pogacar ma ancor prima la campionessa nazionale a cronometro in carica. Una scelta senza senso che ha infastidito oltremodo il vincitore di Giro e Tour: “E’ l’unica ciclista donna slovena ad aver mai raggiunto la top 10 in gare del World Tour di una settimana…”

                                  A cura di Alessio Pediglieri

Tadej Pogacar,  il più forte ciclista al mondo in circolazione non sarà alle Olimpiadi. Un forfeit che il campione sloveno aveva annunciato nell'immediato post Tour de France, dichiarando di "sentirsi troppo stanco". Una motivazione che celava ben altre spiegazioni, in primis la mancata convocazione ai Giochi di Urska Zigart, la sua fidanzata. Ma ancor prima, la più forte ciclista slovena a cronometro, gara in cui si è laureata per due volte campionessa nazionale. Alla fine, dopo aver fatto gli auguri al suo sostituto, Domen Novak, Pogacar ha ammesso il proprio fastidio per le scelte fatte: "Sono senza parole e disgustato" La decisione di Pogacar: rabbia e fastidio per l'esclusione alle Olimpiadi di Urska Tadej Pogacar aveva detto che la decisione della federazione slovena di non selezionare Zigart per i Giochi fosse a suo modo inspiegabile, al di là del legame sentimentale che lega i due atleti, proprio per meriti sportivi: "È l’unica ciclista donna in Slovenia ad aver mai raggiunto la top 10 in gare del World Tour della durata di una settimana. Ha fatto grandi cose negli ultimi due anni" ha continuato il fenomeno sloveno vincitore di Giro e Tour. "Da sola ha ottenuto punti per la Slovenia che, senza di lei, non avrebbe avuto due posti nella corsa su strada olimpica".
Così si spiega la scelta finale, quella di non partecipare a sua volta ai Giochi, precedentemente nascosta da altre non plausibili motivazioni: "Non è stata la ragione principale del mio no ai Giochi" ha spiegato ancora Pogacar. "Ma di sicuro non mi ha aiutato a scegliere diversamente. Penso che lei meritasse un posto, semplicemente perché è la doppia campionessa nazionale di corsa su strada e cronometri non ché la ciclista più quotata della Slovenia: sono disgustato e senza parole" ha concluso il proprio pensiero, prima della chiosa finale: "Ora andremo in vacanza insieme"
Le motivazioni iniziali di Pogacar per il no olimpico: troppa stanchezza
Subito dopo il trionfo in giallo Pogacar aveva fulminato tutti dicendo no alle Olimpiadi di Parigi. Un appuntamento che appariva naturale dopo i trionfi a Giro e Tour e prima dei Mondiali, che invece non ci sarà. Il campione sloveno aveva celato il motivo centrale dietro una eccessiva stanchezza. Anche il suo agente, Alex Carera, aveva rimarcato il concetto: "Pensiamo che il percorso dei Giochi sia poco adatto alle sue caratteristiche. Il vero obiettivo è il Mondiale a Zurigo. Fare la doppietta come Pantani è stato qualcosa di leggendario. Ora si deve riposare per cullare il suo grande sogno, quello di vincere tutte le più importanti corse al mondo. Gli mancano Mondiale, Vuelta e Parigi-Roubaix".
Chi è Urska Zigart, la campionessa slovena esclusa dalle Olimpiadi
Urska Zigart è da anni una delle più quotate e vincenti cicliste slovene in attività. Professionista dal 2015 ha partecipato a 5 edizioni del Giro d'Italia Donne, oltre ad aver corso sia al Tour sia alla Vuelta. Nel 2020 si impone per la prima volta nella prova a cronometro nazionale prendendosi la maglia di campionessa slovena. Obiettivo poi ripetuto sia nel 2022 sia nel 2023. Eppure, non è stata scelta per rappresentare il suo Paese a Parigi. La stessa Zigart aveva commentato così la sua esclusione a sorpresa: "Prima del Tour della Svizzera, ho ricevuto un messaggio dall’allenatore della nazionale Gorazd Penko che spiegava la sua decisione e le sue ragioni. Mi ha detto che aveva già deciso l’anno scorso".Chi rappresenta la Slovenia nel ciclismo a ParigiLa squadra maschile di ciclismo della Slovenia a Parigi 2024 sarà rappresentata da Domen Novak, gregario in UAE proprio di Pogacar di cui ha preso il posto ai Giochi, e completerà la squadra insieme a Mohoric, Tratnik e Mezgec. Al posto di Zingart, invece, per la crono femminile, il ct Penko ha selezionato Urksa Pintar, che si era classificata seconda al campionato nazionale sloveno di quest’anno, 11 minuti proprio dietro Zigart.

 -----

 da    https://www.fanpage.it/sport/altri-sport/

Beatrice Colli spiega i segreti dell’arrampicata speed: “Se non sali come vorresti impazzisci” Lo sprint
scalando una parete di 15 metri è la disciplina che Beatrice Colli porterà alle Olimpiadi di Parigi 2024: abbiamo incontrato la 19enne durante un allenamento per capire cosa si prova a correre verso l’alto per provare a conquistare una medaglia.

