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7.11.25

storie speciali per gente normale storie normali per gente speciale che resiste al degrado politico e culturale del nostro paese i casi di : Paolo Cergnar ,Mauro Berruto, David Yambio,


 Davanti al   degrado politico, culturale, morale del Paese  sempre   più  evidente     che  può essere riassunto da  tale  foto 


e   da  come dice Soumaila Diawara : « Questa immagine è il manifesto del fallimento di una classe dirigente che ha trasformato la politica in farsa e il dibattito pubblico in fango. L’ex ministro rappresenta un Paese che ha smarrito la vergogna, la competenza e il senso del limite. Altro che guida: è il simbolo di una degenerazione che ha contaminato tutto.»

  • Ci  sono       delle     storie     che danno speranza    da   Lorenzo Tosa esse  sono : 


Paolo Cergpnar è un vigile del fuoco e un sindacalista. Uno di quelli che porta con orgoglio l’uniforme da pompiere. Talmente orgoglioso che, lo scorso 22 settembre, in occasione dello sciopero generale per Gaza, lui, in qualità di rappresentante sindacale Usb, è salito sul palco per denunciare il genocidio con quella divisa indosso. Ha parlato del senso ultimo del suo mestiere: salvare vite umane. Lo ha detto chiaramente: “Salviamo i bambini palestinesi. Siamo ambasciatori di buona volontà dell’UNICEF e portiamo sul petto l’emblema dell’UNICEF e dobbiamo garantire a tutti i bambini la sicurezza e la Pace”. Eppure, per aver detto tutto questo con indosso una divisa da vigile del fuoco, Cergnar ha ricevuto un avviso di procedimento disciplinare e rischia sanzioni disciplinari che vanno dal richiamo a, addirittura, il licenziamento. In un Paese minimamente diritto, Paolo andrebbe ringraziato, e pure premiato. Premiato per Umanità, per aver incarnato il senso profondo di quella divisa. Qui invece è diventato un obiettivo, un simbolo da colpire. “Non mi stanno attaccando come delegato sindacale ma come pompiere, applicando il regolamento di disciplina a una manifestazione sindacale, e questo viola i diritti costituzionalmente garantiti” ha detto pochi giorni fa. In molti si sono uniti e si stanno unendo a sostegno di Paolo Cergnar, con semplici messaggi e anche una petizione, per chiedere che venga revocata qualunque sanzione. E io mi unisco a loro. 


 Mauro Berruto è una delle persone più belle, serie e preparate che abbiamo in questo Paese. Per 25 anni allenatore di volley, e per cinque anche Ct della Nazionale maschile, che ha guidato fino al bronzo olimpico a Londra 2012. Pochi minuti fa, dopo dieci anni di stop, ha appena annunciato l’incarico più bello, stimolante e umanamente commovente della sua carriera. Diventerà per qualche giorno, a
novembre, commissario tecnico della Nazionale Palestinese di volley. Glielo ha chiesto il Comitato olimpico palestinese, e lui non ci ha pensato un attimo. Un atto simbolico potentissimo, in un momento come questo, all’interno di una missione che mette insieme sport, diplomazia, umanità. Condurrà gli allenamenti, parteciperà a incontri sullo sviluppo dello sport e sulla diplomazia sportiva, parlerà di diritti e di diritto internazionale, lui che nei mesi scorsi aveva lanciato la raccolta firme per chiedere l’esclusione di Israele da ogni competizione internazionale. “Allenare una nazionale, in qualunque parte del mondo, è sempre un privilegio. Allenare quella palestinese, oggi, è qualcosa di più grande: è un atto di fiducia nello sport come respiro di libertà. Torno in palestra, dopo dieci anni, per restituire un po’ di quel dono che lo sport mi ha fatto per tutta la vita: la possibilità di credere che anche nei luoghi più difficili, un campo da gioco possa ancora essere luogo di coraggio e speranza nel futuro” ha detto Berruto. Abbiamo bisogno di persone e storie come queste. 
  
L'ultima   è  quella  di  David Yambio, è stato torturato, picchiato, umiliato da Almasri e dai suoi aguzzini. E ora, dopo l’arresto di Almasri ieri a Tripoli, l’attivista sud-sudanese fa una cosa semplicissima: ha annunciato che denuncerà e chiederà un risarcimento al governo italiano per averlo liberato e rispedito in patria con tanto di volo di Stato. Il suo racconto mette i brividi. “Sono stato torturato da lui e dai suoi uomini.
Mi ha preso a calci, mi ha chiamato schiavo e mi ha picchiato con i tubi. Ha anche sparato a delle persone davanti a me sia a Jadida che a Mitiga” ha raccontato a “Repubblica”. Non solo. Yambio, per aver denunciato Almasri, ha vissuto costantemente con la paura, si è dovuto nascondere per timore di ritorsioni. Anche per questo ha deciso di fare causa al governo Meloni con la sua ong Refugees in Lybia. Lo ha spiegato lui stesso con una chiarezza assoluta, dando a Meloni, Nordio e Piantedosi una vera e propria lezione di diritto e di dignità. “Da una parte l’arresto di ieri è una grande vittoria. Dall’altra fa ancora più rabbia quello che è successo in Italia. Almasri è stato arrestato e poi liberato e riportato a casa. Meloni e i suoi ministri, invece di proteggere e rispettare le istituzioni per cui sono stati eletti, hanno scelto di inchinarsi alle milizie che li ricattano. E hanno deciso che le ragioni di“opportunità politica” pesano più del contrasto ai crimini contro l’umanità». Questa è la realtà fuori dalla propaganda meloniana. Questa la vita vera e le conseguenze reali sulla pelle delle persone. Ne risponda Almasri, ma anche chi lo ha scandalosamente protetto. Una ferita indelebile di questo Paese.

29.10.25

gusto e sapori : salumi e formaggi il sapore di un arte antica botteghe sarde che resistono

Un profumo   che  conquista  figlio di un arte  antica  che    nel sud  d'italia   ed in particlare in  sardegna  ha    radici antiche  e profonde  sia  nella  cucina  che  nella produzione .  Infatti ci sono  antiche salumerie    specializate  nel preparli      che  ancora   resistono  



A Sassari c’è Alberti, la salumeria dei presidenti: un secolo di gusto, memoria e passione Fondata nel 1925 in via Roma la bottega ha servito avvocati politici e magistrati. Tra i clienti le famiglie di Enrico Berlinguer, Francesco Cossiga e Antonio Segni
di Rachele Falchi





Tutto inizia alla fine dell’Ottocento, quando nonna Rachele, rimasta vedova, porta avanti la famiglia con un piccolo negozio di generi alimentari all’angolo tra via Cavour e via Manno. Suo figlio Mario, poco più che ragazzino, impara presto il mestiere e a diciassette anni parte con la valigia per il “continente”. A Genova, Torino e poi Milano, lavora nelle grandi salumerie dell’epoca, respirando tecniche e professionalità che fa sue e decide di portarle per primo in Sardegna.
Nel 1925 apre la bottega di via Roma che porterà il suo nome fino ai giorni nostri. «Aveva imparato tutto ed era stato in grado di elevare il concetto di negozio alimentari racconta con orgoglio – racconta oggi con orgoglio Antonello Alberti, che per una vita ha portato avanti il lavoro cominciato da suo padre Mario –. Conosceva l’arte di bussare una forma di formaggio per sentirne il cuore, l’olfatto per capire un salume, la cura quasi maniacale per ogni dettaglio. Io son diventato discretamente bravo, ma mai alla sua altezza».
La salumeria diventa presto un punto di riferimento in città. Non solo per la qualità: «Questo mestiere non è solo servire, è anche consigliare, accompagnare le famiglie nel mangiare bene», dice Alberti. «Mio padre ripeteva sempre: “Ricordatevi che voi date da mangiare alla gente. Non potete sbagliare, perché non vendete un vestito che può essere cambiato o aggiustato: vendete qualcosa che entra nel corpo delle persone, avete una grande responsabilità”».
Negli anni, davanti a quel bancone sono passate le famiglie più note di Sassari, come quelle dei due presidenti della Repubblica, Francesco Cossiga e Antonio Segni, o del segretario del Pci Enrico Berlinguer, e non mancano gli aneddoti. «Cossiga, da ragazzo, una volta cercò di prendere una fetta di mortadella dalla macchina affettatrice… e si tagliò un dito!», racconta Alberti ridendo.
Oggi la tradizione Alberti continua grazie a Marcello Palmas e Maria Vittoria Salis, che da un paio d’anni hanno raccolto il testimone. Marcello è entrato come ragazzo di bottega nel 2009, ad appena 19 anni: è praticamente cresciuto dietro quel banco. «Provengo da una famiglia di commercianti nel settore alimentari, ma qui ho appreso tutto su cosa vuol dire davvero avere cura del cliente».
Con lui e la moglie, la norcineria ha aperto una nuova stagione: «Abbiamo potenziato la parte gastronomica – spiega –. Prima avevamo una vetrina, ora ne abbiamo due: proponiamo piatti pronti di alta qualità, dalla pescatrice alla catalana ai cibi della tradizione a seconda del periodo dell’anno».
Il negozio, però, è rimasto fedele a se stesso: gli stessi cartelli, lo stesso banco, la stessa aria di casa. «Abbiamo solo aggiunto qualcosa – dice – ma senza snaturare nulla». «Il loro compito sarà quello di anticipare le tendenze – conclude Antonello Alberti, che ancora bazzica in bottega come angelo custode –. L’importante è capire dove va la società, cosa desidera la gente e arrivarci un attimo prima».


