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30.6.25

l'essenza della guerra dibattito con Mario domina https://mariodomina.wordpress.com/

 Sono d’accordo con chi raccomanda di controllare il linguaggio e di cercare di fare analisi piuttosto che sfogarsi tramite invettive morali ed inconcludenti: ritenere Netanyahu o Trump degli psicopatici, o Merz uno schifoso ipocrita, non aiuta a fare chiarezza (del resto era il gioco della propaganda occidentale nei confronti di Putin).
In realtà c’è una precisa strategia economica e geopolitica – corposissimi interessi – sottesa a quel che sta accadendo. Basta guardare i flussi dei commerci e delle finanze, le “vie economiche” tra Asia e Occidente, la dislocazione di energia e materie prime, ecc.
Tutto è complicato però da interessi contrapposti nel campo occidentale (la sopravvivenza economica degli Stati Uniti indebitati, il problema energetico e la mancanza di un soggetto politico unico sul fronte europeo, ecc.). Ma anche da divergenze nei Brics: il mondo, si dice sempre più spesso, è complesso.
Mi pare che la posta in gioco – un mondo realmente multipolare dopo la parentesi monopolare di quest’ultimo trentennio, che qualcuno aveva immaginato, illudendosi, come “la fine della storia” e il trionfo della globalizzazione neoliberista – sia piuttosto chiara.
Ciò non toglie che quando subentra la logica bellica – o meglio, quando la guerra si rivela per ciò che è nella sua essenza, ovvero la struttura profonda e l’intelaiatura dei rapporti internazionali e tra potenze, e non il puro fenomeno delle guerre guerreggiate – si manifestano accanto alla “razionalità” degli interessi, anche elementi irrazionali e nichilisti di cui occorre tener conto. Altrimenti sarebbe impossibile spiegare quel che è successo durante le due guerre mondiali, specie nel corso della seconda.
La guerra è portatrice ad un tempo di elementi materiali, di interessi, di “razionalità”, e però insieme di ideologie distruttive e nichiliste. Le due forze vanno insieme, e le si vedono interagire anche nel linguaggio, negli attori collettivi e nei soggetti individuali (basti pensare ai fanatismi nazionalisti sempre pronti a risorgere).
Economia e psicopatologia all’unisono, al servizio di un crescente delirio di onnipotenza. Ragion per cui le guerre si cominciano spesso al buio, senza sapere a quali terre ignote condurranno.

  E' vero   .  pero l'essenza    della  guerra  è  << in quell’intreccio ambiguo tra calcolo e delirio, tra logica di potenza e pulsione nichilista, sta il cuore tragico della storia umana. Se la guerra è struttura profonda — come giustamente osservi — essa resta però anche uno spettacolo abissale della psiche collettiva, che nessun grafico commerciale può spiegare del tutto.>>(   da https://upsidedown.wordpress.com/  )  .  Avete entrambi ragione . Infatti “La politica è l’intelligenza della guerra”Carl Von Clausewitz da (Gian Enrico Rusconi, “Clausewitz, il prussiano“, Einaudi, Torino, 1999, pag. 16).Nel suo scritto più famoso, il “Della Guerra” (“Vom Kriege”), Von Clausewitz scrive esplicitamente: la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (ibid.). ….da  Guerra e politica  di  https://www.ultimavoce.it/

11.6.25

il parrocco di Cese ( Bergamo ) ha sbagliato nel voler celebrare un funerale doppio di un omicidio-suicidio non sempre : «Nonostante il dolore celebriamo l’amore»




i femminicidi di Castel vetrano  ma  soprattutto  di Cese ( bergamo ) riassumiano i fatti per chi non vuole rileggere o non ha fretta il precedente post 

– Mary Bonanno, 49 anni, è stata aggredita dal marito nel garage di casa con una chiave inglese e un coltello. Ferita, ha tentato di fuggire verso il portone, ma è crollata poco dopo. L’uomo si è poi tolto la vita lanciandosi dal terzo piano. e di cui l’avvocato Lorenzo Rizzuto, legale e portavoce della famiglia Campagna coinvolta nell’omicidio-suicidio di Castelvetrano (Trapani) dei coniugi Mary Bonanno e Francesco Campagna, invita la stampa «a trattare la vicenda con la massima discrezione, evitando la spettacolarizzazione e la diffusione di particolari non essenziali e non accertati, al fine di tutelare la memoria delle vittime e il diritto delle famiglie a vivere questo momento di immane dolore nel raccoglimento e nella riservatezza»
 – Uccide la moglie e si spara, i parenti scelgono un unico funerale. Il parroco: «Nonostante il dolore celebriamo l’amore»

 Mi sono chiesto ,soprattutto sul secondo , ma è amore     come  sembra  voler  dire    il parrocco di  Cese   o alcuni  sul caso di CasteVetrano  ? Nel primo caso è chiaro che si tratta di una richiesta , che per alcuni può essere considerata ( come ha fattoi anche il sotto scritto nel post precedente ) strana o oportunistica visto che viene non direttamente dai familiari , ma dall'avvocato di Lui . Si può parlare di richiesta di rispetto per le vittime . Ma non amore come alludono alcuni giornali che hanno descritto la vicemda . Infatti in casi dove un uomo ha ucciso la moglie e poi si è suicidato, non si può parlare di amore. MaSi tratta di un tragico caso di femminicidio-suicidio, in cui un uomo ha commesso un atto di violenza estrema contro la propria partner, togliendole la vita in modo brutale (con una chiave inglese e un coltello) e poi ponendo fine anche alla sua., l'amore autentico è basato su: Rispetto reciproco: La capacità di riconoscere e valorizzare la dignità e l'autonomia dell'altro. Libertà: La possibilità per entrambi i partner di essere se stessi, di prendere decisioni e di perseguire i propri interessi senza coercizione o paura. Supporto e benessere: Il desiderio di vedere l'altro felice e realizzato, e di contribuire al suo benessere fisico ed emotivo. Assenza di violenza: L'amore non può coesistere con la violenza, sia essa fisica, psicologica, economica o sessuale.La violenza non è amore Eventi come quelli di Cene e Castelvetrano sono il risultato di dinamiche relazionali disfunzionali, spesso dominate da possesso, gelosia, controllo e aggressività. Anche se apparentemente "normali" o "senza denunce", queste situazioni possono nascondere una profonda sofferenza e una grave alterazione del concetto di relazione sana.È fondamentale ribadire che l'amore non uccide, non aggredisce e non prevarica. Questi atti di violenza estrema sono la negazione stessa di ciò che l'amore dovrebbe essere. Definire questo tipo di evento come "amore" è estremamente problematico e, per molti, inappropriato. L'amore, nella sua accezione sana e positiva, si basa su rispetto, fiducia, libertà, supporto reciproco e benessere. Un atto di violenza estrema come l'omicidio, specialmente in un contesto di relazione, è l'antitesi di tutto ciò che l'amore rappresenta. È vero che nel caso di Cese il parroco ha parlato di "scelta di amore e fede" nel decidere di celebrare un unico funerale. Tuttavia, è fondamentale comprendere che, in questo contesto, la sua interpretazione dell'amore si riferisce probabilmente a un amore incondizionato e misericordioso verso le anime, anche di fronte a un atto così orribile. Non si riferisce, in alcun modo, a un'approvazione o una legittimazione del gesto violento come espressione d'amore. È una scelta dettata dalla volontà di non aggiungere ulteriore sofferenza alle famiglie già distrutte e di accompagnare, secondo i principi della fede, due persone nell'aldilà. È cruciale distinguere tra: Amore genuino: Caratterizzato da reciprocità, rispetto e assenza di coercizione o violenza Amore malato o distorto cioè tossico

