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11.11.24

roberto saviano stavolta ha toppato ha ragione anche se un po' faziosamente don Maurizio Patriciello, il parroco del Parco Verde di Caivano

Datemi pure  dell'avvocato del diavolo e del  cerchio bottista  . Ma  tali insulti  ti fano passare  distinguo
il Saviano personaggio   dei salotti   tv    dal   Saviano scritore    le  sue  opere   in particolare la Paranza dei Bambini  e  visto Gomorra  la serie  .Ma un conto è finché un cittadino attacca i politici, come potremmo essere io o   altro  che attacchiamo la Meloni o la Schlein, per dire. Un altro è quando un partito di Governo, primo in Italia alle scorse elezioni, fa un attacco così  
cattivo  a un cittadino.Ora  il problema non è l'attacco in se, una replica alle posizioni di Saviano ci può stare, mancasse altro,  vedere  la  risposta  di  Don M.Patruciello  , il problema è la violenza di questo attacco da un profilo, alla fine, istituzionale. Mi    chiedo  come  il   primo partito in Italia come può permettersi di fare un attacco cosi cattivo  e  pieno d'astioa  un cittadino italiano? Sono al Governo, che lo vogliano o no rappresentano tutta l'Italia, anche chi non li ha votati. Attaccare in modo così cattivo un cittadino che non ha ruoli politici dal profilo pubblico del partito è indecente e  vergognoso  a   prescindere    da Destra o Sinistra  ,


 


.Infatti mi chiedo  ancora  come si possa attaccare nella Figura di Saviano  una persona che ha avuto il merito di far conoscere ulteriormente  attraverso lo strumento letterario ad ampie fette di cittadini prima inconsapevoli o  oquasi  della terribile realtà del crimine organizzato, la sua ferocia e la sua capacità di infiltrare la nostra società. Così pericoloso per la camorra da dover vivere da anni sotto scorta. Si vergognino Meloni e Salvini,. che per cinici motivi politici fanno tutto questo. Incapaci, privi di alcun coraggio civile e personale. Ma soprattutto paragonare saviano a un sciacallo è una cosa grave  paragonarlo a uno sciacallo vuol dire offendere gli sciacalli .Ritornando  a noi   , come  ho già   detto nel  titolo   ,  ha ragione  il  Don .  Almeno c'è   sia che  ci  si schieri proo contro  Saviano  , una crtica  certo  aspra  e  un po'   di parte , ma   almeno rispettosa   e civile rispetto a   toni usati da FdI  . Infatti   dopo aver visto  varie  fiction  ( il  padrino , la  piovra  ,  Gomorra   film e serie  ,  ecc solo per  citare i principali )  concordo   quasiu totalmente  con  l'intervento del prete  . 







A ROBERTO SAVIANO
Gli ultimi tre orribili omicidi avvenuti a Napoli dovrebbero bastare per farci diventare più intellettualmente onesti, pensosi, umili; più veri. Dovremmo tutti arrossire di vergogna e chiedere perdono ai ragazzi per le ruberie perpetrate negli anni da politici che hanno pensato a riempire solo le loro tasche. Per lo spreco - enorme - di denaro pubblico. Per non essere stati in grado di bloccare le tonnellate di droga che hanno invaso la Campania e l’ Italia. Per avere costruito impensabili quartieri con materiali fatiscenti per ammassarvi migliaia di persone lasciandole poi in balia di prepotenti e camorristi. Guarire una persona influenzata è facile. Richiamare in vita un ammalato grave è cosa molto più complessa. E Parco Verde, il centro sportivo ridotto a un immondezzaio puzzolente, il comune di Caivano sciolto per la seconda volta per infiltrazione mafiose, il dramma ambientale e sanitario, i mille clan della camorra che ci angariano da sempre, la disoccupazione atavica che affligge la nostra terra, il lavoro in nero, l’evasione scolastica, la pigrizia di tanta gente “ buona” che non disdegna di insozzare e occupare strade e marciapiedi, meriterebbero un’analisi piu onesta, piu severa. Per amore di questo nostro popolo bistrattato occorre andare al di là degli slogan e degli stereotipi. Invece. Roberto Saviano scrive che “ gli omicidi dimostrano il fallimento completo del modello Caivano “. Falso. Caro Roberto, sono passati quasi 20 anni da quando - sconosciuto giornalista - venisti al “Parco Verde” per scrivere dell’omicidio di un nostro ragazzo di 15 anni. Quel racconto finì nel tuo libro “ Gomorra”. Da allora - lo sai bene - ti ho invitato tante volte a ritornare. A dare voce alle nostre voci. Non lo hai mai fatto. Non sei mai venuto. In questi 20 anni - pensa a quanti governi si sono succeduti e da chi erano formati - le cose sono andate di male in peggio. Non poteva che essere così. Lasciato a se stesso il degrado peggiora; l’ammalato si aggrava e muore. Ho chiesto aiuto a tutti. I colori politici non mi hanno mai impressionato. Sono un prete. Un uomo libero. I rischi di essere frainteso e deriso ci sono. Pazienza. Il presidente del Consiglio dei ministri della nostra repubblica, l’ anno scorso, ha accolto il mio invito. È venuta. È ritornata. Quel che è accaduto a Caivano è sotto gli occhi di tutti. Di tutte le persone oneste che vogliono vedere. Certo, è poca cosa rispetto al gran lavoro che dovrà essere fatto. I miracoli li fa Dio. La bacchetta magica ce l’ha la fata. Nessuno ha mai creduto che in un solo anno, un luogo dove - parola di Vincenzo De Luca - “ lo Stato non c’è. Punto” sarebbe diventato il paradiso terrestre. Si sta lavorando. Con fatica. Avrai saputo che “ Parco Verde” non è più una delle più grandi piazze di spaccio d’ Europa. Qualcosa si muove. Giorgia Meloni ha risposto al mio appello. Un merito che altri, prima di lei, non hanno voluto o potuto prendersi. La verità è limpida come l’acqua di sorgente. Se vuoi bene al tuo popolo, non remare contro. Si perde solamente tempo. Lascia che lo facciano i politici di professione. Noi, preti, giornalisti, scrittori, intellettuali, dobbiamo essere capaci di stare al di sopra delle parti. Essere coscienza critica. Sempre con le mani pulite. Viceversa, non saremmo credibili. No, Roberto, gli ultimi omicidi non dimostrano affatto il completo fallimento del modello Caivano, ma sono il frutto avvelenato e velenoso di decenni di disattenzione verso il dramma della camorra, della terra dei fuochi, delle problematiche giovanili, delle nostre bistrattate periferie. Ti auguro ogni bene. E ti invito ancora una volta a ritornare al “Parco Verde”. Dio ti benedica. Padre Maurizio Patriciello.