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Mangatia, un secolo di profumi in via Università: dietro il banco c’è la storia di Sassari . Dalla campagna di Osilo al centro della città quattro generazioni di vita familiare tra formaggi, pane e memoria condivisa
                                   di Rachele Falchi





In via Università, a Sassari, dove il centro storico si stringe tra una manciata di botteghe che cercano di resistere ai tempi, c’è un profumo che non se n’è mai andato. È quello della salumeria Mangatia, aperta nel 1922 e arrivata oggi alla quarta generazione. «Tutto è cominciato con mio zio Pietro», racconta Pinuccio Mangatia, attuale titolare. «Aveva fatto il militare nei carabinieri, poi decise di aprire un piccolo magazzino qui, a Sassari. Con mio nonno Francesco, che stava fisso a Osilo, su quegli altopiani tra Nurra, Anglona e Logudoro, producevano burro, formaggi e salsicce. Mio zio caricava tutto sul calesse e veniva in città a vendere. Poi tornava in paese e ricominciava».
La bottega cresce negli anni Cinquanta, quando il padre di Pinuccio, Baingio, prende il testimone insieme alla moglie Maria Chessa, anche lei osilese. «Tutti osilesi, figli di osilesi», dice Pinuccio. «Mia madre restava in negozio anche quando mio fratello e io eravamo piccoli. Si divideva tra famiglia e bottega». Allora via Università era un’altra cosa: «Era la via Montenapoleone di Sassari – ricorda Pinuccio –. C’erano trentotto negozi, un via vai continuo di gente che andava al mercato. Tutti quelli dei paesi arrivavano alla stazione o alla fermata dei bus e passavano di qua per raggiungere l’altro punto nevralgico del centro storico, il Mercato Civico».
Il negozio è stato anche un punto d’incontro. «Da bambini giocavamo qui attorno», ricorda Pinuccio. «Ogni via aveva la sua banda. Quando avevamo fame, scappavamo in bottega per un panino con la mortadella. Il pane era quello del vicino forno Calvia».
Dopo il militare, nel 1982, Pinuccio decide di restare. Studia, si aggiorna, partecipa a corsi di salumeria a Torino e Milano, diventa anche sommelier.
Nel tempo, la bottega si consolida come un punto di riferimento in città. Pinuccio porta i sapori di Osilo e del territorio anche in televisione: alla Prova del cuoco con Antonella Clerici, presenta il pecorino di Osilo e il Granglona di Nulvi. «Non era per mettermi in mostra – precisa ma per dire che anche una piccola salumeria può rappresentare una terra e i suoi prodotti di eccellenza».
Oggi la clientela è cambiata, ma la fedeltà no. «Molti abitano fuori dal centro, ma continuano a tornare qui tutte le settimane per fare la spesa. Vengono per la salsiccia, per la ricotta mustia, per la pagnotta di Osilo, per i dolci. E poi ci sono i turisti. Ormai siamo su quasi tutte le guide nazionali più blasonate. Arrivano, entrano, e dicono: “Abbiamo letto di voi”. È una bella soddisfazione». Dietro il banco, Pinuccio lavora con la figlia Silvia, che rappresenta la quarta generazione. «Ha entusiasmo, sa usare i social, fa i reel del negozio. È lei la parte moderna di questa storia. Io ho convinto mio padre a comprare la prima macchina del sottovuoto, lei convince me a stare su Instagram». Accanto a loro ci sono Simone Tedde e Aimara Rodriguez, collaboratori fedeli.
«Sono validi e appassionati – dice soddisfatto Pinuccio Mangatia – È anche grazie a loro se riusciamo a mantenere questa qualità». Nel 2022, per i cento anni della bottega, la famiglia ha pubblicato un libro scritto da Nello Rubattu per Ludo Editore e ha festeggiato in strada, con il coro di Nulvi diretto dal fratello Fabrizio Mangatia. «Non servivano inviti - sottolinea - C’era il vino, la musica, i clienti, gli amici. Cento anni da festeggiare tutti insieme». Oggi Mangatia non è solo un negozio. È un frammento di memoria cittadina.


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Salsamenteria, la bottega dei sapori che punta su primi e secondi
di Enrico Gaviano

I fratelli Michele e Fabrizio Cherchi


Dal 1997 la famiglia Cherchi a Cagliari porta avanti un progetto di qualità che unisce salumeria e cucina. Prodotti selezionati piatti curati e una continua ricerca trasformano ogni pranzo in un’esperienza autentica fatta di passione e territorio
Dalla piccola salumeria di paese a Monserrato alla bottega con cucina nel centro di Cagliari. La “Salsamenteria” di via Sonnino ha chiuso nel 2017 un cerchio nel percorso dei fratelli Cherchi iniziato nel 1997. «Volevamo una bottega di qualità – dice Michele Cherchi – con prodotti che magari non si conoscono o si conoscono poco. Il nome Salsamenteria è stato scelto rispolverando un termine in uso nel passato e che è stato sempre sinonimo di negozio dove si vendono salumi e formaggi e altri prodotti tipici».
Partenza da Monserrato. «Abbiamo rilevato nel ‘97 una bottega in via San Gottardo tuttora aperta e dove lavora mio fratello Corrado – ricorda Michele –. Eravamo una famiglia monoreddito ma la maggior parte dei soldi veniva spesa in cibo di qualità. Una scelta che è diventata uno stile da seguire nell’attività aperta con il sostegno dei miei genitori».
Michele lavora alla Salsamenteria con il fratello Fabrizio e la sorella Alice. «La Salsamenteria è un nome che è piaciuto moltissimo anche all’agenzia a cui avevamo affidato la comunicazione per lanciare la nuova attività». Bottega con cucina dunque che ha dato a Cagliari una alternativa nel settore enogastronomico. «Fare una bottega con più servizi da offrire – spiega Michele – è stata una esigenza commerciale: non volevamo limitarci a essere aperti per fare la spesa. La cucina funziona a pranzo e non
diamo il semplice paninetto, il tramezzino, il business lunch o il sandwich».
Per esempio? «Abbiamo menù completo e fuori menù con antipasti, primi e secondi e ancora i panini: la focaccia con pancetta cotta, la tartare di manzo, la carne salada trentina, la trota salmonata e tanto ancora. Ovviamente i piatti di salumi e formaggi. In cucina Alberto Busonera e mia sorella Alice, ma tutti collaboriamo nel servizio di sala, siamo in 7 e c’è davvero bisogno del mutuo soccorso per servire ai tavoli e stare dietro i banconi». La qualità dei prodotti e la ricerca continua fa parte del lavoro che i Cherchi sta portando avanti.
«Il percorso di crescita è stato sempre nelle nostre corde, ascoltando le esigenze e le richieste dei nostri clienti – osserva Michele –. Mi sono messo a studiare dopo aver dato un’informazione sbagliata. Una cliente che aveva acquistato del blu shilton, un erborinato proveniente dall’Inghilterra, mi chiese da quale latte venisse ricavato. Risposi pecora ma poi mi venne il dubbio e scoprii che si trattava di latte vaccino». Ortofrutta, pane, conserve, caffè, vino e poi il punto forte di Salsamenteria: formaggi e salumi sardi, italiani e del resto del mondo.


«Abbiamo una novantina di formaggi diversi e un'offerta vasta di prodotti di salumeria – dice Michele –. Ovviamente l’isola è in primo piano: La Sardegna ha una qualità di materie prime alta e aziende che si sono impegnate per migliorare le loro produzioni. La biodiversità faunistica e floristica dell’isola è unica. Manca semmai la capacità di comunicare al meglio tutto questo». In particolare Michele Cherchi si sta impegnando per la promozione dei formaggi isolani. «Mi piace far conoscere questo mondo e fare dei corsi che aiutano a capire le nostre eccellenze. I formaggi sono un po’ come i vini: dipendono dal clima, dal tipo di animale che produce il latte e dalla sua alimentazione. E noi abbiamo sotto questo profilo molti punti favorevoli».