 Spesso basato su possesso, gelosia ( e qui rimando a quanto detto in : la gelosia è una prova d'amore o anticamera del femminicidio \ amore malato ? secondo me la risposta sta nel mezzo https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/06/la-gelosia-e-una-prova-damore-o.html ) controllo e paura, che può sfociare in violenza.Nel caso di Cene, il movente della gelosia e l'atto finale di violenza indicano chiaramente una relazione in cui i concetti di amore e rispetto erano stati gravemente distorti o persi, portando a un epilogo devastante. L'amore non uccide, non controlla e non porta al suicidio in seguito a un omicidio.È importante chiamare le cose con il loro nome: si tratta di una tragedia, un atto di violenza omicida, non una manifestazione d'amore

28.4.25

le porte - Pacmogda Clémentine

 L'evoluzione dell'umanità si è accompagnata sempre di muri e chiusure. I primati a un certo momento hanno avuto bisogno di proteggersi dai predatori dormendo sugli alberi. Poi man mano, dopo aver acquisito l'abilità a creare e più l'intelligenza a organizzare andava performandosi, l'umano a imparato a costruirsi un riparo con materiali vari che andavano dai rami e fogli alla paglia fino ad arrivare ai mattoni prima di fango e poi di altri materiali sempre più resistenti e duraturi. All'inizio doveva essere questa cosa della proprietà privata che nasceva. Però anche il bisogno di avere un posto sicuro e riservato dove conservare le proprie cose e dove poter avere un minimo di intimità.Quando ero piccola, ho visto e ho dormito in case di fango principalmente delle capanne, cioè case circolare con un tetto di paglia a forma di cappello. Era bello vedere la fabbricazione del tetto, è un giorno di viavai, di sudore, di ilarità, di aiuto riciproco, di cibo e bevande di miglio, spesso piccante, preparate con burro di karitè. Poi alla fine tutto un gruppo di uomini che lo sollevano urlando "haya haya!" fino ad appoggiarlo sulla casa. Queste case hanno un ingresso ma non avevano una porta materiale che si chiude (una porta senza la porta che apre e chiude). Non era necessario. La maggioranza aveva ai due lati della porta, due grossi pezzi di legno inchiodati al suolo che si chiama "Lugri" e fra questi due si metteva una specie di stuoia di paglia tessuto bene sempre da uomini che si appoggiava all'ingresso e fungeva da porta. I legni servono a tenerlo fermo. Quando uno voleva entrare o uscire, bastava tirare questa stuoia di lato. Serviva sopratutto a non lasciare entrare gli animali in casa. Non serviva per impedire a qualcuno di entrare per rubare non si sa cosa. Nessuno entrava a casa di altri per nessun motivo a parte le altre persone che abitano lì e che sono famigliari che potrebbero entrare a prendere qualcosa da usare e rimettere a posto. Poi pian piano, le case hanno cominciato ad avere una porta fatta di lamiere che si comprava al mercato con o senza lucchetto. Il lucchetto a volte serviva a tenere la porta chiusa mentre si va via, altrimenti il vento lo faceva aprirsi da solo. Tanto che per uscire se uno non ha un lucchetto, legava la porta con un filo.

Pian piano, nei villaggi nascevano altre tipi di case con tetto di lamiere per vari motivi. Le condizioni di vita migliorano al costo di tanti sacrifici ma lo spazio di una capanna cominciava ad essere insufficiente a contenere le persone e le loro cose. In più nessuno può negare che sia comodo avere una casa più grande. Poi era segno di modernità. Inoltre bisogna osservare che comunque il bosco si allontana sempre di più e la paglia diventa diventa difficile da trovare. Infine con il passar degli anni, i giovani migravano verso le città e trovare dei ragazzi per andare a raccogliere la paglia e tessere le stuoie per fare i tetti, diventa più difficile. Allora si mette da parte per messi o anni e si compra le lamiere poi si fanno i mattoni per costruire le case. Le case hanno cominciato ad avere le porte di lamiere con lucchetto ma anche e di più le porte mettaliche tipo a persiane più robuste non con lucchetto ma con serratura. Le chiavi sono diventate anche più robuste e stranamente sono nati i ladri che rompono serrature e lucchetti e portano via cose di proprietà di altri. Anche se nel frattempo all'interno, varie porte avevano i "crochets", cioè si chiede anche all'interno e da fuori nessuno lo vede e quindi non può aprire. In Europa, le porte hanno spesso vari serrature. A Pisa noi ne avevamo almeno tre una più potente dell'altro. Tutto questo contro gli eventuali ladri o altri delinquenti. Ai citofoni, a volte c'è il video per vedere chi sta suonando prima di aprire. Ora tante sono le case con allarmi inseriti. Forse fra una decina di anni la maggior parte delle case ne saranno dotate. Ma i ladri e i delinquenti continuano a esistere e vanno avanti lo stesso. Ogni tanto si ferma qualcuno ma altri rimangono in azione. Ho come l'impressione che più le porte sono robusti, resistenti e perfezionati, più i ladri diventono professionisti e creativi. Alla fine mi sembra che non sono le porte il problema. Non sono le porte che ci proteggono ma come risuciamo a gestire i diritti umani. Come riusciamo a lasciare o a non lasciare qualcuno indietro. Più ci blindiamo più siamo soggetti agli effetti della delinquenza. Si sa che la delinquenza nasce della povertà, lo sfruttamente, l'insensibilità, le delusioni vari ma anche dalla solitudine. Mi ricordo della mia infanzia e delle porte di paglia e mi chiedo ma come mai siamo arrivati a questo livello di paura degli altri e come gli altri sono diventati una minaccia? Sembra abbia vissuto più di 100 anni sulla terra invece non ho nemmeno la metà ancora. Sembra che più costruiamo muri, più la necessità e/o la voglia di cavalcarli nascono e con loro le tecniche per arrivarci.

