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11.10.25

DIARIO DI BORDO N 151 ANNO III . IDIOZIE POLITICHE IL CASO DI Francesco Vincenzi primo cittadino di Inverigo , SCUOLA MATERNA E IL burnout , ARTE ALL'ARIA APERTA IL CASO DI BRUNO PETRETTO , Un anno fa la tragedia alla Sailboard: «Dedico la laurea a mio padre»

colonna sonora Di. cosa stiamo parlando https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/10/07/sindaco-inverigo-rimuove-striscione-pace-notizie/8152645/ Va benenon essere della stessa opinione \ schieramento ma qui si esagera si è su posizioni negazioniste . Infatti la sa tira di Makkox descrive benissimo la ossessione al dissenso ( vedere link sopra ) e il video sotto  

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   da  https://www.today.it/storie/lettera-insegnante-clara-holt.html

 "Mio padre dice che la gente come te non conta più, non hai nemmeno un TikTok": l'addio di una maestra d'asilo Il monito affidato ai social è lo specchio di un fenomeno tutt'altro che isolato: il burnout nel settore dell'insegnamento è sempre più esplosivo

 "Dopo quarant’anni passati a insegnare l’ABC ai bambini, la mia carriera non si è conclusa con una festa o con un applauso, ma con una piccola, tagliente frase pronunciata da un bambino di sei anni: ‘Mio padre dice che la gente come te non conta più’." È amaro lo sfogo di una maestra neo pensionata che ha trascorso la propria vita professionale insegnando in un asilo alla periferia di Denver, metropoli statunitense capitale del Colorado. La riflessione è firmata Clara Holt, probabilmente uno pseudonimo dato che non risultano insegnanti con questo nome. Tuttavia lo sfogo lasciato sui social è diventato virale a inizio ottobre 2025, cupo riflesso della svalutazione della professione di insegnante in America (ma non solo). Un monito che sottolinea ciò che sta andando perduto nel mondo dell’istruzione. Clara non invoca colpevoli, ma chiede rispetto - non per sé - per la funzione insostituibile che ogni insegnante svolge: prendersi cura dei bambini, della loro fiducia, del loro desiderio di scoprire. A innescare la riflessione è la tagliente frase pronunciata da un bambino di sei anni mentre lei si preparava a impilare negli scatoloni i ricordi di una vita da insegnante: "Mio padre dice che la gente come te non conta più" dice, per poi aggiungere senza sarcasmo. "Non hai nemmeno un TikTok". “Sanno scorrere app sul display prima ancora di impugnare un pastello” Clara, maestra d'asilo Quando iniziò la sua carriera nei primi anni Ottanta, Holt ricorda come l'insegnamento fosse vissuto come una promessa condivisa: "Ciò che facciamo conta". Le sere erano dedicate a ritagliare fogli colorati, applicare glitter, costruire angoli di lettura. I genitori portavano biscotti alle serate scolastiche. I bambini consegnavano biglietti fatti a mano con cuori diseguali. Il riconoscimento era nei gesti piccoli, non nei numeri. Negli ultimi anni, però, quel mondo è cambiato. “Mio padre dice che persone come te non contano più” Clara descrive un sistema che l’ha risucchiata in procedure burocratiche, in schermate da compilare per difendersi da lettere arrabbiate, in genitori che urlano davanti ai figli mentre uno registra con il cellulare. I bambini stessi arrivano già esausti, ansiosi, abituati alla luminosità degli schermi: sanno scorrere app sul display prima ancora di impugnare un pastello. E l’insegnante è chiamata a essere tutore emotivo, psicologo, operatore sociale, riparatore di traumi e alunna del curriculum. "Tutto in sei ore, con risorse esigue". "Un giovane preside una volta mi disse: “Clara, forse sei troppo affettuosa. Il distretto vuole risultati misurabili”. Come se la gentilezza fosse un deficit". Eppure, Clara è restata. Per quegli attimi che nessun foglio Excel può catturare: un alunno che le sussurra "Mi ricordi mia nonna"; un biglietto tremolante con scritto "Mi sento al sicuro qui"; un bambino che, per la prima volta, alza lo sguardo e dice "Ho letto l'intera pagina". Ma Clara ha visto anche crescere l'aggressività, il silenzio prendere il posto delle risate nella sala insegnanti. Le colleghe, dice, sono scomparse una dopo l’altra, piegate da un burnout crescente. E lei stessa si è sentita sparire "come gesso cancellato dopo troppe lavate". Secondo gli ultimi dati dell'associazione degli insegnanti americani negli Stati Uniti ogni anno l’8 per cento degli insegnanti abbandona la professione, e sono i più giovani quelli che sarebbero a rischio più elevato. In Italia oltre la metà dei docenti manifesta sintomi di burnout o livelli significativi di stress denunciando di lavorare fino a tre ore in più rispetto al pattuito. La lettera d'addio di “Clara Holt” Nell'impacchettare le ultime cose prima di andare in pensione ha infilato in una scatola decine di biglietti ricevuti in trent’anni. Nel fondo di un cassetto ha trovato una lettera di una studentessa del 1998: "Grazie per avermi voluto bene quando ero difficile da amare". Clara si è seduta sul pavimento e ha pianto. L'addio senza cerimonie, senza applausi. Solo la stretta di mano sommessa di un giovane preside assorto nel suo smartphone. "Se conoscete un insegnante, qualsiasi insegnante, ringraziatelo - conclude - Non con una tazza o un buono. Ma con parole, rispetto, consapevolezza che dietro ogni voto c’è un cuore che ha provato. Perché in un mondo che spesso li dimentica, gli insegnanti sono quelli che non dimenticano i nostri bambini". -- "Mio padre dice che la gente come te non conta più, non hai nemmeno un TikTok"

