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6.10.17

Le cartoline siano state soppiantate da foto via Whatsapp, ma vuoi mettere il gusto di queste sorprese ? La cartolina ai figli è arrivata a Mestre, ma dopo 36 anni

Magari arrivassero cosi in ritardo le lettere che i nostri politivi c'invitano per le elezioni  .
Lo  soche  questo mio  commenti  potrà  sembrare stupido e  secondo alcuni  (  i miei matusa  compresi )  ma  è una  domnda ,  in quanbto non è  la prima volta   che succedono cose  del  genere  in italia ,    che mi pongho sempre   davanti   a  fatti come   questi raccontati sotto 





La cartolina ai figli è arrivata a Mestre, ma dopo 36 anni

Bellissima sorpresa per Tommaso e Giovanna Mingat.  I genitori si erano ricordati di loro, ma il bollo è un “giallo” 






MESTRE. Ogni promessa è debito. E si può anche indovinare che i due bambini non avessero chiesto una semplice cartolina al rientro dal viaggio dei genitori. Ma almeno la cartolina era stata promessa, il resto “si vedrà”. Così quando il giorno del loro decimo anniversario Aldo e Renata Mingati sono sbarcati a Parigi, il 14 dicembre del 1981, si sono subito ricordati di mandare un cartolina ai loro bambini, Giovanna di nove anni e il piccolo Tommaso, di appena cinque, “piazzati” a casa dei parenti. Così la “cartolina illustrata” con il museo del Louvre visto dal pont du Carousel partì indirizzata a Mestre, “ai bambini Giovanna e Tommaso Mingati” .
È arrivata giovedì 5 ottobre. Trentasei anni dopo. Ancora perfetta, segno che qualcuno l’ha ritrovata in un cassetto e l’ha spedita ai due bambini che l’attendevano, tra la costernazione del padre («eppure l’avevo spedita»), la muta accusa della moglie, di ogni moglie a ogni marito quando c’è qualcosa da fare («con quella testa te ne sarai dimenticato»). Un funzionario occhiuto. Perché sotto, dopo le firme di prammatica “papà e mamma” , ha voluto lasciare un suo commento: “Et la Piramide?”.
Tommaso Mingati
Tommaso Mingati
Domanda giusta dato che all’interno del cortile del museo non si vedono le due piramidi, la grande e la minuscola, volute dal presidente Mitterand, disegnate da Ieoh Ming Pei e inaugurata in pompa magna nel 1989. Quindi nel 1981 non potevano esserci e nella foto non ci sono.E poi la seconda particolarità: il francobollo. Ce n’è uno italiano al posto di quello francese. Ma la cartolina era partita regolarmente. Tanto che il timbro riporta la data esatta e la città di partenza: 14 dicembre 1981, Paris. Quindi qualcuno ha sostituito il francobollo francese dell’epoca con uno italiano del 1959. Ma con uno italiano dello stesso valore. Così compare un francobollo del valore di 300 lire. E su questo c’è il timbro delle poste italiane con l’anno 2017. In Italia possono tuttora viaggiare lettere e cartoline con francobolli italiani. Ma solo di francobolli stampati dopo il 1967. Il valore del bollo è quello esatto: nel 1891 serviva un bollo da 300 lire.
Oggi, se ne avete di vecchi e non usati, dovete superare le 1. 800 lire. Quindi chi ha reinviato la cartolina era un conoscitore, ma non italiano: avrebbe saputo quali francobolli possono viaggiare e di quali anni e di che valore. Eppure qualcuno che non sapeva se i mittenti ci fossero ancora (Aldo e Renata Mingati toccano ferro e se ne stanno belli e in salute nella stessa casa di allora dove la cartolina è finalmente arrivata) ha voluto inviare ai due “bambini” (Giovanna e Tommaso sono entrambi felicemente sposati e con figli) un messaggio: “papà e mamma non si erano dimenticati di voi”. Perché un papà e una mamma non si dimenticano mai dei loro figli.
Emozionato Tommaso: «Mi ha fatto pensare a com’ero preoccupato per i regali: cosa avrei dovuto fare se Babbo Natale li avesse portati a Parigi. Ecco, ora questo è il mio regalo più bello». Divertito papà Aldo: «Le cartoline siano state soppiantate da foto via Whatsapp, ma vuoi mettere il gusto di queste sorprese?». (u.d.)