27.4.25

tra cielo e terra

  Condivido in quanto mi  ha  anticipato e  ha  fatto meglio  di  me  ,  questa  riflessione   di Tacitus    uno  degli autori  dela rubrica  caffè corretto  dell'unione  sarda 

27\4\2025


Ci sono fatti, avvenimenti, situazioni che, mentre accadono, consideriamo intuitivamente non tanto effimera cronaca quanto una tappa della grande storia in cammino. Ci fanno uscire dal nostro tempo lineare per entrare nel tempo ciclico dell’esistenza. Abbiamo la netta sensazione che attengano alla nostra essenza e al senso della nostra vita. È il caso, per noi cristiani e occidentali, della morte di un papa. Di ogni papa. Con lui se ne vanno, ma di fatto restano, le sue parole, i suoi gesti, le sue azioni, i suoi rimproveri, le sue indulgenze, le sue condanne. La sua dottrina. L’uomo di fede si sente smarrito nell’eterno presente della sua vita breve. Ha perso la sua guida e ne attende un’altra che gli indichi la strada dello spirito, dell’anima, della carne. Ogni papa ha additato un nuovo orizzonte, dove si mischiano credo religioso e azione politica, essendo sempre stato inestricabile l’intreccio fra cielo e terra. Le parole e l’opera di un papa, persino il suo pensiero teologico, che per i fedeli hanno il solo valore del loro significato esplicito, sono sottoposte a interpretazioni laiche, estensive o riduttive, e giudicate da chi vuole utilizzarle come spartiacque tra un prima e un dopo, tra il passato e il futuro. Spesso c’è una gara, una vera e propria contesa, per appropriarsene adattandole a idee e interessi di parte. È sempre accaduto. Sta accadendo.

5.3.25

vedere la generosità come un obbligo anziché come un dono

  trovato su facebook 

Un uomo aveva a lungo donato generosamente 100 euro al mese a un mendicante. Un giorno, gli consegnò solo 70 euro. Il mendicante, sorpreso, pensò: "Beh, è comunque meglio di niente", e se ne andò.Il mese successivo, l'uomo gli diede solo 50 euro. Stavolta, il mendicante non riuscì a trattenersi:"Prima mi dava 100 euro, poi 70, e ora solo 50! Cosa sta succedendo?"L'uomo sospirò e spiegò:"Quando ho iniziato a darti denaro, la mia situazione economica era stabile e i miei figli erano ancora piccoli. Ma poi mia figlia è entrata all’università e le tasse erano alte, così ho dovuto ridurre a 70 euro. Ora anche mio figlio ha iniziato l’università, e le spese sono aumentate di nuovo, quindi posso permettermi solo 50 euro."Il mendicante aggrottò la fronte e chiese:"Quanti figli ha?""Quattro", rispose l’uomo.Al che il mendicante sbottò:"E lei pretende di pagare l’università a tutti loro con i miei soldi?!"
👉 È curioso come alcune persone inizino a vedere la generosità come un obbligo anziché come un dono

2.1.25

mia riflessione su acca larentia

  di cosa  stiamo   parlando 


Strage di Acca Larenzia
 è la denominazione giornalistica[1] del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978, per opera di un gruppo armato afferente alla estrema sinistra, nel quale furono uccisi due giovani appartenenti al Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano.A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo militante Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell'ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell'agguato.L'agguato, rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, contribuì a una degenerazione della violenza politica e dell'odio ideologico tra le opposte fazioni estremiste negli anni di piombo, oltre che al mantenimento di uno stato di tensione caratteristico della Prima Repubblica.  segue   su  Strage di Acca Larenzia - Wikipedia


Cari  lettori   non fraintendetemi   quando  ho scritto :<<  
Targa abusiva ad Acca Larentia. Il Pd insorge e il Campidoglio la rimuove .  farà  una  cosa  simile    per  la  manifestazione del  7 gennaio ? >>    non  voglio   vietare  a coloro  che  (  certi eventi  non  dovrebbero  avere  colore politico  )  vogliono ricordare  di celebrare tale evento  Ma  sto  solo     criticando    con quella   forma  interrogativa  il modo     con cui   lo  si  commemora  ovvero i saluti romani,  il rito di presente , marce svastiche / militari  ( cit.  Aida di Rino Gaetano )


Infatti   da   un paio  d'anni  il dibattito attorno alla commemorazione dei fatti di  #AccaLarentia mette in luce una questione più ampia: il significato della #memoriastorica in una società democratica. La commemorazione di #eventitragici come la strage di Acca Larentia appunto  non dovrebbe essere solo un momento di #ricordo, ma anche un’opportunità per #riflettere sulle lezioni del passato e per promuovere una cultura di pace e rispetto. Tuttavia, la polarizzazione politica e le tensioni sociali sempre vive rendono difficile raggiungere un consenso su come e perché commemorare. La sfida è quella di trovare un #equilibrio tra il diritto di commemorare e la necessità di condannare ogni forma di : violenza , intolleranza. , rigurgiti del passato che    ancora  non passa   e  come un fenomeno carsico  ritorna   a galla  
Ma  sopratutto  evitare   come   ho   già  detto  sempre  nel post precedente  che<<  [....]  ogni anno al 7 di gennaio giorno della strage di Acca Larentia ci troviamo con i soliti saluti fascisti e le solite marce svastiche Chi usa la tragedia dei morti di ieri strumentalmente per propagandare nel presente le follie del fascismo di oggi ne infanga la memoria e non merita alcun rispetto. In  quanto vuole usare   quelle  vicende    dolorose  di quel  periodo  terribile che  ha  insanguinato  l'italia  per  30  anni  per  scopi  strumentali   \ ideologici       di    tali   eventi  drammatici  . >> con questo è  tutto 