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A Oristano c’è Cibum, dal tagliere alla tavola I sapori tradizionali incontrano la ricerca. Salumi, formaggi e vini diventano esperienza. Nato nel 2016, rappresenta un nuovo modo di vivere la salumeria. Alessandro Soriga seleziona eccellenze sarde e italiane
di Caterina Cossu



Dove un tempo c’era una delle botteghe più conosciute della città, oggi si respira ancora l’aroma dei salumi e dei formaggi di qualità, ma con un’anima nuova. È la storia di Cibum, locale alle porte del centro di Oristano aperto nel luglio del 2016. Raccoglieva allora l’eredità della storica Salumeria di Epifania, punto di riferimento per gli oristanesi a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila.
Oggi il titolare Alessandro Soriga, quarantenne, l’ha fatto diventare un piccolo tempio di prelibatezze: «Dopo un'esperienza in una salumeria di quartiere, dove ho potuto imparare il mestiere dietro il banco e fare tanta formazione, ho deciso di mettermi in gioco – racconta Soriga –. L’idea è nata leggendo un articolo su una salumeria di Bologna che la mattina serviva i clienti con affettati e formaggi come in una bottega tradizionale, e la sera si trasformava in locale per apericena. Mi sono detto: perché non portare questo concetto anche a Oristano?».
Così è nato il concept di Cibum: un progetto che unisce tradizione e innovazione, e ha superato l’idea della «vecchia salumeria di quartiere». Questo è un luogo dove il gusto incontra la ricerca, l’artigianalità diventa racconto e, tra un tagliere e un calice, si continua a vivere una storia tutta oristanese di passione e qualità.
«Ho sempre detto che Cibum è in continua evoluzione perché il mondo della salumeria è pieno di stimoli – spiega –. Ogni prodotto che scopro mi suggerisce nuove combinazioni e ricette per i nostri panini, pinse e taglieri. Si tratta proprio di abbinare i sapori».
Una filosofia che si traduce quindi in una ricerca costante del prodotto artigianale, locale e nazionale, scelto direttamente da affinatori e piccoli produttori.
«Abbiamo sempre cercato le eccellenze, sia estere che italiane, ma con un’attenzione speciale per la Sardegna – spiega ancora –. La nostra isola offre una materia prima straordinaria: allevamenti e pascoli stanno migliorando e da lì nascono le vere qualità». Nel banco di via Verdi si trovano salumi di maiale sardo, qualche specialità di cinghiale e manzo, e collaborazioni con aziende locali: «Per esempio i fratelli Pinna di Gonnosfanadiga, e il marchio Bonesa di Ploaghe, insieme ad altri produttori che ruotano durante l’anno – elenca –. Tra le novità più apprezzate ultimamente c’è la mortadella di maiale sardo allevato allo stato semibrado, profumata al mirto e miele, che ha conquistato turisti e clienti locali».
Da grande appassionato e ora esperto, sul fronte dei formaggi Soriga osserva con interesse i cambiamenti del settore: «I freschi stanno prendendo piede, in stile francese. Le aziende puntano a vendere più in fretta, con stagionature più brevi, ma si trovano comunque prodotti di grande qualità, che incontrano i gusti del mercato».
Il locale è diventato in città un punto di incontro tra chi cerca un aperitivo curato e chi vuole semplicemente acquistare prodotti di alta qualità. Nella vetrina del gusto oristanese selezionata con proposte collaudate e novità sfiziose, il guanciale sardo è il re incontrastato: «È il più richiesto nei nostri panini e nelle pinse – conferma Soriga –. Ma anche pecorini, lardo e salsicce artigianali ci danno grandi soddisfazioni, affettati e nelle ricette».
E per completare l’esperienza, non mancano i consigli sugli abbinamenti: da Cibum, infatti, la cantina rispecchia la ricercatezza dei prodotti gastronomici. «Con i salumi stanno bene sia birra che vino, rosso o bianco. Ma le bollicine restano le mie preferite: sgrassano il palato e valorizzano i sapori – spiega ancora Soriga –. Ai clienti più affezionati propongo anche un gin tonic con gin sardo: un abbinamento sorprendente».

4.10.25

I negozi che resistono all’onda online

unione  sarda  4\10\2025






In mezzo a tanti che chiudono, ci sono quelli che resistono. Sono i negozi storici incastonati nel centro e nel litorale che da anni accolgono generazioni di quartesi. Sono quelli che non si sono fatti spazzare via nemmeno dai grandi centri commerciali e dal boom degli acquisti online, forti del rapporto di familiarità instaurato con i clienti.
Geppetto fa 60 anni
In via Paganini, ha nei giorni scorsi festeggiato i sessant’anni il negozio di giocattoli Mastro Geppetto. Ad aprire l’attività fu Luisanna Vacca nel 1965. Per lei che aveva la passione per le bambole di porcellana fu quasi un sogno portarle nel suo negozio. A lei subentrò la figlia e poi il nipote Davide Orgiana 48 anni che è attualmente alla guida del negozio assieme alla moglie Stefania Siddi 47. «Dopo le bambole di porcellana nel negozio di mia nonna arrivò piano piano anche altro», racconta Orgiana, «prima le bambole di pezza, poi quelle in legno fino ad arrivare ai giocattoli vari». Fu la prima giocattoleria nell’hinterland. «Siamo arrivati alla terza generazione» aggiunge Orgiana, «ma oggi è cambiato tutto. Anche se i bambini hanno sempre quella meraviglia negli occhi quando entrano qui, è cambiata la mentalità dei genitori. Si preferiscono i giochi tecnologici. Le case sono più piccole non ci sta più tanto».
Abbigliamento dal 1950
Nel cuore del centro storico, in via Vittorio Emanuele, c’è uno dei pochi negozi di vestiti rimasti in città: l’Abbigliamento Caria, aperto da 75 anni.«Ad avviare l’attività fu mia mamma Elena Caria a cui siamo subentrati io e mio fratello» racconta Franco Ziri, «all’inizio vendeva di tutto: tessuti, vestiti, merceria. I clienti non sono mai mancati, ma quello che è inevitabilmente cambiato in tutti questi anni è il mercato. Soprattutto i negozi di abbigliamento chiudono con grande facilità perché molti si improvvisano. Io credo che il segreto per resistere sia la costanza. Essere al servizio della gente e non perdere mai la gentilezza». Aperto dal 1950 è anche il famosissimo negozio di stoffe Geppino in via Umberto, proprio davanti al mercato civico.E poi ci sono la pizzeria Vecchio Forno in via Diaz che a giugno ha festeggiato 70 anni e il negozio di elettrodomestici Murru in via Diaz.
L’ottantenne al comando
In via Umberto, si avvicina al traguardo dei sessant’anni la Ferramenta di Giorgio Cardia 80 anni: «Ho preso l’attività 57 anni fa. Prima non ci facevano tanti problemi e si poteva vedere di tutto, così c’era ferramenta ma anche generi alimentari. Erano gli anni del boom dell’edilizia quindi vendevamo tanto. Adesso, continuiamo a vendere ma i prezzi dei prodotti sono aumentati e i clienti fanno più fatica». Per andare avanti, «si lavora giorno e notte, perché i clienti sono esigenti e senza soldi». Con lui dietro il banco c’è suo figlio Andrea. «Mio figlio ha voluto seguirmi in questa attività. Peggio per lui. Io gli dico sempre che è come un condannato a morte. Tutto il giorno qui dentro».

21.8.25

Il suo nome è Angela Attanasio, ha 35 anni, è una giovane imprenditrice turistica di quelle serie, che ha investito nella sua terra, le isole Tremiti, e crede nella cultura del lavoro. Anche per questo è finita nel mirino dei clan

 Il suo nome è Angela Attanasio, ha 35 anni, è una giovane imprenditrice turistica di quelle serie, che ha investito nella sua terra, le isole Tremiti, e crede nella cultura del lavoro.Anche per questo è finita nel mirino dei clan.Qualche giorno fa, in piena notte, degli ignoti e vili delinquenti le hanno squarciato metà della flotta di gommoni che Angela noleggia da decenni sull’isola.Il messaggio è chiarissimo, oltreché di una violenza inaudita: “Fermati. Qui ci siamo noi”.Angela Attanasio invece non si è fermata e soprattutto non è rimasta zitta.Ha presentato una denuncia ai carabinieri e ha denunciato tutto pubblicamente. Chiamando le cose col loro
nome.
“Ho subito un vile atto intimidatorio di natura mafiosa. Faccio questo video perché sicuramente la persona che ha fatto questo gesto vile lo vedrà e spero che si senta un po' in colpa. E, soprattutto, per dare una voce di allarme perché ci troviamo in un posto meraviglioso, ma non siamo assolutamente tutelati.Non è possibile investire in un luogo in cui nessuno protegge noi giovani, che vogliamo fare impresa, in un luogo già di per sé difficile e che così diventa impossibile. Atti simili di stampo mafioso e inqualificabili non possono passare sotto silenzio. È ora di dire no e di denunciare con forza una situazione ormai insostenibile.”E subito è partita spontaneamente una raccolta fondi che le ha permesso di ripartire in un momento difficilissimo.Angela Attanasio è un esempio di donna coraggiosa che combatte e si ribella al potere di clan più o meno grandi.Siamo in tanti con lei.Ma non basta il sostegno di singoli, generosi, cittadini. Ora tocca , almeno si spera , allo Stato stare dalla sua parte

25.4.25

la resistenza non è solo il 25 aprile ma lottare tutti i giorni , la resisenza è ....

