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27.3.24

il crepuscolo anzi meglio il tramonto dei quotidiani cartacei

 Non sono  giornalista   ne pubblicista   ma  mi piace  scrivere  e fare  contro inchieste   o colaborare  con esse  come h o  fatto in passato  . Chi  mi segue   lo  sa .  Quindi condivio     l'articolo   , riportato   sotto  ,  di Massimo  fini   dice  la  verità   oltre   a  confermare  il perchè non ho  , anche se  l'avevo semre  desiderato  ,   scelto di  diventare  giornalista   vero e proprio .  Inoltro anch'io  sono legato  ai giornali di carta   essendoci nato e  cresciuto con essi 



                                           Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2024



Con un documentato articolo sul Fatto Nicola Borzi ha confermato, dati alla mano, quel fenomeno che per la verità tutti noi sperimentiamo ogni giorno ictu oculi: la crisi delle edicole. Nell’ultimo quadriennio le edicole sono scese da 16mila a 13.500 circa, ma il fenomeno ha radici molto più lontane, nel 2002 i punti vendita in Italia erano 43mila, ora sono scesi a 23mila.
Nella mia zona, piazza Repubblica e dintorni a Milano, fino a una decina d’anni fa c’erano cinque edicole. Oggi ne sono rimaste due. Una proprio accanto a casa mia è gestita da un bangla che per tenersi in piedi lavora dal primissimo mattino a mezzanotte, ma è ugualmente in grave difficoltà perché da lui molti giornali non si trovano o perché non glieli mandano o per qualche altro motivo. L’edicola più importante della zona sta in via Vittor Pisani, ma se la cava vendendo gadget, giocattoli, biglietti tramviari.
La crisi delle edicole è uno dei segnali, forse il più indicativo, della corrispondente crisi dei giornali. Era abitudine, un tempo, vedere gente al bar che leggeva i giornali o altri che passeggiavano con il giornale in mano. Mi capita, a volte, che qualcuno che non mi ha riconosciuto mi fermi e mi dica fra l’ammirato e il meravigliato: “ma lei è uno che legge ancora i giornali?”. Il Corriere della Sera e la Repubblica vendevano, fino a non molti anni fa, mezzo milione di copie. Oggi sono attestati intorno alle 200mila copie o poco più, e molte di queste te le sbattono in faccia, gratuitamente, nei grandi alberghi o sui Frecciarossa, e il motivo è che per farsi pagare la pubblicità devono mantenere, sia pure in modo artificioso, un certo livello.
Come la tv finì per spazzar via, in un periodo che va da metà degli anni Sessanta ai primi Novanta, i quotidiani del pomeriggio, il Corriere Lombardo, la Notte, il Corriere d’Informazione, così l’avvento del digitale sta spazzando via i giornali. Il lettore, giovane ma non solo giovane, è abituato a un’informazione immediata e molto più stringata. Non ci sono più i grandi reportage del tempo che fu. Il Diario di Enrico Deaglio (1996-2009) ha tentato coraggiosamente di riprendere quella formula, ma alla fine ha dovuto cedere. Gli editori, tutti tesi a risparmiare, riluttano a mandare in giro inviati che molto spesso sono free lance pagati niente. Il Corriere di Cairo, tanto per fare un esempio, a un collaboratore che ha scritto magari un’intera pagina dà dai 30 ai 50 euro. Quando lavoravo all’Europeo negli anni Settanta noi giornalisti, oltre a prendere un ottimo stipendio (nel mio caso un milione e passa, che corrisponde a diecimila euro attuali) potevamo contare su un borderò praticamente illimitato. Ogni spesa che fosse destinata a rendere il pezzo migliore era legittima (che poi molti colleghi su quei borderò si siano comprati la seconda o la terza casa è un altro discorso, fa parte del malvezzo italiano di fare la cresta sulle note spese che vediamo oggi in piena azione non solo nei giornalisti - Minzolini docet - ma nei politici e in qualsiasi amministratore pubblico). Alberto Ongaro, che si occupava di viaggi esotici, affittò per un milione di allora una baleniera, un altro che doveva intervistare Farah Diba le fece arrivare un cesto di tremila rose.