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LA  NUOVA  SARDEGNA  11\10\2025 


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LA  NUOVA  SARDEGNA  11\10\2025 
La storia
Un anno fa la tragedia alla Sailboard: «Dedico la laurea a mio padre»
di Marco Bittau

L’olbiese Anna Maria Campus discute una tesi ispirata alla veleria di famiglia

Olbia
La prima pagina della sua tesi di laurea è un foglio bianco, in alto una piccola dedica in corsivo: «A mio padre». E già così è un colpo al cuore. Anna Maria Campus – olbiese, neodottoressa in economia aziendale all’Università di casa, la “fabbrica” dei manager del turismo – per completare gli studi ha scelto la via dell’emozione forte, dell’orgoglio di famiglia e della gioia di fare un regalo al padre che non c’è più, Giancarlo Campus, velista e imprenditore conosciutissimo in città, titolare della veleria Sailboard nell’area industriale di Olbia. Proprio un anno fa aveva perso la vita nel suo capannone, un tragico incidente sul lavoro, che ha posto i tre figli (Anna Maria, Nicola e Mattia) di fronte alla realtà di un’azienda da mandare avanti, di un progetto d’impresa da sviluppare e della memoria di un padre-imprenditore da consegnare alla piccola grande storia degli olbiesi di mare. Pochi ma buoni. Il tema della tesi la dice lunga: “Il passaggio generazionale nelle imprese familiari: il caso Sailboard”. Cioè, la veleria avviata dal padre Giancarlo. Inevitabile che la tesi di laurea a questo punto diventi anche la storia della propria famiglia, spezzata da una tragedia, ma ripresa di petto e di studio, perché la vita non si ferma.
La mia tesi – racconta Anna Maria – è dedicata al tema del passaggio generazionale nelle imprese familiari, un argomento di grande rilevanza per l’economia italiana e sarda, dove la maggior parte delle aziende è a conduzione familiare. Il lavoro analizza le sfide e le opportunità che accompagnano il ricambio generazionale, approfondendo gli aspetti economici, organizzativi e relazionali che influiscono sulla continuità dell’impresa».
«Una parte del lavoro – aggiunge – è dedicata al caso Sailboard, la veleria di famiglia, utilizzato come esempio concreto per comprendere come il processo di transizione possa essere vissuto dall’interno di una realtà artigianale locale. Attraverso questo caso ho voluto mostrare come il passaggio generazionale non sia solo una questione di successione nella proprietà o nella gestione, ma anche di trasmissione di valori, competenze e identità aziendale, elementi fondamentali per garantire la sostenibilità e l’evoluzione dell’impresa nel tempo».
È la stessa neodottoressa a raccontare nella tesi di laurea la storia dell’impresa di famiglia: «La veleria Sailboard nasce a Olbia oltre trent’anni fa da una scelta radicale del fondatore, Giancarlo Campus, cioè abbandonare il mondo itinerante del luna park per stabilirsi in un contesto marino stabile, dove la passione per la vela potesse diventare una vera professione. Nel corso degli anni, il modello di business artigianale di Sailboard ha subìto un’evoluzione naturale guidata dalla visione e dall’intraprendenza del suo fondatore».
«Nato con l’intento di fornire servizi specializzati nel mondo della vela – prosegue Anna Maria Campus nella sua tesi – il laboratorio si è inizialmente concentrato sulla riparazione delle vele e su tutto ciò che ruotava intorno alla pratica del windsurf, disciplina molto diffusa in Sardegna già negli anni Ottanta».
Tra le intuizioni di Giancarlo Campus anche l’espansione della veleria anche fuori dal naturale ambito nautico. Nell’arredamento, per esempio. Poi nel 2021 il passaggio dal piccolo laboratorio al grande capannone in via Namibia, nell’area industriale. Oggi, un anno dopo la tragedia, nella spiaggia dello Squalo (davanti al chiosco ristorante Sa Joga, base dei surfisti olbiesi) i tre figli hanno posato nell’erba un piccolo altare con due vele al vento e una targa che spezza il cuore: «Il mare era la tua casa, il vento la tua guida, Il Capitano della nostra vita che naviga ora mari senza confini».

