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Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
anche l'autismo ha la sua giornata ipocrita è il 2 aprile
All'istituzione della giornata ( il 2 aprile ) per la giornata dell'autismo . Mi chiedo , come ho
già fatto per quella sul bullismo , ma se invece di fare queste giornate celebrative per lo più ipocrite e lavacoscienza perchè non si fanno progetti ed iniziative per tutto l'anno ?1.. 2 ... 3 stormshift e accuse di cinismo in arrivo . Ma sinceramente non m'importa perchè so di non esserlo ma soprattutto come riporto dal botta e risposta ripreso dal Fq del 24\3\2025 non sono l'unico a pensarla cosi
Si parla di “cambiamento”, ma resta solo una parola vuota, usata anche per la disabilità, settore sempre più trascurato. Con l’avvicinarsi del 2 aprile, torneranno le solite celebrazioni ipocrite: un solo giorno dedicato all’autismo, mentre per i restanti 364 non si fa nulla di concreto. Non bastano documenti inutili, tavoli di lavoro politici o convegni autoreferenziali: servono impegni reali, tempi certi e il rispetto dei diritti, senza doverli elemosinare. Chi non ha il coraggio di lottare per questo dovrebbe farsi da parte. Le famiglie continuano a combattere un sistema che, invece di garantire i diritti, li ostacola. Investire oggi nell’autonomia di un bambino autistico significherebbe garantirgli indipendenza domani, ma le leggi esistono solo sulla carta e restano inapplicate. Il prezzo lo pagano sempre le famiglie, sempre più sole. Il “Dopo di Noi” è lasciato alle fondazioni private, l’inserimento lavorativo si trasforma in sfruttamento, mentre il progetto di vita personalizzato diventa un business per consulenti a pagamento. La disabilità è diventata un affare per chi specula sulle difficoltà altrui, ma la dignità umana non può dipendere dalle possibilità economiche. Non devono esistere servizi e vite di serie A e B. Il 2 aprile sarà solo una vetrina per politici e associazioni in cerca di visibilità. Le famiglie dovrebbero boicottare queste celebrazioni vuote e trasformarle in una vera lotta. Dobbiamo unirci per un obiettivo comune: garantire ai nostri figli il diritto a una vita dignitosa e felice.
GIANFRANCO VITALE (PADRE DI UN ADULTO AUTISTICO GRAVE)
CARO GIANFRANCO, il problema delle “Giornate per” purtroppo non riguarda solo l’autismo. Pensi al 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne, quando tutti si ricordano dell’“emergenza”. Ma certo, nei casi come la disabilità, la presa in giro appare maggiore. Da sempre, la politica si riempie la bocca di intenti, promesse, provvedimenti che rimangono tali solo sulla carta e la sensazione, come scrive, è che ci siano cittadini di serie A (che si possono permettere cure e prestazioni) e cittadini di serie B, abbandonati a loro stessi. Io non so se boicottare le celebrazioni serva a svegliare la classe dirigente. So che la nostra Costituzione prevede che nessuno debba rimanere indietro e che, se la politica non è in grado di garantirne l’applicazione, i cittadini dovrebbero quanto meno scegliersi dei rappresentati diversi.
oggi martedi i carnevale causa rafreddore , guarderò la sfilata da casa , tanto partono vicino quasi sotto casa mia . Con un po' d'amarezza a non poter dare una mano alla classe in una giornata campale della settimana \ sei giorni del carnevale . Quindi mi consolo buttando l'occhio ai carri che passano , seguendo sul web , il processo ed il rogo a re giorgio , e leggendo e riportando qui due storie trovate fra un carro e l'altro alcune storie trovate in rete . La prima da la nuova del 4\3\2005
| L'ex campione di motocross Toccaceli |
Cosa sta ascoltando?
«Cremonini, il nuovo cd. Mi piace molto, sto facendo un ripasso generale delle ultime canzoni perché a giugno andrò al concerto. Non ero mai riuscito a trovare il biglietto, per noi persone con disabilità ce ne sono sempre pochi».