Nel giornalismo di carta stampata non ci sono più i grandi personaggi, i Bocca, i Montanelli o, per tornare un poco più indietro, i Curzio Malaparte che con i suoi reportage, i suoi libri (La pelle, Kaputt, Tecnica di un colpo di Stato) o i suoi commenti (Battibecco) ha influenzato buona parte del giornalismo a lui contemporaneo o successivo (vedi Oriana Fallaci) o, per tornare ancora più indietro, Edoardo Scarfoglio. Oggi, in linea di massima, se un giornalista è noto lo è per le sue apparizioni nei talk, che si sono moltiplicati nel tempo ma sono anch’essi in caduta libera negli ascolti. I giornalisti fra i 30 e i 40 anni hanno capito come si fa: di base certo ci dev’essere un giornale, poi si partecipa a quanti più talk possibile, infine si scrive un libro, molto probabilmente una cazzata, di cui comunque i colleghi parleranno. Che questo sia un esempio di buon giornalismo ho molti dubbi. Gli influencer hanno preso il posto dei giornalisti, sono loro le star. Chiara Ferragni ha quindici milioni di follower, Marco Travaglio, che è forse il giornalista più noto oggi in Italia, mi pare due o tre. I giornali sono fatti male? Sì, sono fatti male. C’è una prevalenza dei commenti, quorum ego, sulla cronaca, intendo la cronaca in presa diretta, che era abitudine, anzi obbligo, per la mia generazione e alcune successive. Desolanti sono gli spazi dedicati alla cultura, tanto che capita spesso che i direttori, non sapendo a che altro santo votarsi, ripubblichino estratti di scrittori o giornalisti del passato più o meno immediato, Buzzati, Montanelli la stessa Fallaci. La crisi dei giornali non investe in egual misura i libri. Il libro è un prodotto fisico, tattile, come i giornali certo, ma pensato per una più lunga durata. Puoi fare note e osservazioni anche lunghe a margine (le potresti fare anche sugli e-book, ma viene molto meno spontaneo) e comunque, in ogni caso, ci puoi arredare la tua libreria. Anche se nel disastro generale vediamo in certe biblioteche private libri che del libro hanno solo la copertina. Poi nell’editoria libraria accade una cosa curiosa: non c’è praticamente italiano che non abbia scritto un libro. Spesso mi arrivano a casa libri di autori sconosciutissimi che sperano in una recensione. Grandi case editrici, come la Mondadori, si sono ridotte a far pagare gli aspiranti autori, cosa che facevano un tempo case editrici infime e spesso truffaldine. Se aumentano gli autori, diminuiscono però i lettori. I “lettori forti”, quelli da cento libri l’anno, sono in estinzione per ragioni d’età. Come se la cavano allora gli editori? Sperando che fra la pletora di libri che caccian fuori uno diventi un best seller, e con questo si ripagano gli altri, o pubblicando per la scolastica o cartoni animati per bambini che vanno sempre forte.Ma qui di giornalismo non resta davvero più nulla. Spesso vengono da me dei giovani (io ho in genere un pubblico giovane, a parte dei fanatici pleistocenici che mi seguono dai tempi dell’Europeo) che mi chiedono come si fa a entrare in giornalismo. Io li gelo subito dicendo loro che mancano del primo requisito del giornalista: il fiuto. Se lo avessero non vorrebbero entrare in un mestiere morente.