                         A cura di Simone Giancristofaro

Quindici metri di parete da scalare in pochi secondi – 6"88 è il record italiano che ha ottenuto a maggio – e in 20 movimenti: in questi numeri c'è tutto il sacrificio, la forza e la passione di Beatrice Colli, 19enne di Colico (Lecco), che gareggerà a Parigi 2024 nell'arrampicata speed.Entrata nella squadra della polizia di Stato a soli 17 anni, Colli vive per la velocità in verticale e la incontriamo nella palestra Big Walls di Brugherio, fuori Milano, al termine di un allenamento. Si riposa per qualche minuto davanti alla parete dell'arrampicata speed, che osserva quasi con riverenza."Mi sono avvicinata a questa disciplina da piccola perché mi arrampicavo ovunque, sui muretti di casa, sugli alberi poi mia mamma mi ha portato in una palestra di boulder" e da lì non ha più smesso. Poi il cambio palestra e l'ingresso nella squadra di arrampicata dei Ragni di Lecco. "Mi piaceva veramente tanto, andavo più di una volta a settimana, avevo i calli distrutti alle mani, ne ero orgogliosa", racconta a Fanpage.it Colli.
Road to Paris 2024
Ma cosa si prova a stare sospesi a più di dieci metri di altezza? "Scalo non per essere sospesa – ci risponde –  ma perché amo il gesto di portare il mio corpo verso l'alto e vedere come reagisco sotto pressione". E questo le darà un'ulteriore spinta a Parigi 2024: "È la mia prima Olimpiade, sono emozionata e super contenta di essere riuscita a guadagnarmi la qualificazione per cui ho combattuto per un anno e mezzo, sognata giorno e notte".Colli ha staccato il pass per le Olimpiadi all'ultimo giro di qualificazione e, con in testa sempre l'ossessione per la parete e per i movimenti da ripetere all'infinito, dice:

"Il mio obiettivo è dare il mio meglio, non voglio dire che voglio divertirmi, ma nelle gare di qualifica ero talmente agitata che non sono riuscita a fare una salita fatta bene e questo mi dà davvero fastidio, voglio fare vedere cosa ho coltivato durante tutti questi mesi di preparazione, se faccio il mio meglio posso andare lontana, qualificarmi nelle finali".



"Noi speed climbers siamo veramente perfezionisti – spiega Colli – lavoriamo sul millesimo di secondo, sul posizionamento dei piedi, tutto deve essere perfetto, se non riesci a salire come vorresti impazzisci, arrivare al top del percorso, sentirti forte, quel plus che ti regala l'adrenalina è qualcosa di magico".


Arrivano le ragazze



"Vincere è un sogno" confessa Beatrice Colli e un risultato a Parigi darebbe ulteriore lustro al mondo dell'arrampicata, che già vede in Italia un vero e proprio boom di iscritti alle palestre della disciplina, pur se non ancora nella versione sprint che è l'eccellenza di Colli:  "Ho notato che sto dando molta speranza alle ragazze, prima che portassi risultati nello speed a livello italiano, le gare femminili erano veramente ridotte. Adesso ci sono un sacco di giovincelle che vanno veloci, forse non diventerà uno sport nazionale ma stanno aumentando i numeri dei tesserati della Federazione arrampicata".


6.7.24

nonostante lo schifo del caso di Giovanni Ianelli e dell'insabbiamento dellla vicenda mi appassionano le storie ad esso legate come quella di Tadej Pogacar

 Nonostante    il  doping    e le  corruzioni  presenti  in tutti gli sport  agonistici   e casi   di criminalità    e  insabbiamenti   come il Pantani  e   il   caso del povero   Giovanni Ianelli   per  rimanere  nell'ambito del  ciclismo  ne  ho parlato   in 

Lo sport    e le  sue    storie  mi  ha   sempre  anche  se  passivamente    mi   ha  sempre  appassionato . In questo caso  il  ciclismo  . 
Ecco    dallo  scorso numero dell'inserto di  7 settimanale  del  corriere  della sera    la   storia    di  Tadej Pogacar  





L’EROE TOTALE CHE HA PORTATO IL CICLISMO FUORI DAI CONFINI DEL TIFO SPECIALIZZATO SENZA ESSERE UN CANNIBALE, ANZI...