9.2.16

Treviso Lettera arriva dopo 72 anni Prigioniero nel campo nazista scrive a casa nel 1943: il messaggio recapitato adesso

  da  http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca  del 08 febbraio 2016
Lettera arriva dopo 72 anni

Prigioniero nel campo nazista scrive a casa nel 1943: il messaggio recapitato adesso
di Fabio Poloni


Mario Pasin con la lettera del fratello

A volte i ricordi sono istantanei, emergono verticali da passati lontanissimi. Altre volte, invece, devono trovare la loro strada tortuosa, lunghissima. Questa storia rientra nel secondo caso, senza dubbio: una lettera spedita dal prigioniero di un campo di internamento tedesco è arrivata oltre settantadue anni dal giorno in cui è stata scritta.






La consegna. Mario Pasin ha 85 anni. Dev’essersi tolto e rimesso gli occhiali un paio di volte: no, non è possibile. Quella lettera, arrivata qualche giorno fa nella sua casa di Villorba, era datata 5 novembre 1943. A spedirla è stato suo fratello Ferruccio, classe 1914, catturato a Lancenigo e deportato nel campo di internamento per militari a Luckenwalde, stato federale di Brandeburgo, 52 chilometri a sud di Berlino. «Ho una lettera di Ferruccio», gli ha detto il postino. Ingiallita dal tempo di chissà quale percorso, quella specie di cartolina postale porta l’indirizzo di Pietro Pasin, padre di Ferruccio e di Mario, in via “Batisti” a Villorba. Quella casa non c’è più, ma il destino non poteva mancare proprio l’ultimo miglio: il postino conosce la famiglia Pasin, sa che quell’anziano signor Mario che ora vive in via Arno, sempre a Villorba, è fratello del mittente. E gli ha consegnato la lettera.














La lettera. Numeri e codici in tedesco raccontano la sistematicità folle di quell’orrore: prigionieri seriali, ai quali era concesso di spedire «forse una cartolina l’anno», racconta Anna Pasin. La signora è figlia di Ferruccio: suo zio Mario, appena ricevuta la lettera, ha avvisato lei e tutti gli altri parenti. Un’emozione indescrivibile, che si è propagata nella famiglia (sei figli sugli otto di Ferruccio sono ancora vivi) con una velocità che sembra la nemesi della lentezza di quel viaggio di 72 anni. «Caro padre», scrive Ferruccio in quel giorno che appartiene a un’altra Storia, «trovandomi qui io sto bene e cosi spero sia di voi. Tutti voi mi farai sapere come va da quelle parti non pensare per me che me la campo speriamo presto di riabbracciarsi un bacio a tutti tuo Ferruccio». Non sappiamo se l’abbia scritta di suo pugno o dettata: forse l’ha scritta un prete che faceva il cappellano e che raccoglieva le lettere da spedire. È uno dei buchi di questa vicenda incredibile, un altro riguarda il percorso di quella cartolina nello spazio e nel tempo: dove è rimasta in questi anni? Come ha fatto ad arrivare proprio adesso? Anche sulla consegna le versioni divergono: la signora Anna dice che è stato il postino, conoscendo la famiglia. Mario, invece, parla di «un ricercatore» che l’avrebbe recuperata, ma non sa dire di più.

Ferruccio Pasin in divisa



Il ritorno. Ferruccio Pasin dall’agonia di quel campo di internamento era tornato. «Era il settembre del 1945», racconta la figlia Anna, «io avevo due anni e quando l’ho visto sono andata a nascondermi sotto il letto per la paura: sembrava un barbone, coperto di stracci, mani e piedi congelati. Era alto un metro e ottanta, pesava trentasette chili». Un fantasma, facile da vedere lì di fronte pensando alle mille immagini dei campi dell’orrore nazisti. «Dalla Germania era tornato in Italia aggrappandosi sotto un treno, fino a Verona. Da lì era arrivato a Villorba a piedi. Quell’esperienza lo ha sconvolto, segnato per sempre. Di notte si svegliava e scappava nel granaio urlando “vogliono prendermi”», racconta ancora Anna, che scava tra i ricordi e tra le vecchie foto di famiglia nella sua casa fra Treviso e Castagnole. «Dal campo non era mai riuscito a comunicare con noi». Altro scherzo del destino: dalle finestre quasi si vede il centro di smistamento di Poste Italiane, finite in queste settimane nell’occhio del ciclone per i presunti trucchi sulle lettere-civetta che avrebbero “dopato” i test sulla velocità del servizio postale. «Mio padre è morto nel 1981, a 66 anni», racconta infine Anna. Ora però è lì, in quella cartolina emersa dal nulla.

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