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17.10.22

Sant'Antioco.1958 Partiti con una barca rubata sognando la Francia finirono alla deriva in Algeria e poi in carcere., Carbonia. Con i ricavi delle sue poesie finanzia una scuola Il miracolo di Walter in Senegal ., Caccia all’antenato dall’Argentina a Nuoro Il pronipote di un sardo chiede la cittadinanza italiana e si è rivolto a un legale che ha ritrovato le carte sulla nascita dell’avo

  

 fonti
L'unione  sarda     del  16 ottobre  per  i  primi    due  
La  nuova  sardegna     17 ottobre     per  l'ultimo  


Sant'Antioco. Partiti con una barca rubata sognando la Francia finirono alla deriva in Algeria e poi in carcere

«I migranti? Noi siamo stati i primi»


Correva l'anno 1958 quando il Sulcis fu protagonista di una storia di "migranti al contrario". Il viaggio Un gruppo di ragazzi di Sant'Antioco, con spirito di avventura ma anche alla ricerca di un futuro migliore, affidarono a una barca il loro destino. Non fu il martire mauritano e la sua storia a ispirarli, bensì una vita grama e i litigi coi genitori che chiedevano a quei giovanotti di portate qualche soldo a casa per il sostentamento della famiglia. Ironia della sorte, navigarono al contrario la rotta che oggi fanno i migranti provenienti dal nord Africa. Antonio Brasile, per gli amici Nino, classe 1940, quando sente parlare di migranti sorride e dice: «Noi siamo stati i primi». Poi spiega: «Ho convinto gli amici a
compiere l'avventura più bella della mia vita, anche se non si concluse come volevamo. La mattina del 23 febbraio 1958, a bordo della Vergine dello schiavo, un Cianciolo armato per la pesca delle sardine, partimmo per destinazione ignota, si pensava di andare in Francia o a Tunisi. Assieme a me cinque amici, tutti pronti a partire per una vita migliore». Ma, lasciato il golfo di Palmas a bordo della barca sottratta a un armatore Carlofortino, i primi problemi: «Il mare cominciava a farsi sentire e con lui ingrossava anche la paura. Ho spento il motore simulando un guasto, ma Gabriele che era il più grande e aveva assunto il comando, minacciò di buttarmi in mare perché il viaggio doveva assolutamente proseguire». Peccato, però, che la ciurma non caricò il carburante sufficiente per la traversata e nemmeno il cibo. Due giorni e mezzo dopo, metà dei quali alla deriva, l'avvistamento delle piccole luci da terra. «Siamo stati soccorsi da una motovedetta, che ci portò ad Algeri - continua – in un controllo trovarono delle bombe nella nostra barca: erano quelle che si usavano per la pesca, ovviamente illegale, ma noi non lo sapevamo. Finimmo in prigione, ci accusarono anche di esserci liberati di una donna che a loro dire venne uccisa e buttata in mare. A quel punto capimmo che l'avventura stava assumendo una piega drammatica». In carcere Ad Algeri furono portati in carcere e tra botte da parte dei secondini e maltrattamenti vari, trascorsero sei mesi prima che venisse appurato che quell'omicidio era estraneo alle azioni dei malcapitati giovani migranti che, a ogni domanda, rispondevano in sardo e per questo subivano ancora di più botte dalle guardie. Furono trasferiti prima a Marsiglia per altri sei mesi, poi a Ventimiglia, a Genova, a Pisa e, infine, a Cagliari, a Buoncammino. «Qui pensammo di essere finalmente a casa - dice Nino Brasile - invece la destinazione finale fu Capraia dove abbiamo fatto altri sei mesi. La liberazione arrivò per l'amnistia. Rientrati a casa non parlammo più di quella vicenda. Io sono l'ultimo rimasto. Gli altri sono morti. La racconto perché a conti fatti, se potessi ritornare indietro, lo rifarei. È stata l'avventura più bella della mia vita »

                   Stefano Garau




Carbonia. Con i ricavi delle sue poesie finanzia una scuola
Il miracolo di Walter in Senegal