Il  ciclismo   e le  sue storie Alle 16 e 30 dello scorso 25 maggio la penultima tappa del Giro d’Italia si arrampicava tra migliaia di tifosi su quel Monte Grappa tanto caro alla Patria quanto stramaledetto dai ciclisti per la sua durezza. Lasequenza più memorabile (un milione di visualizzazioni sui social in poche ore) di tre settimane di corsa si è materializzata in una curva orientata dolcemente verso destra, poco lontano dalla cima. Solo al comando in maglia rosa e lanciato ad altissima velocità verso il trionfo finale, Tadej Pogacar si è visto affiancare a destra da un massaggiatore della sua squadra pronto ad allungargli una borraccia, a sinistra da un ragazzino che gli correva a fianco incitandolo. Con tempismo surreale e un solo ampio gesto del braccio, Tadej ha afferrato senza rallentare la borraccia e l’ha passata al ragazzino (Mattia da Vincenza, 12 anni, che per poco non è svenuto per l’emozione) regalandogli anche un sorriso. La leggenda del più forte ciclista di tutti i tempi è in corso di scrittura da quattro stagioni, quella dell’Eroe  Sorridente si è concretizzata per la prima volta sul Monte Grappa  braccio, Tadej ha afferrato senza rallentare la borraccia e l’ha passata al ragazzino (Mattia da Vincenza, 12 anni, che per poco non è svenuto per l’emozione  foto sotto  a sinistra   ) regalandogli anche un sorriso.
La leggenda del più forte ciclista di tutti i tempi è in corso di scrittura da quattro stagioni, quella dell’Eroe  Sorridente si è concretizzata per la prima volta sul Monte Grappa.
La storia del ciclismo è piena di eroi.Eroi afflitti da cannibalismo come i supremi Eddy Merckx e Bernard Hinault, incapaci di considerare l’avversario altro che una preda da sbranare. Eroi dal sorriso triste e dalla vita breve come Fausto Coppi, dal destino segnato come Jacques Anquetil e Luis Ocaña. Eroi farmacologici come Lance Armstrong, tragici come Marco Pantani. Nelle biografie di quella dozzina di uomini che hanno fatto la leggenda ci sono spesso sfumature ciniche, malinconiche o da tragedia. Ora c’è lui, Tadej Pogacar da Klanec, Slovenia, classe 1998, prima apparizione nel mondo delle due ruote il 29 marzo 2015 a Loano, nel Savonese, quand’era poco più che adolescente. Oggi Poga appare come il primo fuoriclasse capace di traghettare il ciclismo fuori dai confini del tifo specializzato, dei praticanti, del popolo dei camperisti e dei cicloturisti che fanno la coda per tifare a bordo strada, sulle salite mitiche di Alpi e Pirenei. Il primo a non suscitare retropensieri in un mondo dove troppo spesso gli asini si sono trasformati in cavalli di razza grazie all’aiuto di compiacenti stregoni e di un’etica fragilissima: quando Poga

SE A 20 ANNI NON HAI COMBINATO QUALCOSA DEVI ABBANDONARE A 25, TADEJ HA GIÀ VINTO PIÙ DI MERCKX E HINAULT

pedala, sprizza classe visibile anche a chi di ciclismo capisce poco o nulla .Un uomo con la popolarità di un asso del calcio ma senza un minimo della spocchia di un Ronaldo o di un Messi che rispetta e onora ogni avversario e che ammette sempre la superiorità di chi (pochissimi, a dire il vero) lo sconfigge.

In quel Trofeo Città di Loano dove vestiva la maglia del Team Radenska, Pogacar arrivò 18°: la maggior parte degli 89 giovanissimi che parteciparono alla corsa ha lasciato da tempo l’agonismo. Il ciclismo è così totalizzante, così brutale che se a 20 anni non hai combinato qualcosa devi abbandonare il tuo sogno e provare a finire gli studi trascurati per sei ore di allenamento al giorno o trovare velocemente un lavoro. Chissà se Matteo Bellia o Francesco Bonadrini che allora staccarono Pogacar per poi, nel giro di uno due anni, appendere la bicicletta al chiodo e sparire anche dai radar dei siti specializzati, si resero conto di aver battuto colui che oggi è già considerato il più forte di tutti i tempi.

Far capire la grandezza di Pogacar a un non addetto ai lavori non è semplicissimo. Da 50 anni a questa parte, nelle due ruote domina la specializzazione. O vinci le grandi corse a tappe (sei scheletrico, agilissimo, forte in salita) o le classiche di un giorno (sei potente, aggressivo) o le cronometro (hai vistose masse muscolari, enorme capacità di sofferenza), combinando al massimo due qualità su tre. O vai forte in salita o sei implacabile in pianura. Gli ultimi eroi totali sono stati, quasi 50 anni fa, il belga Merckx, detto il Cannibale, e il francese Hinault. Frutti tardivi del ciclismo contadino e affamato dei tempi eroici, pronti a tutto pur di umiliare gli avversari, severissimi con i gregari considerati poco più che fedeli servitori di una causa divina. Hinault che vinse imprecando l’odiatissima Roubaix pur di completare il suo palmares e smentire chi non lo riteneva adatto. Merckx che tutt’ora — anziano e malconcio — rimpiange di non aver mai vinto la Paris-Tour, la mezza classica insignificante che è l’unica a mancare alla sua sterminata collezione.

A 25 anni Pogacar ha — in rapporto all’età — già vinto più di entrambi: due Tour de France, l’ultimo Giro d’Italia, tre delle cinque classiche-monumento (Il Lombardia tre volte, la Liegi due, una il Fiandre) e un’infinità di altre gare del calendario, in quasi tutti i casi con ampio distacco. A metà luglio potrebbe aver realizzato la doppietta Giro-Tour nello stesso anno (ultimo a riuscirci Pantani nel 1998, in altri tempi e altro ciclismo) a settembre vestire la maglia iridata sul durissimo percorso di Zurigo.