In quanto a Saviano  è  mancata l'onesta intelletuale  e   cosa strana   lui che è cosi  attento e preparato   la  capicità  d'analisi del contesto di Caivano  pre  Meloni  .

30.3.24

la via crucis non è solo festività pasquale ma alcuni neglio alcune la subiscono tutti i giorni il caso di patrizia cadau che ha denunciato il suo carnefice ed ora si tova a processo per averlo diffamato

da  
21 h 

Io ci credevo tanto nella Giustizia e nello Stato.
Lo Stato.
Quest'imponente costrutto fatto di norme, di diritto, di valori fondanti la vita di tutti.
Lo Stato contrapposto alla barbarie per garantire ordine, rispetto, protezione dei più deboli dalla prepotenza.
Sono stata tirata su così, con una fiducia tonta e smisurata nei confronti dello stato. E della Giustizia.
Quella che consente ad un violento incallito di esercitare violenza.
Quella che permette ad un padre violento di continuare ad essere maltrattante, lasciandolo impunito, benché condannato.

Quella che criminalizza le donne che, sopravvissute alla violenza, raccolgono dignità e coraggio e vanno a denunciarla, per poi essere intimidite.
Quella che consente al violento di circondarsi di un branco di gente colpevole come lui per amplificare l'abuso.
Quella che se chiedi aiuto, non solo ti lascerà sola ma ti esporrà ad altre minacce.
Quella che trova normale fare crescere i bambini nelle aule dei tribunali, rivittimizzarli, e continuare anche dopo aver compiuto la maggior età, finché la loro madre non sia sopraffatta.
Quella che invece di sanzionare gli abusi sanziona i toni coloriti di chi li racconta.
Quella che discrimina le vittime per giustificare gli orchi, i mostri domestici.
Quella che organizza le passerelle in commemorazione delle vittime, ma solo se sono morte, altrimenti si trova un sistema per zittirle del tutto.
Quella che invita le donne a parlare, per poi denunciarle dopo.
Quella che autorizza il violento ad usarti violenza economica spolpandoti di ogni bene, e mettendoti nelle condizioni di subire processi che aggraveranno ancora di più la situazione.
Quella che di fatto è collusa con la violenza, e corrotta fino nel midollo.
Mi fidavo, e invece.
Non è bastato l'orco, brutale, feroce, non sono bastati i suoi complici prezzolati, le sue comari bavose e parassite, i suoi compari pavidi e profittatori.
A loro si è aggiunto lo Stato.
Capace di perdersi denunce, fascicoli e testimonianze e di rinviare a giudizio i testimoni di giustizia come me per avere parlato. E di manifestarsi assente.
Se me l'avessero detto non ci avrei creduto.
Ma come fanno alcuni a vivere consapevoli delle croci che hanno caricato su altri, davvero è un mistero.


spesso dietro delle tragedie, c'è solo un colpevole... ma alcune volte, la legge non tutela agendo in prevenzione. Questo non significa che esistono altri colpevoli ma se fosse possibile prevenire anzichè curare, alcune situazioni potrebbero avere un altra via di risoluzione...

Ci hanno fregato proprio per il senso civico e il rispetto delle istituzioni che abbiamo. Ci hanno fregato perché siamo persone perbene e le persone perbene in questo paese sono destinate a soccombere. Hanno più garbo con i mafiosi ed i corrotti che con noi.

14.3.24

La mafia di Casarano, in provincia di Lecce, esegue omicidi e attentati ma è la cronista pugliese Marilù Mastrogiovanni, a processo, a dover dimostrare che la mafia esiste

colonna sonora


Chi vede lontano  , o addirittura anticipa le cose  , viene  punito . Nonostante poi le  sue  inchieste   anticipatrici  confermino  la cosa



  . E' il caso della  giornalista  pugliese  Marilù Mastrogiovanni  chè  è a processo per  aver  scoperchiato il vaso di pandora   sulla quarta mafia   ,  cioè la Sacra Corona Unita,  ben   prima    che  v'indagasse  la  magistratura  .   Infatti 
Dopo l’ennesimo omicidio di mafia a Casarano (Le) in un parco giochi in pieno centro, tutto il Salento ha reagito alla morsa della sacra corona unita con una grande marcia per la legalità organizzata dal sindaco Ottavio De Nuzzo.



Lo stesso che, insieme al suo predecessore e altri ex assessori, sta infliggendo un vero e proprio calvario giudiziario alla giornalista pugliese Marilù Mastrogiovanni, giornalista professionista, direttrice del giornale d’inchiesta www.iltaccoditalia.info  e   dal ricco curriculum che trovate qui :<< Profilo professionale di Marilù Mastrogiovanni >>su marilumastrogiovanni.it e essa ha all'attivo diverse colaborazioni

Nel corso della mia vita professionale ho diretto, anche per committenti esteri, decine di riviste tematiche o di settore (medicina, turismo, scuola, imprenditoria, associazionismo, ricerca scientifica e innovazione, house organ), curandone ogni dettaglio, dall’ideazione del piano editoriale, al menabò, fino all’ “ok si stampi”, passando per la definizione del “timone” e del palinsesto.
Ho scritto e, in alcuni casi, continuo a scrivere per diverse testate nazionali:
· Il Sole 24 ore (dal 2002 ad oggi)
· Il Manifesto (dal 2009 ad oggi)
· Il Fatto quotidiano (dal 2009 al 2015)
· Nuovo Quotidiano di Puglia (dal 2008 al 2012)
Sono consulente per Presa diretta (Rai3) ed Euronews. Collaboro anche con Left e Narcomafie