3.12.24

Diario di bordo n 90 anno II . il diritto di essere brutti e piacersi lo stesso., se tutti hanno un costo nessuno ha un valore ., Giulia Lamarca: «Ogni disabilità ha un margine di indipendenza»

In questa tempi in cui la bellezza è imposta ed autoimposta ( vedere l'aumento d'interventi plastici spesso non necessari e il ricorso a me dici senza scrupolo e con conseguenze letali ) la bruttezza può essere rivoluzionaria e si viene mal visti , è il prezzo per non essere schiavi \ succubi di un sistema che ci vuole tutti perfetti e senza difetti , come mosche bianche o strampalati . Infatti Guardiamoci attorno in un luogo affollato, una via centrale o un centro commerciale. Vedremo corpi e volti comuni, più o meno sgradevoli, anonimi o caratteristici, alcuni con elementi più piacevoli, altri francamente belli ma non necessariamente perfetti. Mettiamoci in testa che la bellezza in senso assoluto, è una eccezione in natura. Da sempre gli esseri umani si ingegnano a camuffare i tratti considerati sgradevoli, in nome di una estetica e una simmetria creati a tavolino almeno per ciò che riguarda i volti umani. E a ben osservare lo standard di bellezza a cui tutti aspirano è quello di donne e uomini bianchi, magri, alti, conformi. La la bellezza appartiene a una razza e ad una classe sociale ben definita ed è attraversata da un progetto politico ed economico. Essere brutti non è consentito in Occidente e nel tempo è diventato una forma di discriminazione e di isolamento. Essere brutti è un insulto che non interessa solo i lineamenti ma l'identità più profonda. Ne ha Ne parlato su mi pare su HuffPost Italy  di  qualche  tempo   fa   l'artista Moshtari Hilal che brutta ci si è sentita da sempre: lineamenti forti, pelle scura, denti non allineati. Per essere accettati bisogna rientrare almeno nella norma. Che poi anche questa, a ben vedere è una costruzione sociale e falsa.
<<Quello che etichettiamo come brutto non è naturale, è il risultato di gerarchie" le stesse che governano il potere e autorizzano le sopraffazioni, scrive nel suo saggio ‘bruttezza’ edito dai tipi di Fandango. Ma essere brutti o sentirsi brutti (non è la stessa cosa) determina due effetti: un senso di inferiorità e un dolore dovuto all'inadeguatezza e alla sensazione di non appartenenza. La bruttezza insomma è una croce pesante e la strada dell'accettazione delle differenze estetiche è ancora lunga e tortuosa. Basta guardare un concorso di bellezza internazionale: le caratteristiche etniche sono livellate e sfumate per conformarsi agli standard occidentali. Ed essere brutti non implica necessariamente non piacersi (vale anche al contrario, essere belli non è garanzia di benessere). <<Solo una madre può amare una bambina brutta>> scrive sempre Hilal, << ma vi posso assicurare che in alcune famiglie i brutti godono di trattamento di serie b lottano più degli altri per essere riconosciuti e amati talora senza mai riuscirci. E se la bellezza è una scorciatoia per il successo (le persone belle hanno stipendi più alti e attraggono partner più ricchi). La bruttezza autorizza il resto del mondo a odiarti e a insultarti, basta fare un giro sui social network per rendersene conto. >>

  