Bryan Toccaceli abbassa il volume per farsi sentire meglio. Lo fa senza alzarsi e senza muovere un braccio o un dito. Non può, il suo corpo è completamente paralizzato dal collo in giù, è così da quando aveva 23 anni: «Ne sono passati già sette dall’incidente, mi sembra ieri. Era l’1 maggio, il giorno prima del mio compleanno».
Campione di motocross, poi cosa è successo?
«Ero passato all’enduro, la domenica avrei avuto la prima gara del campionato italiano. Quel giorno era festa e la mattina andai ad allenarmi insieme ai miei amici. Succede che la moto si spegne. La spingiamo fuori dal bosco, la porto a casa, la smonto e cambio tutto quello che potevo cambiare. Era saltato un fusibile, lo sostituisco».
E poi?
«Faccio qualche giro di prova intorno a casa, la moto andava bene. Vado al crossodromo di Baldasserona per capire se avrebbe risposto bene ai salti e alle vibrazioni. Arrivo alla pista, faccio un paio di giri. Sembra tutto a posto. "cavolo, stamani non mi sono allenato. Già che ci sono faccio qualche manche", mi dico. Rientro, faccio il primo giro. Ma a metà del secondo, durante un salto, la moto si spegne di nuovo. Improvvisamente».
Da lì cosa ricorda?
«Una volta a terra non riuscivo più a respirare. Mi sono agitato molto, un amico si avvicinò prendendomi la mano. "Stringila, stanno arrivando i soccorsi”. Ci provavo, ma non riuscivo. Da lì il buio».
Quando riapre gli occhi?
«Cinque giorni dopo, al Bufalini di Cesena. Mi avevano sedato, avevo avuto degli arresti cardiaci. Poi due operazioni e i problemi di respirazione. Per i dottori sarei dovuto restare per sempre attaccato all'ossigeno, ma mi imposi. "Non lo voglio più". E oggi è solo un ricordo».
Quando ha realizzato che non si sarebbe più mosso?
«All’inizio pensavo si trattasse di una frattura che si sarebbe risistemata. In fin dei conti avevo diversi amici sulla sedia a rotelle. "Loro le braccia le muovono, guidano le macchine, fanno tante altre cose”, pensavo. Spronavo i dottori ad aumentare le ore di palestra illudendomi che sarebbe servito a qualcosa. Loro hanno cercato di farmelo capire giorno dopo giorno: "Bryan, hai una lesione completa del midollo”. Muovo solo un po’ le spalle, ogni tanto mi chiedo. "Perché a me? Perché così tanto?"».
Tanti piloti le sono stati vicino, compreso Valentino Rossi.
«In molti sono venuti a trovarmi e anche lui si era informato per farlo in modo segreto, così da evitare la calca. Ma decideva un orario e dopo mezz’ora lo sapeva già tutto l’ospedale. Quindi organizzò un grande pranzo a casa sua».
Oggi lavora per lui.
«Nel 2021 mi chiamò. "Ti andrebbe di diventare il coach della VR46 Academy?". Lo andavo a vedere spesso quando coi suoi allievi girava al Ranch di Tavullia. Sono tutti appassionati di motocross e il mio compito consiste nell’aiutarli nell’impostazione di guida e non solo. Ma ne hanno poco bisogno, si vede che sono dei professionisti. Hanno una maniacalità nel setup della moto fuori dal normale. Anche alla PlayStation».
Alla PlayStation?
«Col primo joystick usavo il mento, poi ne ho ordinato uno più avanzato dall'America e con la bocca cambio le marce. Poi invece dei tasti uso il fiato: soffio per una cosa, doppio soffio per un'altra e così via. Sfido Valentino, Pasini e Mauro Sanchini ad IRacing, un simulatore di guida. Girano forte, è tosta. Ogni tanto faccio da tappo, ma non mi faccio passare».