31.7.23

Trecento anni in tre: a Nurallao la vita "lenta" di un gruppo di amici



unioNe  sarda  30\7\2023

Sonia Gioia


Una panchina, tre uomini e un secolo di storia che vive nei loro ricordi. Giuseppe Demurtas ha 101 anni, Danilo Atzeni un secolo tondo tondo, il più giovane Antonio Pintus ne ha "appena" 98. Sono l'orgoglio del paese di Nurallao. Ogni giorno si incontrano per trascorrere qualche ora insieme e ricordare il loro passato, fare un confronto con la vita trascorsa e quella presente. Dalla panchina vicino alla casa di Danilo, guardano il mutare di quel paese che li ha visti prima bambini, poi ragazzi, adulti e ora memoria storica. In gamba In tre hanno quasi trecento anni, la mente lucida, vivi ricordi, accesa la speranza di continuare a vivere con dignità e "onore". La loro esistenza è passata dalla misera patita
prima della guerra, al progresso degli anni post bellici che hanno trasformato il loro paese rendendolo vivo, ricco e bello e portando il benessere. «Meno male che c'è stato il progresso», dice Giuseppe, noto
Peppe, il più grande, «speriamo che Dio ci faccia vivere ancora un po', poi gli altri vedranno cosa fare». «Oggi purtroppo a Nurallao», aggiunge Danilo, «ci sono tante case chiuse e la gente è andata via, non c'è più nessuno anche qui passa poca gente». C'è un po' di malinconia in queste parole e un po' di nostalgia nei loro occhi che hanno vissuto la rinascita e ora vivono una nuova decadenza senza poter fare molto. «Siamo vecchi», sospira Peppe, mentre gli altri annuiscono sorridendo. Eppure loro continuano ad incontrarsi, ad alzare la mano e fare un sorriso a chiunque passi davanti alla panchina di via Roma, a vivere a pieno continuando a guardare avanti. Sono uomini che hanno conosciuto il duro lavoro quello della produzione di carbone, quello delle cave di calce, quello della campagna e degli animali che comunque ha permesso loro di formare delle belle famiglie con tanti figli, famiglie di cui sono fieri e con le quali vivono ancora oggi. L'orgoglio «Si usciva con il buio», racconta Danilo, «e si rientrava con il buio, per colazione pane e cipolla, ci si lavava poco, per non parlare del salario». Quando accennano ai soldi si guardano e sorridono mostrando tutta la loro complicità e la consapevolezza della forza che gli ha permesso di essere ciò che sono oggi: uomini orgogliosi, dignitosi, che si ritengono fortunati perché ancora in salute e circondati dall'affetto dei propri cari. Danilo e Antonio sono vedovi, Peppe vive con la moglie malata di cui cerca comunque di occuparsi nonostante l'età. «Ogni mattina vado a prendere il pane», racconta Peppe, «poi raggiungo i miei amici sulla panchina». Tutti e tre continuano a fare qualche passeggiata, Danilo va in campagna poco distante da casa, Antonio ama girare con i suoi familiari per visitare posti nuovi. «Purtroppo a causa di alcuni problemi di cuore», aggiunge Antonio, «non posso più andare in campagna dove ho sempre lavorato e badato agli animali ed è la cosa che mi manca di più» Antonio tra i tre è però il più tecnologico, usa il cellulare che gli permette di stare in contatto con parenti e amici con i quali fa delle lunghe chiacchierate. In compagnia Quando si salutano la mattina per rientrare a casa all'ora di pranzo è soprattutto un arrivederci perché la sera, se il caldo non è eccessivo, si rincontrano sulla panchina e ricominciano a chiacchierare. Li sentono tutti perché l'udito non è più quello di una volta e devono alzare il tono della voce. Neppure l'inverno gli impedisce di vedersi. Se il freddo non è troppo rigido lasciano il tepore del caminetto e raggiungono la loro posizione vestiti con cappotto, sciarpa e cappello. Non è mancato neppure chi ha voluto scattare assieme a loro una foto perché da tutti sono considerati una ricchezza di cui andare fieri a Nurallao. Le loro chiacchiere non sono altro che un libro letto a voce alta che racconta di un secolo di storia paesana. 

3.12.21

roberto soldatini Il violoncellista che vive in barca a vela

Un nuovo ritmo alla proprio vita. Roberto Soldatini dieci anni fa ha deciso di lasciare la carriera da direttore d’orchestra e vendere la propria casa romana per vivere in barca, per riscoprire se stesso e la musica. Adesso il lavoro segue il suo nuovo approccio e la scelta del conservatorio presso cui accettare un incarico è dettata esclusivamente dal nuovo porto da scoprire. Dopo anni a Napoli e Venezia ora tocca a Trani, ospite della locale lega navale, come punto d’appoggio per il conservatorio di Bari. E il rapporto col mare ha prodotto nuova ispirazione con cui ha scritto quattro libri e un concerto.