5.10.25

IL GRANDE RINCOGLIONIMENTO😊 di © Carmen Cascone

Carmen Cascone
3 ottobre alle ore 16:06 ·

 IL GRANDE RINCOGLIONIMENTO😊
Al bar chiedi l’acqua naturale. Arriva la frizzante. Sempre.🤔 Al ristorante c’è chi fotografa la cena come se fosse l’Ultima Cena: quattro angolazioni, tre filtri, due stories. Quando finalmente mangia… è fredda...ma tanto su Instagram sembra calda. Per strada, ragazzi con le cuffie: occhi persi nel vuoto, testa che dondola. Non stanno pensando, stanno solo aspettando il drop della playlist. E quelli che parlano da
soli? Auricolari invisibili. Ma sembrano pazzi lo stesso. Famiglie al ristorante: cinque persone, cinque cellulari. Silenzio assoluto. L’unico dialogo è: “Papà, mi passi il Wi-Fi?”. Piccoli episodi sparsi... Ma messi insieme raccontano una verità enorme: stiamo vivendo nell’era del Grande Rincoglionimento. Scorriamo, scorriamo, scorriamo... Non solo i telefoni. Scorriamo la vita stessa. Gatti, influencer, complotti assurdi, tutorial improbabili. La mente va in fumo. Il cervello si spegne in attesa della prossima notifica. Anch’io scorro. Anch’io rido. Anch'io mi indigno. Poi mi accorgo che sto diventando un vegetale tecnologico. Allora provo a fermarmi. Respiro... Guardo il vento negli alberi. Seguo un cane che cammina piano... Osservo il cielo che cambia colore. E per un attimo… ritorno viva. Platone ci aveva avvertiti con la caverna. Seneca diceva che non è poco il tempo che abbiamo, ma molto quello che sprechiamo. Noi oggi lo sprechiamo guardando reels di gente che taglia saponi colorati. La vera resistenza non è armata. È leggere un libro senza controllare il telefono ogni sei secondi. È camminare senza cuffie, accettando di ascoltare… i propri pensieri. Ogni gesto cosciente diventa eroico: guardare un volto negli occhi senza sembrare Hannibal Lecter, ascoltare una voce senza dire “scusa, ero su WhatsApp”, mangiare un piatto di pasta senza fotografarlo come fosse un’eclissi totale. Piccole rivoluzioni quotidiane... Fermiamoci. Guardiamo. Respiriamo... Ogni respiro consapevole è un antidoto al Grande Rincoglionimento. E forse, un giorno, quando chiederemo l’acqua naturale…ci porteranno davvero la naturale. Ma su questo non facciamoci illusioni: sarebbe troppo rivoluzionario. ⭐️Carmen Cascone

22.6.25

A settembre scatta il divieto nelle scuole medie e superiori: cinque ore disconnessi. Ecco come ci si sta preparando. La lunga estate detox per i ragazzi è la fine del cellulare no-limits

 fonte  repubblica  del 22\6\2025 

La lunga estate detox per i ragazzi è la fine del cellulare no-limits
                            d
i  Maria Novella  de  Luca  

 


Quanto saranno lunghe cinque ore al giorno senza cellulare in classe, senza quella vibrazione clandestina in tasca perché la prof non senta, senza lo scroll compulsivo durante la ricreazione, senza, insomma, ben custodito nello zaino scolastico, lo smartphone, simbolo massimo dell’iperconnessione, totem e tabù della generazione post digitale? Ci saranno crisi di ansia o invece, poi, la vita vera tornerà ad essere attrattiva? Perché nella grande incertezza di cosa sarà la scuola italiana nei prossimi anni, una cosa sembra abbastanza certa: alla prima campanella di settembre, ragazzine e ragazzini di medie e superiori il cellulare lo dovranno consegnare all’entrata e riprenderlo all’uscita. Poi ogni scuola deciderà tempi e modi, ma la strada è segnata. Non soltanto per la circolare del ministro Valditara che raccomanda fortemente il divieto di telefonini in classe, ma anche per le tante petizioni e raccolte di firme che da fronti diversi chiedono da anni la stessa cosa. E cioè che  la scuola sia zona franca da smartphone e telefonini, dunque da social e navigazioni multiple che mandano l’attenzione in mille pezzi. Così, in questa estate di vigilia, ultima, forse, dei cellulari no-limits, èinteressante vedere la moltiplicazione di iniziative di “disintossicazione” da smartphone dedicate agli adolescenti. Dai campeggi detox come in Valsesia al campus torinese di disconnessione organizzato dalla Fondazione Carolina e dall’Associazione Rubens: si sta insieme, ci si diverte, ma i cellulari restano fuori. E ci sono anche gli «Offlines days” di Scuolazoo, quattro giorni di trekking per teenager sulle colline toscane 

