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22.1.25

SHOAH E MEMORIA LA LEZIONE DI LEVI e come spiegarla ai bambini e a quei 14 per cento che dicono che non esiste




Inizialmente non volevo più celebrarlo e smettere di scrivere post in merito visto l'alto tasso di retorica , di strumentalizzazione dei pro israeliani sopratutto dopo il 7 ottobre e la richiesta di silenzio ( vedere post precedente ) ho deciso dopo aver letto l'articolo di Gad Lener  che trovate  sotto   di farlo ancora . Visto il ritorno ( in realtà non sono neppure del tutto scomparsi ne cancellati ) dei nuovi fascismi e dei nuovi nazismi sotto nuove forme più pericolose di quelle originarie classiche. Ma soprattutto perchè in un’Italia che si trova di fronte alla Giornata della Memoria, il 27 gennaio, e a un’inquietante recrudescenza di episodi di antisemitismo, emerge un dato preoccupante: il 14% degli italiani, secondo l’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes, non crede che la Shoah sia mai avvenuta. quello che molti considerano un “vecchio tema”, relativo alla memoria della Shoah, sembra essere riemerso prepotentemente nella coscienza collettiva italiana, e non solo. Secondo il Rapporto Italia, il 15,9% degli italiani minimizza la portata della Shoah, affermando che non avrebbe prodotto così tante vittime, mentre il 14,1% nega totalmente che lo sterminio sia mai avvenuto. Dati inquietanti, che si collegano a una crescente diffusione di teorie complottiste e di discorsi revisionisti, veicolati non solo dai soliti ambienti estremisti, ma anche da frange della politica e dei social media.

Non si tratta di una crisi improvvisa, ma di un processo strisciante che si è acuito negli ultimi decenni. Nel 2004, sempre secondo Eurispes, solo il 2,7% degli italiani metteva in dubbio l’Olocausto. Oggi quella percentuale è quintuplicata, dimostrando come il tempo, anziché consolidare la consapevolezza storica, abbia aperto la strada a narrazioni distorte.
Questo deterioramento del senso storico non è privo di conseguenze. Il negazionismo non è solo una negazione del passato, ma una ferita aperta per le comunità ebraiche e un pericoloso sintomo di una società che fatica a riconoscere i propri errori e le proprie responsabilità. Il rischio è evidente: la Shoah, da tragedia universale, rischia di essere relegata al ruolo di semplice oggetto di dibattito, perdendo il suo valore di monito e insegnamento per le generazioni future.Purtroppo, quanto emerso dall’indagine dell’Eurispes non è un caso isolato. Le credenze distorte sugli ebrei, come il presunto controllo del potere economico o la capacità di determinare le politiche occidentali, continuano a radicarsi tra la popolazione. Se nel 2004 il 2,8% degli italiani negava il diritto all’esistenza di Israele, oggi quella percentuale è salita al 18,8%. La banalizzazione della Shoah, il crescere di opinioni che minimizzano o addirittura negano l’orrore subito dal popolo ebraico, è un fenomeno che può avere effetti devastanti sulla coesione sociale e sul rispetto dei diritti umani.


Il Fatto Quotidiano  21 Jan 2025   GAD LERNER


FOTO ANSA   Tracce di storia Pietre d’inciampo a Napoli
ricordano gli ebrei deportati ad Auschwitz 

EQUIPARARE L’ORRORE Sembra che gli ebrei abbiano esaurito il credito che fu loro concesso a suo tempo in quanto popolo vittima dell’olocausto Anche per questo la ricorrenza del 1945 resta una celebrazione necessaria


Piaccia o non piaccia, come e più dell’anno scorso, il Giorno della Memoria esercita una funzione scomoda.
Nel reclamare la dovuta attenzione sui milioni di ebrei sterminati in Europa fra il 1941 e il 1945, sospinge l’opinione pubblica a un confronto con la malasorte dei milioni di palestinesi che l’“ebreo nuovo”, scampato all’estinzione, si è ritrovato per vicini di casa. Dentro e fuori i confini dello Stato d’israele sorto nel 1948.
È una forzatura logica, alimentata dal risorgere di antichi pregiudizi? Un paragone che vilipende chi in famiglia reca ancora i segni delle sofferenze patite ottant’anni fa? Siamo sinceri. Fatichiamo a disgiungere nella nostra sensibilità queste due tragedie in apparenza così lontane, benché la loro incommensurabilità numerica dovrebbe risultare evidente: milioni di innocenti persero la vita nell’industria dello sterminio pianificato nei lager; decine di migliaia sono le persone uccise a Gaza dai soldati israeliani in una sorta di punizione collettiva ininterrotta di 15 mesi.
Se non bastassero le reciproche accuse di “nazismo” che i due nemici inferociti si scagliano addosso, perduto “ogni senso di affinità umana”, per dirla con Primo Levi, a rendere ancor più difficile eludere tale connessione mentale è sopraggiunta una circostanza che ha del clamoroso: lunedì 27 gennaio, ottantesimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz a opera dell’armata Rossa sovietica, è improbabile che alla cerimonia ufficiale convocata in quel luogo possa presenziare il primo ministro israeliano, soggetto com’è a un mandato di cattura internazionale, perché fortemente indiziato di crimini di guerra. Ci sarà re Carlo d’inghilterra mentre non sono invitati i russi. Parleranno solo gli ultimi sopravvissuti perché la politica mondiale oggi non è in grado di ritrovarsi unita neppure nella promessa infranta troppe volte del “Mai più Auschwitz”.
Inutile girarci intorno. L’insistenza con cui molte persone (che si offenderebbero a essere tacciate di antisemitismo) pretendono, in particolare da noi ebrei e ancor più dai sopravvissuti alla Shoah, l’uso della parola “genocidio” riferita a Israele, quasi che fosse lo strumento con cui misurare la sincerità o meno dell’indignazione nostra nei confronti dei crimini di guerra perpetrati in risposta al 7 ottobre, segnala il punto di non ritorno a cui siamo arrivati.
Orribile a dirsi, ma sembrerebbe che gli ebrei abbiano esaurito il credito loro concesso a suo tempo in quanto popolo vittima della Shoah. Basta, credito esaurito. Con sollievo autoassolutorio di chi manteneva il vecchio sospetto che gli ebrei fossero dei privilegiati. Una svolta che elettrizza perfino gli ammiratori della brutalità d’israele interpretata come se fosse una virtù connaturata agli ebrei da assumere come modello. Naturalmente l’esaurirsi del credito concesso alle vittime della Shoah si porta dietro la seconda domanda scomoda sempre più in voga man mano che il conflitto si estendeva e inferociva: un mondo senza Israele non sarebbe forse un mondo migliore? Interrogativo mendace ma insidioso che non riguarda solo il futuro di sette milioni di ebrei nati laggiù, ma la possibilità stessa che prosperino in pace società multietniche e multiculturali.
Mi sono sentito dire di recente da persona bene addentro nell’establis h m en t di Netanyahu: “Con questa g u e r r a Israele si è messo al sicuro. Decapitato Hamas, in malaparata gli Hezbollah, l’iran costretto sulla difensiva, caduto il regime siriano di Assad, uomini affidabili al vertice dello Stato libanese... i palestinesi continueremo a tenerli a bada e Trump ci coprirà le spalle. I problemi ce li avrete voialtri ebrei della diaspora perché ricadrà sulle vostre spalle l’odio sempre più diffuso per Israele e la nuova ondata di antisemitismo che ne deriva”.
In apparenza sembra un ragionamento cinico di realpolitik che non fa una grinza. Affaracci vostri, ebrei che vi ostinate a non capire che in futuro solo in Israele potrete star sicuri. La pensa così chi è convinto che – tregua o non tregua – questa guerra debba continuare perché fa parte di una guerra mondiale più grande. E insiste nell’illusione che bastino i rapporti di forza militari e tecnologici per garantirsi la sicurezza. Come se il 7 ottobre non gli avesse insegnato nulla. E come se bastasse una scrollata di spalle per levarsi di dosso il discredito caduto su Israele.
Se questo è il clima, ben si capisce perché il Giorno della Memoria (istituito in Italia su proposta del nostro caro Furio Colombo) accumuli un gran numero di detrattori: da chi lo liquida come inutile esercizio di retorica, ignorando l’ottimo lavoro preparatorio che tante scuole gli dedicano; a quelli che non ne possono più di “rendere omaggio” agli ebrei per riceverne in cambio nuove accuse; a non pochi esponenti delle stesse Comunità ebraiche che ormai lo vivono come un boomerang, pretenderebbero che la celebrazione venisse depurata da qualsivoglia riferimento all’attualità di Gaza e Cisgiordania o meglio ancora che venisse polemicamente abolita.
Dopo avere riletto i due testi fondamentali del principale testimone della Shoah in Italia (e non solo), cioè Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati di Primo Levi, mi sono convinto del contrario. Non solo il Giorno della Memoria va celebrato, ma deve servire proprio ad affrontare le domande più scomode che per tutta la sua vita Primo Levi ripropose martellanti nei suoi testi circa la ripetibilità e la comparabilità dell’orrore di cui era stato testimone ad Auschwitz.
Il riconoscimento del sistema concentrazionario nazista come unicum non solo non gli impedì, ma lo spronò a studiare il riproporsi successivo di forme di crudeltà di massa basate su meccanismi analoghi. Levi non adopera mai la parola “genocidio”, neanche riguardo allo sterminio degli ebrei, ma quando deve descrivere “i diligenti esecutori di ordini disumani” ci tiene a precisare che “non erano aguzzini nati, non erano (salvo poche eccezioni) dei mostri: erano uomini qualunque”... “fatti della nostra stessa stoffa”... “non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male”.
Educati male. Nell’appendice a Se questo è un uomo pubblicata nel 1976, paragona i nazisti ai “militari francesi di vent’anni dopo, massacratori in Algeria” e ai “militari americani di trent’anni dopo, massacratori in Vietnam”. Altrove elenca gli “imitatori” dei nazisti “in Unione Sovietica, in Cile, in Argentina, in Cambogia, in Sudafrica”. E potrei continuare. Ignoriamo, certo, se avrebbe inserito in un simile elenco Israele con cui manteneva un rapporto “affettuoso e polemico” fondato su “un nostro appoggio sempre condizionato”.
Di certo, Primo Levi non ha fatto che scriverlo e ripeterlo: “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto”. Se poi qualcuno pensasse che Levi escludesse a priori gli ebrei dal novero dei potenziali “educati male”, lui stesso replica: “Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli”.
Infatti Il 27 gennaio, Giornata della Memoria, ( ma  non solo   )  è un momento di riflessione collettiva per ricordare le vittime dell’Olocausto e tramandare i valori fondamentali della pace, del rispetto e dell’inclusione. Spiegare questa ricorrenza ai più piccoli non è semplice, ma è essenziale per educarli alla consapevolezza storica e ai principi che ci aiutano a costruire un futuro migliore
La Giornata della Memoria spiegata ai bambini rappresenta un’opportunità per introdurre temi importanti con delicatezza e sensibilità, un compito cruciale che spetta a genitori e insegnanti.
Parlare della Shoah ed olocausto ai più piccoli significa non solo raccontare una pagina oscura della nostra storia, ma anche insegnare il valore della memoria come guida per evitare che errori simili si ripetano. Ecco perché è importante affrontare questo tema e farlo in modo accessibile.
Perché è importante parlarne ai bambini  ?  
Educare alla memoria: un dovere verso le nuove generazioni  La memoria storica non è solo un dovere nei confronti delle vittime della Shoah e dell'olocausto , ma anche uno strumento per educare le nuove generazioni alla consapevolezza e alla responsabilità. Parlare della Shoah ai bambini permette loro di comprendere il valore della giustizia, dell’empatia e del rispetto per il prossimo, pilastri fondamentali per una società inclusiva.