Per descrivere i super poteri di Pogacar si può, certo, ricorrere alla scienza. Quando pedala alla morte in salita o durante una cronometro, in ogni chilo di muscoli del corpo dello sloveno c’è quasi un watt di vantaggio rispetto ai suoi avversari più quotati: una F1 contro delle sportcar di serie. Quando gli altri scattano lui passeggia e quando lui scatta il resto del mondo boccheggia. A chi non interessano i watt basta guardarlo: la bocca mai dilatata a cercare ossigeno, spalle e fianchi che non ondeggiano nel fuorisella, il corpo mai accasciato sul manubrio ma sempre proteso in avanti a cercare con gli occhi il punto in cui fare la differenza, come un felino sul punto di ghermire la preda. Stilisticamente, una delle cose più sublimi in circolazione da sempre. «Che Tadej sia un fuoriclasse» ha spiegato Guillaume Martin, corridore francese che scrive saggi di filosofia come Socrate a Pedali «lo vedi anche quando cammina o nei momenti più tranquilli di gara, mentre risale il gruppo dopo essere andato a prendere una borraccia alla macchina. Emana un’aura inconfondibile. Essendo un mio avversario, l’idea di considerarlo dotato di superpoteri è controproducente e metodologicamente sbagliata ma ci sono momenti in cui non riesco proprio a non farlo». Quando Pogacar scatta sul serio, chi prova a seguirlo si fa male. Ci ha provato il forte danese Mattias Skjelmose all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi spiegando poeticamente di «aver pagato a carissimo prezzo la fatica: se ti avvicini troppo al sole rischi di bruciarti». E ci ha provato all’ultimo Giro d’Italia, nella tappa di Oropa, l’australiano Ben O’Connor che commenta meno prosaicamente di «aver fatto di puro istinto

una cavolata pazzesca, ho rischiato di esplodere e chiudere la corsa lì. Quando lui parte bisogna contare fino a tre prima di fare qualunque cosa».

Dietro Pogacar c’è la formidabile ascesa della Slovenia e dei suoi 2,1 milioni di abitanti, un nazione ciclisticamente insignificante fino a 15 anni fa specie rispetto a chi come Francia, Italia, Belgio e Spagna pensava di detenere una sorta di potere ereditario nel mondo delle due ruote. Ora mentre noi italiani, pensionato Vincenzo Nibali, ci attacchiamo solo alle imprese del crono-fenomeno Pippo Ganna i nostri cugini hanno Pogacar, il suo amico avversario Primoz Roglic, che ha vinto tre volte la Vuelta, un Giro d’Italia e lo sfiderà al Tour, e il funambolo Mohoric che ha conquistato la Sanremo con un’impresa in discesa. Nazione dove lo sport è religione fin dalle quattro ore di obbligo scolastico dell’educazione fisica e dove i Pogacar nel ciclismo e i Doncic nel basket hanno rimpiazzato i modesti eroi del calcio che si stanno giocando gli Europei.Fuori dal ciclismo Pogacar fa una vita di banalità quasi sconcertante. Vive a Montecarlo per comodità fiscale (l’Emirates gli garantisce sei milioni l’anno di solo ingaggio) con Urška Žigart, anche lei ciclistica professionista, di due anni più giovane, che ha a lungo corteggiato durante i raduni di allenamento in altura della nazionale slovena dove la coppia si recava assieme ai compagni sullo scassato pulmino federale. «La meta del viaggio era Saint Moritz» ha spiegato Poga «ma dopo aver scoperto quanto costavano la benzina e la spesa al supermercato decidemmo di trasferirci a Livigno dove mi innamorai di Urška e della Valtellina».





 I due amano le gite fuori porta (quasi sempre in bicicletta) e le cene in casa con gli amici dove lui si improvvisa cuoco con risultati modesti, a detta della compagna.Pogacar non si pone limiti ma ha degli obiettivi precisi. Domani, 29 giugno, a Firenze comincia il suo quinto Tour de France: due li ha vinti, in due è arrivato secondo dietro al diafano danese Vingegaard che quest’anno partirà (se partirà) svantaggiato dopo il terribile incidente di gara a marzo, nei Paesi Baschi. Dovesse vincere anche il Tour, Poga sarebbe il primo a riuscire nella doppietta dopo Marco Pantani, appunto, in un ciclismo dove un’impresa del genere — per il livello della concorrenza — oggi è considerata quasi impossibile. Altri traguardi sono immaginabili: concreto già quest’anno quello del titolo mondiale, facilmente pronosticabile in futuro la Vuelta. Delle due classiche-monumento che ancora gli mancano Poga ha già sfiorato la Milano-Sanremo ma non ha mai affrontato quella più lontana dalle sue mille qualità, la Parigi-Roubaix. Se volesse, pensano in molti, non avrebbe nessuna difficoltà a scatenare l’inferno anche sul pavè, lui che alla Strade Bianche di Siena ha ballato da solo sullo sterrato per 80 chilometri.