Cosa le manca della vita di prima?
«Le moto erano diventate una pugnalata, oggi le guardo con più leggerezza. Mi sentivo osservato, ma ci ho fatto l’abitudine. Il dipendere da altri mi fa arrabbiare. “Mi puoi grattare il naso?”, all’inizio lo chiedevo solo ai miei genitori. Se avevo bisogno di bere un sorso d’acqua ed ero solo coi miei amici, piuttosto restavo a secco».
Ha ereditato la passione per i motori da suo padre. Si è mai sentito in colpa per quello che è successo?
«Il fatto che abbia reagito bene fin da subito lo ha aiutato. E poi chi sceglie di correre sa sempre che quando scende in pista potrebbe essere l’ultima volta».
E lei si sente mai in colpa nei confronti dei suoi genitori?
«Ho stravolto la loro vita. Potevano fare viaggi, andare in vacanza. Invece devono restare a casa per me e io a questa cosa ci penso, non c’è niente da fare. Mia mamma faceva la cuoca nelle scuole, poi è stata quattro anni con me grazie alle ferie solidali di colleghi e amici. Ora è tornata a lavorare, mentre papà – gommista – è andato in pensione».
Il 2 maggio farà 30 anni.
«Ogni 1 maggio mi incupisco, guardo le lancette dell’orologio e con la testa torno al momento dell’incidente. Ma i miei amici bussano, entrano in casa e mi portano via di peso. "Tanto non puoi opporre resistenza", scherzano. Da poco siamo stati a un addio al celibato a Barcellona, è stato il mio primo viaggio sulla sedia a rotelle».
E l’amore?
«Ci credo ancora ma non ne sento la mancanza. Una volta pensavo di dover avere tutto per essere felice, oggi anche una chiacchierata a casa mi fa stare bene».
È vero che ama i bambini?
«Sogno di aprire una scuola per giovani piloti, mi sono anche informato per prendere il patentino da istruttore. Prima dell’incidente avevo già avuto un’esperienza simile, quando li vedevo agitati prima delle gare mi piaceva tranquillizzarli. Purtroppo il mio incidente ha spaventato un po’ tutti, in molti hanno venduto le loro moto».
E suo figlio lo metterebbe su una moto?
«Sì, perché mi ha fatto vivere emozioni bellissime».
se invece di fare una legge per una cosa di poco conto visto che la sostanza non cambia
facessero leggi più serie o almeno modificasero quelle esistenti , dato che da quanto dice il fondatore Nico Acampora, il fondatore di PizzAut, il fondatore Nico Acampora: "Alcune aziende preferiscono pagare multe piuttosto che assumere una persona disabile": "Alcune aziende preferiscono pagare multe piuttosto che assumere una persona disabile"«Handicap» viene sostituito da «condizione di disabilità» in tutti i documenti ufficiali.
Termini come «persona handicappata», «portatore di handicap», «persona affetta da disabilità», «disabile» e «diversamente abile» vengono unificati in «persona con disabilità».
Le espressioni «con connotazione di gravità» e «in situazione di gravità» sono sostituite da «con necessità di sostegno elevato o molto elevato».
Infine, «disabile grave» diventa «persona con necessità di sostegno intensivo».
Perché usare «persona con disabilità» invece di «disabile»
Perché usare l’espressione «persona con disabilità» invece di «disabile» o «handicappato»? La differenza principale sta nel fatto che, nel primo caso, si mette al centro la persona, mentre negli altri due si rischia di ridurre l’individuo alla sua disabilità. L’obiettivo di queste modifiche linguistiche è quindi di spostare l’attenzione sulla persona, piuttosto che sulla sua condizione, per evitare che venga etichettata unicamente in base alla disabilità. Si tratta di un approccio che promuove un linguaggio che rispetta e valorizza la dignità e la complessità di ogni individuo. Sebbene la modifica del linguaggio possa sembrare un cambiamento puramente formale, in realtà riflette una visione più moderna e inclusiva della società, che ora sta trovando spazio anche negli ambienti istituzionali.