Come raccontare la Shoah e l'olocausto ai bambini allora ?

È fondamentale adattare il linguaggio in base all’età:
  • Per i più piccoli (6-8 anni): si possono introdurre concetti come la giustizia e il rispetto attraverso storie semplici che trasmettono messaggi positivi.
  • Per i bambini più grandi (9-12 anni): si può invece iniziare a fornire un contesto storico, parlando della Shoah in modo comprensibile, ma senza entrare in dettagli  non  troppo  traumatici.

Infatti, raccontare la Shoah ai bambini significa affrontare argomenti difficili con un approccio elementare, utilizzando storie e linguaggi che rispettino la loro sensibilità.

Un libro speciale per spiegare la Shoah ai bambini: un aiuto prezioso per raccontare la memoria con delicatezza

libri possono essere uno strumento particolarmente efficace per affrontare il tema della Shoah con i bambini. Tra i libri sulla Giornata della Memoria per bambini, La giostra si distingue per la sua capacità di trasmettere messaggi importanti in modo delicato e coinvolgente
La storia segue la curiosa amicizia tra Sara, una bambina ebrea, e Teo, il cavallino di una giostra. Un’amicizia ostacolata dall’arrivo della guerra e dall’allontanamento di Sara, prima confinata nel ghetto ebraico e poi portata via in un campo di concentramento. 

 Tra i libri sulla Shoah per bambini, La giostra

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è un esempio di come la narrazione possa avvicinare i più piccoli a una realtà complessa senza spaventarli, ma anzi incoraggiandoli a riflettere. Questo libro, infatti, non solo rende la Shoah comprensibile ai bambini, ma li aiuta anche a sviluppare empatia verso le persone colpite dalle discriminazioni.


Come utilizzare un libro sulla Shoah a scuola o a casa: idee pratiche per leggere e discutere con i bambini

Leggere insieme ai bambini un libro sulla Shoah è un’opportunità per parlare di valori universali, come il rispetto per gli altri e il rifiuto dell’intolleranza. In questo modo, il libro diventa un ponte tra passato e presente, capace di stimolare conversazioni profonde in un ambiente sicuro.

A scuola:

  • Organizza una lettura condivisa in classe di La giostra, seguita da un laboratorio creativo. I bambini potranno disegnare o scrivere un breve pensiero ispirato al libro, e questo li aiuterà a interpretare i messaggi in modo personale.
  • Collega la lettura di La giostra alla Giornata della Memoria. Avvia un momento di riflessione guidata dove gli alunni possano esprimere le loro emozioni e discutere su temi come il rispetto e la diversità. Questo approccio è particolarmente efficace nella scuola primaria, dove è possibile spiegare la Shoah ai bambini attraverso queste attività partecipative.

A casa:

  • I genitori  almeno quelli che  non limitano  a scaricare  \  delegare   agli insegnanti   e    alla  scuola tale  compito  ,  possono leggere con i bimbi La giostra usandolo come spunto di riflessione. Utilizzare un libro sulla Shoah come punto di partenza per dialoghi aperti può essere un’opportunità per trasmettere ai più piccoli i valori promossi dalla Giornata della Memoria.

Parlare di tali  eventi   ai bambini, quindi, è un atto di responsabilità che genitori e insegnanti devono abbracciare con sensibilità e consapevolezza. Spiegare la Giornata della Memoria ai bambini è l’occasione per trasmettere valori fondamentali attraverso strumenti come libri e attività creative.Incoraggiamo tutti a condividere questo articolo e a lasciare un commento con le proprie esperienze su come affrontare questo tema delicato con i più piccoli

 La memoria è il ponte che ci collega a un futuro migliore: camminiamoci insieme.