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Nessuno si salva da solo e nessuno è libero finché qualcuno è schiavo. Ufficialmente la tratta degli schiavi non esiste più dal 23 febbraio 1807 quando fu cancellata a larga maggioranza (100 voti contro 36) dal Parlamento inglese, cuore della super potenza coloniale dell’epoca. Sappiamo poi che alla fine del XIX secolo un po' tutti i Paesi del mondo hanno messo al bando l’asservimento degli esseri umani. In realtà basta confrontare la pratica con la teoria per accorgersi che non è così. «La schiavitù è una pianta infestante che cresce su ogni terreno», scriveva a metà Settecento Edmund Burke.*
Quanto sia attuale la riflessione del filosofo britannico lo dimostrano proprio la tratta di esseri umani, e in particolare il racket della prostituzione coatta. Nessun angolo del globo ne è immune: Paesi d’origine, di transito e di destinazione. La schiavitù è stata abolita per legge ma non nei fatti. Ha cambiato pelle ma i più deboli sono sempre a rischio assoggettamento. Tante persone povere sono costrette a lavorare sottopagate o senza essere pagate affatto. Le vittime della tratta sono asservite ai mercanti di esseri umani che le degradano a bancomat nelle strade del mercimonio. Intanto i nuovi schiavi del web disseminano di sofferenza la servitù occulta nel mondo della rete. Cambiano le epoche ma resta l’indole dell’uomo di volere sfruttare e approfittarsi dei più fragili per sottometterli. Il Papa testimonia l’urgenza di lavorare affinché nessuno renda schiavo un altro. La schiavitù non è una realtà del passato, e nella “Giornata internazionale per l'abolizione della schiavitù” in calendario domani l’Onu si appella alla coscienza individuale e collettiva.
Sono trascorsi 75 anni da quando le Nazioni Unite hanno approvato la Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione. Da allora resta ancora lontano l’obiettivo di una società rinnovata e orientata alla libertà, alla giustizia e alla pace. Anzi, le forme di disuguaglianza e discriminazione si sono moltiplicate di pari passo con la globalizzazione dell’indifferenza. Vanno
Uno dei quattro schiavi incatenati raffigurati nella parte inferiore
del 
Monumento dei Quattro mori del XVII secolo a Livorno.
adottate, dunque, misure più incisive per sconfiggere l’asservimento. Secondo i dati del “Global Estimates of Modern Slavery”, tra lavoro e matrimonio forzati, nel mondo 50 milioni di persone (in maggioranza donne e minori) sono ridotte in schiavitù.
Le forme di schiavitù contemporanee sono il traffico di esseri umani, lo sfruttamento sessuale, il lavoro minorile, i matrimoni forzati e l’uso di bambini nei conflitti armati. Solo una mobilitazione comunitaria può sradicare un fenomeno così diffuso. C’è bisogno della piena partecipazione di terzo settore, sindacati, società civile e istituzioni che promuovono i diritti umani. «Gli schiavi di oggi cambiano di geografia, modalità e colore, ma la schiavitù si adatta ogni volta di più – afferma Francesco –. Ci sono sempre più schiavi. Tante forme di       schiavitù sono dissimulate, non si  conoscono, sono nascoste. Nelle megalopoli come Roma, Londra, Parigi, ovunque, ci sono nuove schiavitù». Servono opportunità di educazione e di lavoro. Nessuno può lavarsi le mani se non vuole essere, in alcun modo, complice di un crimine così efferato contro l’umanità», ribadisce il Pontefice. Le vittime della prostituzione coatta sono le moderne schiave, e finché non saranno liberate non potrà essere dichiarata l’effettiva abolizione della schiavitù.
Ho un sogno che mi accompagna di notte lungo le strade della prostituzione, ed è quello di vedere effettivamente abolita la schiavitù. Sui marciapiedi delle nostre città sembra scolpita una condanna antropologica: quella di trasformare la sopraffazione in una modalità di relazione sociale. Le “donne crocifisse” rispecchiano tragicamente l’umana deriva dell’acquisto, dello sfruttamento, dell’appropriazione indebita di altri esseri umani. È come se l’uomo non sapesse evolvere verso una fattuale, intangibile parità di dignità. C’è sempre bisogno psicologicamente, strutturalmente, di qualcuno da sottomettere.
Ci sono altre odiose forme di asservimento che hanno sempre come bersaglio le persone più fragili e indifese, ma la tratta del mercimonio coatto ha questa peculiarità: si distrugge la libertà di un individuo per farne uno strumento dei propri istinti più primordiali, eticamente riprovevoli, socialmente distruttivi. Il costo personale e collettivo della tratta grava come un macigno sulla nostra civiltà cosiddetta post-moderna, ma sempre agganciata alla zavorra di condotte violentemente primitive. Mai più persone in vendita! Se tutti hanno un costo, nessuno ha valore.

* infatti   la lotta  contro  lo schiavismo  continuò  fino  al  secolo  scorso  .    come  testimonia 



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«È molto difficile sradicare la narrazione dell’eroe-salvatore e del disabile-salvato dalla solitudine». Il raccontare la disabilità sta cambiando dal basso grazie soprattutto al mondo aperto dei social media, che ha dato voce a chi prima faticava ad avere spazi nei media tradizionali.

 Un fenomeno nuovo che proprio per questo deve affrontare pregiudizi atavici, come quelli sottolineati da Giulia Lamarca, classe 1991, psicologa, formatrice aziendale e travel blogger, che nel 2011 a seguito di un incidente ha perso l’uso delle gambe e iniziato una seconda vita seduta su una carrozzina. Sposata Andrea Decarlini, con cui ha avuto due figli Sophie di tre anni e Ethan nato da pochi giorni, Lamarca si fa portavoce di un cambiamento culturale necessario per costruire una società più inclusiva: «Non condanno mai troppo gli stereotipi perché anch’io, prima dell’incidente, ma forse anche dopo, ne sono stata vittima. Durante la prima gravidanza mi sono posta una serie di domande: sono in grado di prendermi cura della bambina? Sarò una brava madre? Le domande e i dubbi crescono in base alle situazioni, ma dalla maternità ho imparato ad esempio che ci sono diversi modi di essere presente con i figli. Ci è voluto tempo, ma ho imparato a non farmi condannare dai cliché. Il problema è, soprattutto in Italia, che siamo abituati a pensare alla genitorialità come solo alla figura femminile, mentre un uomo che gioca con i bambini sembra un alieno, ma in altri Paesi non è assolutamente così».
I progetto di vita previsto dalla riforma sulla disabilità lavora anche sull’indipendenza, un altro pregiudizio che va smontato pezzo per pezzo, ma che necessità di interventi importanti sul fronte dell’accessibilità. «Ogni disabilità ha un margine di indipendenza. Certo, c’è differenza tra un tetraplegico e un paraplegico, come lo sono io, ma ognuno ha la possibilità di essere indipendente su qualcosa, anche poco, ma è possibile. Purtroppo la situazione delle barriere architettoniche, almeno in
Italia, resta un problema di complessa risoluzione. Ci saranno sempre scale che non posso salire. Ma è importane che le case di nuova costruzione siano accessibili, perché al momento, per un disabile, trovare un’abitazione adattata alle proprie esigenze è un’impresa quasi impossibile. Lottiamo ancora con camere troppo piccole e bagni impraticabili con carrozzine. Così come abbiamo problemi nell’uso dei mezzi pubblici anche nelle grandi città».
Altro tasto dolente è quello dell’indipendenza economica: in Italia solo il 32,5% delle persone con disabilità ha un’occupazione. «La differenza in questo senso possono farla le aziende private, coadiuvate dallo Stato. Molte imprese oggi preferiscono ancora pagare le sanzioni piuttosto che inserire nel loro organico persone con disabilità, non comprendendo che così si perde un’occasione. Avere una disabilità non vuol dire non saper fare niente e attraverso una formazione culturale adeguata nei posti di lavoro si può inserire una maggiore ricchezza di talenti assumendo persone che portano istanze, esperienze e competenze diverse».
Giulia Lamarca, nonostante la visibilità ottenuta sui social e sui media, vive ancora sulla propria pelle scelte discriminatorie: «In Italia la moda resta uno dei settore più discriminatori. Io, ad esempio, ho lavorato per pochissimi brand e non ho mai ricevuto inviti alle fashion week italiane, mentre a quelle estere sì. In passerella abbiamo visto modelle sfilare con protesi agli arti, ma vedere una modella in carrozzina è ancora una rarità, perché non è ancora stato abbattuto lo stereotipo della donna in piedi».
Dalla scuola ai servizi, dal lavoro alla genitorialità, dai media ai viaggi la complessità della vita di una persona disabile pesa inevitabilmente anche sulla famiglia: «Io, con la mia storia, non ho avuto le stesse opportunità di una persona che sta in piedi e cammina. È difficile da dire e da vivere, psicologicamente questo pensiero ti può distruggere. Io ho lottato più degli altri, sia per il lavoro – prima come psicoterapeuta, poi come content creator – sia sul fronte della vita personale. È un dato di fatto: di volta in volta non c’erano le persone giuste oppure le risorse oppure i servizi e io non ho avuto le stesse occasioni di un normodotato. E questa lotta non è cambiata nemmeno dopo che la mia figura è diventata pubblica. Mi spaventa, quindi, che la mia disabilità ricada su Andrea, sui miei figli, persino sui miei genitori. Che loro abbiano meno possibilità a causa della mia disabilità. Dobbiamo iniziare a riflettere sul mondo in cui vogliamo vivere per poterlo costruire».