 da  suo  blog  https://www.robertosoldatini.com/

Roberto Soldatini navigatore solitario alterna sei mesi di navigazione e sei mesi in cui sverna nella laguna di Venezia nella sua barca-casa .
Suo compagno di viaggio è un violoncello del Settecento, Stradi , che trasforma la pancia della sua barca in una cassa armonica della cassa armonica. Roberto Soldatini è il sito ufficiale del direttore d'orchestra, violoncellista e scrittore che al giro di boa dei cinquant' anni ha deciso di liberarsi di quei sassi dalle tasche che gli impedivano di fare un salto e di lanciarsi di bolina verso una nuova dimensione.
Per fare il salto ha venduto casa e comprato in Inghilterra un Moody 44 che da sette anni è la sua unica dimora, liberandosi di tutti gli orpelli che appesantiscono la vita, alla ricerca dell'essenziale, di se stesso e dell'armonia. E quale posto migliore se non nel mare ?

 concludo con un suo  concerto  


21.4.20

non sempre far niente è ozio

Enzo Bianchi - Wikipedia
vedo che @enzobianchi7 saggista e monaco laico ha fondato la Comunità monastica di Bose in Piemonte( foto a SINISTRA ) nel suo editoriale su repubblica del 20\4\2020 che trovate sotto

                    È tempo di fare niente

                       di Enzo Bianchi
Sono ormai trascorsi oltre quaranta giorni di “vita altra” per la maggior parte di noi: una vita in casa, ore da trascorrere in pochi metri quadrati e, per molti, di solitudine.
Abbiamo dovuto inventarci “cosa fare”. Molte sono state le modalità per tentare di sfuggire alla noia e occupare il tempo e lo spazio in cui siamo costretti. Stare davanti alla tv, navigare per ore sul web, esercitarci in cucina per rallegrarci con piatti non quotidiani, impegnarci in lavori di pulizia o riordino della casa… Ormai siamo assaliti dalla febbre della ripresa, tutti pronti a ricominciare a lavorare e a tornare, pur lentamente, alla vita di prima.
Dimenticheremo presto la sensazione che abbiamo acquisito come consapevolezza e abbiamo magari ripetuto a noi stessi e agli altri. Sensazione ben espressa da Mariangela Gualtieri, con una poesia che rimarrà come il canto del gallo nell’ora della presa di coscienza e di un possibile pentimento: «Questo ti voglio dire: ci dovevamo fermare. Lo sapevamo.
Lo sentivamo tutti ch’era troppo furioso il nostro fare».
Fermarsi, dimorare, restare nella quiete: è importante anche “fare niente”! So che è difficile tessere l’elogio del fare niente nella nostra società, eppure prendersi del tempo per fare niente non è un vizio, non è l’ozio che si nutre di pigrizia, accidia e mancanza di vigore. No, è tempo dedicato con precisa intenzione e volontà al fare niente. La tradizione spirituale monastica lo sa bene: Nihil laboriosius quam non laborare,
“Nulla è più faticoso del non lavorare”. C’è un fare niente che è una situazione feconda: attitudine che la filosofia ha sempre investigato, dagli antichi greci, a Cicerone, Seneca, Agostino, fino a Bertrand Russell.
“Fare niente” significa metterci in silenzio e solitudine, anzitutto per prendere coscienza dell’esercizio dei nostri sensi e delle loro connessioni con quanto ci circonda.
La nostra mente allora si ribella con i suoi mille pensieri, ma occorre avere pazienza e persistere nel fare nulla, in silenzio e solitudine. Poco a poco si fa largo in noi una certa quiete, si spegne l’ansia, cominciamo a sentire che abitiamo un corpo, che dal profondo giungono altre voci; anzi, scopriamo che “non c’è creatura senza voce”. Si vedono le cose in modo diverso, si diventa contemplativi, nel senso che si guardano persone e cose con un altro occhio, che spesso dimentichiamo di avere.
Questa non è passività né evasione dall’impegno ma è la condizione per assumere con responsabilità il rinnovato impegno. All’aria aperta, immersi nella natura che sta rifiorendo, su un balcone, o nella penombra di una stanza, questo fare niente è sempre possibile. Si afferma abitualmente che questa attitudine aiuta ad habitare secum, ad abitare con sé, ma l’esperienza m’insegna che ciò aiuta soprattutto a tessere relazioni vere con gli altri e con il mondo. Fare niente porta al quieto e gratuito pensare, ad aguzzare l’intelligenza, a esercitare il discernimento. Paul Celan profetizzava: «È tempo che sia tempo». È tempo per fare niente.