La colpa di Mastrogiovanni? Aver fiutato , secondo webinfo@adnkronos.com (Web Info) 17 ore fa , sin dal 2004 la nascita e il consolidarsi di un nuovo clan della sacra corona unita, e averne scritto ben prima degli omicidi e delle successive ordinanze di misure cautelari indirizzate ai componenti del clan. Mastrogiovanni ne ha scritto, facendo nomi e cognomi, descrivendo la gerarchia dell’organizzazione, indicando le aziende in cui i proventi dello spaccio di droga venivano reinvestiti, scoprendo una fitta rete di fiancheggiatori insospettabili. Aver stigmatizzato la vicinanza tra il clan e un consigliere comunale di Casarano.La giornalista, già presidente della giuria del premio mondiale dell’Unesco per la libertà di stampa “Guillermo Cano” e, a sua volta, vincitrice di numerosi premi per le sue inchieste e ideatrice del Forum delle Giornaliste del Mediterraneo, dal 2005 ad oggi ha pubblicato fiumi di inchieste non solo sul Tacco d’Italia ma anche sui principali giornali nazionali e internazionali: le azioni criminali della SCU di cui scrive Mastrogiovanni riguardano i Comuni del Salento e le ramificazioni nel resto del Paese e della UE: dalla cementificazione delle coste allo sversamento dei veleni nella falda acquifera, dall’irrisolto omicidio di mafia di Peppino Basile allo spaccio di cocaina, dal traffico di rifiuti alle infiltrazioni mafiose nelle aziende locali e nei bandi pubblici.
Migliaia di pagine di inchieste, numerose querele e nessuna condanna. Mastrogiovanni è difesa dall’avvocato Roberto Eustachio Sisto, del foro di Bari.
Le inchieste giornalistiche su Casarano
Dopo l’omicidio del boss della Scu Augustino Potenza nell’ottobre 2016 a colpi di kalashnikov, la direttrice Mastrogiovanni pubblicò sul Tacco d’Italia un’ampia inchiesta nella quale ne ripercorreva le “gesta”, dimostrando il consenso sociale e politico di cui godeva. E ha poi continuato a denunciare.
Articoli non graditi dall’amministrazione comunale guidata dall’allora sindaco Gianni Stefàno (Fratelli d’Italia) che mise la giornalista nel mirino, affiggendo decine di manifesti per la città, prima invitando la cittadinanza a reagire contro chi infanga il buon nome della città (cioè la giornalista che scrive di mafia), poi affiggendo dei manifesti di sei metri per tre che la rappresentano seppellita in una fossa.
Tutta la comunità giornalistica locale, nazionale e internazionale si è mobilitata con una raccolta firme e accorati appelli affinché il sindaco rimuovesse i manifesti, sia perché l’episodio in sé rappresentava un concreto pericolo per la sicurezza della giornalista (tra i commenti sulla pagina Facebook ufficiale del sindaco, che aveva pubblicato il testo del manifesto come comunicato stampa, numerose offese e minacce dai sodali del boss, tra cui la vedova), sia perché quelle affissioni rappresentavano, secondo la categoria, un pericoloso punto di non ritorno, ossia l’interruzione della normale dialettica democratica tra stampa e politica, nella cornice garantista della legge sulla Stampa.
Sono state così attivate le prime misure di protezione da parte del Prefetto di Lecce Claudio Palomba che, nel corso del Consiglio comunale monotematico tenutosi all’indomani dell’affissione dei manifesti ha espresso solidarietà a Mastrogiovanni, esprimendo preoccupazione per il “welfare mafioso” diffuso nella comunità casaranese e salentina.
Sequestro del giornale, imputazioni coatte, decreti di citazione diretta a giudizio
Decine e decine di querele archiviate più una mezza dozzina di assoluzioni, tolgono tempo al lavoro d’inchiesta: “O scrivo memorie difensive o scrivo inchieste”, ha affermato Mastrogiovanni.
Nel frattempo la giornalista ha deciso di trasferirsi a Bari per salvaguardare la serenità e la sicurezza della sua famiglia.
Le misure di protezione si attivano quando è nel Salento.
Dal 2016 ad oggi Mastrogiovanni è nel mirino di una serie di azioni giudiziarie violente: il giornale “Il Tacco d’Italia” è stato sequestrato per 45 giorni; poi dissequestrato dal Tribunale del riesame. Nel processo che ne scaturì, conclusosi con sentenza di assoluzione, si sono costituiti parte civile la FNSI con Assostampa, la Consigliera nazionale e regionale di Parità, l’UDI (Unione donne italiane), Pangea-Reama, il centro antiviolenza Labriola di Bari, mentre l’Ordine nazionale e regionale dei giornalisti, Giulia Giornaliste, Reporter senza frontiere, Ossigeno per l’Informazione, Amnesty International, Articolo 21, e tanti altri si sono mobilitati a difesa della libertà di stampa. Il caso fu trattato dalla trasmissione tv “Le Iene” e Mastrogiovanni fu chiamata in audizione dinanzi alla Commissione regionale antimafia.
Il caso eclatante dei manifesti del sindaco che invitava a reagire contro la giornalista fu sollevato dal presidente della FNSI Beppe Giulietti, in conferenza stampa, dinanzi all’allora presidente della Commissione d’inchiesta sulle mafie Rosy Bindi e la stagione della trasmissione “Cose nostre” della RAI si aprì proprio con il documentario “Attacco al Tacco”, sulla storia giornalistica di Mastrogiovanni.

I giudici hanno fatto poi ricorso a imputazioni coatte (nonostante le richieste di archiviazione dei Pm) e decreti di citazione diretta a giudizio (saltando la fase dell’udienza preliminare, il Pm obbliga l’indagato a presentarsi direttamente dinanzi al giudice monocratico). In uno dei processi a suo carico dovrà dimostrare di essere stata sottoposta a misure di protezione, perché il fatto che le avesse è stato ritenuto diffamatorio dal querelante (l’ex sindaco di Casarano) e dai giudici, che l’hanno rinviata a giudizio.