 concludo   riportando sempre   dallo  scorso numero  del  settimanale  7 



 altre storie   a  tema  



3.7.23

chi lo ha detto che il teatro dev'essere solo al chiuso ? l'esecuzione dell'opera : a perdifiato la storia di alfonsina strada la prima donna che corse il giro d'italia di michele vargiu


 da leggere  prima  del post  
Alfonsina Strada - Wikipedia e     suoi  collegamenti esterni

Bellissimo lo spettacolo  "  perdifiato . l'incredibile  vita  di Alfonsina  l'unica  donna  a correre  il giro  d'italia  "  monologo  di  Michele  vargiu  .  Tenuto ieri  a tempio pausania   ( vedere foto    sotto   al  centro )     nel  giardino  del  ex  liceo   degli scolopi    , ora  biblioteca  comunale .  Inizialmente   il monologo  sembrava raccontare una storia  sui miti del ciclismo maschile . Ma poiall'improvviso   ,  evidentemente  fungeva  d'introduzione  \  premessa    per   spiegare   di  come mai  ancora  oggi   la  figura  ed il gesto  di Alfosina    passano    in secondo piano nell'esaltazione  e nel tifo  popolare .
La Storia  raccontata     nello  spettacolo  è una   storia   sportiva  italiana poco  nota ed offuscata   dai racconti nazionali quasi ( ne avevo parlato suo tempo  sulle pagine del blog  ma  non riesco  a  trovarlo     forse    e  fra quelle   andate perse   nel  passaggio da   splinder  o a bloggger  ) rimossa insomma . Con questo Monologo  si  racconta   Uno sport d'altri tempi di  quando si correva per rabbia e per amore (cit da   il  e bandito e il campione di  Francesco de Gregori  I
 (  testo ed  accordi ) II (  video canzone  )   quando    lo  sport   era  sport    e le    ed  i fatti d'oggi   , vedere  articolo   riportato sotto de il Fatto  quotidiano  d' ieri  ,  si contavano    sula  punta  delle  mani  

Un ottimo racconta    storie   ed  un ottimo    spettacolo  . Sarà merito delle scenografie (che non ci sono) , eccetto qualche base muisca del'epoca in sottofondo Sarà merito dei costumi (che non ci sono) O forse saranno le retroproiezioni (che non ci sono). Fatto sta che spettacoli dove in scena non c'è niente vanno in giro da parecchio, le persone tornano a vederli e fanno questo effetto qua. Succede, credo, perché fondamentalmente le buone storie, se sono tali, non hanno bisogno di nulla. L'atmosfera e la recitazione  ti fanno entrare dentro la storia come seca narrartela fosse o la protagonista stessa o un testimone di quegli eventi  . In certi punti è come se fossi tu stesso presente a quel giro vinto D'Alfonsina.


aspetto   con ansia  la  sua 2  rappresentazione   "LE FUORIGIOCO", cui  conosco la vicenda      e   di  cui   ho  già parlato   recentemente  nel  blog  ,  ma   vederlo a  teatro    e  rappresentato     in sifatta   maniera   sarà particolare 

7.9.22

Il velo di Safiya al Sayegh batte (in volata) i pregiudizi

 

  dal  venderdi    di repubblica  del 2\9\2022

 Al Sayegh è la prima emiratina nel ciclismo di vertice. Gareggia coprendo capo, braccia e gambe: "È un mio diritto. Ogni donna deve essere libera di scegliere"

Safiya al Sayegh (a sinistra) è con alcune compagne dell’Uae Team. La ciclista di Dubai è nata il 23 settembre del 2001. Quest’anno ha vinto il Campionato nazionale degli Emirati Arabi in linea e a cronometro (Manuela Heres) 


Safiya indossa il velo e corre in bicicletta. È nata a Dubai tre anni e due giorni dopo il suo idolo Tadej Pogacar e negli Emirati è già un mito e un esempio. Safiya al Sayegh è la prima donna araba nel ciclismo di vertice. Indossa l'hijab sotto il casco e corre con braccia e gambe coperte, cerca la Mecca con lo sguardo e prega prima e dopo l'arrivo. Sorride molto a chi le chiede "perché proprio il ciclismo?", "perché no?" risponde lei, con naturalezza, facendosi grande nelle sue piccole spalle.

Perché no, in effetti, in quell'angolo ricchissimo del mondo che sta spalancando le sue strade spazzolate dal vento e accarezzate dalla sabbia all'arte occidentale dell'andare in bilico su due ruote sottili? UAE, sigla degli Emirati Arabi Uniti, è anche il nome del team di Safiya, la sezione femminile della UAE di Pogacar. Safiya di strada deve farne ancora tantissima. Ma ha vent'anni e molto, per lei, deve ancora succedere.

Come è nata la sua passione?
"Sono figlia di due culture molto diverse. Sono nata a Dubai da padre emiratino e madre inglese e provengo da una famiglia sportiva. I miei genitori mi hanno sempre incoraggiata a fare sport e sono presenti nella maggior parte delle mie gare. Sono la più grande di tre sorelle. E a marzo ho vinto due gare, il Campionato nazionale degli Emirati Arabi, sia in linea che a cronometro".