 ha  percepito  quanto  già diceva  de  andrè



nell'introduzione ad  Anime Salve  il suo   purtroppo  ultimo album  

16.2.16

IL sale della terra [ the salt of the earth ] di Wim WEenders è ispirato dall'enciclica Laudato si di Papa Francesco o viceversa ?

  musica  consigliata


per  approfondire
il  sale  della terra   film  
testo integrale  di Laudatio si  di  Papa Francesco
critiche dai  cattolici intransigenti    I II

Dopo aver visto il bellissimo film che : <<< In mezzo a quella inutile e dannosa macchina da propaganda che è diventato il #cinema , è uno dei pochi #film che meritano di essere visti... >> ( commento al trailer ufficiale il sale della terra  di Mario Circello   ) il sale  della terra   . Un film di Wim Wenders, Juliano Ribeiro Salgado. Titolo originale The Salt of the Earth. Documentario, durata 100 min. - Brasile, Italia, Francia 2014. 




Mi   sono  deciso  a  parlare  adesso  ( anche  se  in maniera   parziale  e non completa    )    della Laudato si'  la seconda enciclica di papa Francesco scritta nel suo terzo anno di pontificato. Benché porti la data del 24 maggio 2015, solennità di Pentecoste, il testo è stato reso pubblico solo il 18 giugno successivo.
  da  https://www.bookrepublic.it/book/
Di solito  quando sono argomenti molto contrastanti e dibattuti  , aspetto  che    cali il silenzio  e  poi onde evitare  di farmi influenzare  scelgo  di leggere o di vedere   quella determinata  opera  e  poi   ne parlo  in maniera  completa  e non parziale  . Ma il fil  di wenders , mi ha  fatto  cambiare  condotta  .
Dopo   aver    visto  il  film  ho iniziato a   leggere l'enciclica  in questione.  D'essa  mi   sembra  che  il Pontefice  francesco  abbia  visto il film  in questione  o  conosca  la biografia ed  i lavori di   di Sebastião Salgado . In  essa  non c'è  l'ambiente  ma anche  l'umanità  .
 Infatti : << L’enciclica vanta già un primato: è la prima a essere attaccata prima ancora dell’uscita.Gli ambienti della destra mondiale sono già in fermento, pronti a rinnovargli l’accusa di comunismo: dai conservatori ai lefebvriani, ai latifondisti. L'ex senatore repubblicano Usa Rick Santorum - cattolico di origine italiana e con sogni sulla Casa Bianca 2016 – è perentorio: «Bergoglio, lascia la scienza agli scienziati». È fin troppo facile rispondergli che il Papa non si camuffa da scienziato; è stato, è e resta un teologo e un pastore. I critici gli rimproverano le condanne contro il capitalismo assoluto e la dittatura del mercato. Ma sul «Washington Post» il commentatore Chris Mooney esulta perché «Francesco offre al movimento ecologista quello di cui ha bisogno: la fede» e un’anima. >> .  Inoltre  sempre    secondo http://www.lavocedeltempo.it << In sostanza il Papa pone alla base della discussione scientifico-politica un taglio  morale-religioso e le conseguenze della sua scelta saranno profondissime. La Pontificia Accademia delle Scienze afferma: «I cambiamenti climatici indotti dall'uomo sono una realtà scientifica e il loro controllo rapido è un imperativo morale e religioso per l'umanità». L’enciclica arriva cinque mesi prima della cruciale «Conferenza sul clima» di Parigi di fine novembre, che deve stabilire le misure per contenere il surriscaldamento sotto 2 gradi centigradi. Al contrario dei «Protocolli di Kyoto» - mai condivisi dall’America, dalla Cina e dall’India - Parigi 2015 persegue un accordo internazionale verso economie compatibili, a basso tasso di carbone, gas serra, sostanze inquinanti. Inoltre si spera di coinvolgere India e Cina per temperare gli effetti nefasti su oceani, atmosfera, condizioni meteo e limitare disastri, alluvioni, piogge torrenziali, siccità, migrazioni. >> Per la prima volta un’enciclica papale   è stata  presentata da una coralità di voci a significare l’impegno delle Chiese sul fronte ecologico. Interverranno il cardinale africano Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio giustizia e pace; il metropolita di Pergamo John Zizioulas in rappresentanza del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e della Chiesa ortodossa .
Una  lettura  facile  e scorrevole   a  tuttie non soltanto " agli adetti   ai lavori  "  e  ai  soli  fedeli  . Una  enciclica  che dovrà essere letta   non solo  privatamente  ma  anche  nelle scuole  e  nelle  università  visto la sua  importanza . Infatti  Giulietto  Chiesa   : << (....)  Ma questa enciclica farà il giro del mondo comunque. E’ un’arma potente. Nelle mani 
dei poveri e dei deboli. Sarà dunque bene studiarla ed usarla nei prossimi anni perché è nei prossimi anni che si deciderà il destino del mondo.>> ( da http://www.storiavicentina.it/ più precisamente qui )  Un enciclica che ha trovato d'accordo Gad Lerner giornalista \ opinionista opposto a Giulietto Chiesa Infatti dice : << ( ... ) La portata dirompente dell'enciclica è tale da avere indotto i più autorevoli teorici del nostro modello di sviluppo a relegarla nella categoria, dal loro punto di vista irrilevante, delle utopie. Non mi spiego altrimenti il fatto che - a parte qualche eccezione negli Stati Uniti - nessuno fra i pur loquaci cantori del neoliberismo si sia preso la briga di contestarla puntualmente ( ... ) da http://www.fondoambiente.it/ più precisamente qui
Concludo invitando i detrattori di andare  a rileggersela   se l'hanno letta  o d'andare  a leggerla   se  ancora non l'hanno fatto  . Da i primi capitoli   tale enciclica  è  una estensione \ ampliamento  del concilio vaticano  II . Da  laico credente   penso che Papa Francesco  con essa voglia innovare  e svecchiare  la  chiesa   ma  ancora  non riesce  (  paura  che innovando troppo  si distruggas  metta  in  discussione  milleni  di storia dell'istituzione   della  chiesa cattolica   ed  ha paura  dei  gruppi conservatori presenti all'internodele sue stesse istituzioni  ecclesiastiche  ) . Erano anni ,   dalla  rerum novarum   di leone Leone XIII  1891  che  non si faceva un enciclica  di tale portata  . 
Questa ovviamente  è  la prima impressione , cioè un giudizio   approssimativo e parziale  .  Adesso vado a leggermi l'enciclica  e  ne scriverò  un pensiero globale .  Per  i momento  rinvio all'ascolto della colonna  sonora  del post, ovvero la canzone omonima IL sale della terra  di Luciano  Ligabue    che  è un  sintesi dell'enciclica  laudato si  e  del film di Wim Wenders