La dichiarazione della FNSI e Assostampa

Siamo molto preoccupati per la morsa giudiziaria di cui è vittima da anni la collega Maril Mastrogiovanni, direttrice di www.iltaccoditalia.info, a causa del suo lavoro d’inchiesta sulla sacra corona unita, la mafia del Salento: lo dichiarano in una nota congiunta la Federazione nazionale della stampa italiana e il sindacato dei giornalisti pugliesi Assostampa. Nel mese di marzo dovrà affrontare ben tre processi, alcuni avviati a seguito di imputazione coatta, nonostante la richiesta di archiviazione del Pm; nella giornata di venerdì 15 marzo sarà chiamata a presenziare in due procedimenti contro di lei, avviati a seguito di querela da parte di alcuni amministratori locali, tra cui l’attuale sindaco di Casarano. La sua colpa è di aver illuminato le zone grigie del malaffare e le influenze dei clan sui gangli vitali della vita democratica. Dopo l’omicidio di mafia avvenuto una settimana fa a Casarano, maturato negli ambienti dei clan di cui scrive Mastrogiovanni, la sua posizione appare ancora più critica. La collega negli ultimi anni è stata oggetto di minacce anche di morte, intimidazioni, querele temerarie e perfino il sequestro del giornale, fatto gravissimo per il quale si è costituita al suo fianco la FNSI. È stata costretta a trasferire la sua residenza. Nei suoi confronti sono state disposte misure di protezione. Ad oggi la maggior parte delle querele sono state archiviate e i processi risolti con sentenza di assoluzione. Il giornalismo d’inchiesta è un pilastro della democrazia, per questo la FNSI continuerà ad essere al fianco della collega nel suo compito primario di garantire il diritto dei cittadini di essere informati anche su fatti scomodi in un territorio sempre più a rischio, qualora la voce dei giornalisti

3.2.24

I fatti e la disinformazione sul caso di Ilaria Salis

 di  cosa  stiamo parlando   \  leggi  anche  





In questi ultimi giorni le foto di Ilaria Salis, ritratta  con una catena legata alla vita (che ricorda un guinzaglio) e le manette ai polsi e alle caviglie in un’aula di tribunale in Ungheria, hanno attirato l’attenzione del dibattito pubblico italiano sul caso. Salis, che è un’insegnante italiana di 39 anni, è reclusa nelle carceri ungheresi da quasi un anno con l’accusa di aver aggredito a febbraio 2023 tre persone durante il periodo delle celebrazioni del  Tag der Ehre , “becsület napja” in ungherese, il “Giorno dell’onore” dedicato ai soldati nazisti tedeschi e ungheresi che fino alla metà di febbraio del 1945 tentarono di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Il processo giudiziario nei confronti di Salis è appena iniziato, e la sua presunta colpevolezza deve essere ancora provata, ma sui media e sulle piattaforme di social network c’è chi ha già condannato l’insegnante definendola una «
persona che delinque
»     e 
che deve restare
 «in galera a scontare la pena fino all’ ultimo giorno». Questi giudizi frettolosi e approssimativi sono figli anche e soprattutto di un dibattito inquinato dalla disinformazione e dalla scarsa conoscenza del caso che ha coinvolto la cittadina italiana detenuta in Ungheria.

Di cosa è accusata Ilaria Salis
Secondo il 
rapporto
 della polizia ungherese, tra il 9 e l’11 febbraio 2023 a Budapest si sono verificati quattro attacchi durante i quali un gruppo di uomini e donne ha aggredito otto persone, tre delle quali hanno riportato ferite gravi e cinque lievi. Secondo quantoriportato dalla stampa italiana, la prognosi per le vittime sarebbe stata tra i 5 e gli 8 giorni. Per la polizia, tutti gli autori avrebbero utilizzato lo stesso metodo: avrebbero attaccato alle spalle, colpendo le vittime con aste metalliche telescopiche e altri dispositivi, per poi spruzzargli addosso uno spray al peperoncino. Le vittime sarebbero state scelte in base al loro abbigliamento, spiegano ancora le forze dell’ordine ungheresi: abiti che richiamano uno stile militare. A poche ore dagli incidenti sono state arrestate quattro persone: una donna ungherese, due cittadini tedeschi, e una cittadina italiana, ossia Ilaria Salis. L’insegnante è stata fermata nel pomeriggio dell’11 febbraio, il giorno dopo i fatti che le sono contestati, mentre si trovava a bordodi un taxi in compagnia di due cittadini tedeschi e con in tasca un manganello retrattile, riportano diversimedia italiani. 
Secondo
 il padre Roberto, lo «aveva portato con sé per un’eventuale difesa personale» e su di esso non è stata rilevata «alcuna traccia delle vittime». La zia Carla Rovelli 
ha spiegato
 che la nipote si trovava a Budapest perché «ha sentito il bisogno di unirsi» alla contromanifestazione di protesta organizzata dai movimenti antifascisti contro il Tag der Ehre. Questa giornata viene celebrata dalla fine degli anni Novanta da militanti neofascisti a Budapest per ricordare l’impegno dei militari nazisti durante la Seconda Guerra mondiale per fermare l’Armata Rossa. Fino a pochi anni fa venivano organizzaticortei, concerti ed eventivari, mentre ora la polizia ungherese non autorizza più grandi parate a causa del pericolo di scontri e disordine pubblico. Oltre a militanti di estrema destra, infatti, a Budapest si recano annualmente anche gruppi pacifisti e antifascisti che organizzano contro manifestazioni di protesta, con il concreto rischio di scontri tra le due fazioni. Ad oggi Ilaria Salis è accusata dalla procura ungherese di aver partecipato a due aggressioni e rischia un massimo di 24 anni di carcere. L’ipotesi dell’accusa è che abbia agito come membro di 
Hammerbande
, un’organizzazione di antifascisti tedeschi fondata nel 2017 a Lipsia in Germania con l’intento di 
rintracciare e attaccare
 esponenti e militanti fascisti. Gli avvocati di Salis 
hanno  spiegato
 che l’insegnante non risulta fra i membri dell’organizzazione, e il padre Roberto ha dichiarato  a repubblica  di non aver mai sentito la figlia parlarne. Le tre vittime che Salis avrebbe colpito non hanno sporto denuncia, 
in base a quanto dichiarato
 alla Stampa dal padre della donna. Le prove dell’accusa si basano sulle immagini delle telecamere di sorveglianza in cui le autorità ungheresi l’avrebbero riconosciuta, ma gli avvocati dell’imputata 
hanno denunciato
 l’impossibilità di visionare il filmato in questione. Salis, comunque, sostiene di non aver partecipato alle aggressioni, motivo per cui 
ha rifiutato
 una proposta di patteggiamento a 11 anni e all’udienza preliminare del 29 gennaio 2024 si è dichiarata innocente.  

