da
Io ci credevo tanto nella Giustizia e nello Stato.
Lo Stato.
Quest'imponente costrutto fatto di norme, di diritto, di valori fondanti la vita di tutti.
Lo Stato contrapposto alla barbarie per garantire ordine, rispetto, protezione dei più deboli dalla prepotenza.
Sono stata tirata su così, con una fiducia tonta e smisurata nei confronti dello stato. E della Giustizia.
Quella che consente ad un violento incallito di esercitare violenza.
Quella che permette ad un padre violento di continuare ad essere maltrattante, lasciandolo impunito, benché condannato.
Quella che criminalizza le donne che, sopravvissute alla violenza, raccolgono dignità e coraggio e vanno a denunciarla, per poi essere intimidite.
Quella che consente al violento di circondarsi di un branco di gente colpevole come lui per amplificare l'abuso.
Quella che se chiedi aiuto, non solo ti lascerà sola ma ti esporrà ad altre minacce.
Quella che trova normale fare crescere i bambini nelle aule dei tribunali, rivittimizzarli, e continuare anche dopo aver compiuto la maggior età, finché la loro madre non sia sopraffatta.
Quella che invece di sanzionare gli abusi sanziona i toni coloriti di chi li racconta.
Quella che discrimina le vittime per giustificare gli orchi, i mostri domestici.
Quella che organizza le passerelle in commemorazione delle vittime, ma solo se sono morte, altrimenti si trova un sistema per zittirle del tutto.
Quella che invita le donne a parlare, per poi denunciarle dopo.
Quella che autorizza il violento ad usarti violenza economica spolpandoti di ogni bene, e mettendoti nelle condizioni di subire processi che aggraveranno ancora di più la situazione.
Quella che di fatto è collusa con la violenza, e corrotta fino nel midollo.
Mi fidavo, e invece.
Non è bastato l'orco, brutale, feroce, non sono bastati i suoi complici prezzolati, le sue comari bavose e parassite, i suoi compari pavidi e profittatori.
A loro si è aggiunto lo Stato.
Capace di perdersi denunce, fascicoli e testimonianze e di rinviare a giudizio i testimoni di giustizia come me per avere parlato. E di manifestarsi assente.
Se me l'avessero detto non ci avrei creduto.
Ma come fanno alcuni a vivere consapevoli delle croci che hanno caricato su altri, davvero è un mistero.
spesso dietro delle tragedie, c'è solo un colpevole... ma alcune volte, la legge non tutela agendo in prevenzione. Questo non significa che esistono altri colpevoli ma se fosse possibile prevenire anzichè curare, alcune situazioni potrebbero avere un altra via di risoluzione...
Ci hanno fregato proprio per il senso civico e il rispetto delle istituzioni che abbiamo. Ci hanno fregato perché siamo persone perbene e le persone perbene in questo paese sono destinate a soccombere. Hanno più garbo con i mafiosi ed i corrotti che con noi.
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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30.3.24
la via crucis non è solo festività pasquale ma alcuni neglio alcune la subiscono tutti i giorni il caso di patrizia cadau che ha denunciato il suo carnefice ed ora si tova a processo per averlo diffamato
13.4.20
C'è un ricercatore italiano a mille chilometri dal Polo Nord, dove il coronavirus non è arrivato, ma da cui non ci si può spostare. La sua storia dall'Artico
Per qualcuno il coronavirus è anche questo .
da https://www.vanityfair.it/news/storie-news/ del 10 APRILE 2020
«Come vedo il mondo da qui? L’Italia e il mondo in questo momento sembrano un quadro di “De Chirico” con le piazze e i centri vuoti». È un’immagine poetica ed efficace quella che sceglie Marco Casula, tecnico dell’Istituto di scienze polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che, unico italiano, è nella Base Dirigibile Italia del CNR a Ny-Alesund, nell’arcipelago delle Svalbard, in Artico, a 1000 chilometri dal Polo Nord. Da lì non si può muovere, un isolamento, il suo, che è però molto diverso dal nostro.
Le regioni artiche sono fra le poche zone al mondo in cui non è arrivato il contagio da coronavirus. Chi vive qui, una trentina di persone di diverse nazionalità, sembra essere protetto dal virus, ma è nello stesso tempo isolato dal mondo, in una sorta di limbo. «Qui tutti noi speriamo che la situazione globale nel tempo migliori. Tutti noi abbiamo dei genitori, amici o una famiglia. Stare qui a noi non pesa perché è una condizione che fa parte della nostra quotidianità e che abbiamo scelto».Marco Casula è qui da inizio gennaio e la sua missione non ha per ora una data di chiusura.
Nessuno può partire per dargli il cambio. «Vivo la situazione italiana con un’ottica diversa e internazionale, le notizie che arrivano qui sono filtrate, mi forniscono una fotografia globale e sto cercando di vivere questa emergenza con serenità. Vedo questa mia situazione attuale come un training per una possibile futura missione in Antartide. Mi sento in una situazione privilegiata in quanto posso continuare a svolgere una vita “normale” pur trovandomi in questo posto e in una comunità ristretta. Noi qua stiamo vivendo “normalmente” nella nostra bolla di sapone, l’isolamento per noi è una costante».