 


“Il 25 aprile non una festa comunista”.E dei liberali. E dei socialisti, e dei cattolici e degli azionisti e dei democratici e di chiunque abbia combattuto contro la dittatura per la libertà. E, se chiunque può dire, pensare e scrivere una tale bestialità storica è esattamente grazie al 25 aprile e alla Liberazione. “Il 25 aprile non è una festa ormai superata”.Sì, superata da chi ha sdoganato il fascismo in politica, nella società, dai nostalgici che lo ricordano e lo rievocano, da chi ha giurato sulla Costituzione e la stupra ogni giorno, da chi ha i busti del duce in casa, da chi al fascismo strizza l’occhio e ritira la mano.E nessuno che ricordi mai la più semplice delle verità: il fascismo non è un’opinione, è un crimine.“Il 25 aprile non è di tutti”.E non è per tutti, ma per chi conosce la Storia, la la Costituzione, la Dignità. Ma, in fondo, anche chi si può permettere oggi di non festeggiare il 25 aprile può farlo proprio perché il 25 aprile ESISTE. Perché il contrario di fascismo non è comunismo ma democrazia. Quella di cui tanti oggi godono senza meritarla.

12.4.25

La memoria delle Resistenze per uscire dall'ombra del presente

  da HuffPost Italy

La storia non è un mausoleo di memorie spente da omaggiare con gesti rituali. Non è il riparo dei reduci, ma una sorgente viva: un repertorio di ispirazione e di possibilità. Ed è ancora più vero se pensiamo alla memoria delle Resistenze europee contro il nazifascismo.
Si è provato a disinnescarla la forza generativa di quella storia, eppure continua a premere sul presente, chiamandoci al cospetto di scelte che non sono mai state né ovvie né scontate
La stagione delle Resistenze che hanno attraversato l’Europa nel cuore del Novecento è un crocevia ancora percorso dalle vicende di uomini e donne che, spesso con discrezione e nella consapevolezza che anche il più piccolo gesto potesse fare la differenza, hanno scelto di non essere complici o spettatori. Studenti, impiegate, operai, contadini, madri, insegnanti, preti, infermiere, come Lelia Minghini, giovane infermiera dell’ospedale Niguarda, che raccontiamo nel podcast Microstorie della Resistenza.
Persone comuni che – in sella a una bicicletta, nel chiuso di una copisteria, tra i corridoi di un ospedale – hanno lottato per la loro e la nostra libertà.
Quelle lotte non furono semplicemente la reazione a un’occupazione o a una dittatura. Furono esperienze concrete di riappropriazione collettiva del destino comune, tentativi di riscrivere il patto tra cittadino e Stato, tra libertà e giustizia.
Ha scritto, molti anni fa, lo storico Lucien Febvre come sia “proprio nelle epoche di crisi e di transizione che fioriscono gli indovini e i progetti”. La Resistenza è soprattutto questo: lo sguardo puntato sul «domani», malgrado un profondo smarrimento. Ce lo dicono le parole scritte di getto da Giaime Pintor nei giorni stessi del ritorno a casa dei militari italiani che, all’indomani dell’8 settembre 1943, cercano ragioni e parole in grado di aprire i cuori e dare nuove prospettive a chi si sente naufrago nell’Italia della dittatura, ma non rinuncia a pensare e fare insieme. È la stessa condotta a cui sollecita un giovane Eugenio Curiel già alla fine degli anni ’30 e che nei mesi duri della lotta nell’inverno ’44-’45 diventa azione. Un inverno di cui Curiel non vedrà la fine, ma che è carico della consapevolezza che la liberazione è solo l’inizio di un percorso. E quel percorso sarà possibile se si vivono le scelte come bivio, come misura del prezzo da pagare, delle responsabilità da assumere senza illusioni, come scrive Leo Valiani nel 1944, ma con una grande voglia di progetto.
In Italia, in Francia, nei Balcani, nei Paesi Bassi e altrove, uomini e donne di ogni estrazione hanno rischiato la vita per affermare che nessun potere ha diritto di spogliarci della dignità, della parola, della solidarietà. Quelle scelte hanno gettato le basi delle democrazie europee, delle Costituzioni, del principio secondo cui i diritti non sono concessioni ma conquiste.
Oggi che i linguaggi dell’odio, del revisionismo e della nostalgia autoritaria tornano a farsi largo, ricordare le Resistenze non è esercizio celebrativo ma necessità civile. Le minacce alla libertà si insinuano nella diseguaglianza strutturale, nella precarietà elevata a norma, nel discredito sistematico della partecipazione, nei contrappesi democratici via via delegittimati.
Per questo, la memoria delle Resistenze è oggi una risorsa per uscire dall'ombra del presente. L’antifascismo non è un capitolo da archiviare, ma un alfabeto che oggi ci aiuta a comporre nuove parole. È la grammatica del nostro stare insieme, il collante che tiene insieme le differenze senza annullarle, che ci insegna a discutere senza annientare, a dissentire senza disumanizzare. È un impegno che si rinnova ogni volta che scegliamo il dialogo invece del dominio, la cura invece del profitto, la memoria invece della rimozione. L’antifascismo non è solo la radice della nostra democrazia: è il respiro che tiene uniti cittadini e cittadine per un futuro di libertà e di diritti, da immaginare e conquistare giorno per giorno.

25.2.25

diario di bordo n 105 anno III . Rania zariri da popstar in olanda a clochard ad Avellino ., Salvi dalla fucilazione, piantano un albero: la storia del monumentale “Piopp de Ambrous” le medaglie olimpiche del 2024 sono patacche

Da popstar a senzatetto. È la storia incredibile e drammatica di Rania Zariri, una vera celebrità del mondo dello spettacolo in Olanda che ora vive per strada ad Avellino. Dopo la morte della madre, all'improvviso il buio, con problematiche psicologiche e depressive, condizioni che l’hanno portata a vivere per strada ora si è ritrovata a vivere senza fissa dimora a girovagare per l'Irpinia. Anche i suoi amici olandesi stanno lanciando appelli per salvare questa donna che anni fa era una stella nascente nello spettacolo.
La giovane donna, trentenne, trovandosi in una situazione di grave difficoltà e senza dimora, è stata soccorsa nei giorni scorsi dalla polizia municipale e dai servizi sociali del Comune di Avellino, che hanno tentato di offrirle un aiuto concreto. Nonostante l'impegno delle istituzioni, Rania ha rifiutato ogni forma di assistenza, dichiarando con fermezza «il desiderio di restare libera e di rivendicare il diritto all'autodeterminazione». La sindaca Laura Nargi ha avviato un dialogo con le autorità competenti e con l'azienda sanitaria locale per predisporre un piano di assistenza mirato. L'intento è quello di garantire a Rania un'accoglienza sicura in una struttura adeguata, dove potrebbe ricevere supporto sia dal punto di vista sociale che sanitario.
«Non siamo rimasti indifferenti di fronte a questa emergenza- ha dichiarato la sindaca - importante una risposta tempestiva e coordinata. L'obiettivo principale dell'amministrazione è sempre stato quello di offrire a Rania una via d'uscita dalla sua condizione di precarietà, coinvolgendo tutti gli enti preposti per costruire un percorso di recupero e reinserimento nella comunità». Ma Rania ha opposto un netto rifiuto all'assistenza proposta, dichiarando la volontà di non essere vincolata a strutture o programmi di recupero, ritenendo che la libertà personale debba prevalere su qualsiasi intervento esterno.
L'ex popstar ieri da Avellino si è incamminata ed è arrivata a Mercogliano, dove, questa notte, ha dormito sotto una pioggia battente. «Stiamo cercando di aiutare la giovane cantante olandese in difficoltà. Sono in contatto con l'ambasciata olandese-ha detto  il sindaco di Mercogliano, Vittorio D' Alessio- alla quale ho spiegato la situazione di Rania e sto ricevendo le giuste indicazioni. Intanto, è sul posto la psicologa Michela Bortugno dei nostri servizi sociali che sta tentando di dialogare con la ragazza. Abbiamo già ottenuto la disponibilità di una struttura sul territorio, nella quale poter ospitare Rania non solo per una doccia, ma un posto sicuro per consentirle un recupero psicofisico».
Per Rania si sta impegnando anche Francesco Emilio Borrelli, il parlamentare napoletano. «Faremo da tramite con l'ambasciata olandese affinché possa essere messa in contatto con la famiglia - ha detto Borrelli - la storia di Rania è la testimonianza di come ognuno di noi, nessuno escluso, possa vivere, a prescindere dalla condizioni di partenza, dallo stato sociale, dalla professione, dal successo, momenti drammatici e farsi sfuggire dalle mani il controllo della propria vita».«Rania Zeriri è a Mercogliano». È un nome che a molti potrebbe non dire nulla, ma in olanda Rania è una pop star molto famosa. La 39enne ora si trova ad Avellino, non su un palco o in qualche hotel di lusso, ma per strada, come clochard. Sono tantissimi gli appelli sui social che riguardano la giovane donna. Il sindaco Vittorio D'Alessio ha condiviso un post sulla sua pagina Facebook
Gli aiuti

«Sono in contatto con l'Ambasciata olandese»  afferma il sindaco «alla quale ho spiegato la situazione di Rania e sto ricevendo le giuste indicazioni. Intanto, è sul posto la psicologa Michela Bortugno afferente ai nostri servizi sociali che sta tentando di dialogare con la ragazza.Abbiamo già ottenuto la disponibilità di una struttura sul territorio, nella quale poter ospitare Rania non solo per una doccia, ma un posto sicuro per consentirle un recupero psicofisico».