Un cambio di rotta del governo?
Si tratta di una mossa apparentemente dissonante nella linea adottata finora dalla maggioranza di governo, che alle sollecitazioni sulla necessità di utilizzare un linguaggio più inclusivo, ha più volte risposto in modo respingente. La premier stessa ha scelto di farsi chiamare «Il presidente», rifiutando l’utilizzo di «la presidente». La scorsa estate, il senatore della Lega Manfredi Potenti ha presentato un disegno di legge per vietare l’uso di termini femminili come «sindaca», «questora», «avvocatessa» e «rettrice» negli atti pubblici, sostenendo che il maschile universale dovesse prevalere in tutti i contesti ufficiali, pena sanzioni. E, solo pochi giorni fa, Meloni ha dichiarato: «Alcune femministe credono che la parità di genere si realizzi declinando titoli al femminile». Eppure, quando si parla di disabilità, il governo sceglie una strada diversa, più soft e meno controversa.
Forse un cambio di rotta o, più probabilmente, una mossa dettata dal fatto che il tema della disabilità è percepito come meno divisivo e, ad esempio, meno polarizzante rispetto alla questione di genere. In altre parole, parlare di linguaggio inclusivo per le persone con disabilità non solleva le stesse tensioni politiche e culturali che, invece, si accendono quando si discute della parità di genere. La disabilità continua ad essere erroneamente vista come una questione semplicemente di rispetto, mentre il tema della parità di genere sfida direttamente gli equilibri di potere esistenti. Sorge dunque spontaneo chiedersi se questo intervento faccia parte di un reale cambiamento di paradigma, o se si tratti semplicemente di un tentativo di presentarsi come inclusivi su un tema che, al momento, non scotta come altri.
Anche se come ho spiegato dal titolo lo reputo assurdo che ci voglia una legge dello stato per tale cambiamenti , fare un circolare era meglio . Ciò non toglie, che la revisione della terminologia sui temi della disabilità rappresenti un passo avanti e un segno di civiltà anche se formale
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Giovanni Pische al centro in carrozzina, Gianni Minà è il primo a sinistra |
Oggi voglio raccontare tra le storie olimpiche ( ma non solo ) . Purtroppo in quanto l'articolo della nuova sardegna odierna in cui si parla di lui , nella online è a pagamento , e non ho voglia di € per un articolo quando se ne parla in altri siti . Comunque polemica a a parte è grazie al web che ho scoperto anzi riscoperto in quanto ne avevo sentito parlare da bambino in famiglia ed letto qualcosa quando s'inzio a parlare di queli che ora sono , anche se anncora c'è molta strada da fare , dei giochi paraolimpici .
da << Giovanni Pische maestro di vita >> di lacanas.it
Egli fu un maestro di vita. Con queste parole il noto giornalista Gianni Minà definiva Giovanni Pische. Manon solo Minà, tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo hanno potuto apprezzare le sue doti umane.