20.1.25

Giorno della memoria 2025: nuovi e vecchi libri da leggere, per riflettere e ricordare

 









di Redazione Il Libraio 15.01.2025


Mentre il nostro presente è segnato dalla guerra, diventa ancora più importante ricordare il passato e imparare da esso: ecco un’ampia selezione di nuovi libri per il Giorno della Memoria 2025, tra romanzi, testi biografici, saggi e libri per ragazzi e ragazze. Un’occasione per non dimenticare le vittime della Shoah e le altre vittime del nazismo, riflettendo sulle conseguenze dell’odio e dell’indifferenza, ancora oggi…
Non dimenticare il passato per vivere con più consapevolezza il presente: il Giorno della Memoria, istituito nel 2005 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è da anni una ricorrenza di grande importanza per commemorare gli ebrei vittime della Shoah e le altre persone perseguitate dal Terzo Reich per motivi politici o razziali (tra cui disabili, omosessuali, rom, testimoni di Geova, oppositori politici…).
Ottant’anni fa, il 27 gennaio 1945, i soldati dell’Armata Rossa facevano il loro ingresso nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando i superstiti ed entrando in contatto per la prima volta con gli orrori dello sterminio nazista.
A vent’anni di distanza dalla sua istituzione, il Giorno della Memoria 2025 si colloca, ancora una volta, in un clima di guerra, violenza e profonda divisione (basti pensare alla situazione a Gaza), contesto che rende ancora più urgente ricordare le terribili conseguenze dell’odio e dell’indifferenza    onde  evitare   che sia anche    strumentalizzato 

Come ogni anno, sono molti i libri che parlando della Memoria, attraverso storie individuali o collettive, testi di saggistica o romanzi per ragazzi e ragazze. In questo articolo proponiamo un percorso di lettura tra alcuni libri pubblicati di recente sul tema dell’Olocausto, con l’intento di fermarsi a riflettere in un mondo sempre più caotico e divisivo.


Ecco altre letture passate che indagano a fondo il tema del Giorno della Memoria:
Giorno della Memoria 2024: libri per non dimenticare
Giorno della Memoria 2023: saggi, romanzi e biografie da leggere
Giorno della Memoria 2022: i nuovi libri consigliati
Giorno della Memoria 2021: libri sull’Olocausto
Giorno della Memoria 2020: libri sulla Shoah, tra romanzi, saggi e biografie

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Elena Asquini09.01.2023
Primo Levi: i libri e la vita dell'autore di "Se questo è un uomo"
Risplendo non brucio



Tra i romanzi che trattano della Shoah troviamo Risplendo non brucio (Longanesi) di Ilaria Tuti, libro con cui l’autrice torna a unire storia e thriller, recuperando il tema della guerra (già affrontato in Come vento cucito alla terra, Longanesi), questa volta attraverso la storia di un padre e di una figlia. Un tempo Johann Maria Adami era un professore rinomato: ora, però, la sua vita passata è soltanto un lontano ricordo, schiacciato dalla sofferenza quotidiana del campo di Dachau. Il professore viene convocato al Castello di Kransberg, rifugio del Führer, per scoprire la verità dietro alla morte di un soldato nazista. Mentre Johann è costretto a risolvere il mistero, anche sua figlia Ada, a Trieste, si trova da sola ad affrontare un omicidio, lontana dal padre e dal compagno, scomparso tra le file dei partigiani. Una storia di resistenza e di coraggio che si estende dalla storia famigliare a quella collettiva.
Il mantello di Rut



Paolo Rodari, giornalista e vaticanista, firma per Feltrinelli Il mantello di Rut, in libreria dal 14 gennaio. Il romanzo è ispirato alla vera storia di un gruppo di bambine ebree salvate da un prete e da alcune suore, che le nascosero in una stanza segreta sotto la Madonna dei Monti. Il protagonista della storia è Remo, abbandonato dalla madre a dodici anni e diventato poi parroco nel quartiere Monti, il primo rione della capitale. Un giorno il giovane sacerdote incontra Rachele, rimasta vedova, la quale gli chiede di prendersi cura di sua figlia Aida fino al suo ritorno. Ormai anziano, Remo decide di scrivere ad Aida, ora cresciuta, per raccontarle quei difficili mesi del 1943.
La donna dal cappotto verde



Edith Bruck, scrittrice, regista e testimone della Shoah attraverso numerose pubblicazioni (autobiografiche e non) è autrice per La nave di Teseo del romanzo La donna dal cappotto verde (in uscita il 21 gennaio). Un libro in cui si indaga il tema della memoria e della pietà attraverso i personaggi di due donne, divise dal tempo e riunite dal perdono. Mentre sta comprando il pane, la scrittrice e traduttrice Lea Linder viene avvicinata da una donna anziana avvolta in un cappotto verde, che la riconosce come la “piccola Lea di Auschwitz” per poi scomparire nel nulla. Chi era quella donna misteriosa? Come ha fatto a riconoscerla dopo così tanti anni? E se fosse stata un’aguzzina di Auschwitz? Lea inizia così la sua ricerca, che presto diventa più simile a un’ossessione…
Terra di neve e cenere



Tra i libri per il Giorno della Memoria usciti nel 2025 abbiamo quello dell’autrice finlandese Petra Rautiainen, all’esordio con Terra di neve e cenere (Marsilio, traduzione di Sarina Reina, in uscita il 24 gennaio). Il romanzo è ambientato tra gli ultimi anni del conflitto mondiale e il 1947, quando la giornalista Inkeri giunge in una piccola città della Lapponia seguendo le tracce di suo marito Kaarlo, scomparso da anni senza dare sue notizie. La sua pista principale è costituita dal diario di un soldato finlandese, chiamato come interprete all’interno di un campo di prigionia allestito dai tedeschi. Nel corso della sua ricerca la donna entra in contatto con la brutalità e la ferocia della guerra, ma anche con una comunità chiusa e ricca di segreti…
Una volta aperti gli occhi non si può più dormire



Robert Bober, scrittore e sceneggiatore, scrive un romanzo che unisce realtà e cinema: Una volta aperti gli occhi non si può più dormire, uscito in Francia nel 2010 e portato ora in Italia da Elliot (traduzione di Chetro De Carolis, in uscita il 17 gennaio). Ci troviamo nella Parigi del 1960, durante le riprese di un film del famoso regista François Truffaut. Bernard, ingaggiato come comparsa, alla fine non potrà vedere la sua scena, che viene tagliata – eppure il film si rivela comunque essenziale nella sua vita. La pellicola, infatti, è molto simile alla storia di sua madre, divisa tra due spasimanti, oltre che tra la Polonia, la Francia e il campo di Auschwitz. È così che gli eventi presenti e le relazioni del protagonista si intrecciano ai fili della memoria, misteriosi e fragili.
Il falsario di Auschwitz



Tra i libri sulla Shoah troviamo anche Il falsario di Auschwitz di Paul Schiernecker (Newton Compton, traduzione di Micol Cerato e Giulia Zappaterra, in uscita il 14 gennaio). Il romanzo comincia in un Praga sottomessa all’occupazione nazista, dove seguiamo l’amore tra l’affascinante comunista Rose e il tipografo ebreo Georg, il quale comincia a falsificare documenti ufficiali per aiutarla. Entrambi sono deportati ad Auschwitz, ma il loro amore rimane forte anche nell’orrore. Con le sue capacità di falsario Georg riesce infatti a ottenere favori e informazioni su Rose, che nel frattempo è stata spostata a Birkenau. Falsificando il suo stesso tatuaggio riesce a ricongiungersi a lei: è così che il talento di Georg attira l’attenzione dei nazisti, che decidono di servirsene per un’operazione segreta.
Daniel Stein, traduttore



Daniel Stein, traduttore (La nave di Teseo, traduzione di Emanuele Guercett, che torna in una nuova edizione il 21 gennaio) si concentra sulla figura di Daniel Stein, un ragazzo ebreo che riuscì a far scappare trecento ebrei lavorando come traduttore per la Gestapo. La scrittrice russa Ludmila Ulitskaya si serve di testimonianze dirette e indirette, documentazioni e lettere per ripercorrere questa storia vera, tracciando un percorso che si muove dall’Europa orientale all’Israele del dopoguerra, a metà tra biografia, documentario e riflessione sul rapporto tra ebraismo e cattolicesimo.
Il fazzoletto della figlia di Pipino



Rosmarie Waldrop è un’importante poetessa tedesca, autrice de Il fazzoletto della figlia di Pipino (Safarà, traduzione di Cristina Pascotto, prefazione di Ben Lerner), il suo unico romanzo. Protagonisti del libro sono Frederika e Josef Seifert, marito e moglie tra loro molto diversi, costretti a scontrarsi con il terribile piano orchestrato dal Nazionalsocialismo. Riprendendo la leggenda della figlia di Pipino il Breve – che facendo cadere un fazzoletto da un castello fondò la città di Kitzingen, in cui la vicenda si svolge – il libro di Waldrop si interroga sulla possibilità di sfuggire al proprio passato.
A Roma non ci sono le montagne



Ritanna Armeni, giornalista e autrice, ripercorre la storia della Resistenza Romana attraverso l’attentato di via Rasella, avvenuto il 23 marzo 1944 per mano dei Gruppi di azione patriottica. A Roma non ci sono le montagne (Ponte alle Grazie, in libreria dal 14 gennaio) rievoca quei pochi secondi che segnarono la Storia, portando alla morte di 33 soldati tedeschi e all’uccisione di 335 italiani come rappresaglia. L’intento è quello di comprendere e ricordare uno degli episodi più importanti e discussi della Resistenza italiana.