La giovane, infatti, «Dopo la morte della madre ha sviluppato psicosi e depressione, condizioni che l’hanno portata a vivere per strada ora si è ritrovata a vivere senza fissa dimora ad 
Avellino. Ora, la sua famiglia la sta cercando in Olanda».Secondo gli ultimi aggiornamenti, come condiviso sui social di Francesco Emilio Borrelli, i soccorritori assieme al sindaco Di Mercogliano hanno convinto oggi Rania, per la prima volta, ad accettare aiuti e cure.
Chi è Rania Zeriri
Rania Zeriri è una cantante olandese, nata il 6 gennaio 1986 a Enschede, nei Paesi Bassi. Cresciuta in una famiglia mista, ha studiato spagnolo in Spagna e ha lavorato nel settore dell'animazione turistica, iniziando a cantare in alberghi. Ha guadagnato notorietà partecipando alla quinta edizione del talent show tedesco "Deutschland sucht den Superstar" (DSDS), dove si è classificata quinta.
La sua carriera musicale è decollata dopo il programma, con la pubblicazione del suo singolo di debutto "Crying Undercover" nel 2008. Rania ha anche affrontato controversie durante la sua partecipazione al DSDS, inclusa un'accusa di uso di droghe, che ha respinto pubblicamente. Oltre alla musica, ha studiato al Conservatorio di Enschede e lavora come reporter per un'emittente locale.

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Salvi dalla fucilazione, piantano un albero: la storia del monumentale “Piopp de Ambrous

da mbnews

Varedo. Sono 207 gli alberi monumentali presenti in Brianza. Giganti verdi custodi non solo di maestosità e bellezza, ma anche di storie lontane. E tra questi, c’è un albero in particolare che è testimone di un periodo storico importante per tutti noi: quello della


Seconda guerra mondiale. Si tratta del Pioppo di Varedo, “nato” nel 1946 come simbolo di libertà. I protagonisti di questa incredibile storia sono Carlo e Ambrogio, due fratelli. A raccontarci del loro pioppo è Saro Sciuto dellAssociazione RAMI che ha raccolto la testimonianza di Ambrogio.
Il Piopp de Ambrous: l’albero simbolo di libertà

“La famiglia di Carlo e Ambrogio vive accanto alla Villa Bagatti, quartier generale dei nazisti in quel di Varedo. Visto l’orientamento politico non in contraddizione con gli obiettivi nazi-fascisti, sono ben conosciuti dal luogotenente locale, e la vicinanza tra i due edifici è talmente esigua da permettere al piccolo Ambrogio di poter guardare perfino nell’aia della storica villa, costruita nel secolo precedente”, spiega Sciuto. L’inizio di questa storia, però, risale al 10 luglio 1943.“Ambrogio ha soli 3 anni e 3 mesi: dalla radio un severo quanto speranzoso annuncio recita che gli Alleati sono sbarcati in Sicilia. Il piccolo Ambrogio è accanto al luogotenente e non dimenticherà mai l’espressione del nazista che esclama per ben tre volte un rassegnato: ‘Non va bene, non va bene, non va bene'”.
La guerra e quel pioppo di Varedo piantato per dire “grazie”

Da quell’estate del ’43, i ricordi di Ambrogio fanno un salto fino al 1945: i nazisti sono costretti alla resa e hanno ormai raccattato i loro averi, pronti per imboccare, a una certa altezza, la statale dei Giovi.
“A partenza imminente, un facinoroso antifascista sbuca da un bar e spara, ferendo mortalmente un tale Otto, che muore sul colpo. Il suo corpo resterà nel cimitero di Varedo per oltre 70 anni. La rappresaglia è praticamente immediata: vengono presi in ostaggio dai soldati sette uomini, tra i quali Carlo e suo fratello, pronti per essere giustiziati. Ma la regola nazista dice che devono essere dieci i condannati a morte per ogni singolo tedesco ucciso. Si cercano gli altri tre, ma in giro tutti si sono dileguati come potevano”, racconta ancora Saro Sciuto, che ha raccolto la testimonianza dell’anziano brianzolo.“Nel frattempo, il caporale tedesco riconosce in mezzo al gruppo Carlo e suo fratello e ordina che queste due persone non vengano giustiziate. Si cercano così inutilmente altri cinque uomini, che furbescamente si erano dileguati in vari nascondigli, chissà dove. La rappresaglia non viene eseguita e il capo ordina che per tre giorni nessuno si facesse vedere in giro e per nessun motivo. L’invito, però, non viene colto da tutti e alcuni curiosi vengono uccisi da infallibili cecchini. La guerra è finita”, conclude.
Come ringraziamento alla vita per essere stati risparmiati, nel 1946, quando Ambrogio ha solo 6 anni, i due fratelli mettono a dimora nel loro campo di Varedo due pioppi, uno accanto all’altro.
Tra i 207 alberi monumentali in Brianza, anche il Pioppo di Varedo

Di quei due pioppi, oggi ne è sopravvissuto solo uno. Ha 80 anni e misura ben 4 metri di circonferenza. Un gigante verde che custodisce un pezzo di storia davvero importante e sicuramente molti ricordi. Ambrogio accanto al suo pioppo. Foto di Saro Sciuto“Un albero della libertà? – conclude Sciuto – Ambrogio non lo reputa tale, perché il belligerante lustro ad Ambrogio non ha portato, tutto sommato, dolore, ma il contrario”.


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Mostra lo stato della medaglia d’oro vinta a Parigi 2024, non sa cosa fare: “È da restituire?”

 da  fanpage


Ancora una volta si torna a discutere delle medaglie degli ultimi Giochi di Parigi. Un altro atleta si è lamentato e non poco per le condizioni del prestigioso cimelio vinto alle ultime paralimpiadi. Si tratta di Hunter Woodhall, che ha conquistato l'oro nella prova dei 400 metri T62 maschili. A soli cinque mesi dal successo, in un video suo social, il classe 1999 americano ha posto ai suoi followers una domanda sulla fine da far fare alla

medaglia.
Woodhall ha mostrato a tutti le condizioni della sua medaglia. In realtà il problema non è il premio vero e proprio, ma il laccio che lo tiene legato che si è quasi completamente tagliato. Per questo il campione olimpico nel video ha spiegato: "Ho bisogno del vostro parere su una questione. Come avrete visto, ho strappato accidentalmente il nastro della mia medaglia di Parigi. Mi sono rivolto agli organizzatori e hanno detto che avrebbero riparato il nastro. L'unico problema è che non puoi rimuoverlo senza rovinare la medaglia, quindi ho due opzioni".L'atleta può seguire solo due strade a questo punto: "O tengo la medaglia originale e aggiusto il nastro cucendolo e quindi possono tenere il tutto con ammaccature e colpi. Oppure posso rispedire indietro la medaglia e loro possono inviarmene una nuova con un nastrino fisso. In questo caso però sarà una medaglia diversa. Non riusciamo proprio a decidere". 
Molto combattutto dunque Woodhall che si unisce al coro dei campioni olimpici e paralimpici che hanno avuto a che fare con problemi alle loro medaglie. Sono circa 100 gli atleti che hanno restituito i loro cimeli, alcuni di questi a causa di danni e ruggine. Una situazione che ha alimentato il dibattito sulla qualità dei premi, non proprio di primissimo livello. Infatti secondo la stampa francese, la dirigenza dell'azienda produttrice delle medaglie è stata tagliata fuori dal comitato olimpico. I problemi sono sorti proprio a causa della mancanza di tempo nella realizzazione delle stesse che ha portato ad un'accelerata nei test.