9.2.16

Treviso Lettera arriva dopo 72 anni Prigioniero nel campo nazista scrive a casa nel 1943: il messaggio recapitato adesso

  da  http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca  del 08 febbraio 2016
Lettera arriva dopo 72 anni

Prigioniero nel campo nazista scrive a casa nel 1943: il messaggio recapitato adesso
di Fabio Poloni


Mario Pasin con la lettera del fratello

A volte i ricordi sono istantanei, emergono verticali da passati lontanissimi. Altre volte, invece, devono trovare la loro strada tortuosa, lunghissima. Questa storia rientra nel secondo caso, senza dubbio: una lettera spedita dal prigioniero di un campo di internamento tedesco è arrivata oltre settantadue anni dal giorno in cui è stata scritta.






La consegna. Mario Pasin ha 85 anni. Dev’essersi tolto e rimesso gli occhiali un paio di volte: no, non è possibile. Quella lettera, arrivata qualche giorno fa nella sua casa di Villorba, era datata 5 novembre 1943. A spedirla è stato suo fratello Ferruccio, classe 1914, catturato a Lancenigo e deportato nel campo di internamento per militari a Luckenwalde, stato federale di Brandeburgo, 52 chilometri a sud di Berlino. «Ho una lettera di Ferruccio», gli ha detto il postino. Ingiallita dal tempo di chissà quale percorso, quella specie di cartolina postale porta l’indirizzo di Pietro Pasin, padre di Ferruccio e di Mario, in via “Batisti” a Villorba. Quella casa non c’è più, ma il destino non poteva mancare proprio l’ultimo miglio: il postino conosce la famiglia Pasin, sa che quell’anziano signor Mario che ora vive in via Arno, sempre a Villorba, è fratello del mittente. E gli ha consegnato la lettera.