La promessa



Proseguiamo questa selezione di libri sul Giorno della Memoria con La promessa – Una storia di Shoah (traduzione di Sara Arena, in uscita dal 22 gennaio) di Marie de Lattre, posto contestualmente al progetto di rinnovamento della collana di letteratura francese di Edizioni Clichy. Il padre di Marie, Jacques, è un medico diviso tra l’allegria e l’angoscia, abituato a chiudersi nel silenzio quando si parla della sua infanzia. Solo dopo la morte del padre, Marie riceve una busta che spiega il suo passato. Dentro la busta, Marie trova una serie di lettere d’amore e una supplica: “Non dimenticare il bambino”. È così che l’autrice ripercorre la propria storia famigliare fuori dagli schemi, quella che riguarda Jacques e i suoi quattro “genitori”, quattro persone che si sono amate e che con la stessa forza hanno amato quel bambino, lasciandosi con una promessa, poco prima di entrare nel campo di Auschwitz: vegliare su di lui.
La dedica



Anche Miriam Rebhun, autrice di La dedica (Giuntina), racconta la storia personale dell’autrice, alle prese con il passato della sua stessa famiglia: a partire da un messaggio lasciato sulla pagina web dedicata alla memoria di suo zio, Kurt Emanuel Rebhun, Miriam scopre dell’esistenza di una cugina acquisita di settantasei anni, Daphna, che si dichiara figlia di quello zio, morto durante la guerra d’Indipendenza di Israele nel 1948. Alla ricerca di maggiori informazioni su Daphna e sul suo legame con la famiglia, Miriam Rebhun si imbarca quindi per una ricerca appassionante che la conduce da Berlino a Haifa, dalle leggi razziali nell’Europa della Seconda guerra mondiale alla nascita d’Israele.
Il figlio ebreo



Si colloca in questo filone di letture anche l’opera di Daniel Guebel, in libreria con un’opera a metà strada tra autobiografia, narrativa e critica letteraria. Il protagonista di Il figlio ebreo (La nave di Teseo, traduzione di Carlo Alberto Montalto, in uscita il 21 gennaio), infatti, è l’autore stesso, il “figlio” a cui il titolo fa riferimento, diviso tra la rabbia e il dolore causati da un padre violento e l’obbligo a prendersi cura di quel genitore che si sta spegnendo lentamente. In questo libro, Guebel esplora le luci e le ombre della memoria attraverso l’ambiguità del rapporto padre-figlio.
Il numero sul tuo braccio è blu come i tuoi occhi



Passiamo ora a uno dei molti libri sulla Shoah di stampo (auto)biografico: Il numero sul tuo braccio è blu come i tuoi occhi (Newton Compton, traduzione di Marianna Zilio, in uscita il 14 gennaio), scritto dall’autrice tedesca Stefanie Oswalt in dialogo con Eva Umlauf, che in questo libro racconta la sua vera esperienza. Eva è solo una bambina di due anni quando, il 3 novembre 1944, giunge ad Auschwitz, venendo marchiata con il numero A-26959. Al momento della liberazione sua madre è incinta della seconda figlia ed Eva è molto debole a causa della malnutrizione e di altre malattie. Nonostante le difficoltà, però, Eva sopravvive assieme alla madre, trascorrendo gli anni successivi tra flash di memorie e incubi terribili. Solo l’incontro con altri sopravvissuti alla Shoah, tra cui il suo futuro marito, la aiuterà a ricostruire la sua identità perduta.

Quando imparammo la paura



Tra i libri per la Giornata della memoria c’è anche Quando imparammo la paura – Vita di Laura Geiringer sopravvissuta ad Auschwitz (Marsilio, in uscita il 17 gennaio), una biografia redatta da uno dei maggiori esperti della Shoah in Italia, lo scrittore e saggista Frediano Sessi. Partendo dal diario della giovane Laura Geiringer, Sessi racconta il percorso che accomuna molti sopravvissuti all’Olocausto: il timore di non essere creduti, il vano tentativo di ritornare alla normalità, il tormento dei ricordi. In particolare, quelli relativi ai terribili esperimenti che venivano condotti sulle donne ad Auschwitz. Il tentativo è quello di ridare voce alle vite spezzate di Laura e dei suoi famigliari, accanto alle storie perdute di molti altri e di molte altre.
La ballerina di Auschwitz



La dottoressa Edith Eva Eger, sopravvissuta alla Shoah e psicologa, oggi novantasettenne, torna a raccontare la sua dolorosa storia in La ballerina di Auschwitz (Corbaccio, traduzione di Maria Olivia Crosio, pubblicato il 10 gennaio). Già autrice di La scelta di Edith (opera in cui intreccia la sua storia autobiografica alle competenze da psicologa su come superare i traumi e ritornare alla luce), in questo nuovo libro Eger ripercorre nuovamente il suo passato.

Edith ha solo sedici anni quando scopre per la prima volta l’amore e sogna di andare alle Olimpiadi: ha un talento per la danza e un’abilità nella ginnastica, ma niente di tutto ciò la può proteggere dal corso della Storia. Nel 1944 viene deportata ad Auschwitz assieme a tutta la sua famiglia: solo la sorella Magda uscirà assieme a lei da quell’incubo. In queste pagine leggiamo quindi il grido di una ragazza travolta da un Male inimmaginabile, ma capace di rinascere e di continuare a vivere, rimanendo ancora sulle punte…
Crematorio freddo



Tra i libri per il Giorno della Memoria 2025 c’è anche Crematorio freddo – Cronache dalla terra di Auschwitz di József Debreczeni (Bompiani, traduzione di Dóra Várnai, in uscita il 15 gennaio). Scrittore e giornalista ungherese, Debreczeni è sopravvissuto ad Auschwitz, dove è giunto nel 1944, venendo destinato a mesi di lavoro forzato in condizioni disumane. Il “Crematorio freddo” a cui il titolo fa riferimento è il cosiddetto ospedale di Dörnhau, smantellato di forni e camere a gas, dove i nazisti mandavano a morire i prigionieri troppo malati o deboli. Salvato dalle armate russe, nel dopoguerra Debreczeni ha testimoniato la sua esperienza nei campi di lavoro con lucidità e crudezza. Le sue memorie, pubblicate nel 1950 in ungherese, sono ora riscoperte e tradotte.
Mi chiamo Oleg – Sono sopravvissuto ad Auschwitz



Tra i libri autobiografici sulla Shoah troviamo anche Mi chiamo Oleg – Sono sopravvissuto ad Auschwitz (Newton Compton, in uscita il 14 gennaio 2025), scritto da Filippo Boni, studioso del Novecento, autore e giornalista, e Oleg Mandić, nato a Sušac, nell’odierna Croazia, giunto ad Auschwitz a soli undici anni come prigioniero politico, dato che suo padre e suo nonno si erano uniti alla resistenza. Divenuto avvocato e giornalista, Oleg Mandić si è battuto a lungo per la conservazione della memoria: è con questo intento che ha realizzato il suo libro, in cui ripercorre gli episodi più duri e difficili della sua prigionia, fino alla liberazione e al ritorno ad Auschwitz a molti anni di distanza…
Le ragazze della scienza