27.11.24

In piazza Duomo a Firenze la bottega dei colori che resiste al mangificio., Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»

 Corriere della Sera
In piazza Duomo la bottega dei colori che resiste al mangificio


In questi anni hanno visto la città intorno cambiare, gli artigiani chiudere, le botteghe trasformarsi in locali e store internazionali, ma loro sono rimasti fedeli a se stessi: la bottega di Belle Arti Zecchi. Dopo qualche mese di trasferimento in un magazzino a pochi metri di distanza, per consentire i lavori di restauro dell’antico palazzo, di proprietà dell’Opera del Duomo, la bottega è tornata nei locali storici di via dello Studio 19 rosso. 
Oggi come un tempo qui si possono trovare colori, pigmenti, strumenti usati da pittori, artisti, decoratori, artigiani. «Sopravviviamo perché abbiamo prodotti particolari, molto di nicchia, e un marchio nostro che spediamo in tutto il mondo», spiega Sandro Zecchi, che insieme al fratello Massimo porta avanti l’attività di famiglia. «Abbiamo creato un punto di incontro tra tecniche antiche, medievali e rinascimentali e quelle dei nostri giorni».
Nell’edifico aveva sede nel Trecento lo Studio Fiorentino, la prima università di Firenze. 
Era già presente fin da tempi antichi una bottega dei colori, centro di riferimento per artisti e professionisti, dai pittori famosi agli artigiani fiorentini fino ai giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti. La presenza di un negozio di colori chiamato «Colorificio Toscano» in questa via risale alla seconda metà dell’800.
Nel 1920 il fiorentino Ugo Ercoli rilevò la bottega d’arte trasformandola in un punto vendita di colori. Adolfo Zecchi, padre degli attuali proprietari, entrò a lavorare nella mesticheria durante la Seconda Guerra Mondiale e dopo pochi anni rilevò l’attività. Negli anni 70 i figli Sandro e Massimo incrementarono la rivendita di colori e materiali per le Belle Arti recuperando le antiche tecniche pittoriche ed artigianali della tradizione fiorentina, guidati dal trattato trecentesco di Cennino Cennini «Il Libro d’Arte». 
Nel corso degli anni Zecchi ha fornito materiali all’Opera House di Sidney, al Paul Getty Museum di Los Angeles, per accademie in Giappone, Stati Uniti, Brasile, Cipro, Israele, per la cappella Brancacci, per la basilica di Assisi ed il Duomo di Firenze. Qui si possono ancora trovare la tempera all’uovo «Cennini» o il preziosissimo Blu Oltremarino di Lapislazzuli, ma anche colori a olio, gli acrilici e le tempere, tele a metraggio e tavolette a gesso, gomme e resine naturali, materiali per doratura, carte a mano e pergamene, cere solide e paste adesive. 
«Da bambini dopo la scuola venivamo qui a curiosare,
 siamo cresciuti in bottega», racconta Sandro. Ricorda la Firenze di allora e vede quella di oggi. «È stata stravolta. Prima nel centro storico c’erano magazzini e grossisti, era un centro distributivo. E c’erano tanti artigiani, che erano la spina dorsale della città. Ora gli artigiani non ci sono più, e i giovani non hanno interesse a continuare i mestieri, che pure potrebbero rendere». Sandro e Massimo per fortuna hanno i due figli a cui poter lasciare l’attività. «Sono in bottega con noi. Poi ci sono i dipendenti: siamo una buona squadra». 

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  non ricordo  la fonte



Il negozio di vinili che dice no al Black Friday: «Clienti da tutta la Toscana, il nostro segreto è la roba popolare»



CECINA. «Nel mio negozio non si fa il Black Friday, sono fuori da queste dinamiche». È contro tendenza Alessio Cruschelli, titolare di Slow Record Shop di Cecina, negozio che vende i vinili e tutto ciò che è collegato a questi oggetti, tornati in voga da una decina d’anni.

Cruschelli, da Slow Record Shop non si trovano le offerte targate Black Friday. Come mai?

«Ho un’area in negozio dedicata al materiale sottocosto, che ha un costo minore rispetto agli altri pezzi per varie ragioni. A livello commerciale capisco il senso del Black Friday, ma lo vedo utile soprattutto online».

Voi vendete anche online i vostri prodotti?

«Abbiamo il sito e i profili Instagram e Facebook, ci si deve muovere con più canali. Ma per noi l’online è solo una parte del negozio, ma non è decisiva».

Gli affari vanno meglio nel negozio fisico quindi.

«Chi entra non trova solo il vinile, ma tutto ciò che riguarda il mondo di questi dischi: giradischi, amplificatori, casse. Il negozio va bene. Abbiamo aperto nel 2013, fino a sette anni fa eravamo in 38 metri quadri, ora siamo in uno spazio che di metri quadri ne ha 235, con un grande open space».

Perché scegliere di venire in negozio e non comprare online?

«In negozio ti puoi interfacciare con una persona, e se hai qualche problema la persona è pronta a risolvertelo. Con i grossi competitor online, questo è impossibile. Chi viene da me e ha un problema con il giradischi, io sono in grado di trovare una soluzione. Però nei negozi fisici c’è un gap al rialzo nei confronti del web, ci sono dei passaggi in più del materiale che si vende. Quindi chi viene qui deve essere disposto a spendere di più che sui siti»

I vostri clienti sono solo cecinesi?

«Con il nuovo negozio vengono da tutta la provincia di Livorno, e anzi, da tutta la Toscana. Non dico da tutta Italia, ma quasi».

Vi siete fatti pubblicità online?

«Online abbiamo sempre fatto poca pubblicità. Si è sempre contato sulla bontà del passaparola. Per me i dischi sono un’opera d’arte, ne ho una visione un po’ naif. E invece in questo mondo (nel mercato, ndr) devi essere uno squalo. Infatti io metto il prezzo dietro la copertina, e in una piccola etichetta, per non sciupare la bellezza del disco. Ma un po’ mi sono dovuto adeguare, ora tengo anche Claudio Villa».

Vendete tutti i tipi di vinili...

«Vendo sia la stampa originale, del periodo di uscita del vinile, che le altre versioni. I grandi classici servono a catalizzare l’attenzione: i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin. Ma vanno tanto anche i più contemporanei: Nirvana, Pearl Jam, Artic Monkeys».

E tra gli italiani?

«Va il cantautorato: Dalla, Battisti, De André, De Gregori, Paolo Conte. La musica super contemporanea invece va meno. Per arrivare fin qui, sono partito da roba popolare e prezzi accessibili».

15.7.24

Nuova intimidazione alla sua azienda. Ma Patrizia Rodi Morabito resiste: non lascio la Calabria



la calabria non solo società sparente , emigrazione ed omertà come ( ne ho parlato precedentemente in un post ) nel caso di SAN LUCA, ASPROMONTE Terra di ’ndrangheta Il Comune calabro dove nessuno si è candidato è di nuovo commissariato Tra abbandono e omertà, qui il tempo torna indietro E il futuro non arriva mai, ma che di resistenza e di lotta come il caso Patrizia Rodi Morabito  (  foto a sinistra   tratta   dalla stessa  fonte  dellì'articolo ) , proprietaria di uun azienda agricola e imprenditrice di Rosarno, vicepresidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, che subisce minaccie ed attentati .
 Ma non si arrende .
E' notizia di questi giorni di


da www.avvenire.it

Secondo incendio in appena due settimane all’azienda agricola di Patrizia Rodi Morabito, imprenditrice di Rosarno, vicepresidente della Camera di Commercio di Reggio Calabria, dirigente di Coldiretti e membro del Servizio per la pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. È la quarta intimidazione in soli quattro mesi all’azienda di famiglia “Tenuta Badia-Rodi” che coltiva soprattutto ulivi, agrumi e kiwi in biologico.lo scorso 5 marzo le sono state tagliate e incendiate alcune piante secolari di ulivo. Il 16 marzo ignoti hanno abbandonato rifiuti di ogni genere davanti al cancello dell’azienda, mentre altri rifiuti sono stati lasciati all’interno del terreno. E nella stessa tenuta hanno divelto una sbarra di accesso. Uno sfregio commesso il giorno dopo la visita del prefetto di Reggio Calabria, Clara Vaccaro, e del presidente della Camera di commercio, Antonio Tramontana, un gesto di solidarietà e attenzione nei confronti dell’imprenditrice. Quindici giorni fa proprio dai rifiuti è partito l’incendio che ha danneggiato l’impianto irriguo e quattro ettari coltivati a kiwi. Ieri altre fiamme, questa volta partite non dalla strada ma all’interno dell’azienda, in un luogo simbolico, dove nel 2000 erano stati incendiati dei capannoni i cui scheletri anneriti sono ancora lì perché, dice l’imprenditrice, «si veda bene cosa fanno». Proprio da lì le fiamme hanno poi raggiunto l’uliveto, facilitate dall’erba alta che non viene tagliata perché si tratta di coltura biologica con norme molto severe. Poco prima delle 10 si è così alzato un denso fumo nero, ben visibile da lontano. Per fortuna sono arrivati rapidamente sia i carabinieri sia i Vigili del fuoco, limitando i danni .
Ma il messaggio è ben chiaro, come sottolinea anche il vescovo, monsignor Giuseppe Alberti, che ha chiamato l’imprenditrice. «Evidentemente vogliono che lei se ne vada, che abbandoni – ha dichiarato il presule –. Vogliono impossessarsi della sua azienda per i propri interessi. Per questo dobbiamo tutti sostenerla, esserle vicino, contribuire al suo impegno. Non è sola e non sarà sola». Profondamente credente, Patrizia Rodi Morabito ha accettato l’invito del vescovo a contribuire alla crescita della Diocesi, come membro del Servizio per la pastorale sociale e del lavoro. Così ha partecipato alla recente Settimana sociale dei cattolici, svoltasi a Trieste, portando la sua esperienza di imprenditrice calabrese. «Ho incontrato una Chiesa in cammino, attiva, piena di iniziative. Sono tornata sentendo la responsabilità di mettermi in gioco», riflette. E per questo, torna a ripetere, «io da qui non me ne vado, questa è la mia terra e qui devo restare. Per difendere il Creato e per dare lavoro vero e giusto ai giovani che purtroppo se ne devono andare». Ma anche, come già ha fatto, facendo della sua azienda un “laboratorio” sulla salvaguardia del Creato, la legalità, la giustizia sociale.
Il suo è un richiamo anche ad altri, al “noi”. «Il cuore della democrazia lo ritroveremo insieme laddove si è persa la via, lo cercheremo nei luoghi dove è in affanno, dove è stato coperto da detriti sociali, non più rimanendo un passo indietro agli eroi solitari, ma in una comunità che nel quotidiano, in un difficile passaggio dall’io al noi, riscopra i gesti semplici di ognuno, restituendo ad ogni momento, ad ogni persona, la sua dignità, la sua forza, riconosciute e sostenute dalle parole che esprimono i principi della nostra Costituzione». C’è molta attenzione degli inquirenti alla sua vicenda. Anche perché i terreni dell’azienda agricola sono in una posizione strategica che domina lo svincolo autostradale per Rosarno, a pochi chilometri sia dalla cittadina sia dal porto di Gioia Tauro. Un’area sicuramente interessante per gli affari della ‘ndrangheta.