Dalla poesia rinasce una scuola in uno sperduto villaggio del Senegal. Nuova iniziativa Walter Asuni ripete il miracolo: ci era già riuscito alcuni anni fa quando con la buonanima della moglie Eneide Frau, medico che un destino spietato ha portato via troppo presto, era riuscito nel cuore del Paese africano a rilanciare un ospedaletto e a far decollare una cooperativa di allevamento di polli gestita interamente da donne. Dopo aver già fatto tanto, anzi tantissimo, Walter Asuni, 64enne dipendente pubblico, non
vedente ormai da diversi anni, si è ripetuto: dilettandosi di poesia, oltre che di canto corale, alcuni anni fa aveva realizzato un libro di liriche, intitolato "Oltre il mare": una raccolta di versi incentrata sulla sua esperienza personale. Ma la poesia ha lasciato spazio a un aspetto molto pratico: «Un'opera nata con un obiettivo ben preciso – rimarca – continuare ad aiutare le popolazioni del Senegal che da anni hanno rubato il cuore a me e alla mia adorata Eneide: c'era ancora molto da fare, ma un passo alla volta stiamo raggiungendo lo scopo». La scuola Si è aggiunto infatti un nuovo tassello in questo speciale rapporto fra Walter e il Senegal: grazie al ricavato della vendita del libro e ad altre manifestazioni e incontri, organizzati assieme ad una associazione, "Oltre le frontiere", è stato possibile ingrandire una scuola nata in un edificio diroccato. Questa solidarietà si sta concretizzando nel paesino di Ndangour, provincia di Bandegne, cuore del Senegal. Si è proceduto per step. Inizialmente è nata la scuola: pochissime spartane aule giusto per diffondere l'istruzione fra i bambini in una delle regioni più povere dell'Africa. «Poi abbiamo saputo che l'edificio - racconta - poteva essere ampliato con altre aule e magazzini: quando ho scritto il libro ho pensato dal primo istante che avrei dovuto proseguire questa meravigliosa avventura». Proseguire è il verbo giusto perché anni fa al termine di un viaggio in Senegal, Walter ed Eneide si erano già fatti rapire dalla popolazione locale: "Quando abbiamo capito che potevamo fare qualcosa per una giovane coop di donne che allevavano polli, ci siamo tuffati a capofitto ed Eneide venne anche eletta presidentessa ad onorem della cooperativa che è tuttora operativa".

 
                  Andrea Scano 



Caccia all’antenato dall’Argentina a Nuoro
Il pronipote di un sardo chiede la cittadinanza italiana e si è rivolto a un legale che ha ritrovato le carte sulla nascita dell’avo

di Simonetta Selloni

La ricerca si è snodata tra gli uffici demografici del Comune di Nuoro e la Curia, ma il bisnonno non risultava da nessuna parte Il mistero si è chiarito: l’emigrato non era di Nuoro ma di “Agua Santa”, ossia Abbasanta In alto, la donazione alla Caritas fatta dal bis-nipote che diventerà cittadino  ITaliano Eduardo Gonzales Serra è un giovane argentino, ma da quando si è messo in testa di ottenere la cittadinanza italiana, grazie al fatto di essere pronipote di Francesco “Francisco” Angelo (o Angel) Serra da Nuoro, ha avviato una vera e propria ricerca delle sue radici degna di un investigatore. In questa indagine ha coinvolto l’avvocato Antonio Satta, [  foto a  destra   ]  del foro di Nuoro, al quale si è  rivolto lo scorso anno, per recuperare il certificato di nascita del suo avo, secondo lui nato a Nuoro
nel settembre 1845, e poi sposato, nel villaggio di Moròn, con Benedicta Perez. Certificato di nascita fondamentale per ricostruire la corposa documentazione richiesta per un aspirante cittadino italiano in base allo ius sanguinis. E da quel momento, l’avvocato Satta ha contattato prima i servizi anagrafici del Comune di Nuoro. Che però custodisce i registri di stato civile (nascita, matrimonio e morte) a partire dal 1866. Che fare allora? Rivolgersi – come suggerito dallo stesso Comune – alla Curia per i registri degli anni precedenti; peccato che quelli della Curia vescovile di Nuoro  siano in fase di digitalizzazione, quindi inaccessibili.«A quel punto ho chieso al signor Gonzales Serra di mandarmi tutti i documenti che aveva in suo possesso. E lì, finalmente,è venuta fuori la chiave per risolvere la questione del signor Francisco Serra». Il pronipote e aspirante italiano Eduardo, infatti, ha spedito all’avvocato Satta il certificato di matrimonio del bisnonno: e lì, in bella grafia, è scritto chiaramente che Francisco Angel Serra, “nacido en Agua Santa, provincia de Calleri”, vale a dire Abbasanta, allora provincia di Cagliari. Per Eduardo Gonzales, che pensava di essere la terza generazione di nuoresi Serra in Argentina, è stato un colpo; un po’ meno per l’avvocato Satta, che in un giorno, mandata una pec al Comune di Abbasanta, ha ottenuto il certificato dinascita di Francisco Angel Serra. Tutto finito? Ancora no, e c’è un bel finale. Eduardo Gonzales (la cui pratica per l’ottenimento della cittadinanza è curata dall’avvocato Satta), aveva chiesto al legale quale fosse ilsuo onorario. «Gli ho detto, faccia qualcosa per i poveri», e l’invito dell’avvocato è stato accolto.  Eduardo Gonzales Serra ha comprato il pane per la Caritas del paese in cui risiede, e ha documentato il gesto con foto, dove si legge il ringraziamento all’avvocato. Così, Eduardo Gonzales Serra, la cui ricerca delle radici, prima di arrivare ad Abbasanta, lo ha portato anche a Nuoro.