Giovanni Pische nasce a Santu Lussurgiu nel mese di febbraio del 1921. Da ragazzo impara a nuotare nel rio Sos Molinos (in su foiu de tiu Pane Dente), e gioca come portiere nella locale squadra di calcio. Un ragazzo pieno di vitalità e di amicizia per tutti, giovani e vecchi.La sua memoria è ancora viva . in quanto dalle memorie dei nonni e prozii oltre che quelle dei miei genitori ne deduco che Giovanni Pische amava la vita anche se il destino gli aveva riservato un tiro mancino. Era un uomo di grande spirito, risoluto, con una straordinaria energia vitale. Infatti leggo su
l'unione sarda 24 luglio 2024 alle 17:38
Il suo candido sorriso è un ricordo indelebile che affonda nei cuori dei Lussurgesi e di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo. Sebbene fosse costretto tutta la vita in carrozzina, per un incidente aereo durante la seconda guerra mondiale, Pische aveva sempre un sorriso da regalare a tutti, un sorriso pieno di speranza, che infondeva coraggio.Era un grande atleta, un ottimo nuotatore. Proprio grazie alla terapia riabilitativa alla clinica Santa Lucia a Roma affinò la sua abilità acquatica che gli fece vincere i Giochi Internazionali di Stoke Mandeville in Inghilterra nel 1961 e tre anni più tardi il bronzo alle Paralimpiadi di Tokyo (1964), per cui ottenne il titolo di Gran Cavaliere della Repubblica per meriti sportivi.La sofferenza gli è stata sempre accanto però mai ha intaccato il suo spirito volitivo, il suo sorriso e le sue opere in favore dei più deboli di questa società che non aspetta chi ha difficoltà. La sua è una storia fatta di impegno verso gli altri e orientata al recupero dei disabili attraverso lo sport ma non solo. La sua figura rimarrà per sempre impressa nella comunità lussurgese, che infatti lo ricorderà venerdì 26 luglio nel centro di Cultura Popolare alle 18.30, attraverso le pagine del bel libro “Giovanni Pische, eroe, atleta, maestro di vita”, scritto a quattro mani da due lussurgesi che sempre lo hanno serbato nel cuore: Bachisio Serra e Francesca Manca. È un'antologia di ricordi, articoli di giornale, racconti degli amici e delle toccanti testimonianze degli atleti che sono stati cresciuti da Pische nel centro di Santa Lucia a Roma: Giuseppe Trieste, Claudio Tombolini, MariaPia Vezzaro e Roberto Valori.Una vita al servizio degli altri, un impegno sociale di grande valore e poca pubblicità. Se i paraplegici oggi possono guidare l’automobile è merito suo. Pische fu il fondatore dell’Associazione nazionale tutela handicappati e invalidi. Ludwig Guttmann, creatore del Centro per le malattie spinali di Stoke Mandeville, lo volle fortemente nel Consiglio mondiale dello sport per paraplegici. Con l’aiuto di uomini e di alcuni politici illuminati Giovanni Pische riuscì a portare lo sport per diversamente abili anche in Sardegna. Gianni Minà, suo grande amico, ricordava di lui: «ci insegnò ad avere interessi per quella che non doveva essere una vita banale. Un maestro di vita, è stato un italiano importante, un vero italiano di cui andare orgogliosi». Non solo Minà, tutti quelli che lo hanno conosciuto hanno potuto apprezzare le sue incomparabili doti umane.I due autori hanno voluto perpetuare la sua memoria intitolandogli la nuova palestra comunale nel 1999 quando erano amministratori del Comune. La cerimonia di inaugurazione vide, tra gli altri, la partecipazione di Gianni Minà e di Carmelo Addaris, atleta paraplegico di Cagliari plurimedagliato alle Olimpiadi di Toronto nel 1976, grande amico di Pische.
| La mascherina a forma di farfalla usata ieri da Dedaj (Julian Stratenschulte/dpa) |
Amore e amicizia
| (Alex Slitz/Getty Images) |
come nelle olimpiadi non paraolimpiche anche il quarto posto o non arrivare a medaglia può essere prezioso soprattutto in queste parolimpiadi le cose storie \ vicende sono più sofferte di noi che abbiamo problemi non invalidanti
sempre dalla Nw pari de ilpost.it
| (Dal sito del Comitato paralimpico italiano) |
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da Open 30 Agosto 2024 - 16:42
Paralimpiadi di Parigi, atleta tunisino boicotta la sfida di bocce con un israeliano: «È per la causa palestinese»
di Ugo Milano
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| EPA/CHRISTOPHE PETIT TESSON I Alcuni portabandiera durante la cerimonia di chiusura di Parigi 2024, Francia, 11 August 2024. |
Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...