29.10.24

cosa è morte e il suo culto ., «Io, sacerdote tra le tombe dei grandi. Il dolore parla del valore della vita»






Una vita di sacrifici e rinunce per arrivare fin qui.
Il premio? Due metri per uno.
Buoni o cattivi, ricchi o poveri, tutti uguali alla fine.
E mentre lotti per un pugno di false certezze o sicurezze, non ti accorgi che stai perdendo ogni giorno l'unico vero e grande valore che possiedi:
il tuo Tempo.
(Giorgio Malavolta)

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Pensava di arrivarci «da morto», frate Arturo Busetti, al cimitero. Che fosse quello di casa a Bergamo, «che è silenzioso e più raccolto», o il Monumentale di Milano, affollato questo primo di novembre come Gardaland, con le scolaresche in coda per la foto ricordo sui gradini davanti al Famedio e i vasi di fiori colorati sistemati ovunque per accogliere l’arcivescovo Mario Delpini alla tradizionale Messa di Ognissanti. «E invece – scherza il religioso, dei frati minori – sono vivo e vegeto, il cimitero è diventata la mia casa». La “chiamata” è arrivata un giorno del 2019, in un convento di Cermenate, vicino Cantù, 
«dove ero arrivato dopo tanti giri: non sono mai stato fermo, io, prima gli Spedali Civili di Brescia, poi Como, poi Monza». Infine Milano, appunto, col ruolo di cappellano del grande cimitero dove sono sepolti i cittadini illustri del passato lontanissimo e vicino e dove la chiesa è un gioiellino incastonato esattamente sotto la tomba di Alessandro Manzoni. Un’emozione, celebrare Messa tutti i giorni qui? «Non lo so, a dire il vero non ci penso tanto. È più un’emozione vedere le panche stracolme e dover spesso lasciare aperte le porte di domenica, quando la chiesa si riempie di giovani famiglie e di bambini che scorrazzano a destra sinistra».
Il piccolo prodigio della vita, al Cimitero Monumentale, si compie soprattutto grazie al grande popolo di Comunione e Liberazione, devoto al culto della tomba di don Luigi Giussani: un parallelepipedo di vetro, in fondo alla direttrice principale, sulla sinistra, con una foto semplice e un cassetta per le lettere e i messaggi lasciati dalle migliaia di pellegrini. «Per visitarla arrivano a gruppi sui pullman, da Milano o anche dal Veneto e dal Piemonte – racconta frate Arturo –: attraversano il cimitero, vanno sulla tomba di Giussani, poi ne approfittano per celebrare Messa qui da me». Ma ci sono anche gli affezionati del Pret de Ratanà, al secolo don Giuseppe Gervasini, un sacerdote molto conosciuto in Lombardia per le sue capacità taumaturgiche e anche lui sepolto lungo i viali costellati di statue e monumenti. Il risultato è «che ho una parrocchia più viva di molte altre, nel mezzo di un cimitero, e parrocchiani sempre diversi».
È ai vivi, d’altronde, che frate Arturo cerca sempre di parlare nelle lunghe giornate trascorse tra funerali e tumulazioni: «I primi assomigliano sempre a degli esami. Le famiglie si presentano qui facendo una breve descrizione di persone che non conosco ovviamente, che non fanno parte della mia comunità, dal momento che non ne ho una precisa. Ed è difficile, capire, è difficile prepararsi un discorso. Così quando cominciano a dirmi “desiderava questo e questo” io li ascolto e poi chiedo “e voi? Voi che cosa desiderate? Penso sempre che quel momento, e la Messa a seguire, mi serviranno per parlare ai vivi appunto – continua –. E non per convertirli, o per offrire loro risposte, ma per far sì che davanti a una cosa grande come la morte si facciano delle domande: chi sono? Che cosa voglio? Cosa mi dice il fatto che anche la mia vita potrebbe finire, all’improvviso, e cosa ne rimarrebbe?».
Non c’è un altro posto dove sia così chiaro, d’altronde, come l’ordine delle priorità di questo nostro mondo sia fragile e inconsistente: «Celebro sotto le spoglie di Manzoni, appunto, l’uscita posteriore della mia chiesa affaccia sulle tombe di Giorgio Gaber e Alda Merini, poco più in là tocca a Jannacci e a Fogar – continua frate Arturo – eppure davanti alla morte siamo tutti uguali». Sarà per quello che lui, cappellano del Monumentale da 5 anni, del cimitero sa ancora poco: «Mi piace scoprirlo poco a poco, ancora mi serve la mappa per capire dove mi trovo, e quando mi chiamano sulle tombe per le benedizioni chiedo sempre d’essere prelevato qui in chiesa da un familiare. Camminando mi guardo intorno, leggo le frasi sulle tombe o davanti alle cappelle di famiglia. In questi spostamenti ho scoperto che ci sono tante statue di san Francesco, per esempio, poco conosciute». E poi? «E poi di nuovo i vivi: i turisti di passaggio che vengono a confessarsi, quelli che mi chiedono se serve aiuto e si mettono a spolverare, quelli che vogliono fare una donazione: a volte me ne hanno fatte di impressionanti». Ad Arturo piace immaginare la sua chiesa del cimitero come un albero, su cui ci si posa per caso, inciampandoci, si sta un po’ fermi per guardarsi intorno e prendere fiato, «per poi volare via di nuovo». Lui lo fa di pomeriggio: attraversa la grande piazza e raggiunge il convento con gli altri frati di Sant’Antonio, la grande mensa dei poveri, il centro d’ascolto: «Non finisce al cimitero, in fondo, la mia vita».