Oltre al ciclismo, che cosa c'è nella sua vita?
"Studio graphic design, sono al terzo anno. Vorrei diventare una designer e lavorare nel mondo della grafica e della pubblicità".

Qual è il suo rapporto con l'Islam?
"Sono profondamente religiosa. La fede è un modo per farci vivere questa vita nel modo corretto, per essere vicini al nostro Creatore e faccio del mio meglio per mantenere questa connessione spirituale il più possibile".

Che cosa rappresenta per lei il velo?
"Indosso il mio hijab per il mio bene. Non sono obbligata a indossarlo da nessuno e non lo indosso per compiacere la mia famiglia, ma per me stessa. Indosso il velo tutto l'anno, tutti i giorni e non lo trovo un problema per la mia carriera sportiva. Spero che ogni donna in tutto il mondo possa inseguire ciò che ama senza che sia un ostacolo per lei. Certo, nel ciclismo è più dura che in ogni altro sport per via del caldo, ma con la fede e se sai di star facendo qualcosa di importante e bello, tutto si supera".

In alcune culture il ciclismo viene considerato disdicevole per una donna. Ha mai avvertito questo stigma sul suo sport?
"No, mai, a Dubai le donne sono assolutamente libere di praticare qualunque sport. Io lo faccio in ogni momento libero dai miei impegni di studio. In città c'è uno splendido Cycle Park e se voglio allungarmi raggiungo il Jebel Jais, dove all'UAE Tour quest'anno Tadej Pogacar ha vinto una bella tappa. Lui è il mio modello, un ragazzo straordinario e molto simpatico. E poi corre con i miei stessi colori".

In Francia c'è una proposta di legge per impedire l'utilizzo dell'hijab durante la pratica sportiva e c'è un gruppo di calciatrici, le Hijabeuses, contrario a questo progetto. Lei cosa pensa?
"Credo che a una donna debba essere lasciata la scelta di usarlo o meno e non essere costretta per legge a rimuoverlo. Non ne capisco il senso, il fine. Indossarlo è un diritto. Possa Dio guidarci tutti e mostrarci la retta via in questa vita".

E lei come è approdata al ciclismo?
"Da bambina ho praticato nuoto e atletica. Intorno ai quindici anni mio padre ha acquistato una bici da città e anche grazie alla nascita del Dubai Tour e poi dell'UAE Tour il ciclismo è arrivato sulla porta delle nostre case. All'inizio mio padre era contrario, è uno sport duro, pericoloso. Sono arrivata al ciclismo per mezzo dello studio: studia, mi diceva, e potrai praticare lo sport che desideri. Non sono tantissime le ragazze di Dubai che praticano ciclismo, ma solo perché non c'è ancora una tradizione da noi. Cresceranno i numeri nei prossimi anni". 

Grazie a lei e al suo esempio, magari.
"Mi piacerebbe essere un modello per altre ragazze emiratine, sento comunque la responsabilità di essere un'apripista, una pioniera, ed è una cosa che mi piace. La mia squadra, l'UAE Team ADQ, ha tra i suoi obiettivi anche quello di far crescere un movimento nazionale negli Emirati. Il team è stato creato per condividere una visione e consentire alle donne di perseguire i propri sogni e diventare eroine in qualunque cosa vogliano. È davvero un piacere e un onore essere stata scelta per far parte di questo fantastico progetto".

Che cosa sogna per la sua carriera?
"Vorrei diventare la prima ciclista emiratina in gara alle Olimpiadi. Vorrei correre le grandi corse europee, le classiche, il Giro e il Tour. Ma soprattutto voglio rendere orgogliosi i miei genitori e restituire loro il bene e la fiducia che mi hanno dato. Amo far sorridere le persone e i miei cari, la vivo come una missione".

30.7.22

può una eventuale condanna per diffamazione far riaprire il caso di giovanni Ianelli una vicenda archiviata troppo in fretta nonostante prove schiaccianti ?

 Leggi  prima  


Breve  sunto    per  chi  non  avesse  letto i  post  precedenti o  gli avesse  dimenticati  di  cui  trova    sopra  gli url   dei miei   post  precedenti 

  da  https://ilquotidianoditalia.it/cronaca/un-giusto-processo-per-la-morte-di-giovanni-iannelli/