lontani da Instagram e Tik Tok. E in Emilia Romagna si guarda invece alla « disconnessione consapevole», con una domenica di liberazione dagli smartphone ogni mese a partire da ottobre. Non puntando alla proibizione, come vorrebbe la circolare Valditara (che è appunto una circolare, non una legge) ma sull’educazione, sulla moral suasion. «Imporre divieti senza consapevolezza rischia di produrre un effetto boomerang», ha detto l’assessora regionale alla scuola Isabella Conti, sottolineando la necessità di coinvolgere attivamente famiglie, docenti e studenti in un percorso collettivo.Come reagirà The anxious generation, tanto per citare il libro-bibbia di Jonathan Haidt sui danni da social sul cervello degli adolescenti, alla disconnessione forzata durante le ore scolastiche, è davvero presto per capirlo. Nelle diverse scuole dove questo è già avvenuto, spiega però il pedagogista Daniele Novara, «i risultati sono stati ottimi e i ragazzi sereni». Insieme allo psicoterapeuta Alberto Pellai, Novara ha
raccolto oltre centomila firme perché vengano vietati gli smartphone fino ai 14 anni e l’uso dei social sotto i 16 anni. «La circolare sui cellulari in classe è l’unico provvedimento del ministro Valditara che condivido, mentre su tutto il resto siamo su fronti opposti. Sono convinto che questa regola sarà salutare per i ragazzi. Pensate alle campagne antifumo. Quando scattò il divieto nei cinema, nei ristoranti, sui mezzi pubblici, sembrava che dovesse scoppiare la rivoluzione e invece milioni di italiani buttarono via
le sigarette, guadagnando salute e benessere. Cinque ore al giorno di disconnessione porteranno soltato vantaggi psicologici per i giovanissimi, concentrazione e relazioni umane». Certo, aggiunge Novara, la condizione è che oltre al divieto la scuola punti a conquistare l’interesse degli studenti. «Sono un pedagogista montessoriano e non credo alla lezione frontale, prof in cattedra e allievi che passivamente ricevono nozioni, se vogliamo che alzino gli occhi dai loro telefonini siamo anche noi adulti a dover cambiare». Infatti. Era il 1998 quando il ministro dell’Istruzione Berlinguer emanava la prima circolare che vietava — agli insegnanti — l’uso del telefonino in classe. Ne sono seguite almeno altre dieci e sono passati 27 anni di deregulation digitale. Adesso sembra che la scuola faccia sul serio. Ve￾dremo. Apputamento a settembre, con la prima campanella. 

Lo  so che on è facile  come dimostra ,la  storia (    una delle  tante )    di  : «Agata e il cellulare: una discussione continua. I divieti la stanno allontanando da noi”  da D  di repubblica   di qualche tempo fa , ma  o  le regole   o  attività  alternative  insieme  ad un uso  consapevole  sono la  soluzione    contro l'uso smodato  (  cosa che   anch'io a  50   quasi   e  soffro  e ho difficoltà  a  disintossicarmi  )    del  cellulare  e pc   .
Infatti    sempre secondo repubblica  


“Nel campus solo orto, cavalli e niente chat”
                            di ADELE PALUMBO

TORINO
È l’ultimo giorno di campo  estivo per Lilli, 16 anni. La serata è tiepida e la ragsieme agli amici. Nell’ultima settimana ha imparato a prendersi cura di un cavallo, ha coltivato le verdure dell’orto e ha passato le  serate tra costruzioni e giochi di società. Il tutto, senza mai prendere in mano il cellulare. Nessuna foto postata sui social. Niente notifiche da leggere su Whatsapp. Il “Camp Digital Detox” organizzato a Torino da Fondazione Carolina, insieme all’Associazione Rubens, prevede cinque giorni di totale disconnessione. «In un tempo in cui lo schermo  è un rifugio e, a volte, anche una dipendenza, abbiamo proposto un’alternativa fatta di relazioni  vere», spiegano. L’unica deroga è una chiamata a casa, 15 minuti, due volte a settimana.«All’inizio è stato difficile staccarmi dal telefonino», ammette Lilli. «Ma le attività che ci sono state proposte mi hanno fatto sentire meno la mancanza». Il momento più difficile era la sera.«Mi veniva voglia di chattare con gli amici, ma tutto sommato è stato sopportabile», aggiunge la ragazza, che durante l’anno studia in un istituto professionale di Milano. Con lei c’è Francesca, di tre anni più piccola, altrettanto legata al prezioso dispositivo. «Di solito quando mi sveglio prendo in mano il telefono e rispondo a qualche chat», racconta. «Qui non potevo farlo, ma mi sono divertita lo stesso».I ragazzi sono stati seguiti durante tutto il percorso da una psicologa e da una pedagogista. «Abbiamo cercato di far passare il messaggio che anche internet è un luogo», racconta Greta Perrone, la terapeuta che ha accompagnato le attività.