Le ragazze della scienza di Olivia Campbell (ABOCA, traduzione di Simone Aglan-Buttazzi e Valeria Lucia Gili, in uscita il 24 gennaio) ha come sottotitolo: Come quattro donne sono fuggite dalla Germania nazista e hanno fatto la storia della fisica. La scrittrice e giornalista – già autrice di Le ragazze in camice bianco (Aboca, traduzione di Miriam Falconetti) sulle prime donne medico – riporta alla luce la storia di quattro donne pioniere della fisica, in fuga dalla Germania nazista per via della loro discendenza ebraica: Lise Meitner, Hedwig Kohn, Hertha Sponer e Hildegard Stücklen. La prima fuggì in Svezia, dove scoprì la fissione nucleare, le altre negli Stati Uniti, dove fecero progredire la fisica avanzata nelle università. In ogni caso, attraverso difficoltà e ostacoli, il loro esempio rimane fondamentale per le giovani donne di oggi.
Fotografare la Shoah



Passando invece ai saggi legati al Giorno della Memoria, questo libro indaga la Shoah da una prospettiva diversa, cioè servendosi delle fotografie. Laura Fontana, storica della Shoah ed esperta di didattica, tenta di identificare le immagini più potenti e illuminanti sugli eventi dell’Olocausto, spesso concepito come un evento irrappresentabile e inconcepibile. Fotografare la Shoah. Comprendere le immagini della distruzione degli ebrei (Einaudi, in uscita il 21 gennaio) vuole quindi fare luce sull’oscurità attraverso una serie di fotografie – non direttamente collegate allo sterminio di massa ma capaci di inquadrare avvenimenti preliminari o collaterali al crimine – fondamentali per preservare la memoria e per insegnarci come interpretare le immagini storiche.

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Noi siamo memoria



Noi siamo memoria di Matteo Corradini (Erickson) è una guida per insegnanti, educatori e genitori, un volume che si prefigge di spiegare il senso del ricordare, proponendo anche attività per la didattica indirizzate a ragazzi e ragazze delle scuole superiori, per renderli più partecipi e consapevoli di quella Storia che loro sentono sempre più lontana.
Un mosaico di silenzi



Giovanni Coco, studioso e archivista all’Archivio Apostolico Vaticano, fa luce su una delle questioni più controverse e dibattute del pontificato di Pio XII: la sua posizione sulla Shoah e il suo silenzio verso nazismo e fascismo. Il saggio Un mosaico di silenzi – Pio XII e la questione ebraica (Mondadori, in uscita a marzo) evidenzia quindi le contraddizioni che hanno segnato l’operato di Papa Eugenio Pacelli durante (e dopo) la Seconda guerra mondiale.
1940



La fuga di un gruppo di artisti e scrittori dalla Germania nazista è al centro di 1940. Il grande esodo della letteratura in fuga da Hitler (Marsilio, traduzione di Francesco Peri, in libreria il 24 gennaio). Il critico e saggista Uwe Wittstock – già autore di Febbraio 1933. L’inverno della letteratura (Marsilio, traduzione di Isabella Amico di Meane e Giovanna Targia) – ricostruisce la fuga per la libertà di un gruppo di intellettuali come Hannah Arendt, Walter Benjamin, Heinrich Mann e tanti altri, rifugiati a Parigi e costretti a scappare nuovamente dopo l’occupazione tedesca. Wittstock riporta così alla luce la figura di Varian Fry, giornalista statunitense che ha messo a repentaglio la sua vita per aiutare la loro fuga clandestina.
Individuo e destino



Individuo e destino – La Germania e i suoi filosofi tra due guerre (Il Mulino, in uscita il 10 gennaio), saggio di Stefano Poggi, non tratta strettamente della Shoah, ma permette di identificare il contesto culturale, e soprattutto filosofico, della Germania del primo dopoguerra. Tra i temi fondamentali di quegli anni c’è soprattutto quello del destino, segnato dall’oscurità e dall’incertezza verso il futuro. Si delinea così il fato della Germania, destinato a sconvolgere l’intera civiltà occidentale.
Storia di Tova – La bambina di Auschwitz



Arriviamo quindi ai libri sulla Shoah dedicati a bambini e ragazzi: Storia di Tova – La bambina di Auschwitz (Newton Compton, traduzione di Paola Vitale, in uscita il 21 gennaio) è la storia dell’attivista e testimone dell’Olocausto Tova Friedman, internata ad Auschwitz a soli cinque anni. Arricchito dalle illustrazioni di Manuel Sumberac, in questo libro Friedman ripercorre la sua vita, dai giorni del ghetto ebraico alla sua partenza per gli Stati Uniti, alla ricerca di un nuovo inizio.
Mouschi, il gatto di Anna Frank



In uscita il 14 gennaio, Mouschi, il gatto di Anna Frank – Una bambina, un nascondiglio, un amico a sorpresa (De Agostini, traduzione di Sara Cavarero, illustrazioni di Danuta Wojciechowska, prefazione di Frediano Sessi) di José Jorge Letria racconta la storia della famiglia Frank attraverso gli occhi di un gatto randagio, Mouschi, giunto nel loro nascondiglio segreto. Uno spazio silenzioso in cui però c’è grande spazio per l’amore e per i sogni, soprattutto nelle pagine del diario della giovane Anna, una semplice ragazza che spera un giorno di trovare il suo posto nel mondo.
Casa libera tutti



Tra i libri sulla Giornata della Memoria 2025 c’è anche Casa libera tutti – I bambini di Sciesopoli sopravvissuti alla Shoah (Salani, in uscita il 14 gennaio) di Lorenza Cingoli, scrittrice, sceneggiatrice e autrice televisiva scomparsa nel 2023. Il romanzo si sofferma sulla casa-comunità di Sciesopoli, sulle prealpi bergamasche, in cui nel dopoguerra trovarono rifugio i bambini orfani scampati alla persecuzione nazista. La protagonista è Nina, alla ricerca, come gli altri bambini e bambine, di solidarietà, amicizia e speranza.
Così siamo diventati fratelli



Un libro che celebra l’amicizia tra due ragazzi, accomunati dallo stesso difficile destino: Così siamo diventati fratelli. L’amicizia che salvò Sami e Piero (Mondadori, illustrazioni di Eleonora De Pieri). Quando nel 1944 Sami Modiano e Piero Terracina si incontrano nel campo di Birkenau, hanno perso tutte le persone a loro care: possono contare solo sulla loro amicizia. A raccontare la loro storia è lo stesso Sami Mondiano, assieme a Marco Caviglia, ripercorrendo anche il loro incontro a cinquant’anni di distanza dalla Liberazione e il loro percorso di testimonianza.
Il treno della memoria



Nel gennaio 2005, Paolo, un diciottenne del Sud Italia, arriva ad Auschwitz per la prima volta, rimanendo segnato per sempre. Da quel momento sarà lui a guidare molti gruppi di giovani sul Treno della Memoria, da Berlino a Cracovia e fino al campo di di Auschwitz-Birkenau. Il treno della memoria – Un viaggio per diventare i testimoni di domani (De Agostini, in uscita il 14 gennaio) ripercorre le emozioni dei ragazzi e delle ragazze davanti alle ferite del Novecento, in un percorso che dal passato risuona anche nel loro presente, cambiando profondamente ognuno dei protagonisti, tra dubbi, lacrime e amicizie.