Rispetto a un terzo della popolazione mondiale può uscire, «godermi questi magnifici posti oltre a poter svolgere l’attività che amo». A stabilire la sua data di rientro sarà proprio il coronavirus. «Ho la responsabilità di portare avanti il mio lavoro e non interrompere la serie climatica di dati che l’Italia sta raccogliendo in Artico da oltre 10 anni». La sua giornata ha orari molto serrati e prima di affrontarla deve pianificare la sera prima cosa effettuare o meno in base al tempo che ha a disposizione.
«Sicuramente fare una cosa che si ama, come nel mio caso, alleggerisce il peso della lontananza e della solitudine. Io sono il solo italiano tra i 30 ricercatori presenti a Ny-Alesund, ma questa piccola comunità in questo momento particolare è unita più che mai. Intanto dal punto di vista lavorativo: io e i miei colleghi di altre nazionalità collaboriamo per portare avanti le rispettive attività di ricerca a lungo termine. Ci sentiamo molto uniti anche dal punto di vista umano. In questa cittadina, che per me ormai è una sorta di famiglia, nessuno è straniero e i rapporti vanno oltre le difficoltà che alle volte si possono incontrare, come quelle linguistiche».
30.9.16
stava girando un video con il cellulare prima dello schianto: muore a 25 anni in un incidente d'auto
voi che usate i social e wzp mentre guidate e vi fate fottuti
dannati selfie o video idioti pensateci bene e chiedetevi ma vale la pena di mettere a repentaglio la mia vita per simili cose ? perchè c..... mi hanno sequestrato \ tolto punti dalla patente ? Se proprio non ci tenete alle vostre vite ( come mi sembra di capire dal numero sempre più alto d' incidenti dovuti all'auso del cellulare mentre si guida ) abbiate rispetto per quelle degli altri che rischiate di mettere in pericolo . E voi genitori non date
la colpa ai telefonini ma all'uso che la gente , compreso vostro
figlio\a o voi stessi ne fate durante la guida . E voi mass media spesso regionali \ locali finitela dimettewre nei titoli e negli articoli :
strada assassina e menate varie .Dobbiamo prendere esempio dalle parole di
questa povera madre
downloadhelper mi scaroca solo la pubblicità e non il video . quindi lo trovate qui
27.7.15
Napoli: quando la filosofia è una senzatetto
da http://fascinointellettuali.larionews.com/napoli-quando-la-filosofia-e-una-senzatetto/
NAPOLI – È uscito ieri pomeriggio, 26 luglio, su Internazionale un articolo reportage sulla tragica situazione che sta vivendo l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Il giornalista Angelo Mastrandrea ex vicedirettore del Manifesto) documenta la storia gloriosa dell’ottantottenne Gerardo Marotta, che oggi resiste strenuamente alla chiusura del polo culturale da lui creato. Alla primavera del 1975 risale la fondazione dell’istituto, incoraggiata dal sostegno di Enrico Cerulli, al tempo presidente dell’Accademia dei Lincei, e di Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto Croce. Da allora inizia l’attività quarantennale del centro, sintetizzata dal responsabile delle scuole estive, Aldo Tonini: 27mila ospiti del mondo del sapere umanistica e scientifica, da filosofi a medici; borse di studio – in media, 2500 all’anno – garantite a giovani studiosi grazie ad alcuni contributi statali versati dal 1993, provenienti dai fondi dell’8 per mille; 15mila convegni (alcuni tradotti in coreano) in tutto il mondo, perfino a Timbuctu e nel prestigioso castello di Cerisy-La Salle in Normandia; scuole estive nei paesini del Sud, per una sana politica meridionalista; l’edizione cinese de Il Principe; opere sul pensiero indiano o su Ashoka, mitico sovrano buddhista del sub-continente indiano… una cascata di cultura aperta all’Europa e al mondo contemporaneo.
L’avvocato Marotta, in rapporti con i presidenti Sandro Pertini e Giorgio Napolitano, ed ex militante nel Partito Comunista Italiano, ha speso tutto per i libri: «Ho venduto tutto, anche le proprietà di mia moglie, un attico a Roma e una villa qui a Napoli. Ora ho debiti con tutti, perfino con il salumiere». 270 mila dei trecentomila volumi ammuffiscono, dimenticati nei più disparati luoghi: da un capannone a Casoria (nella periferia di Napoli) all’ex manicomio abbandonato Leonardo Bianchi. Gli appelli non tardano ad essere sollevati dagli intellettuali, italiani e non qui l’iniziativa sulla piattaforma Change.org, e qui l’appello sul sito ufficiale dell’Istituto, tra i cui promotori vi sono Roberto Saviano, Salvatore Settis, Stefano Rodotà, Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky. Ma il rischio è che «se non arrivano i soldi, a settembre gli ufficiali giudiziari metteranno in vendita i miei libri». Pertanto, la questione, come scritto da Mastrandrea, è politica, e non solo economica. La lotta alla filosofia è condotta in prima fila dalle istituzioni che dovrebbero tutelarla e diffonderla. Gerardo Marotta crede, ancora spera, che l’umanesimo meridionale possa aiutare a far rinascere una società oppressa dall’homo oeconomicus. E ricorda le parole rivoltegli dal segretario nazionale dell’Onu, nel 1992:
«C’è necessità della filosofia per orientare le scelte politiche, di uno spirito umanistico, specie ora che l’Europa è in crisi»
A.P.
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