1.9.24

Perini bronzo alle Paralimpiadi, ma è squalificato per un motivo assurdo: aveva un telefono in gara ., La vita di Ali Truwit stravolta dall’attacco di uno squalo che gli ha a amputato una gamba : lotterà per l’oro alle Paralimpiadi

Perini bronzo alle Paralimpiadi, ma è squalificato per un motivo assurdo: aveva un telefono in gara .

Giacomo Perini dopo aver conquistato il bronzo nel canottaggio alle Paralimpiadi è stato retrocesso, a causa di un motivo particolare: la presenza di un telefono nella sua imbarcazione.Dalla gioia incontenibile per la vittoria di una medaglia alle Paralimpiadi, alla delusione cocente per la  retrocessione all'ultimo posto. Giacomo Perini aveva conquistato il bronzo ai giochi di Parigi nel canottaggio, nella categoria Singolo PR1 maschile. Mentre festeggiava però ecco la doccia fredda da parte della giuria per un motivo molto particolare, ovvero la presenza di un telefono.Perini aveva sfoderato una grandissima prova riuscendo ad arrivare sul terzo gradino del podio. L'azzurro ai primi Giochi Paralimpici della sua vita, dopo l'amputazione della gamba destra a causa di un tumore osseo, ha portato a casa una medaglia che mancava all'Italia nel canottaggio alle Paralimpiadi dal 2008.Una soddisfazione enorme, anche perché conquistata dopo una prova di eccezionale livello agonistico. La celebrazione del risultato è stata interrotta dalla comunicazione ufficiale della Giuria che ha vanificato gli sforzi di Giacomo: "Nella finale del singolo maschile PR1, l'atleta dell'Italia è stato trovato a utilizzare apparecchiature di comunicazione durante la gara, in violazione della regola 28 e dell'Appendice R2, Bye-Law della regola 28.








 Di conseguenza, l'equipaggio è stato escluso dall'evento e viene classificato ultimo".In pratica, Perini avrebbe portato un telefono sull'imbarcazione. Per questo l'Australia ha presentato il ricorso ottenendo così riscontro positivo. La Federazione italiana dal canto suo ha provato a rispondere con un reclamo ufficiale: sul piatto i tabulati del telefono di Perini, per dimostrare che non ha utilizzato il dispositivo.La sua colpa sarebbe dunque stata solo quella di averlo dimenticato in barca. Questo il risultato al momento ufficializzato: 1. Gran Bretagna (Benjamin Pritchard) 9.03.84, 2. Ucraina (Roman Polianskyi) 9.14.47, 3. Australia (Erik Horrie) 9.23.37, 4. Israele (Shamuel Daniel) 9.36.94, 5. Francia (Alexis Sanchez) 9.46.60, EXC Italia (Giacomo Perini-CC Aniene)



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La vita di Ali Truwit stravolta dall’attacco di uno squalo: lotterà per l’oro alle ParalimpiadiAli Truwit ha perso una gamba a causa del morso di uno squalo. Un’esperienza terribile da cui, la nuotatrice ha saputo comunque riprendersi.


Una delle storie più curiose delle Paralimpiadi è senza dubbio quella di Ali Truwit. Questa ragazza 24enne proveniente dagli USA ha perso una gamba poco più di un anno fa, a causa del morso di uno squalo. Un'esperienza terribile da cui, la nuotatrice ha saputo comunque riprendersi: gareggerà infatti nei 100 metri stile libero sotto la Tour Eiffel lottando per l'oro.Una situazione impensabile 15 mesi fa quando Ali stava nuotando in mare aperto nei pressi delle Isole Turks, con una sua amica. Ad un certo punto ecco l'arrivo di uno squalo che ha preso di mira le due. Alla CBS Truwit ha raccontato: "Abbiamo preso a calci e spinto lo squalo, ma mi ha morso ad un piede. Il mio primo pensiero è stato: sono pazzo adesso o non ho più un piede. È stato un pensiero incredibilmente difficile per me. Ma poi siamo entrati subito in azione. In una frazione di secondo abbiamo nuotato per salvarci la vita”.







L'istinto di sopravvivenza, più forte del dolore, ha salvato la vita alle ragazze che hanno nuotato per 60 metri prima di mettersi in salto sulla barca: "Senza i nostri anni di addestramento, non sono sicura che saremmo riusciti a tornare sulla barca in mare aperto". Da lì il trasporto in aereo a New York, dove è stata operata tre volte, con la rimozione definitiva della parte inferiore della gamba sinistra, proprio nel giorno del suo 23° compleanno.