6.12.15

Peppe Zucchetto, in Ghana il coraggio di un siciliano

da http://www.malgradotuttoweb.it/ un articolo apparso tra fine novembre primi di dicembre Sul magazine del Corriere della Sera in cui narra la storia dell’imprenditore di Racalmuto emigrato al contrario. Una storia ” magica”  ! Un consiglio ottimo ..che non tiene conto, però, della speculazione (business) della classe politica e/o dell’incapacità della classe politica. un imprenditore capace, in età pensionabile, vada via dalla Sicilia per continuare a produrre è senza dubbio una tragedia. A maggior ragione quando la terra che lo ospita non è la Danimarca ma una martoriata e arcaica terra d Africa che partorisce solo occasioni da business. Per chi lavora in trincea, in Sicilia, è debordante una storia come questa. Complimenti al coraggio ed all'intraprendenza del Sig.re Zucchetto, che stanco dei compromessi, e della gente Siciliana   (  ovviamente  senza  generalizzare  ) se ne andato.



Giuseppe Zucchetto in Ghana con i suoi dipendenti

Uno dei cantieri aperti in Ghana
Quando è stato costretto a chiudere una cava di pietre per esaurimento della vena, Giuseppe Zucchetto, 67 anni, commercialista e imprenditore, una vita passata a Racalmuto dietro escavatori, pale e ruspe, si è ritrovato travolto dalla crisi. Come tanti. Costretto a licenziare. Senza capire come uscirne. Ma senza immaginare che fra le “parrocchie di Regalpetra”, nel paese di Leonardo Sciascia, sarebbe stato “salvato” da due migranti ghanesi. Max e Said. Due ragazzoni arrivati con i barconi a Lampedusa, trasferiti nella palestra comunale di Racalmuto, transito provvisorio e incrocio di destini.Come è accaduto quando i due migranti si sono ritrovati davanti allo stesso bar di Zucchetto, pronto ad offrire loro una birra, per due chiacchiere: “Volevo capire da dove fuggivano, perché rischiavano la vita nel Sahara e nel Mediterraneo. Scoprendo subito una grande contraddizione. Dicevano che cercavano lavoro in Europa, ma che nel loro Paese c’era tutto. E quando hanno capito che io avevo un’azienda ferma in Sicilia, pronto com’ero a svendere mezzi e attrezzature, è scattata la scintilla, convinti che portando pale e ruspe in Ghana io avrei risolto ogni problema. A me e a loro”.Qualche giorno dopo Zucchetto, Peppe per amici e parenti, in attesa della nipotina Beatrice, all’uscita dalla scuola di danza, incrociò di nuovo Max e Said: “Allora, le portiamo in Africa queste macchine?”.Moglie e tre figli, la figlia Valentina consigliere comunale a Racalmuto, per Zucchetto cominciarono dubbi e insonnia perché rimuginava la proposta, nonostante si trattasse di due sconosciuti: “Ma era scattata una simpatia. ‘Appena mette piede in Ghana, tutto quello che vuole fare, lo può fare’, ripeteva Max col suo discreto italiano o in inglese. Senza spiegare però che cosa mancava a loro, in fuga . Poi l’idea che mi piacque: ‘Cominciamo con una settimana di vacanza?’. E va bene. Proviamo. Agenzia, passaporto, visto, vaccino per la febbre gialla e una settimana dopo atterravo con loro ad Accra…”.Il resto del racconto è la scoperta di “un mondo dove c’è davvero tutto”, anche aree eleganti, alberghi confortevoli, piano bar e “jazz da pelle d’oca”. Come ripete entusiasta Zucchetto: “C’è tutto, ma non il potenziale di lavoro che un piccolo imprenditore come me può creare soprattutto nelle zone più depresse, nei villaggi, facendo leva sulla nostra inventiva, sulla nostra esperienza…”.In poche settimane il racalmutese approdato in Ghana visita la capitale con i suoi grattacieli, scopre distese di terreni incolti e mette su una prima mini impresa, noleggiando mezzi meccanici. Quanto basta perché Said blocchi tre suoi fratelli pronti alla traversata di deserto e mare con destinazione Lampedusa: “C’è un siciliano che ci fa lavorare”.Due mesi dopo una piccola carovana di camion e buldozer sbarca da Racalmuto ad Accra. E i mezzi della vecchia cava, sdoganati al porto, avanzano verso i cantieri dei grattacieli, le strade in costruzione, i campi dei cercatori d’oro. Con Zucchetto che fa le sue esperienze nell’edilizia guardando contemporaneamente all’agricoltura: “Estensioni che nemmeno immaginiamo. Terra fertile. Mai vista. Pianti una lattuga e cresce alta un metro. Pomidori che sembrano bocce. Mio padre era contadino, io figlio d’arte. Quella terra è una miniera. Ma, a parte il cacao con qualche multinazionale che prende tutto e lascia niente, c’è davvero poco. Solo peperoncino. Perfino patate, cipolle e aglio arrivano dalla Cina. Come la manodopera degli imprenditori cinesi con cantieri off limits per i ghanesi. Costretti a scappare cercando ricchezze sulle quali camminano senza saperlo…”.