3.6.24

DIARIO DELLA SETTIMANA N 54 ANNO II .il due giugno spiegato ad un bambino di prima elementare ., Una manager perde il lavoro ( licenziata ) dopo uno stupro di gruppo ., Salva la cugina 15enne dal matrimonio combinato viene picchiato dagli zii genitori della ragazza., I Metallica suonano a Milano e in scaletta compare "Acida" dei Prozac., PALESTINA, L’EQUAZIONE FALSA COL TERRORISMO E LA DECIMA VANNACCI, morti candati alle europee



#Salvini e Borghi attaccano #Mattarella che parla di "sovranità Europea ". #Tajani è solidale. #Conte e #Schlein contro la lega .#Meloni tace : ecco cpme spiegate ad un bambono di 5\6 anni la festa del 2 giugno

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stop violenza sulle donna, intimo reggiseno buttato sul pavimento© Fornito da News Mondo

Una manager perde il lavoro dopo uno stupro di gruppo: offerti 5mila euro e licenziamento per giustificato motivo.

Dopo aver subito una terribile violenza di gruppo, una manager torinese di 32 anni è stata licenziata dalla sua azienda.
Come riportato da Leggo.it, sembrerebbe che l’azienda abbia offerto circa 5mila euro per cessare il contratto di lavoro con la dipendente.

violenza su una donna© Fornito da News Mondo

Una manager viene violentata e perde il lavoro: il lungo calvarioLa sera del 16 marzo 2023, una donna torinese di 32 anni è stata vittima di uno stupro di gruppo a Milano, mentre si trovava ai Navigli con tre persone che considerava amici.
Dopo una serata trascorsa a bere alcol, la manager è stata aggredita dai tre uomini, che sono stati successivamente identificati e arrestati. Da quel momento, per la donna è iniziato un percorso di visite mediche, ricoveri, e sedute psicologiche e psichiatriche.
Dopo sei mesi di convalescenza, la manager ha tentato di tornare al lavoro, pur non sentendosi ancora pronta. “La mia vita quella notte è cambiata, però ce la farò, mi serve solo un po’ di tempo, ne sono sicura“, aveva confidato all’azienda. Tuttavia, l’11 marzo scorso, l’azienda della donna le ha inviato una lettera di licenziamento per “giustificato motivo“.


Il licenziamento della 32enne: la difesa dell’azienda
La comunicazione, come riportato da La Stampa, recitava: “In un’ottica di maggior efficienza abbiamo deciso di riorganizzare le nostre attività, sopprimendo la posizione da lei attualmente ricoperta” Continua, la lettera: “La informiamo che, dopo attenta verifica, abbiamo constatato l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni“. Secondo l’avvocato della vittima, l’azienda non voleva attendere il recupero completo della donna, né rischiare di perdere credibilità a causa di alcuni video della violenza finiti su delle chatL’avvocato ha inoltre aggiunto: “Quello che l’ha davvero distrutta è stato il modo in cui è stata silurata: le sono stati offerti cinquemila euro per chiudere il rapporto di lavoro “o firmi adesso o mai più’“.
L’azienda, da parte sua, ha respinto le accuse, affermando che la decisione è stata presa esclusivamente per motivi di riorganizzazione interna.


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 proprio mentre leggo che è stata arrestata in Pakistan Nazia Shaheen la madre di Saman Abbas: trovata in un villaggio ai confini con il Kashmir qui un ritratto che riepiloga la vicenda


 leggo   mi pare  su repubblica.it    questa news che oltre a denunciare i fanatici religiosi ed identitari sfatta un luogo comune che tutti gli immigrati sono cosi . Luogo comune \ stereotipo inculcatoci per 30 anni da questa estra sia parlamentare che extraparlamentare ma che ancora nonostante sia sempre più minoritaria ha lasciato ancora le sue scorie e ha permesso che sia al governo e che anche chi non è di destra ne subisce l'influenza Salva la cugina 15enne dal matrimonio combinato, picchiato al supermercato dai genitori della ragazza . Gli zii hanno organizzato il pestaggio e lo hanno filmato per fare sapere a tutti di averla fatta pagare al nipote. Quel video li ha incastrati. Indagine dei carabinieri nel Bolognese, 40enne finisce ai domiciliari anzichè in carcere come dovrebbe

 BOLOGNA - Ha aggredito e picchiato il nipote, colpevole secondo lo zio di avere mandato a monte il matrimonio combinato che lui e la moglie avevano deciso per la figlia, una ragazzina di 15 anni. Il cugino ha avvisato i servizi sociali, che l'hanno tolta alla famiglia e affidata a una comunità per minori. E' la vicenda avvenuta in un paese del Bolognese e scoperta dai carabinieri, che hanno arrestato un 40enne, finito ai domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico per i reati di atti persecutori e lesioni personali. L'aggressione da cui è partita l'indagine è avvenuta lo scorso 24 aprile in un supermercato di Zola Predosa, dove si trovavano il nipote 20enne dell'indagato insieme alla fidanzata. Lo zio e la moglie li hanno raggiunti e, davanti a cassieri e altri clienti, hanno cominciato a picchiarli, facendoli finire al pronto soccorso con traumi cranici, contusioni varie e 8 giorni di prognosi. Lo stesso 40enne aveva filmato la scena con il telefonino e pubblicato su un social network il video del pestaggio. Un gesto fatto dall'uomo forse a scopo dimostrativo, per fare sapere a tutti di averla fatta pagare al nipote. Quel video gli si è però ritorto contro, quando gli investigatori hanno cominciato a indagare sull'aggressione, scoprendone il retroscena: si era trattato di una rappresaglia nei confronti del nipote e della fidanzata, ritenuti responsabili di essersi intromessi nel matrimonio combinato tra la figlia 15enne e un coetaneo, facendolo saltare. Era stata probabilmente la stessa ragazzina a confidare al cugino di non volersi sposare con il giovane scelto dalla famiglia. Lo stesso cugino ha deciso di aiutarla e ha raccontato tutto ai servizi sociali, che sono intervenuti togliendo la minore alla famiglia. Il padre della ragazza ora è ai domiciliari e lei al sicuro in una comunità. Una vicenda che ricorda quella, tragica, di Saman Abbas uccisa a Novellara per essersi opposta a nozze combinate.


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I Metallica suonano a Milano e in scaletta compare "Acida" dei Prozac I Metallica suonano a Milano all'Ippodromo La Maura e dedicano un tributo ad una canzone italiana. Durante il concerto, unica data italiana del tour, il gruppo di heavy metal ha interrotto la scaletta per suonare "Acida" dei Prozac+.c

 Un fuoriprogramma che ha stupito anche il pubblico della band. E' stato Rob Trujillo a spiegare ai fan di aver pensato di suonare un brano italiano: «Se conoscete le parole, cantatela» ha detto prima di iniziare a suonare.


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a proposito di scrupoli di coscienza, pur non essendo persona informata dei fatti, un interrogativo su tutt’altro argomento, vorrei (con ogni scrupolo, si intende) proporlo, pensando alla vicenda palermitana dell’ingegnere Angelo Onorato: ma davvero a Palermo in campagna elettorale un delitto di mafia deve diventare un suicidio? Se sbaglio chiederò scusa, ma l’idea di tacere i miei dubbi lasciando soli i familiari a non credere alla tesi del suicidio mi inquieta. E tanto.
pensavano in tanti   che, con la morte di B., sarebbe cessato anche il berlusconismo, trascinato nella tomba insieme alle sue spoglie, ma invece si sono sbagliati ancora una volta. Infatti, B. si appresta ora a risorgere anche sulle prossime schede elettorali per le imminenti elezioni europee. Non contenti di aver confermato sul simbolo di Forza Italia il suo nome, ora si invitano gli elettori addirittura ad esprimere, come prima preferenza, il suo nominativo. Non un candidato, ma una mummia.