24.4.23

Don Pozzi, il partigiano di Dio che mise in salvo gli ebrei

 stavo cercando storie    da   raccontare  anziché  riportare  i  soliti pipponi   non  basta  quando    ce ne  saranno    nella  settimana  della memoria  ed ho trovato  questa  

https://www.avvenire.it/agora/pagine/ del   11 febbraio 2023 

Il parroco di Clivio, insieme al maresciallo della Finanza Cortile e alla signora Molinari organizzarono una rete clandestina per far espatriare i perseguitati. Un libro ricorda la vicenda di eroismo
La rete da cui passavano gli ebrei a Clivio

La rete da cui passavano gli ebrei a Clivio - Archivio Comune di Clivio

Don Gilberto Pozzi

Don Gilberto Pozzi - Archivio Comune di Clivio

«Questa è una storia di finanzieri, di sacerdoti, di gente comune e di fuggiaschi. Una storia di perseguitati, di spie, di delatori, ma anche un racconto di grande solidarietà. Quell’autunno del 1943, a Clivio, accaddero molte cose: pedinamenti, rapporti segreti, arresti e scelte determinanti nell’Italia divisa in due dopo l’8 settembre ». Già l’incipit del volume di Gerardo Severino e Vincenzo GrientiIl partigiano di Dio. Don Gilberto Pozzi, lo Schindler di Clivio (San Paolo, pagine 187, euro18, 00), mette sul piatto tutti i protagonisti, i luoghi, i tempi e i pericoli della vicenda che vide una rete di benefattori (nel senso letterale del termine) mettere in salvo chi era in pericolo: migliaia di perseguitati dal nazifascismo, tra i quali moltissimi ebrei. I sacerdoti protagonisti sono tanti. Oltre alla figura eroica del parroco di Clivio, alla quale il volume è dedicato, sono ricordati anche gli altri “prevosti” della Valceresio, al confine tra Italia e Svizzera, che si spesero per il bene in tempi di male assoluto: don Gioacchino Brambilla di Viggiù e don Giovanni Bolgeri di Saltrio. «Il prete in un paese è come una scintilla, può accendere un paese. Se il prete se ne fa promotore, i buoni propositi diventano un’opera», ricorda nella prefazione l’arcivescovo di Milano Mario Delpini.

Il libro sottolinea a più riprese il contributo dei cattolici nella lotta al nazifascismo, con laici e sacerdoti, alla don Pozzi , i quali «svolsero diversi ruoli nella Resistenza. Furono fonte d’ispirazione per i giovani saliti in montagna fino a diventare essi stessi comandanti di formazioni partigiane», scrivono gli autori ricordando i casi di don Antonio Milesi nella Bergamasca, don Vittorio Bonomelli nel Bresciano, Arndt Paul Richard Lauritzen, frate di origine nordica che prese il nome di battaglia di “Paolo il Danese”, e don Domenico Orlandini, fondatore delle Fiamme Verdi reggiane. A far nascere l’Italia democratica essenziale fu poi il contributo, spesso trascurato dalla storiografia, degli Internati militari in Germania (Imi) e della cosiddetta “resistenza con le stellette” nei vari corpi armati. Don Pozzi, nato a Busto Arsizio nel 1878, era divenuto parroco della località del Varesotto nei primi del Novecento e vi restò fino alla morte, avvenuta nel 1963. Da subito si era messo a fianco della gente, soprattutto dei più poveri e delle famiglie colpite dai lutti nella Grande Guerra. Si era anche adoperato per le madri svizzere che, per colpa di politiche economiche restrittive della Confederazione, furono costrette ad abbandonare i figli minori appena al di là della frontiera, in territorio italiano. Aveva anche organizzato opere sociali ed educative, venendo così in contrasto con i socialisti e gli anarchici del luogo, molto radicati, che lo vedevano come un pericoloso concorrente nella conquista della gioventù. Dopo il 1938 don Pozzi si era apertamente schierato contro le leggi razziali, finendo nel mirino dei fascisti. E agì per seguire la sua coscienza e il Vangelo. Nel 1943 il sacerdote fu, dunque, tra i promotori della cellula di Clivio dell’organizzazione Oscar, acronimo che stava per “Opera scoutistica (aggettivo poi sostituito per prudenza con soccorso) cattolica aiuto ai rifugiati”. La rete clandestina era strettamente legata al celebre gruppo scout delle Aquile Randagie, del quale fecero parte personalità come don Giovanni Barbareschi e numerosi altri sacerdoti, nonché il “ribelle per amore” Teresio Olivelli. Il sodalizio ebbe il sostegno dell’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster e del vescovo di Lugano Angelo Giuseppe Jelmini. Grazie ad esso si realizzarono oltre 2mila espatri clandestini. Don Pozzi, sempre nel mirino, fini nel carcere milanese di San Vittore, dopo essere stato catturato dalla Guardia nazionale repubblicana e la sua casa perquisita dalla famigerata legione armata “Ettore Muti”. Sarebbe finito in un lager, se non fosse stato scarcerato per intercessione di Schuster.

Il maresciallo della Finanza Luigi Cortile

Il maresciallo della Finanza Luigi Cortile - Archivio Comune di Clivio

Sorte che invece non fu risparmiata al maresciallo delle Fiamme Gialle Luigi Cortile morto nel 1945 nel campo di concentramento austriaco di Mauthausen-Melk a soli 47 anni. A questa figura, che si prodigò con don Pozzi nell’aiuto agli ebrei, il colonnello Severino, direttore del Museo storico della Guardia di Finanza, ha già dedicato il libro Il buon doganiere di Clivio. Nell’opera di resistenza, infatti, si impegnarono molti dei finanzieri operanti vicino alla frontiera elvetica, terra di traffici, spesso non puliti, e “spalloni”. Protagonista degli atti di quotidiano eroismo fu anche la gente comune, rappresentata da Nellina Molinari e Giuseppina Panzica. Quest’ultima aveva messo a disposizione dei fuggitivi la sua casa di Ponte Chiasso e per questo è finita Ravensbrück, campo al quale è fortunatamente sopravvissuta. Vicenda che sempre Severino ha ricostruito in un altro volume insieme a Grienti, che è un giornalista di Tv2000 esperto di storia e collaboratore di “Avvenire”. Cortile e Mo-linari, che è morta nel 1987, lasciando una silenziosa quanto preziosa memoria, sono stati riconosciuti lo scorso anno dallo Yad Vashem come Giusti tra le nazioni. A testimoniare per loro due famiglie ebree che hanno aiutato: i Colonna e i Ghedali. Ma sono molti altri i nuclei familiari e i singoli ebrei ricordati nel volume. A scampare in Svizzera grazie a questa cellula fu anche Giorgio Sacerdoti, allora bambino, oggi presidente della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea e autore della presentazione al volume.

La signora Nellina Molinari

La signora Nellina Molinari - Archivio Comune di Clivio

Che, dopo l’8 settembre, il tempo per passare il confine fosse poco, i “contrabbandieri del bene”, come li definiscono gli autori, lo avevano capito subito. Già dal 12 settembre i tedeschi erano arrivati a Varese, avevano intensificato i presidi territoriali e imposto la legge marziale. Allora in quel fatidico giorno si creò la fila per raggiungere il territorio elvetico. Passarono 15 ufficiali, 642 tra sottufficiali e soldati, armi, cavalli e muli del 3° Reggimento Savoia Cavalleria. Passarono politici invisi al fascismo come Edoardo Clerici, del partito popolare, e Pietro Malvestiti del Movimento guelfo d’azione, ricercati in quanto firmatari del manifesto antifascista del 26 luglio. E passarono ebrei, come l’imprenditore tedesco Luigi Wolff che si era rifugiato a Varese per sfuggire alle persecuzioni hitleriane. Purtroppo, invece, poco tempo dopo, l’8 dicembre del 1943, a causa dei respingimenti attuati in Svizzera e ai controlli più intensi al confine, nei pressi di Arzo venne respinta da finanzieri “zelanti”, altra faccia di quelli eroici, la famiglia Segre. Proprio quella dell’attuale senatrice a vita Liliana, allora tredicenne, poi scampata al lager e infaticabile testimone della memoria dello sterminio. «Senza di lei – ricordano gli autori – molti giovani non avrebbero iniziato a interessarsi della Shoah e del mondo dei campi di concentramento, verso cui uomini come don Gilberto Pozzi e il maresciallo Cortile cercavano di evitare la destinazione, spesso senza ritorno, di poveri innocenti ». Testimonianze coraggiose di attenzione all’altro in quanto essere umano, al di là di ogni inutile specificazione, che libri come questo aiutano a tenere vive. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il parroco Pozzi, il finanziere Cortile, la signora Molinari e molti altri nel 1943 si spesero, tra mille pericoli, per gli espatri clandestini in Svizzera. Un libro ricostruisce questa vicenda di umanità e resistenza al male La chiesa parrocchiale di Clivio / WikiCommons Nella foto grande: il tratto del reticolato di confine da cui passavano gli ebrei in fuga verso la Svizzera In basso, da sinistra a destra: don Gilberto Pozzi, Nellina Molinari e il maresciallo Luigi Cortile / Archivio Comune di Clivio