Il miracolo è che adesso Max e Said sono alla guida di trenta operai assunti da Zucchetto, tornato per una breve vacanza a Racalmuto mentre infuriavano le polemiche su naufragi, muri e marce: “Stiamo sbagliando. Non possiamo solo aprire le nostre frontiere. Dobbiamo andare noi da loro per costruire la loro ricchezza e in qualche caso salvare noi stessi. Questo vorrei dire al premier Renzi, raccontandogli la mia storia. Si, tanti scappano dalle guerre. Ma, a parte conflitti locali, non ci sono guerre in Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio, Togo. E lì, con un piano dell’Europa, si può fare davvero tanto. Costerebbe molto meno aiutarli dove vivono”.E azzarda consigli ai governanti europei perché si spiani una strada spesso accidentata: “Io ho avuto la fortuna di incontrare Max e Said, ma bisogna conoscere il territorio, difendersi da tanti rischi, dai furbastri, anche dai cinesi che cercano di prendere tutto e non lasciare niente di niente in quelle terre. Se guadagnano l’appalto per una strada o per un complesso edilizio arrivano con la loro manodopera, i loro mezzi, faticano 24 ore al giorno all’interno di aree dove non entra nessuno e, quando se ne sono andati, non un ghanese ha lavorato per loro o ha guadagnato un centesimo. Ecco perché io italiano sono accolto a braccia aperte”. E mostra i video delle cene con i suoi dipendenti, i brindisi “a Peppe”, come lo chiamano anche in cantiere.Gli stessi dipendenti convinti ad abbandonare la via dell’emigrazione da questo imprenditore ancora stordito dal contrasto fra i grattacieli di Accra e la miseria di tanti villaggi: “Non intraprendono iniziative perché non hanno un centesimo, ma soprattutto perché non hanno idee. Portiamole noi. Insegniamo loro come fare. Ovviamente senza schiavizzarli, senza fare i predoni”.Pronto a fare i conti quando apprende che nell’inferno dei centri accoglienza ogni profugo costa 35 euro al giorno: “Sono più di mille euro al mese. Ogni cento migranti, 100 mila euro al mese. Siamo pazzi? Se io trovassi 500 mila euro andrei dal ministro dell’agricoltura in Ghana e darei lavoro a 300 disperati, ma nel loro Paese, a vita, insegnandogli come si fa”. E lo dice temendo che le stesse cose finiscano per farle i cinesi: “Senza insegnare a nessuno come si fa”. Di qui il suggerimento sintetizzato in una battuta: “Ai barconi possiamo far fare la retromarcia”.

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...