La condizioni carcerarie
Ciò che ha scatenato così tanto interesse sul caso Salis, come dicevamo, sono state le foto scattate durante l’udienza preliminare del 29 gennaio, dove Salis è stata fatta entrare in aula con «un guinzaglio collegato a un dispositivo alle caviglie e uno ai polsi», come 
definito
 da uno dei suoi avvocati, Mauro Straini. Già nel 2018 l’Ungheria 
era stata richiamata
 dal comitato anti-tortura (
CPT
) del Consiglio d’Europa per l’uso inappropriato della manette in determinate situazioni, ad esempio alla vista del pubblico mentre vengono trasferite dalle strutture di detenzione ad altri luoghi come gli edifici giudiziari. Quelle stesse foto sono state utilizzate da una parte dell’opinione pubblica per screditare le pessime condizioni carcerarie a cui è sottoposta Salis. Su X ci sono post che dipingono l’insegnante come in buona salute, sorridente, 
«non sofferente
», che 
«non presenta segni di maltrattamento
». Ma chi era in aula quel giorno racconta una storia diversa. Contattato da Facta, Alessandro Grimaldi, che vive in Ungheria dal 2005, lavora nel campo dei media ed era presente all’udienza, ha spiegato che «Salis ha sorriso perché era contenta di vedere amici presenti» che erano lì a Budapest proprio per il processo. «Sembrava un sorriso forzato, e solo da vicino ti potevi accorgere che era visibilmente stanca», ha aggiunto. Il padre Roberto ha 
più volte
 
ribadito
 che la figlia è «molto forte» e cerca di sollevare il morale dei genitori il più possibile, ma nei primi mesi di carcere ha vissuto in condizioni difficili. Nei primi otto giorni, 
ha  raccontato
 il padre in 
diverse occasioni
, Salis sarebbe stata spogliata e lasciata solo con gli indumenti intimi, e le sarebbero stati dati dei vestiti sporchi e degli stivali con il tacco non della sua misura. Non le sarebbe stato consegnato nemmeno il kit igienico, e in quel periodo aveva anche le mestruazioni, afferma ancora Roberto Salis. Solo dopo 35 giorni dall’arresto l’ambasciata italiana le avrebbe consegnato dei vestiti di ricambio e un asciugamano.Inoltre, in base a quanto comunicato dalla stessa Salis 
in una lettera
 recapitata lo scorso 2 ottobre al consolato italiano di Budapest, per sei mesi non ha potuto comunicare con la sua famiglia. «Il primo settembre (dopo 6 mesi di detenzione) ho ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i miei!», ha scritto la donna. Nello stessa lettera, Salis, denunciava le pessime condizioni in cui era detenuta. «Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica. Nonostante le mie ripetute richieste e i segni visibili che avevo anche in volto, non ho ricevuto per tutto il periodo né gli antistaminici né la crema», si legge. Le pessime condizioni di detenzione nelle carceri ungheresi sono da tempo  denunciate  da vari comitati ungheresi, tra cui  Comitato Helsinki Ungherese
. Sulla tematica era intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che nel 2015 aveva 
condannato 
 l’Ungheria per le gravi violazioni dei diritti dei detenuti. Anche l’Unione europea 
ha espresso
 in passato 
le  sue preoccupazioni
 sullo stato di diritto dell’Ungheria, sottolineando come il governo ungherese abbia messo a repentaglio il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura e il pluralismo dei media. Anche varie organizzazioni, come Amnesty International, sono intervenute 
denunciando
 il 
mancato rispetto
 dei diritti umani nel Paese, come la libertà di religione, di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle minoranze, della comunità Lgbt+, dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Ilaria Salis al momento dovrà continuare a restare in carcere, dove però le condizioni sembrano essere 
migliorate
, ha raccontato il padre Roberto. Con l’udienza del 29 gennaio il giudice ungherese ha confermato la misura cautelare della detenzione in carcere per Ilaria Salis e ha fissato la prossima udienza al 24 maggio. L’obiettivo dei legali di Salis, al momento, è farla trasferire agli arresti domiciliari in Italia. 

La disinformazione che circola sul caso

In questi giorni sui social network sta circolando un 
filmato
 in cui un uomo viene picchiato da un gruppo di persone a volto coperto. L’uomo aggredito, 
stando
 ai 
commenti
 che si leggono, sarebbe László Dudog, musicista rock ungherese che come 
immagine del profilo
 di Instagram ha il busto di Mussolini accanto a una bandiera della Lazio. A febbraio 2023, nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti, l’uomo aveva dichiarato alla stampa ungherese che gli era stata «spaccata la testa, che poi è stata ricucita in ospedale», e rotto uno zigomo.Tuttavia il video non sembra combaciare con la scena descritta da Dudog per diversi motivi: innanzitutto nelle immagini si vede solo un uomo, e la vittima ha dichiarato di essere stato aggredito mentre si trovava insieme alla compagnia. Inoltre, il filmato ritrae una scena ripresa di giorno, ma lui è stato picchiato in tarda notte. La persona ripresa nel filmato 
sarebbe
 