A poco a poco, Ali Truwit è tornata in piscina anche se non ha mai avuto il coraggio di nuotare nuovamente in acque libere: "Ho avuto molti giorni bui da superare, ma sono viva e quasi non lo ero più. L’ultima volta che ho sentito il rumore dell’acqua, stavamo nuotando per salvarci la vita. Ricordo l'intero attacco; sono stata cosciente per tutto il tempo. Quindi è stato difficile anche solo sentire di nuovo il rumore dell’acqua e non avere ricordi dell’attacco”.

31.7.22

Il cellulare: simbolo non più di uno status ma della dimensione esistenziale, del mutamento antropologico ormai avvenuto. La morte di Alika Ogorchukwu di Carmen Pellegrino

 



Non volevo vederlo quel video. L'ho visto.
Un uomo inerme è morto ammazzato da un altro uomo, poi quest'altr'uomo gli ha pure preso il cellulare. Il cellulare: simbolo non più di uno status ma della dimensione esistenziale, del

mutamento antropologico ormai avvenuto. La morte di Alika Ogorchukwu (chiamiamolo con lo stracazzo di nome seguito dal cognome, non nigeriano, non mendicante trentanovenne), come tante altre, conferma una delle modalità del morire all'epoca dei social su cui postare presto i propri sensazionali video mentre, ripetiamolo, un uomo inerme - inerme - muore ammazzato da un altro uomo che, forse, quel giorno non aveva altro da fare per la sua rabbia repressa che ammazzare un uomo inerme che chiede l'elemosina tenendosi da presso la stampella che lo aiutava a camminare.
Quelli intorno, cellulare alla mano, riprendono, gli dicono di smetterla, sembrano suggerire: ti sei sfogato abbastanza, mo' basta, arrivano le guardie, uè uè tu lo ammazzi...E quello infatti lo ammazza.
Si dirà: be' vorrei vedere te davanti a una scena del genere, avresti fatto lo stesso, saresti rimasta a guardare, che potevi fare?
Ha ragione la scrittrice Grazia Verasani quando più o meno dice che siamo una società di gente che guarda il vicino dallo spioncino, ne conta entrate e uscite, ma la sua vita non gli riguarda, se gli succede qualcosa fatti suoi.
No, io non sarei rimasta a guardare. Cominciamo a dirlo che non si può sempre restare a guardare. Che se non si interviene mentre un uomo uccide un uomo inerme stiamo omettendo soccorso. Io non sarei rimasta a guardare, lo voglio dire e me ne assumo la responsabilità. Almeno un calcio nei reni glielo avrei dato e lo so che avrei corso il rischio di finire come Alika Ogorchukwu, ma a quel punto non me ne sarebbe fregato niente.
La paura della violenza, della fame, o di ogni altro male estremo, è una malattia dell'anima. Questa nota di Simone Weil la portai con me a Genova, nel 2001. E sempre per non "farmi i fatti miei" ancora mi curo un braccio e un ginocchio.
No, non sarei rimasta a guardare, lo so con certezza.
Eppure anch'io "tengo famiglia", ma i fatti miei non mi interessano più davanti a un uomo inerme che viene ucciso mentre chiede l'elemosina da un altro uomo a cui quel giorno giravano così.

7.7.22

Lecco, toglie "con la forza" smartphone e tablet alla figlia: ora la madre dovrà svolgere lavori socialmente utili

leggedo    tale news   sotto riportata   mi viene  da    commentare   meglio un abuso simile che un figlio\a rincoglionato dal cellulare o finito nelle grinfie di pedofili . piena solidarieta alla mamma

da https://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/

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Lecco - Ha rischiato di costare caro a una madre lecchese la decisione di imporre alla figlia adolescente - con una determinazione tale da sfociare in una querela presentata dall’ex marito - una disconnessione forzata da web e social. Il tentativo di correggere la

ragazza, ritenuta troppo dipendente da cellulare e tablet, è quindi finito in un’aula del tribunale di Lecco e sfociato in una messa in prova della madre cinquantenne che ora dovrà svolgere 180 ore di lavori socialmente utili in un Comune della Brianza lecchese. L’accusa per la madre dell’adolescente - 15 anni all’epoca dei fatti - era di aver abusato dei metodi correttivi e di lesioni. In aula durante il dibattimento tra le parti non è stato trovato alcun accordo e anzi - alla specifica richiesta del giudice - non è stata ritirata la querela da parte dell’ex marito. L’episodio nel dicembre del 2018, quando la donna, dopo numerosi inviti alla figlia che trascorreva intere giornate nella sua camera tra cellulare e tablet, le ritira tutti i dispositivi: scoppia così una lite e la figlia finisce al Pronto Soccorso dell’ospedale di Lecco per aver riportato alcune contusioni. Il padre - separato da qualche mese - viene informato e sporge querela. I carabinieri raccolgono una serie di elementi e la donna viene mandata a processo. L’imputata, assistita dagli avvocati Maria Cristina Vergani e Roberta Succi rispettivamente del foro di Monza e Milano, non trova un accordo con l’ex marito, assistito dall’avvocato Nadia Invernizzi, che si è costituito parte civile e, nell’udienza di ieri davanti al giudice monocratico Paolo Salvatore, la scelta della giustizia cade sulla "messa alla prova".Nessuna condanna per quel gesto - aver ripreso con metodi forti la figlia minorenne - ma in cambio dovrà svolgere servizi di pubblica utilità. "Ho optato per questa scelta solo per evitare a mia figlia di essere chiamata a testimoniare in un procedimento che l’avrebbe vista contrapposta al padre", ha fatto mettere a verbale dell’udienza la 50enne che, prima di entrare in aula ha risarcito figlia ed ex marito. "Ho voluto uscire velocemente da questa situazione", è stato il suo unico commento al termine dell’udienza.