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PALESTINA, L’EQUAZIONE FALSA COL TERRORISMO E LA DECIMA VANNACCI

Negli ultimi anni in Italia, complice il dibattito sui due conflitti che stanno funestando il mondo, si è rafforzata una pratica tanto longeva quanto insopportabile: l'automatismo a stravolgere qualsiasi gesto che prenda una posizione, vestendolo d'ignominia anche quando non ce ne sarebbe motivo o dipingendolo come un'implicita incitazione alla violenza o come un benestare indiretto al cattivo di turno. La confusione di merito già riscontrata nel dibattito sulla guerra in Ucraina, si sta ripetendo in maniera uguale e diversa sul tema del conflitto israelo-palestinese. L'argomentazione indistinta e violentissima per cui chi dichiara la propria contrarietà all'operato d'israele e manifesta la propria solidarietà alla Palestina viene etichettato come antisemita e apologeta del terrorismo é quantomai viziata e pelosa; eppure il timore di sentirsi riversare contro un'accusa tanto grave inibisce molti dal manifestare apertamente il proprio pensiero. Ha dunque mostrato coraggio Matteo Lepore, sapendo a cosa sarebbe andato incontro, quando ha deciso di esporre la bandiera palestinese da una finestra di Palazzo d'accursio. Il sindaco di Bologna, a cui è immediatamente piovuto addosso quel protocollo di critiche preconfezionate di cui sopra, non solo non ha retrocesso dalla sua azione, ma ha saputo replicare mettendo l'accento proprio sulla pratica della critica infamante usata per ridurre i cittadini al silenzio: “Voglio respingere qui e smentire l'interpretazione che esporre la bandiera del popolo palestinese rappresenti oggi un sostegno ai terroristi e un gesto antisemita. È veramente una cosa falsa che va rigettata e respinta... Evitiamo di accusare l'amministrazione comunale e la città di Bologna di essere al fianco dei terroristi solo perché abbiamo un'opinione e vogliamo aprire uno squarcio nel silenzio che ci si chiede di rispettare: chiederci di stare in silenzio significa chiederci di accettare un massacro”. Non lasciarsi intimorire dal fango delle accuse strumentali, ma smontarle e restituirle al mittente, è un buon modo di fare politica. Oggi ce n'è particolarmente bisogno.ANTISEMITA A CHI?
Se avesse voluto raccontare il vero senso della campagna elettorale che sta portando avanti, Matteo Salvini avrebbe dovuto parafrasare lo slogan scelto dalla Lega “Più Italia, meno Europa” e declinarlo soggettivamente: meno Capitano, più Generale. Negli ultimi giorni pre voto lo scritturato Vannacci sta dando il meglio di sé: tra un invito a votare mettendo una Decima sul simbolo della Lega e una citazione de “Il gladiatore” (il solito “Al mio via scatenate l'inferno”), l' 'intruso' sta sbigottendo l'intero ceto politico del Carroccio, che assiste alla sua performance imbarazzato e cerca di evitare commenti per scongiurare la tragedia pre voto. Mentre questo accade il segretario se ne sta un passo indietro, parla di pace, promette condonucci edilizi e guarda orgoglioso la sua creatura scalmanarsi. L'obiettivo? Essere gladiatori senza perdere del tutto la faccia.
MENO CAPITANO, PIÙ GENERALE : Se avesse voluto raccontare il vero senso della campagna elettorale che sta portando avanti, Matteo Salvini avrebbe dovuto parafrasare lo slogan scelto dalla Lega “Più Italia, meno Europa” e declinarlo soggettivamente: meno Capitano, più Generale. Negli ultimi giorni pre voto lo scritturato Vannacci sta dando il meglio di sé: tra un invito a votare mettendo una Decima sul simbolo della Lega e una citazione de “Il gladiatore” (il solito “Al mio via scatenate l'inferno”), l' 'intruso' sta sbigottendo l'intero ceto politico del Carroccio, che assiste alla sua performance imbarazzato e cerca di evitare commenti per scongiurare la tragedia pre voto. Mentre questo accade il segretario se ne sta un passo indietro, parla di pace, promette condonucci edilizi e guarda orgoglioso la sua creatura scalmanarsi. L'obiettivo? Essere gladiatori senza perdere del tutto la faccia.Voto: Vedremo cosa ne dicono le urne

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pensavano in tanti   che, con la morte di B., sarebbe cessato anche il berlusconismo, trascinato nella tomba insieme alle sue spoglie, ma invece si sono sbagliati ancora una volta. Infatti, B. si appresta ora a risorgere anche sulle prossime schede elettorali per le imminenti elezioni europee. Non contenti di aver confermato sul simbolo di Forza Italia il suo nome, ora si invitano gli elettori addirittura ad esprimere, come prima preferenza, il suo nominativo. Non un candidato, ma una mummia.

PALESTINA, L’EQUAZIONE FALSA COL TERRORISMO E LA DECIMA VANNACCI

Negli ultimi anni in Italia, complice il dibattito sui due conflitti che stanno funestando il mondo, si è rafforzata una pratica tanto longeva quanto insopportabile: l'automatismo a stravolgere qualsiasi gesto che prenda una posizione, vestendolo d'ignominia anche quando non ce ne sarebbe motivo o dipingendolo come un'implicita incitazione alla violenza o come un benestare indiretto al cattivo di turno. La confusione di merito già riscontrata nel dibattito sulla guerra in Ucraina, si sta ripetendo in maniera uguale e diversa sul tema del conflitto israelo-palestinese. L'argomentazione indistinta e violentissima per cui chi dichiara la propria contrarietà all'operato d'israele e manifesta la propria solidarietà alla Palestina viene etichettato come antisemita e apologeta del terrorismo é quantomai viziata e pelosa; eppure il timore di sentirsi riversare contro un'accusa tanto grave inibisce molti dal manifestare apertamente il proprio pensiero. Ha dunque mostrato coraggio Matteo Lepore, sapendo a cosa sarebbe andato incontro, quando ha deciso di esporre la bandiera palestinese da una finestra di Palazzo d'accursio. Il sindaco di Bologna, a cui è immediatamente piovuto addosso quel protocollo di critiche preconfezionate di cui sopra, non solo non ha retrocesso dalla sua azione, ma ha saputo replicare mettendo l'accento proprio sulla pratica della critica infamante usata per ridurre i cittadini al silenzio: “Voglio respingere qui e smentire l'interpretazione che esporre la bandiera del popolo palestinese rappresenti oggi un sostegno ai terroristi e un gesto antisemita. È veramente una cosa falsa che va rigettata e respinta... Evitiamo di accusare l'amministrazione comunale e la città di Bologna di essere al fianco dei terroristi solo perché abbiamo un'opinione e vogliamo aprire uno squarcio nel silenzio che ci si chiede di rispettare: chiederci di stare in silenzio significa chiederci di accettare un massacro”. Non lasciarsi intimorire dal fango delle accuse strumentali, ma smontarle e restituirle al mittente, è un buon modo di fare politica. Oggi ce n'è particolarmente bisogno.ANTISEMITA A CHI?
Se avesse voluto raccontare il vero senso della campagna elettorale che sta portando avanti, Matteo Salvini avrebbe dovuto parafrasare lo slogan scelto dalla Lega “Più Italia, meno Europa” e declinarlo soggettivamente: meno Capitano, più Generale. Negli ultimi giorni pre voto lo scritturato Vannacci sta dando il meglio di sé: tra un invito a votare mettendo una Decima sul simbolo della Lega e una citazione de “Il gladiatore” (il solito “Al mio via scatenate l'inferno”), l' 'intruso' sta sbigottendo l'intero ceto politico del Carroccio, che assiste alla sua performance imbarazzato e cerca di evitare commenti per scongiurare la tragedia pre voto. Mentre questo accade il segretario se ne sta un passo indietro, parla di pace, promette condonucci edilizi e guarda orgoglioso la sua creatura scalmanarsi. L'obiettivo? Essere gladiatori senza perdere del tutto la faccia.
MENO CAPITANO, PIÙ GENERALE : Se avesse voluto raccontare il vero senso della campagna elettorale che sta portando avanti, Matteo Salvini avrebbe dovuto parafrasare lo slogan scelto dalla Lega “Più Italia, meno Europa” e declinarlo soggettivamente: meno Capitano, più Generale. Negli ultimi giorni pre voto lo scritturato Vannacci sta dando il meglio di sé: tra un invito a votare mettendo una Decima sul simbolo della Lega e una citazione de “Il gladiatore” (il solito “Al mio via scatenate l'inferno”), l' 'intruso' sta sbigottendo l'intero ceto politico del Carroccio, che assiste alla sua performance imbarazzato e cerca di evitare commenti per scongiurare la tragedia pre voto. Mentre questo accade il segretario se ne sta un passo indietro, parla di pace, promette condonucci edilizi e guarda orgoglioso la sua creatura scalmanarsi. L'obiettivo? Essere gladiatori senza perdere del tutto la faccia.Voto: Vedremo cosa ne dicono le urne

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educ...