Il giovane corridore pratese Giovanni Iannelli è stato ricordato, sabato 16 luglio, durante l’iniziativa ‘Pedalando in sicurezza’ che da piazza del Duomo a Prato è terminata davanti al murales di Carmignano, dedicato proprio al ciclista che viene sempre menzionato da tutti con grande affetto e stima, perché era un ragazzo esemplare e rispettoso nei confronti delle persone. Una quindicina di chilometri percorsi in bicicletta con la partecipazione del papà di Giovanni, l’avvocato Carlo Iannelli che non ha mai smesso di chiedere verità e giustizia sull’assurda morte del figlio, avvenuta il 7 ottobre 2019, dopo due giorni dal tragico incidente a Molino dei Torti (Alessandria). 
Infatti, il 5 ottobre, Iannelli durante la volata finale a ranghi compatti, cadde rovinosamente sull’asfalto dopo aver battuto la testa su un pilastro sporgente di una civile abitazione in via Roma nel medesimo paesino, e a 144 metri dal traguardo di una competizione dilettantistica con la linea d’arrivo che si trovava davanti al municipio, luogo delle istituzioni, della liberta, e soprattutto della legalità. Papà Carlo non si arrende, e chiede la riapertura delle indagini per accertare fino in fondo, eventuali responsabilità da parte degli organizzatori che avrebbero potuto proteggere meglio le insidie lungo il percorso cittadino con delle transenne o altre barriere di protezione, considerando che l’arrivo era previsto ad una velocità di circa 70 orari, in una strada senza marciapiede e in leggera discesa con una serpentina ad “S” che attraversava le abitazioni lungo il tracciato.
I sogni e le speranze di un giovane di 22 anni si sono spezzate a causa di una tragedia che andava evitata, ma la battaglia della famiglia Iannelli dovrà servire anche per prevenire qualsiasi altro incidente mortale, lottando quotidianamente nel chiedere maggiore sicurezza in tutte le gare ciclistiche.
 [....]

Ora  le  persone citate nel  documento  riportato   sotto    sono  a processo per  ingiuria  e diffamazione     verso  il padre del ragazzo  



 e  qundi  mi chieso  e   spero   come  da  tittolo       che una  eventuale   sentenza   di  condanna  possa  mettere  in evidenza    sempre    più e  portatre   ad  una nuova  indagine    e  far riaprire  l'inchiesta   vergognosamente  e scandalossamente  archiviata  .  Perchè Se un ingegnere sbaglia il suo lavoro, va incontro anche al carcere, ma riguardo alla morte di Giovanni, seppur accertateed  provate   le mancanze relative all’adeguamento della sicurezza in gara, nessuno è stato recluso, se non alla  ridicola  pena   di  6 mesi di sospensione, ed una multa da mille euro.
E’ morto Giovanni, un ragazzo ha perso la vita per le mancanze altrui, non è mandare in carcere i responsabili che lo riporterebbe in vita, ma significherebbe che Giustizia sia fatta ed  quersto che si chiede  



1.7.22

GIOVANNI IANNELLI AGGIORNAMENTO . UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA NON UNA TRAGICA FATALITA'.L'ARCHIVIAZIONE E'UNA VERA E PROPRIA VERGOGNA NAZiONALE CHE SI STA COMPIENDO SULLA PELLE DI UN RAGAZZO ESEMPLARE, DI UN CORRIDORE ESEMPLARE DI 22 ANNI.

 pintate precedenti

nei post predenti  (  trovat  ad inizio  post  gli url )   m'ero scordato  di scrivere  che  sulla  vicenda   e  cadutas    in  manieraincresciosa   e  vergognosa  l'archiviazione giudiziaria .  Infatti  chiaccherando Carlo   il padre  di Giovanni  ho  appreso che le  ultime notizie  riguardanti  la  vicenda , il modocon cui  s'è arrivati all'archiviazione  ,   sono ancora   più torbide ed   più inquietante  ma  soprattutto  ancora  più crude  di quelle  raccontate    nei due post  precedenti    . Sono   talmente basito ed  schifato   da non trovare  la  lucidità  per  raccontarlo  . Lascio quindi   che sia  lui  a farlo meglio di me pubblicando con  il suo consenso   la nostra  conversazione

Giovanni Iannelli in maglia azzurra
                  alla Roubaix juniores 
Da https://www.corriere.it/sport/20_novembre_28/
ds


Dopo l’archiviazione del procedimento penale relativo all’omicidio colposo di mio figlio Giovanni, avvenuta all’esito del provvedimento (assurdo, incredibile, una vera e propria aberrazione giuridica !!!) assunto dal Gip di Alessandria Andrea Perelli il 1° Marzo 2021, ho presentato ben due istanze di riapertura indagini con investigazioni suppletive e documentazione allegata. Orbene la prima istanza, risalente al 25 maggio 2021, è stata immediatamente archiviata (con motivazioni assurde ed inaccettabili, anche in questo caso delle vere e proprie aberrazioni giuridiche !!!) il giorno dopo ovvero il 26 maggio 2021 dal PM di Alessandria Andrea Trucano (quello che nel novembre 2020 aveva richiesto l’archiviazione del suddetto procedimento penale). La seconda istanza invece, di 66 pagine, con investigazioni suppletive, con documentazione allegata, con due ipotesi di reato a carico di Roberto Sgalla, esponente apicale della FCI e consulente di quello steso PM, giunge nella competente cancelleria il giorno 7 giugno 2021, alle ore 12 e 34, e viene immediatamente archiviata il giorno stesso da quel PM. In questo caso non mi viene neppure notificato il provvedimento di archiviazione. Scopro questo solamente il 30 dicembre 2021 quando il mio avvocato scrive una mail alla Procura della Repubblica di Alessadria alla quale risponde il Procuratore Capo Enrico Cieri in maniera piuttosto sprezzante, con un provvedimento vergato a mani in calce alla quella stessa mail dove annota ”visto si comunica che l’istanza ex art. 414 cpp è stata rigettata”. Oltremodo curiosa, singolare ed inquietante è la vicenda giudiziaria relativa alla denuncia da me presentata nei confronti della testimone falsa Giulia Fassina (giudice in moto, componente del collegio di giuria, unica testimone sentita quel giorno, tra le decine e decine di testimoni, dopo circa due ore dal loro arrivo, dai Carabinieri di Castelnuovo Scrivia       che quel giorno non svolgono nessuna attività d’indagine, non scattano neppure una fotografia con un comunissimo telefono cellulare, non fanno un rilievo stradale, non sentono gli altri corridori coinvolti nella caduta, nulla di nulla !!!). Denuncio la Giulia Fassina alla Procura della Repubblica di Alessandria nel luglio 2020. Per diversi mesi non so nulla di quella mia denuncia. Poi scopro casualmente (leggendo il provvedimento di archiviazione della denuncia da presentata nei confronti di quei Carabinieri) che il PM Andrea Trucano (il solito !!!) ha chiesto l’archiviazione della mia denuncia nei confronti della Giulia Fassina, depositandola nella cancelleria del Gip di Alessandria Aldo Tirone sin dal novembre 2020. Ma a me non è stato notificato nulla. Faccio allora opposizione che invio a quel Gip, ma anche alla Ministra della Giustizia Marta Cartabia poiché pare che la parte offesa non sia il querelante ovvero il sottoscritto ma l’amministrazione della Giustizia.