La lettera. Numeri e codici in tedesco raccontano la sistematicità folle di quell’orrore: prigionieri seriali, ai quali era concesso di spedire «forse una cartolina l’anno», racconta Anna Pasin. La signora è figlia di Ferruccio: suo zio Mario, appena ricevuta la lettera, ha avvisato lei e tutti gli altri parenti. Un’emozione indescrivibile, che si è propagata nella famiglia (sei figli sugli otto di Ferruccio sono ancora vivi) con una velocità che sembra la nemesi della lentezza di quel viaggio di 72 anni. «Caro padre», scrive Ferruccio in quel giorno che appartiene a un’altra Storia, «trovandomi qui io sto bene e cosi spero sia di voi. Tutti voi mi farai sapere come va da quelle parti non pensare per me che me la campo speriamo presto di riabbracciarsi un bacio a tutti tuo Ferruccio». Non sappiamo se l’abbia scritta di suo pugno o dettata: forse l’ha scritta un prete che faceva il cappellano e che raccoglieva le lettere da spedire. È uno dei buchi di questa vicenda incredibile, un altro riguarda il percorso di quella cartolina nello spazio e nel tempo: dove è rimasta in questi anni? Come ha fatto ad arrivare proprio adesso? Anche sulla consegna le versioni divergono: la signora Anna dice che è stato il postino, conoscendo la famiglia. Mario, invece, parla di «un ricercatore» che l’avrebbe recuperata, ma non sa dire di più.

Ferruccio Pasin in divisa



Il ritorno. Ferruccio Pasin dall’agonia di quel campo di internamento era tornato. «Era il settembre del 1945», racconta la figlia Anna, «io avevo due anni e quando l’ho visto sono andata a nascondermi sotto il letto per la paura: sembrava un barbone, coperto di stracci, mani e piedi congelati. Era alto un metro e ottanta, pesava trentasette chili». Un fantasma, facile da vedere lì di fronte pensando alle mille immagini dei campi dell’orrore nazisti. «Dalla Germania era tornato in Italia aggrappandosi sotto un treno, fino a Verona. Da lì era arrivato a Villorba a piedi. Quell’esperienza lo ha sconvolto, segnato per sempre. Di notte si svegliava e scappava nel granaio urlando “vogliono prendermi”», racconta ancora Anna, che scava tra i ricordi e tra le vecchie foto di famiglia nella sua casa fra Treviso e Castagnole. «Dal campo non era mai riuscito a comunicare con noi». Altro scherzo del destino: dalle finestre quasi si vede il centro di smistamento di Poste Italiane, finite in queste settimane nell’occhio del ciclone per i presunti trucchi sulle lettere-civetta che avrebbero “dopato” i test sulla velocità del servizio postale. «Mio padre è morto nel 1981, a 66 anni», racconta infine Anna. Ora però è lì, in quella cartolina emersa dal nulla.

19.12.15

La scelta di Eugenia: a 22 anni lavora con diciassette asini


Dopo il diploma è diventata socia dell’Asineria Aria Aperta: «Più sacrifici dei miei coetanei, ma così sono felice»
di Elisa Pederzoli


