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A UN FIGLIO SOGNATO © Daniela Tuscano

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Tu ci sei. Ora lo so. E, come tutti i figli, non m'appartieni. Hai costruito la tua vita nel silenzio. Mi sfuggisti anni fa. Grumo interrotto dopo appena due mesi. Da allora non c'è giorno in cui non pensi a te. Ma t'avevo cristallizzato in una placenta. Prigioniero d'una sconfitta. Tu c'eri. Diverso. Cresciuto. Sei comparso un mese fa, durante il mio sonno incerto. Mentre vag avo nel buio d'una città ignota, grembo refrattario che soffocava gli occhi. Poi, d'improvviso, una mano mi raccoglieva. Ed eccomi in un appartamento semplice ma dignitoso, con una certa luce di quadri, mediamente borghese. La casa di due professionisti. Gesti sobri, affetto contenuto. E un ragazzo imprendibile. Tu. Ti ho visto alto e sottile, la chioma bruna e riccia, il collo fasciato in V. Irolli, "L'angelo musicante" una kefiah. Sei progressista, ragazzo. Il tuo volto è un divano: occidentale-orientale. Hai zigomi angolosi, linee spezzate. Opposte