invece
 T. Zoltàn, un tabaccaio che lavora in un punto vendita vicino a 
piazza Gazdagréti
luogo dell’aggressione
 avvenuta il 10 febbraio, intorno alle 12:30. Secondo quanto riportato dalla polizia il fatto rientra nelle aggressioni legate al gruppo antifascista.Questo non è l’unico caso di disinformazione che circola sui social. Ad esempio, su X vengono accostate due foto (attenzione: si tratta di immagini forti) di un volto tumefatto e di una testa con profondi tagli. Secondo chi ha condiviso il contenuto, entrambe le foto mostrerebbero le conseguenze dell’aggressione a László Dudog. In realtà si tratta di due persone diverse. Una mostra effettivamente Dudog, ma l’altra persona 
è invece
 un cittadino tedesco che, insieme alla ragazza, è stato aggredito davanti al proprio alloggio sempre nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti.Contenuti disinformativi sono arrivati anche da importanti partiti politici italiani al governo. Il ministro degli Interni e leader della Lega Matteo Salvini il 31 gennaio su X 
si è scagliato contro
 l’insegnante accusandola di essere stata presente in occasione di un attacco al gazebo del partito italiano Lega Nord nel 2017, a Monza. In realtà Salis non ha partecipato agli attacchi al gazebo della Lega, come stabilito dal processo avviato in seguito a quei fatti. La giudice Maria Letizia Borlone il 1° dicembre del 2023 
ha infattiaccolto
 la richiesta di assoluzione avanzata sia dalla difesa che dal pubblico ministero, spiegando che «la mera partecipazione al corteo senza partecipazione o istigazione all’azione delittuosa non può costituire un’ipotesi concorsuale neanche morale». Inoltre, risulta che Salis all’epoca avesse addirittura tentato di fermare l’attacco al banchetto, come si può vedere in un 
filmato
 e come scritto dalla giudice nelle motivazioni. Ilaria Salis mise «il braccio dietro la schiena ad un giovane che aveva appena buttato a terra la bandiera leghista, come ad invitarlo a proseguire nel corteo», ha scritto la giudice.Le dichiarazioni di Salvini non sono passate inosservate, e il padre Roberto Salis 
ha dichiarato
 di aver deciso di querelare il leader della Lega «a seguito delle dichiarazione lesive» della reputazione della figlia «per quanto riguarda il presunto assalto al chiosco della Lega a Monza».


17.1.24

la destra continuerà ad attaccare la cortellessi anche dopo il discorso integrale della Luiss ?

 Dopo  i mei articoli :  I II  Riporto  sotto   il discorso integrale che Paola Cortellesi, attrice e regista reduce dallo strepitoso successo nelle sale del suo debutto da regista C’è ancora domani, ha tenuto in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Università Luiss. Alcuni stralci del discorso sul sessismo nelle fiabe erano stati pubblicati in questi giorni e avevano suscitato diverse polemiche. Ci voleva molto a diffonderlo subito a evitare polemiche ed ....bla...bla....  inutili ed  volgari  
Ma soprattuttto : << Bisognerebbe vergognarsi per la spazzatura che le hanno tirato addosso, anche quelli che si professano "femministi" o sembrano con un po' di sale in zucca.....Ma la vergogna e' sentimento per chi ha intelligenza e dignita' >> (Angela Vitaliano   facebok il 15 gennaio alle ore 16:24). 
 Prima  di  lasciarvi  al discorso ( condivisibile  o meno )     della  Cortellesi   affermo  che    adesso ha  un altro senso  risetto  alla ....  lanciatagli  .Inoltre  avrei   dei dubbi     , delle domande  elucubratorie  sul perchè  solo ora   la  Luiss  ha  deciso di    rilasciare  l'intervento integrale  e  non  subito  .  Ma   visto    il clima   che si è creato   con il caso Lucarelli  e  la  coerenza   con quanto  ho detto   nei post precedente su tale argomento   ( https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2024/01/notizie-non-notizie-e-shitstorm-il-caso.html )   opto  per   il  silenzio   e  il lasciare andare   come  suggerisce  la  famosa  Let It Be (Testo) - The Beatles

Non riuscendo  ad incorporare  il video  nel post      riporto dal post     torvato su   fb     sia  la trascrizione  integale dell'intervento    sia  l'url con   il  video