28.9.15

IMPARIAMO COME SI GODE LA VITA DAGLI ANZIANI


Questa immagine sta facendo il giro del web ed è stata condivisa migliaia di volte su Twitter.
E' stata scattata al Boston Globe quando i fan attendevano l'arrivo di star del cinema come Johnny Depp, Kevin Bacon e Dakota Johnson.  Vediamo se  capite    il perchè del titolo   è perchè     è diventata  virale
Stiamo rasentando la follia, invece di vivere i momenti, cerchiamo solo di immortalarli....e loro passano e non ritornano indietro..... meditiamo.....
Infatti  come  dice  Roberto Reginali  commentando   la  news    presa  dala  pagina fb   del'unione sarda  d'oggi      : <<       questa piccola e anziana signora, nella sua semplicità da prova di possedere un cervello e di saperlo usare meglio di tutti i restanti presenti messi assieme.Lunga vita a lei. >>
  Vero Daniele Fois un  conto  è  fare  una  foto  o  un video  un aòltro   è  come dici   tu  vivere  <<   la realtà di come la gente si sta ipnotizzando ad una società finta mentre la nonnina e l'unica a capire come va la società malata  >>


Questa notizia    mi  ha  fatto ritornare  in mente : 

questa    lettera  scritta    a repubblica   del 27\9\2015 

In fila al supermercato avevo pensato di cedere il mio posto a
un anziano signore.Con un sorriso mi ha risposto: «Grazie, non
ho fretta, mi godo il piacere della lentezza. Nell’era dei nano secondi
e delle tecnologie più avanzate, anche voi giovani dovreste riscoprire
i pregi del vivere lento. Quando è possibile naturalmente!
Ma perché avete fretta anche in vacanza prenotando
un pedalò, al parco comprando un gelato ai vostri bimbi
o in fila per visit re un museo?».
Non ho saputo rispondere.


e  questa  vignetta   di Silvia Ziche  tratta    topolino n  3108 



                                                       immagine da outducks.org

26.1.15

Non temo l’iphone che ho con me, temo l’iphone che è dentro di me

 

 La tecnologia non si rivela solo uno strumento utile a renderci la vita più facile, è un modo per cercare e ottenere conoscenza, bisogna solo imparare a fermarsi

  di Maria  Fioretti 25\1\2015









Riconosco l’iPhone come naturale prolungamento del mio braccio. Immaginare una vita senza, sarebbe un po’ come immaginare una vita senza amore. Terribile.
Riconosco che effettivamente si sta creando una discreta confusione tra soggetto e oggetto, nel senso che non si capisce più dove finisca la tecnologia e cominci l’uomo.
Sommersi dalla necessità di amministrare e fronteggiare una massa di nozioni enormi, perdiamo lentamente la cultura dell’io, rinunciando al processo conoscitivo e prendendo per buono tutto quello che viene dalla tecnologia. Ma esiste realmente questa necessità di recuperare il valore del soggetto rispetto a tutti gli oggetti di cui non possiamo più fare a meno? Potrebbe essere necessaria nell’epoca contemporanea una critica alla ragione tecnologica? Il progresso ha portato ad un generale miglioramento delle condizioni di vita, ovviamente l’approccio allo sviluppo tecnologico deve restare critico, pena il rischio dell’uniformità sociale. I fatti e le informazioni si moltiplicano, di conseguenza anche i canali a cui accedere, i nuovi media gestiscono totalmente la nostra esistenza online. Siamo in pieno caos, in balia della relatività e dell’indeterminatezza, della confusione del pensiero e dei valori. Inevitabilmente destinati a non comprare più un libro o ad andare in edicola, neanche al supermercato.
Servirsi della tecnologia senza rinunciare alla razionalità è la certezza alla quale aggrapparsi nel macrocosmo di questo terzo millennio, gelido e arrogante, che ci vuole tutti in solitudine a fissare schermi luminosi. La vita quotidiana viaggia ormai ad una velocità precedentemente impensabile e questo ha determinato profonde conseguenze sul pensiero e sulla cultura in genere. Il dramma reale è come adattarsi a tutto questo, accettando i limiti della tecnologia, senza rinunciare alle nostre capacità.
Si dimostra sempre più complicato far capire alla nonna che non posso mettere via lo smartphone perché ho urgenza di rispondere ad una mail mentre sono a tavola, perché mia nonna risponde ancora e solo ai tempi della natura.
Esiste un profondo contrasto tra le infinite possibilità del mondo tecnologico e il nostro essere comunque umani, ci saranno sempre più elementi del progresso che ci completano e ci modificano. Dobbiamo essere continuamente elastici, capaci di adattare noi stessi a circostanze sempre più moderne.
Questo non è necessariamente un male.
La tecnologia non si rivela solo uno strumento utile a renderci la vita più facile, è un modo per cercare e ottenere conoscenza, bisogna solo imparare a fermarsi quando si è soddisfatti, quando si pensa di aver momentaneamente migliorato l’approccio alla realtà facendo uso di uno strumento, evitando la dipendenza.
Lasciare che la tecnologia ci prosciughi l’anima sarebbe sbagliato quanto negarne le potenzialità in quest’era di riproducibilità tecnica, la vita biologica con i suoi bisogni di chiarezza e di intellegibilità non deve perdere il suo valore, ma non deve fermarsi o peggio fare passi indietro. In sostanza viaggiare di pari passo, uomo e tecnologia, soggetto e oggetto, fino a contaminarsi, perché l’una non è più possibile senza l’altra, accelerazione delle percezioni, forme nuove di convivenza inevitabili e necessarie.