il  punto dell'incidente  
Corredo l’opposizione con numerosi documenti idonei a smascherare quella testimone clamorosamente, spudoratamente falsa. L’opposizione giunge alla Ministra della Giustizia in data 18 maggio 2021, ma non è stato dato alla stessa alcun seguito. L’opposizione indirizzata al Gip di Alessandria Aldo Tirone perviene sulla sua scrivania il giorno 4 giugno 2021. Anche in questo caso passano i mesi e non mi viene comunicato nulla. Ad ottobre 2021 mi reco alla Procura della Repubblica di Alessandria presso la cancelleria di quel Gip e mi viene detto che la mia opposizione è stata smarrita, non si ritrova più, per cui la invio di nuovo corredata anche stavolta di tutti i documenti. Ma tutto tace nonostante le plurime istanze di trattazione inviate dal mio avvocato. Ad un certo punto addirittura il famoso RIS di Parma mi da la sua disponibilità a periziare il video dell’evento mortale di mio figlio (mai periziato, nonostante le plurime richiesta in tal senso, dalla Procura della Repubblica di Alessandria) per chiarire la dinamica e smascherare la testimone falsa Giulia Fassina, a condizione che vi sia un procedimento aperto e che vi sia una delega da parte dell’autorità giudiziaria. Il mio avvocato fa un’apposita istanza al Gip Aldo Tirone, rappresentando la cosa. Ma anche in questo caso tutto tace. Il 22 aprile 2022, dopo che finalmente dopo oltre un anno dall’archiviazione del procedimento, vengo autorizzato a consultare il fascicolo, mi reco alla Procura della Repubblica di Alessandria appunto per visionarlo e con l’occasione passo, insieme ai miei due avvocati, dalla stanza del Gip Aldo Tirone che è presente Parliamo con lui gli spieghiamo la situazione. Lui ci dice che ha tanto da fare, ma che il fascicolo comunque è alla sua attenzione proprio lì sulla scrivania. Passano i giorni, ma nessuna novità. Il mio avvocato sollecita, ma nulla. Il 13 giugno 2022 il mio avvocato invia una mail al Gip Aldo Tirone e la cancelleria risponde che quel Gip sin dal 2 maggio 2022 ha archiviato la mia opposizione. Anche in questo caso nessuna notifica mi è stata fatta. Nel mentre ti scrivo mi è arrivata dalla cancelleria una mail con allegata una copia del decreto di archiviazione di quel Gip con il quale archivia de plano, senza nemmeno fissare un’udienza, senza ammettere le investigazioni suppletive e gli altri elementi di prova da me indicati che sono invece assolutamente pertinenti e rilevanti.

 che aggiungere  altro   Tutto ciò è scandaloso, vergognoso, orrendo, disumano ed agghiacciante. Fin qui,ricordiamolo  , una sola sentenza (sportiva). Presidente della società, direttore e vice direttore corsa (dopo una prima assoluzione) hanno patteggiato otto mesi di inibizione con ammenda di mille euro. Ripetiamo: mille euro.  Ma  soprattutto  i  silenzio nonstante    l'invito  del padre   dalla   sua  pagina    facebook  




Direttore sportivo e compagno di squadra di Giovanni andate dai Carabinieri, dalla Polizia
oppure alla Procura della Repubblica di Alessandria e raccontate la Verità sulla morte di mio
Figlio. Raccontate cos’è successo quel giorno e, soprattutto, nei giorni, nei mesi successivi. Rompete il silenzio. Ponete fine a questo strazio che si sta compiendo sulla pelle di Giovanni

Aspettiamo  le risposte   della  controparte  

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...