· Grazie a Paola Casella per la segnalazione.Due giorni di polemiche inutili ormai scomparse dai mediaPaola Cortellesi, il monologo integrale sul sessismo nelle fiabe tenuto all'Università Luiss (sky.it)
"Grazie professoressa Severino, grazie a tutti voi, buongiorno agli ospiti, buongiorno ai ragazzi. Mi chiamo Paola Cortellesi, sono un’attrice, da una ventina d’anni scrivo per la radio, il teatro e la tv. Da dieci anni scrivo film per il cinema e da poco ho esordito alla regia con C’è ancora domani, uno spericolato film d’epoca, in bianco e nero che, in soldoni, tratta di prevaricazione e violenza di genere. Una mattonata, sulla carta, come diremmo in gergo. Con questi presupposti, nessuno si sarebbe aspettato un ampio gradimento della pellicola, e invece, contro ogni pronostico, questo film ha avuto un successo travolgente, ha battuto molti record e al momento è stato visto nelle sale cinematografiche da più di 5 milioni di persone", con queste parole ha esordito l'attrice, sceneggiatrice e regista, ospite all'Università Luiss. "Io ho iniziato il mio lavoro come attrice quasi trent’anni fa, nel mio settore ho avuto molte soddisfazioni, ricevuto importanti riconoscimenti ma, ultimamente, intorno al clamore suscitato dal film, l’interesse nei miei confronti è cresciuto spropositatamente. Questo a volte genera cose anche spiacevoli, come gli adulatori - da cui bisogna sempre guardarsi - e una certa diffusa aggressività di alcuni nel tentativo di trarre vantaggio da questi miei quindici minuti di popolarità. Fenomeni passeggeri e di nessun conto rispetto a esperienze magnifiche e per me eterne come incontrare la commozione sincera delle persone in sala a fine proiezione e la condivisione spontanea di momenti importanti e a volte duri della loro vita", prosegue Paola Cortellesi davanti alla platea composta dagli studenti dell'università Luiss."Tra le cose belle e piacevoli, c’è la telefonata di Luigi Gubitosi (presidente della Luiss, ndr). Quando mi ha chiamata per propormi di essere qui oggi per l’inaugurazione dell’anno accademico di questa prestigiosa università, mi sono sentita fiera, onorata e... inadatta. Io che l’università l’ho lasciata a metà del percorso per andare a studiare teatro - quello l’ho studiato - che poi è diventato il mio lavoro, gli ho risposto che mi sentivo orgogliosa di parlare agli studenti ma che sarebbe forse stato meglio chiamare persone competenti in materia di legge, marketing, economia, perché le mie conoscenze non hanno molto a che vedere con i corsi di studio di questa università e che - le interpreti, le diriga o le scriva - le mie competenze si limitano a raccontare storie. E allora Luigi mi ha risposto: ‘E io questo chiedo, io questo voglio! Racconta il tema del tuo film, fai un racconto nel racconto. Le storie fanno bene, le storie fanno crescere, sono uno stimolo di riflessione’. Ha ragione, quindi eccomi qua", dice Cortellesi."Eccomi qua a cercare di capire insieme a voi perché questa storia di violenza e prevaricazione in bianco e nero ambientata nel passato abbia fatto breccia nel cuore di così tante persone. Perché, perché è successa questa cosa", si domanda Cortellesi."In breve, vi dico la trama, per chi non avesse visto il film, immagino molti di voi (sarebbe davvero presuntuoso pensare che l’avete visto tutti). Delia - che io interpreto, quindi una signora della mia età - è la moglie di Ivano, madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono, e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni Quaranta e la nostra famiglia qualunque vive nella Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. Ivano, suo marito, è capo supremo e padrone della famiglia. Lavora per portare i pochi soldi a casa e non manca occasione per sottolinearlo, a volte con toni sprezzanti, altre direttamente con la cinghia. Ha rispetto solo per il suo anziano padre, il Sor Ottorino, un vecchio cattivo e dispotico di cui Delia è a tutti gli effetti la badante. È primavera e la nostra Delia è in agitazione per il fidanzamento dell’amata primogenita, Marcella, con un ragazzo di buona famiglia, Giulio. Un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui Delia aspiri. Non chiede nient'altro Delia. Accetta la vita che le è toccata e, se tutto procedesse come stabilito, la nostra storia finirebbe qui. Se non ci fosse l’ostilità dei genitori di Giulio, se non ci fosse tutto quel fermento in città, se non avesse incontrato Nino, il suo primo amore, e se non avesse ricevuto una misteriosa lettera che le toglie il sonno e che le darà il coraggio di provare a pensare a un futuro migliore", spiega Paola Cortellesi. "Ora, detta così, sembra una delle trame di tante fiabe per bambine, sempre un po’ sinistre a dire la verità... Voi ne conoscete qualcuna immagino, no? Cappuccetto Rosso, no? Forse queste sono dei tempi miei, ma immagino che Cenerentola, Biancaneve… queste le conoscerete. Comunque, per chi non le conoscesse… Cenerentola e Biancaneve narrano di giovani sprovvedute, dotate di rara bellezza e di un’ingenuità disarmante (ai limiti della patologia), che subiscono angherie di ogni genere da altre donne malvagie. Quindi la matrigna sfrutta Cenerentola, ragazza bravissima nelle faccende domestiche (che solitamente svolge cantando). E la matrigna tiene nascosta l’avvenenza della ragazza al principe. Ma grazie a una magia, a Cenerentola basta presentarsi in tutto il suo splendore per un paio d’ore perché il principe se ne innamori perdutamente. La matrigna la tiene nascosta ma lui, scaltro, la ritrova e la riconosce… perché l’aveva vista? No: perché ha i piedi sproporzionatamente piccoli... Comunque alla fine lui la salva e la sposa. Questa era la prima cattiva, la matrigna", prosegue l'attrice, sceneggiatrice e regista. "La regina di Biancaneve è ancora più canaglia perché lei è di fatto la mandante del tentato omicidio di Biancaneve. Perché lo fa? Perché lei vuole essere la più bella del reame. Quindi anche con l’aggravante dei futili motivi… Tentato omicidio perché il cacciatore, uomo coraggioso e di buon cuore, non ce la fa. Anche perché la ragazza è troppo bella. È bella. Fosse stata una cozza, al limite l’avrebbe squartata, ma è così bella… E poi è ingenua, perché proprio è ingenua come un cucciolo di labrador. E lui la lascia andare. Allora Biancaneve incontra i Sette Nani, presso i quali si adopera per un periodo come colf. Poi, nonostante le mille raccomandazioni, anche dei Sette Nani, Biancaneve si fida di una vecchia orrenda, con l’aspetto da strega e che infatti è la strega. Morde la mela avvelenata, muore. Risorge grazie a chi? Al principe. A un bacio del principe, che se ne innamora perdutamente perché? Perché è bella. Quindi il principe la salva e la sposa. Ecco, entrambe le ragazze, bellissime - per carità - ma un po’ stralunate, trovano la loro realizzazione nel matrimonio con il principe. Un estraneo. Un estraneo che sposano subito, senza pensarci, senza nemmeno esserci uscite una volta a cena", aggiunge Cortellesi. "Tornando alla trama del mio film, dicevo che la vita della povera Delia è talmente ingiusta da sembrarci la versione deprimente di una favola per bambine, e invece è storia. È storia piuttosto consueta di una famiglia qualunque della seconda metà degli anni Quaranta. Scena 1: uno schiaffone in pieno viso e via, come se niente fosse. Ecco, io avevo questa immagine e il desiderio di mettere in scena - attraverso Delia - le donne che ho immaginato dai racconti delle mie nonne e delle mie bisnonne. Vicende vere, drammatiche, però narrate con disincanto, e