14.2.23

«Alla Memoria della Shoah si deve accompagnare la coscienza della Storia» di Massimo Castoldi


a  freddo  dopo    la  sbornia  retorico   celebrativa  sia  del  27 gennaio   sia  di  quella    del  10  febbraio   pubblico questo   interessante  articolo  di     Massimo Castoldi

Il giorno della liberazione di Auschwitz è la data simbolo per non dimenticare lo sterminio degli ebrei per mano di nazismo e fascismo. Ma occorre evitare la vuota ritualità e restituire complessità ai fatti. Ridestando interesse e sgomento








Il giorno della Memoria — 27 gennaio, in ricordo del 27 gennaio 1945, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz — non è una festa nazionale come sono il 25 aprile, festa della Liberazione, e il 2 giugno, festa della Repubblica, ma un giorno di lavoro, di studio, che dovrebbe essere pretesto per cercare di comprendere le ragioni storiche di quanto è avvenuto nel nostro Paese e in Europa tra anni Venti e anni Quaranta del secolo scorso. La legge del 2000 che lo ha istituito invita a riflettere «su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti [...] affinché simili eventi non possano mai più accadere». Ho sempre trovato molto velleitaria questa proposizione finale, la quale presuppone che possa crearsi una consapevolezza così diffusa di quanto avvenuto, che le aberrazioni del passato non possano ripetersi. La storia conferma che non è così e la cronaca lo rende tragicamente tangibile. Ciò non toglie opportunità e necessità all’operazione della ricostruzione storica delle dinamiche che hanno consentito l’affermazione di quelle dittature, fascista e nazista, delle quali lo sterminio di massa organizzato è stato la più macroscopica conseguenza. Mi chiedo, tuttavia, se e fino a qual punto questa riflessione sia stata fatta fuori dall’ambiente degli specialisti, o se invece ci siamo il più delle volte limitati a una narrazione rituale, nell’inesorabile affermarsi di “Un tempo senza storia”, come Adriano Prosperi ha intitolato un suo libro recente (Einaudi, 2021).I dati che l’Eurispes ci fornisce sono eloquenti. Se nel 2004 il 2,7 per cento della popolazione italiana credeva che la Shoah non fosse mai esistita, nel 2020 questa percentuale è salita al 15,6. Se dovessimo estendere l’inchiesta dalla Shoah alla deportazione politica, che peraltro in Italia è fenomeno più rappresentativo (circa 24.000 deportati politici, circa 8.000 ebrei), queste percentuali di ignoranza salirebbero in modo esponenziale. L’istituzione del giorno della Memoria non ha evidentemente ottenuto gli effetti sperati. Anzi si potrebbe dedurre che alla ritualità delle commemorazioni corrisponda un incremento di atteggiamenti razzisti e neofascisti. Occorre restituire complessità storica al fenomeno, per ridonargli interesse. Invito a vedere il film documentario del 2016 “Austerlitz” di Sergei Loznitsa, che il regista girò con una telecamera fissa posta in alcuni luoghi del campo di Sachsenhausen. In una serie di lunghe sequenze passano turisti intenti compulsivamente a fotografarsi nei luoghi di tortura e di morte nella generale incoscienza della storia, che le guide meccanicamente raccontano.È il percorso inverso rispetto a quello fatto da Austerlitz, il protagonista dell’omonimo romanzo di Winfried Georg Sebald (Adelphi, 2002), che attraverso una faticosa ricerca storica e memoriale prende coscienza da adulto di essere uno di quei bambini ebrei giunti a Londra in treno durante la guerra, mentre i suoi genitori venivano deportati in un campo di sterminio. Osservando il film, ho notato nella sconcertante babele turistica, in due momenti diversi, nello sguardo di due ragazze un lampo di sgomento e un istante di confusione. Due bagliori improvvisi che indicano, con Prosperi e Sebald, una strada.

27.1.23

Suzette Tartarone l'Anna Frank napoletana: trovate altre lettere dalla prigionia , L’anarchico Luigi Peotta, che non arrivò mai a Mauthausen e Walter Schellenberg, Ss morto a Torino: le esequie pagate da Chanel

in  sottofondo
Nomadi la canzone del bambino nel vento(Auschwitz)


Ecco  le  ultime  tre  storie   e  con questo     è  tutto    ed  adesso  prima  del  grande  silenzio per  parafrasare  la  canzone     citata  in  sottofondo  questa  poesia   piena  di speranza  

  repubblica    27\1\2023

di   Paolo Popoli

Suzette, l'Anna Frank napoletana: trovate altre lettere dalla prigionia A recuperarle Gaetano Bonelli, fondatore e direttore del Museo di Napoli



"Carissimo babbo, sono lieta di avere tue buone notizie. Vedo che la tua vita si svolge sempre metodica, regolata come un orologio, come pure la mia e se continua così non sarò di ritorno a casa nemmeno per Natale del 2.000": inizia così una delle nuove lettere ritrovate di Suzette Tartarone, la " Anna Frank napoletana".

Nove epistole, indirizzate al padre Alfredo nella casa di via Roma, scritte tra il 1941 e il 1942 nei campi di prigionia delle Marche: a recuperarle sul mercato antiquario è stato Gaetano Bonelli, fondatore e direttore del Museo di Napoli - Collezione Bonelli, che dodici anni fa ha scoperto la prima missiva di questo carteggio e ha fatto così emergere dall'oblio la storia tragica e appassionante della giovane napoletana di origini ebree, padre napoletano e madre francese, imprigionata non solo per motivi razziali, ma soprattutto per l'avversità al regime fascista e per i costumi emancipati, liberi, ma giudicati allora licenziosi e da condannare.


Rabbia, disillusione e l'affetto tenero per il genitore passano attraverso le parole impresse sulla carta dalla giovane donna, durante la detenzione, in questi nove inediti simili per contenuti alle altre cinque lettere già rinvenute da Bonelli a partire dal 2011. " Questo corpus offre nuove verità e nuove emozioni a un commovente diario epistolare della prigionia - spiega Bonelli - e conferma che Suzette Tartarone è stata detenuta non solo nel campo di Pollenza, ma almeno in altri due campi sempre nei pressi di Macerata: Castelraimondo e Caldarola".
Quattro anni di prigionia, dal 1940 al 1943, in condizioni dure e a chiedersi sempre " perché". Il 12 giugno 1941, Suzette parla di " 13 mesi di prigionia senza motivo valevole. Faccio i capelli bianchi qui dentro". Le nove epistole comprendono cartoline e biglietti al padre Alfredo, assieme a due risposte di quest'ultimo alla figlia, da lei conservate durante la prigionia, prima di evitare la deportazione ad Auschwitz e del ritorno a Napoli (grazie all'intercessione di uno zio prefetto a Torino) dove morirà negli anni Settanta. Della sua vita, però, non si sa altro.


"Le lettere portano il timbro "verificato dalla censura" - continua Bonelli - Forse Suzette ingannava i controlli, scrivendo nelle prime righe quasi sempre di convenevoli al padre, mentre più avanti lascia spazio a sfoghi e richieste di aiuto per ritrovare la libertà". "Vai a Roma, ti prego - scrive il 14 gennaio del ' 41 - non avrò pace finché la mia libertà non mi sarà resa". E sempre al padre che l'aiuta, dice il 6 giugno: " Peccato che l'on. Min. dell'Interno non sia come te".