  concludo      con questo meme  di ester  bonomo   



18.7.24

chi lo dice che giocare con le bambole sia solo per femmine




 da 

Persona più attiva
 8 h 
Giovanni ha 6 anni e sta giocando con il suo Cicciobello. Passa un signore anziano lo guarda e gli dice:
"Ma giochi con le bambole? Sei un maschio, dovresti giocare con i soldatini."
Me lo immagino già uno degli uomini della vecchia generazione cresciuto con l'idea che commuoversi, lavare i piatti, prendersi cura della casa ma soprattutto prendersi cura dei propri figli, cambiargli i pannolini renda l'uomo meno virile e meno uomo.Giovanni lo guarda negli occhi e non si scompone e regala una risposta da Oscar: "Sono il papà, mica la mamma!" Il bambolotto è suo figlio e si chiama Mario. Giovanni non lo sa che con una semplice risposta sta rendendo il mondo un posto più bello. La sua saggezza ha tanto da insegnare a chi probabilmente si crede più saggio solo per divario anagrafico.Pertanto non è sbagliato quello che fa, ma quello che gli viene chiesto. Avanti Giovanni, sarai un grande papà e un grande uomo. E sicuramente grazie anche a dei grandi genitori.
Daniele Marzano

7.1.24

Filosofia dalle scuole elementari ? secondo me si ma con giudizio

 sfogliando  il sito https://www.dols.it/   ed  in  articolare  i  tag    del  sito  Filosofia pratica Archives mi  sono  imbattuto   nell'articolo sotto   proposto      di Maria  Giovanna  Farina  



Vero quanto  dice la  studiosa sarebbe  positivo introdurre  lo studio ella  filosofia  fin  dalla  scuola elementare  primaria  perchè : <<   con la viva speranza che potrà aiutarci, chiederle di sciogliere i nodi dell’anima attraverso la sua cura, una cura che diventa un prendersi cura.>> Ma   a mio  avviso ,  da semplice  profano    e   d'antiaccademico   non  c'è bisogno  di metterla  come materia     scolastica   obbligatoria   erchè  si  corre anche  il rischio    di  farla  odiare o  a rifugiarsi  nel non pensare   o non farlo  con la  propria  testa  . Lo si può anche  fare  in maniera     non accademica  \ scolastica  . Possono  , perchè  secondo me   la  filosofia  è anche   spirito critico  come  ha  evidenziato   la  serie  tv  un professore   (  con  Con:Alessandro Gassmann,Claudia Pandi  Gasman fin ora  2  stagioni  )    dove un    insegnante di filosofia di Roma [  Alessandro Gasman  ] apre la mente dei propri studenti attraverso idee poco ortodosse.
  , farlo anche  i  genitori  o gli ediucatori  (  centri  sociali   , parocchie   , ecc )  o   insegnanti   non  di filosofia  . 
A   voi   l'articolo  in questione   .



La Filosofia è una buona madre 
DA MARIA GIOVANNA FARINA ON 28/12/2023FILOSOFIA PRATICA




Possiamo rivolgerci alla filosofia come se fosse una persona reale e, con la viva speranza che potrà aiutarci, chiederle di sciogliere i nodi dell’anima attraverso la sua cura, una cura che diventa un prendersi cura.
L’incontro con la Filosofia dovrebbe avvenire il più precocemente possibile, i primi passi in questa affascinante materia si possono già muovere alle elementari quando è più naturale familiarizzare con la culla originaria di tutte le scienze. Solo lei, come una “buona madre”, è in grado di tenerle unite nel grande albero della conoscenza. L’idea dell’albero l’ho “rubata” al filosofo e matematico del ‘600 René Descartes (Renato Cartesio) al quale dobbiamo l’acuta rappresentazione del conoscere come un grande albero in cui la filosofia è il tronco mentre le altre scienze sono i suoi rami. Il tronco-madre genera i rami-scienze permettendo loro di evolversi e di rinnovarsi producendo sempre nuove foglie, tenendo presente che senza il tronco ciò non sarebbe realizzabile. Eppure la “buona madre” dopo aver ramificato e dato alla luce il sapere rimane sconosciuta per molti anni proprio nel periodo cruciale della formazione quando il suo aiuto sarebbe prezioso. A scuola tutte le discipline si apprendono a piccoli passi: per giungere all’algebra si parte dall’aritmetica, per cimentarsi nella scrittura di un tema si inizia dall’alfabeto e per studiare Socrate da dove si è partiti? Manca l’iniziazione. E pensare che, già tre secoli prima di Cristo nella Lettera a Meneceo, Epicuro invitava ad un precoce studio: “Il giovane non deve aspettare ad occuparsi di filosofia e il vecchio non deve stancarsi di farlo. Poiché nessuno è mai troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell’anima”. Essere filosofi è una forma mentale, un modo di essere già riconoscibile nell’infanzia e scoprirne le prime avvisaglie è un compito importante da saper svelare, da portare alla luce come un dono prezioso della vita.
I bambini sono predisposti a questo tipo di argomentazione e la loro capacità di giungere alle cose con spontaneità, senza lasciarsi irretire da vuote speculazioni, dovrebbe essere alimentata precocemente. Ogni adulto interessato alla loro crescita armonica può assumersi questo compito e, attraverso iprimi passi, acquisire i semi da deporre. Più i semi saranno ricchi di amore per il sapere (filosofia significa amore per la sapienza) più saranno adatti a far nascere una conoscenza che va in tante diverse direzioni. La Filosofia con il suo dar-da-pensare può aprire la mente alle più disparate realtà insegnando a guardare oltre il proprio limitato punto di osservazione. Con questo auspicio, auguro a tutte le lettrici e ai lettori di Dol’s magazine un buon e filosofico 2024.