addirittura la volontà di sorriderne. Storie di vite dure, condivise con tutte nel cortile. Gioie e miserie, tutto in piazza, sempre. In quei racconti c’erano le donne comuni, quelle che non sono passate alla storia, quelle che hanno accettato una vita di prevaricazioni perché così era stabilito, senza porsi domande. Questo è stato, questo a volte è ancora", racconta Paola Cortellesi. "Da allora le donne hanno fatto grandi passi avanti, si sa, ma come sapete la cronaca ci racconta che in Italia si consuma un femminicidio ogni 72 ore, in media. Donne assassinate per la sola ragione per essere donne, il più delle volte da uomini che dicevano di amarle così tanto da considerarle loro proprietà. Nel nostro Paese ci sono uomini, quindi, anche giovanissimi, che non hanno la capacità di gestire un rifiuto, che non tollerano l’emancipazione, l’allontanamento della donna che credono di amare. E questo, nei casi più tragici, si traduce con : 'o mia o di nessun altro, mai più'", sottolinea l'interprete e cineasta. "Quando ho scritto questo film insieme ai miei co-sceneggiatori abbiamo studiato le dinamiche, da lì siamo partiti: le dinamiche sempre uguali che oggi caratterizzano un rapporto tossico. La donna è isolata, allontanata dalla famiglia d’origine e dalle amicizie; è continuamente vessata da un linguaggio denigratorio, subisce percosse e rapporti sessuali non consensuali. Non è indipendente economicamente, non può scappare. La prigioniera perfetta, la preda perfetta. Questa condizione, che oggi ci ripugna, era all’ordine del giorno alcuni decenni fa, e nessuno allora gridava allo scandalo, nemmeno le donne stesse, perché quello era stato prospettato loro fin da bambine: servire, ubbidire, tacere", fa notare Cortellesi. "Avevo intenzione di fare un film contemporaneo ambientato in un passato non troppo remoto e seguire la crescita di un germoglio spontaneo di consapevolezza in una donna che non sa nulla, che non conta nulla e che appunto si sente una nullità. Delia, la nostra Delia, non vale niente, così le hanno insegnato, ma una lettera con sopra il suo nome - il suo, non quello del marito - e l’amore per sua figlia le accendono il coraggio di cambiare le cose. Io ho trovato il riscatto di Delia, il finale del mio racconto, leggendo con mia figlia un libro per bambine sulla storia dei diritti delle donne. Ho provato a immaginare cosa abbiano provato quelle donne, quelle reali, nel ricevere una lettera in cui qualcuno, lo Stato in quel caso, qualcuno tanto più importante dei loro aguzzini domestici, certificava il loro diritto di contare", spiega. "Con C’è ancora domani ho voluto raccontare le imprese straordinarie delle donne qualunque che hanno costruito ignare il nostro Paese. Delia è le nostre nonne e bisnonne. Chissà se loro hanno mai intravisto un domani. Per Delia un domani c’è: è un lunedì ed è l’ultimo giorno utile per cominciare a costruire una vita migliore. La nostra Delia si salva, e non grazie al coraggio del cacciatore, né tantomeno fuggendo su un cavallo insieme al principe. Si salva esercitando un suo diritto, suo e di milioni di altre donne. Si salva con la consapevolezza e un ritrovato rispetto di se stessa".E infine Paola Cortellesi analizza come segue lo strepitoso successo che ha raccolto la sua pellicola: "Credo che - al di là dello stile e della bellezza del film, per chi lo abbia ritenuto tale - alla base di questo successo ci sia l’empatia, l’immedesimazione. Questo film trascende la fruizione cinematografica ed entra nel quotidiano, evidentemente, e questo non grazie alle mie capacità ma a causa, ahimè, di un’urgenza di riscatto. Perché le giovani generazioni dovrebbero immedesimarsi con una storia del passato? È cambiato tutto, io stessa non posso immedesimarmi in una donna del secolo scorso che è stata trattata al pari di una schiava. Ma allora cos’è che ci tocca? Cosa riconosciamo? La violenza in tutte le sue forme. E se quella fisica per fortuna è una violenza che non ci ha mai riguardato, quella violenza ognuno di noi l’ha percepita almeno una volta nelle parole, negli atteggiamenti, nei commenti sgradevoli a scuola, a casa, sul lavoro. Vive e prolifera nelle piccole cose, ci inganna piano piano. È così presente da risultare invisibile, talmente presente che la diamo per scontata e ci convince che così deve essere, come niente fosse. Noi diamo per scontato che per un ragazzo una passeggiata notturna è una passeggiata notturna mentre per una ragazza è un percorso potenzialmente pericoloso da affrontare in fretta e con mille cautele? È ingiusto, è folle, è sotto i nostri occhi ma a volte lo diamo per scontato, non lo riconosciamo perché è negli schemi", prosegue la cineasta. "Lo sentiamo da piccoli, quando alle bambine con un’indole vivace viene dato del ‘maschiaccio’. Qualcuno ha stabilito che le femmine debbano essere composte, pacate, remissive, graziose e che la vivacità debba appartenere al maschio, a cui viene attribuita non si sa come un’innata aggressività, che infatti diventa ‘maschi-accio’ Accio, dispregiativo se associato a una bambina. lo sentiamo quando ai bambini che piangono si dice ‘non fare la femminuccia’. Come se i maschi non avessero il diritto di piangere, di essere sensibili e fragili. La fragilità è delle femmine, individui deboli. Ucce, femmin-ucce, diminutivo. Loro hanno facoltà di lamentarsi, ai maschi si impone di reagire e farlo subito, pure a cinque anni, quasi che un fisiologico tempo di delusione e di sconforto li esponga al pericolo di una qualche perdita della virilità", continua Paola Cortellesi. "Schemi, condizionamenti tramandati in buona fede se non dalle nostre famiglie dalla nostra società. Modelli in cui finiamo per rinchiuderci pur di piacere, di accontentare, di non deludere le aspettative", illustra Cortellesi, facendo infine un augurio a se stessa, al suo pubblico e a tutta la società."Quello che mi auguro per voi ragazzi è che non abbiate mai paura di uscire dai condizionamenti. Che accettiate il rischio di sembrare strani o pazzi, se questo significherà scegliere. Spero, care ragazze, che non assecondiate l’idea che gli altri hanno di voi. Sono modelli che delimitano la vostra personalità e limitano le vostre prospettive. Spero, cari ragazzi, che siate parte attiva di questa lotta, praticando il rispetto, ammonendo chi non lo fa. Non siate indifferenti, l’indifferenza è una scelta, ed è quella sbagliata. Siate straordinari, concedetevi il dubbio, perché è la vostra libertà", queste le sue parole. "Come dicevo, non ho nulla da insegnare, ma a cinquant’anni ho qualcosa da raccontare. Vi parlo con l’unico vantaggio dell’esperienza. Se alla vostra età avessi potuto contare sul vantaggio di chi era più vecchio, non avrei commesso molti errori. Fate tesoro di chi è in vantaggio, traetene beneficio. Gli errori, si sa, aiutano a crescere. Commetteteli allora, ma fatelo nel tentativo, anche maldestro, di liberare la vostra creatività, di costruire la vostra indipendenza. L’errore che invece potete evitare è fare esclusivamente ciò che si aspetta da voi e quello che gli altri decidono per voi. Siate sempre i protagonisti del vostro progetto e mai le comparse del progetto di qualcun altro. Grazie”, così conclude Paola Cortellesi inaugurando l'anno accademico all'Università Luiss.


emergenza femminicidi non basta una legge che aumenti le pene ma serve una campaga educativa altrimenti è come svuotare il mare con un secchiello

Apro l'email  e tovo  queste  "lettere "   di  alcuni haters  \odiatori  ,  tralasciando  gli  insulti  e le  solite  litanie ...