17.12.11

le mie contraddizioni natalizie


Questo post è nato da  una discussione  sulla mia bacheca  di Facebook 


Ancora non sento l'atmosfera natalizia è normale ?
 ·  · 
  • Anastasia TaglioliFrancesca Pedroni e altri 4 piace questo elemento.

    • Angela Pia Lecis Saba xkè è natale tra un po? bohhhhhh
      domenica alle 9.25 ·  ·  2

    • Marinella Marini io spero arrvi in fretta il 7 gennaio
      domenica alle 9.33 · 

    • Angela Pia Lecis Saba il natale + bello nn è qll scritto in rosso nel calendario, ma qnd riusciamo a vivere bene qualsiasi giorno dell'anno.......ora di rosso mi sa ke ci sono solo i conti in banca di tnt gente, altrokè 25 dicembre!!!!!!
      domenica alle 9.55 ·  ·  2

    • Sara Canu ‎...Idem anche se è già qualche anno che non sento quell'emozione nel cuore...o forse come dice Angela sarà per i nostri conti in rosso e quel pò di timore nel futuro incerto. speriamo che stà crisi si dissolva come neve al sole in primavera.
      domenica alle 9.57 ·  ·  2




Lo  so  che  mi contraddico  con quanto detto  in alcune puntate  della mia  guida  sul natale  ( 1  2  ma  è stato più  forte di me  perchè , come  tutti d'altrone  credenti e non credenti   sono un peccatore

     

             
                           
e quindi   chiedo  scusa



            
Le contraddizioni in questione   sono avvenute per  quanto riguarda  gli auguri   e l'aver  partecipato  alla mostra de presepi di mia zia vedere post  precedente.
Nel primo caso  , quello  degli auguri vedere primo url    mi sono  detto a tutti o  a nessuno  , siamo a natale (  e poi aVevo la promozione wind  150  sms  e  150 minuti che  scadeva  il  20  dicmbre  )  anche  se non li biasimo  ,aisposto  lcuni di quelli a cui l'ho mandato mi hanno  risposto   che per la crisi   non sentono ancora  l'atmosfra  natalizia  e  << chizzulanu  [ traduzione letterale p0mattiniero ] ., ma non è un po' troppo presto ? ., ma manca  ancora  un po'  .,  ecc  >>;  altri  gli hanno graditi  senza  osservazioni  critiche  \  ironiche  .
Nel secondo caso  quella dei presepi   , secondo url   sono andato  alla  6° edizione di "Natale è una stella" di mia  zia  (  www.amicidimonica.it )  vedete  qui  sotto  una  foto  di una edizione  scorsa



ero li vicino , di ritorno da una  commissione  ai miei "vecchi " e stavo per  accelerare in maniera  da non cadere in tentazione ma mi sono ritrovato  davanti l passo   quando   mio zio ( in realtà   non mi è  niente di dritto  perchè  è solo lei  , mi  è  parente    è  cugina in primo   di mio padre ) .Allora  sono entrato precisando  che non ci  volevo venire   perchè a causa  del lutto  vedere post  precedenti ma poi  avevo cambiato idea . E lei  << bravo  ha fatto benissimo  . ti capisco , ma  venire qui  è come  andare in chiesa  >>

Destinazioni lontanissime da raggiungere a velocità moderate: viaggiare in scooter è un’esperienza unica, diversa da tutte le altre

in sottofondo Vespa 50 special - Cesare Cremoni Culture Club - Karma Chameleon