A UN FIGLIO SOGNATO © Daniela Tuscano


Tu ci sei. Ora lo so. E, come tutti i figli, non m'appartieni. Hai costruito la tua vita nel silenzio.
Mi sfuggisti anni fa. Grumo interrotto dopo appena due mesi. Da allora non c'è giorno in cui non pensi a te. Ma t'avevo cristallizzato in una placenta. Prigioniero d'una sconfitta.
Tu c'eri. Diverso. Cresciuto. Sei comparso un mese fa, durante il mio sonno incerto. Mentre vagavo nel buio d'una città ignota, grembo refrattario che soffocava gli occhi. Poi, d'improvviso, una mano mi raccoglieva. Ed eccomi in un appartamento semplice ma dignitoso, con una certa luce di quadri, mediamente borghese. La casa di due professionisti. Gesti sobri, affetto contenuto.
E un ragazzo imprendibile. Tu. Ti ho visto alto e sottile, la chioma bruna e riccia, il collo fasciato in
V. Irolli, "L'angelo musicante"
una kefiah. Sei progressista, ragazzo. Il tuo volto è un divano: occidentale-orientale. Hai zigomi angolosi, linee spezzate. Opposte alla ridondante pinguedine di tuo padre e alla mia faccia, piana e infantile. Eppure rechi negli occhi il nostro segno. La tua è una magrezza paziente, lenta e cristiana. Non appartieni a nessuna religione, perché sei oltre. Forse, ne hai abbastanza. Sei già cielo e la speranza non ti serve.

Hai voluto fissarmi un attimo, fuggevole, non smettendo il tenue sorriso: "Tu, sei mia madre". Bella voce hai, figlio mio. Profonda e leggera, piamente monocorde. Nel sogno non mi rivelasti il nome. Per me, eri Husayn. Piccolo e grazioso. Anche se sei grande, la pelle ambrata, i gesti asciutti. Ma non t'ho chiesto nulla. Nemmeno se avevi la ragazza. Sei diventato adulto dopo avermi attraversato le braccia, volando sopra tutti i pensieri. Posso ritrovarti nell'abbandono. Quando rinuncio a possederti. E allora eccoti accanto, in un fulgore di nuvola. In quel momento eterno, siamo soli.

© Daniela Tuscano

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