1.1.24

Quale anno nuovo? di Carlo Bellisai

Dopo la riflessione   dell'amico Cristian Porcino eccone  un  altra  altrettanto profonda   e  sìdi spessore     . Si tratta       di  quella   di  

 

Carlo Bellisai
Sono nato e vivo in Sardegna. Da oltre trent’anni lavoro come maestro di scuola elementare. Dagli anni Novanta dello scorso secolo mi occupo di nonviolenza e di gestione costruttiva dei conflitti. Faccio parte del Movimento Nonviolento, col ruolo di portavoce del centro territoriale sardo, oltre che membro del Comitato di Coordinamento. Ho pubblicato: “Animalandia” (filastrocche per far ridere e riflettere su temi importanti) Punto di Fuga Editrice 2008 – esaurito; “Non so come sia da voi ma da noi è così” (un percorso didattico per gli alunni dagli 8 ai 12 anni, ispirato al metodo dell’equivalenza di Pat Patfoort), Infinito Edizioni 2017; “Sulle rive di un mare di plastica” (un libro di racconti, per grandi e piccoli, sui temi dell’ambiente e dei rifiuti), Edizioni La città degli dei 2018.


A rigor di logica, non si vede motivo per cui il nuovo anno non debba essere che la continuazione del vecchio. Tuttavia, milioni di differenti motivi irrazionali ci spingono a voler chiudere la porta dell’anno andato, per archiviare magicamente quanto ha portato in termini di dolore, orrore, violenza; altrettanto magicamente ci piace adoperarci all’immaginazione di un anno migliore, con tanto di propositi personali.Non mi sottrarrò comunque a questo rito collettivo, non foss’altro perché potrebbe rivelarsi una delle ultime occasioni, prima che l’intelligenza artificiale trasformi i nostri sentimenti in algoritmi.Quest’altro vecchio anno finisce, ma non è davvero probabile che con esso abbiano fine i sempre più gravi problemi di un pianeta che ci si ostina a trattare come una torta da divorare.Addio all’anno più caldo di sempre, come temperature medie stagionali, che accende un pensierino anche ai più “spensierati” circa il problema del surriscaldamento globale e delle catastrofi climatiche. Ma questa evidenza non basta a fermare i potentati delle energie fossili, che decidono sì di dare un limite al petrolio, ma addirittura nel 2050! Il che significa oltre un quarto di secolo ancora con il carbone, il petrolio, il gas e le altre fonti altamente inquinanti. Semplicemente, assolutamente catastrofico.Addio ad un anno di guerre. A quella in Ucraina e a quelle nell’Africa sub-sahariana, s’è aggiunta la deflagrazione violenta di una guerra che dura da almeno settantacinque anni, il conflitto fra Israele e i palestinesi. Ci dicono che Israele si scrive maiuscolo, perché è uno Stato, i palestinesi minuscolo perché solo un popolo. Siamo davanti ad una strage continua di civili inermi, sotto le bombe, per la fame e gli stenti: un crimine contro l’umanità, di cui Netanyahu e Israele sono i principali responsabili. Le popolazioni nel mondo chiedono la fine del massacro, ma gli Stati Uniti mettono il veto all’ONU: corresponsabili. Pietanza condita con sanguinolenti e ricchi fatturati per le industrie di armamenti.Addio ad un anno in cui tanti uomini possessivi e violenti hanno molestata, perseguitata, picchiata, stuprata, umiliata, uccisa, quella che consideravano la propria proprietà: la “loro” donna. Mettendo così in evidenza non solo il retaggio della società patriarcale, con i suoi ruoli rigidi e i suoi vecchi stereotipi, ma anche la più semplice incapacità d’amare. La violenza familiare è innanzi tutto violenza contro i bambini, diretta, o assistita, vista, subita nell’impotenza a reagire.Addio ad un anno che ha portato tante vittime, nei naufragi di migranti nel Mediterraneo, che ha visto incrementata l’indifferenza, ma anche la xenofobia e il razzismo. Il sistema italiano di accoglienza dei naufraghi appare sempre più simile a quello carcerario. Continua a mancare una visione reale del problema, che è globale: le migrazioni possono riequilibrare la discrepanza di popolazione in Europa fra pochi giovani e molti anziani, portando nuovi cittadini e lavoratori nel ciclo economico e contributivo. Le migrazioni potrebbero essere gestite con intelligenza e con il rispetto dei diritti umani. Ma così non avviene.Ho solo citato quattro evidenze nel calendario del 2023 che ci apprestiamo a buttare. Non mi sono soffermato su tanti altri gravi problemi, spesso connessi ai precedenti: l’enorme sperequazione economica, lo sfruttamento sul lavoro, le violenze sui minori, la corruzione, la “cultura” maschilista e militaresca, l’emarginazione dei disabili, degli anziani, dei senza dimora, dei nomadi, la deforestazione, la depredazione sistematica degli altri animali e della flora…Nel passare agli auspici per l’anno 2024, la mente vacilla, la penna trema. Tanto sembra lontana oggi la fine delle guerre in corso! Se ne paventa semmai il rischio di allargamento. Così come sembra distante anni luce una vera riconversione ecologica.Provare allora con auspici più limitati, desideri più piccoli?Ma certo: provare a superare il conflitto con una collega sul lavoro, o con un compagno nelle lotte sociali, dedicare più tempo alla compagna, o compagno, ai figli, ai nipoti, diffondere ovunque sia possibile una cultura nonviolenta, a partire dai bambini e i ragazzi, tentare di mettere insieme in Sardegna un coordinamento per la pace ed il disarmo…So bene che saranno difficili da realizzare anche i piccoli propositi, perché viviamo in una società umana basata sul sistema Maggiore-minore e non sull’equivalenza fra le persone. Occorrerebbe uscire dallo schema violento, ricercare il rapporto paritario e il confronto, trasformare il conflitto in dialogo.Le armi, che al dialogo mai sono servite, dovrebbero essere eliminate e mai più prodotte. Buon 2024 e scusate l’utopia. Ma, come diceva Luther King, non bisogna mai spegnere la luce delle nostre idee.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...