REGGIO EMILIA.
«Gli asini? Ti insegnano la lentezza. Noi la chiamiamo: la filosofia dell’asino. Quando hai fretta e loro ti guardano con quell’aria come per dire: ma dove devi andare? A quel punto, cala la tensione. Ai bambini che ci vengono a trovare, dico sempre: se qualcuno vi dà dell’asino, voi rispondete grazie. Perché un complimento».Eugenia Dallaglio ha 22 anni e abita ad Arceto. E quella degli asini non è solo una passione, ma una scelta di vita. Dopo il diploma ha deciso di smettere gli studi e di investire su se stessa e su di loro: oggi è guardia ambientale e una giovanissima socia dell’Asineria Aria Aperta di San Maurizio, fondata da Massimo Montanari. La sua storia l’abbiamo conosciuta grazie alla nostra maratona fotografica, martedì, quando il suo socio ci ha mandato alcuni scatti della loro giornata di lavoro decisamente fuori dall’ordinario con i loro 17 asini. Quasi ogni sabato mattina è possibile incontrarli in piazza Fontanesi.§«Tutto è iniziato quando avevo 7 anni, con i campi all’antica podesteria di Gombola, nel Modenese. Lì ho conosciuto Massimo Montanari, le sue storie e gli asini. Non ho più smesso di parteciparvi. Mi si è aperto un mondo. Da bambina mi è sempre piaciuta la natura e mi sono innamorata degli asini, delle storie sui briganti e le streghe che popolano il bosco. Non mi sono più staccata da queste cose».Già, perchè quando poi ha scoperto che Montanari è di Reggio Emilia le occasioni per stare con i suoi asini non sono mancate.«Volevo sempre partecipare alle passeggiate e alle iniziative che faceva - racconta sorridendo - I miei genitori sono stati costretti tante volte a starmi a guardare mentre io trascorrevo tutte le giornate con gli asini, aiutando gli altri bambini a salire. Stare con loro era quello che preferivo fare».
E così, dopo il diploma al liceo umanistico conseguito quattro anni fa all’istituto Matilde di Canossa, scegliere gli asini è stata la cosa più naturale da fare.
«Quella scuola ha fatto crescere in me l’interesse verso la psicologia, i bambini. Così, quando ho finito mi sono iscritta al corso di guida ambientale escursionista, mi sono affiancata a Massimo e due anni fa sono entrata in società con lui. I miei sono sempre stati al mio fianco» racconta Eugenia. E’ stata una scelta diversa la sua, non priva di sacrifici.

«Ho trasformato la mia passione nel mio lavoro. Non è sempre facile. I miei coetanei vanno all’università, altri lavorano in ufficio. Io invece ho un lavoro che mi prende a 360 gradi, non mi fermo mai. Perchè siamo sempre in giro con i nostri progetti e anche quando sembra di aver finito sono attaccata al computer per rispondere a mail, prendere accordi. E quando i miei amici magari d’estate vanno al mare io devo rinunciare, per il mio lavoro» confida.«Ma dopo due anni, sto raccogliendo il frutto di questi sacrifici e tante soddisfazioni che magari altri ragazzi della mia età non riescono a conoscere. E’ questo è bellissimo, ripaga di tutto».

28.9.15

IMPARIAMO COME SI GODE LA VITA DAGLI ANZIANI


Questa immagine sta facendo il giro del web ed è stata condivisa migliaia di volte su Twitter.
E' stata scattata al Boston Globe quando i fan attendevano l'arrivo di star del cinema come Johnny Depp, Kevin Bacon e Dakota Johnson.  Vediamo se  capite    il perchè del titolo   è perchè     è diventata  virale
Stiamo rasentando la follia, invece di vivere i momenti, cerchiamo solo di immortalarli....e loro passano e non ritornano indietro..... meditiamo.....
Infatti  come  dice  Roberto Reginali  commentando   la  news    presa  dala  pagina fb   del'unione sarda  d'oggi      : <<       questa piccola e anziana signora, nella sua semplicità da prova di possedere un cervello e di saperlo usare meglio di tutti i restanti presenti messi assieme.Lunga vita a lei. >>
  Vero Daniele Fois un  conto  è  fare  una  foto  o  un video  un aòltro   è  come dici   tu  vivere  <<   la realtà di come la gente si sta ipnotizzando ad una società finta mentre la nonnina e l'unica a capire come va la società malata  >>


Questa notizia    mi  ha  fatto ritornare  in mente : 

questa    lettera  scritta    a repubblica   del 27\9\2015 

In fila al supermercato avevo pensato di cedere il mio posto a
un anziano signore.Con un sorriso mi ha risposto: «Grazie, non
ho fretta, mi godo il piacere della lentezza. Nell’era dei nano secondi
e delle tecnologie più avanzate, anche voi giovani dovreste riscoprire
i pregi del vivere lento. Quando è possibile naturalmente!
Ma perché avete fretta anche in vacanza prenotando
un pedalò, al parco comprando un gelato ai vostri bimbi
o in fila per visit re un museo?».
Non ho saputo rispondere.


e  questa  vignetta   di Silvia Ziche  tratta    topolino n  3108 



                                                       immagine da outducks.org

30.6.14

fare le cose lentamente e senza fretta può essere utile e determinante



la prima storia è di una donna che Rifiuta aborto consigliato dai medici e partorisce bimbo sano





la seconda di una donna che corre all'indietro per combattere una grave malattia






due storie piene di vita  e di  speranza  

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...