Il 12giugno parla invece della polizia che si ricorda " benissimo della mia moralità sulla quale non c'è assolutamente nulla da dire. Spero che consentiranno a farmi tornare un giorno a casa. Il campo (di internamento, ndr) libero mi interessa poco. È un'altra schiavitù". Suzette racconta poi la sua rassegnazione ("La mia volontà non conta più niente", " Qui sono una cosa malleabile senza personalità") e rivendica l'ingiustizia subita: " Io sono nata libera". Nell'agosto 1941 vorrebbe tornare a Napoli: " Non ho paura delle bombe nemiche".

 

E poi ci sono i momenti di affetto, i ringraziamenti al padre per regali come sandali, calze e dolci. " Queste lettere andrebbero lette nelle scuole - conclude Bonelli - e spero un giorno possano diventare un libro o una rappresentazione teatrale. I nove inediti li ho acquistati due mesi fa, ma ho voluto diffonderli nella Giornata della Memoria e in questo momento di guerra in cui la sofferenza di Suzette, la costrizione della libertà e la vessazione in generale debbono fungere come monito".

L’anarchico Peotta, che non arrivò mai a Mauthausen

Ai tempi dei processi alla banda dell’anarchico Sante Pollastro, del quale era stato il braccio destro, lo avevano definito l’uomo dalle identità molteplici: era stato Giulio Coccari, Luigi Bimbo, Carlo Locati, Garibaldi Pedrocca. E in uno dei dibattimenti in cui era stato imputato dopo l’arresto in Belgio nel 1927, e poi condannato a oltre vent’anni di galera, Luigi Peotta, nato a Grancona (Vicenza) il 16 maggio 1901, vissuto fra Novi Ligure e Sesto San Giovanni, stampatore tipografo e anarchico individualista, non aveva forse detto al magistrato che lo stava interrogando: “Ma non mi chiamo Peotta: è questo che mi preme precisare. Consta a lei che mi chiami Peotta?”.

La storia ufficiale della deportazione nei lager nazisti recita che l’uomo dai tanti volti sarebbe morto a Ebensee, un sottocampo di Mauthausen. Il viaggio del “Bimbo” verso il lager dell’alta Austria era cominciato dal campo di concentramento di Fossoli il 21 giugno del 1944, per concludersi quindi il 24 giugno a Mauthausen. La deportazione di Peotta e quella

dei suoi compagni, nota come il “Trasporto 53”, è stata accuratamente ricostruita, così come sono noti i nomi dei prigionieri.

Lui era la matricola numero

76668, inserito nella categoria

“Berufs Verbrecher”, vale a dire “delinquente, criminale di professione”. Secondo i documenti tedeschi, Peotta, prigioniero dal 24 luglio del 1944 a Ebensee, sarebbe deceduto il 2 maggio 1945. Un decesso su cui concordano anche gli storici del movimento anarchico.

Ma un conto è la storia ufficiale, un altro conto è la verità nascosta. Proprio Sante Pollastro, graziato alla fine degli anni Cinquanta, confidò negli anni Settanta al suo amico e biografo Luigi Brignoli che il “Bimbo” era morto a Sesto San Giovanni nel 1965. Aggiunse inoltre di essere andato al suo funerale, dove si mise a piangere. Scrive Brignoli: nel libro Le confessioni di Pollastro, l’ultimo bandito gentiluomo: “Durante un bombardamento, gli alleati devastano il penitenziario (1943)”; quindi Peotta “viene trasferito al carcere di Verona da cui evade. Ripreso dai tedeschi e fatto prigioniero riesce ad evadere ancora una volta e a scappare. Si nasconde nei pressi di Milano (Sesto S. Giovanni) dove rimane sotto falso nome fino alla morte avvenuta nel 1965. Pollastro, ormai libero, andrà in incognito ai suoi funerali”. Peotta a Sesto San Giovanni “avrebbe lavorato per una nota casa editrice”, vendendo libri. La “nota casa editrice” sarebbe stata la Feltrinelli, visto che una parente del “Bimbo”, Bianca Maria Dalle Nogare, aveva sposato Giangiacomo Feltrinelli a Sesto San Giovanni nel 1947.

Pollastro non aveva motivo di mentire. E Luigi Peotta, essendo comunque sempre un condannato per reati gravi (rapine, uccisioni di carabinieri e pure di fascisti), fu costretto a farsi credere morto per ancora vent’anni. L’anarchico che ai giudici rispondeva pirandellianamente di essere uno, nessuno e centomila, come un Mattia Pascal beffò i nazisti e l’italia antifascista ma non troppo.


  sempre   dalla stessa   fonte   


Schellenberg, Ss a Torino: le esequie pagate da Chanel

Su La Stampa di martedì 1 aprile 1952, nella rubrica “Stato civile” della cronaca, i lettori appresero che a Torino, il 31 marzo, era morto un certo “Schellenberg Walter di Guido, a. 41, via Magenta 24”. Quel cognome, però, non dovette suggerire niente a chi vi si era imbattuto. E non sollecitò la curiosità neppure dei cronisti, che all’epoca erano soliti leggere con molta attenzione i necrologi. Strano ma vero. Solo tre anni prima, il 14 aprile del 1949, su Stampa Sera si era dato conto di quel Walter Schellenberg. Era uno dei nazisti imputati in uno dei procedimenti, il cosiddetto “processo dei ministri”, nati dal dibattimento di Norimberga: “Walter Schellenberg, capo della sezione spionaggio dell’s.d., responsabile del massacro di prigionieri di guerra russi”, condannato a sei anni di reclusione.

Ciò che Stampa Sera non diceva è che Schellenberg, generale delle SS, era stato assistente del gerarca Reinhard Heydrich e tra i principali collaboratori del “Reichsführer” Heinrich Himmler nella veste di capo del suo servizio di controspionaggio. Lo Schellenberg deceduto a Torino per un tumore al fegato nella lussuosa Clinica Fornaca di corso Vittorio Emanuele II, in quell’inizio di primavera, era proprio l’alto ufficiale nazista, anche se i torinesi e gli italiani non lo avrebbero saputo. I servizi segreti americani, invece, e forse pure i nostri, che peraltro erano stati ricostituiti dagli angloamericani, ne erano informati. Lo testimonia una nota della CIA del 20 ottobre 1952 sul “General Walter Schellenberg”, in cui si asseriva che “fonti hanno confermato, sulla base di un’investigazione, che il Soggetto si è sentito male mentre stava viaggiando in treno nel nord Italia. Quando il treno è arrivato a Piacenza, il Soggetto è stato caricato su un’ambulanza che ha proseguito per Torino, dove il Soggetto è stato ricoverato nella clinica Forcava [cioè Fornaca]”. Lì “egli è morto il 31 marzo per arresto cardiaco, cirrosi al fegato e infezione della bile”. Sembra che l’ex generale delle SS fosse riuscito a evitare il carcere riparando in Svizzera. Aveva raggiunto poi il Lago Maggiore, fermandosi per qualche tempo a Pallanza e a Domodossola. Quando si sentì male era probabilmente “diretto a Roma, forse per incontrare qualcuno interessato alla pubblicazione delle sue memorie oppure per altre ragioni più oscure, legate al suo passato e verosimilmente ai contatti che già prima della fine della guerra aveva avuto con gli angloamericani. Certo è che il funerale del nazista venne pagato dalla stilista Coco Chanel, già amante di Schellenberg e agente segreto al soldo del Terzo Reich. Non è noto se il soggiorno torinese di “Schellenberg Walter di Guido” fosse stato dovuto soltanto alla malattia. Di sicuro, in quei giorni, nella città piemontese viveva indisturbato Marcel Déat, detto “l’hitler dei francesi”, condannato a morte nel suo Paese. Lo avevano cercato ovunque, ma l’ex socialista divenuto nazista abitò sotto la Mole fino alla morte, nel gennaio del 1955.

    “Pure un giorno la sospirata
Primavera tornerà
E dai tormenti desiderata
La libertà rifiorirà
La libertà rinascerà”

( Wir Sind Die Moorsoldaten )

emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...