21.4.16

storie di vita e di morte i caso di un Impiegata trapiantata di fegato dà alla luce bimbo a 37 anni Maela Donadello è stata colpita da un'epatite fumlinante a 19 anni: una donazione le ha salvato la vita e quello della Tragedia sul lavoro: operaio settantenne cade dalla scala e muore L'uomo era in un garage in via De Martino quando è stato colto da un malore. La polizia e l'ispettorato del lavoro indagano sulla sua posizione contrattuale

queste due storie minroportano in mente    due  precedenti post  uno mio una specie di recensione sul film un sapore di ruggine ed ossa e il secondo   tratto da  una storia vera  dell'utente  Daniela Maria Tuscano



Impiegata trapiantata di fegato dà alla luce bimbo a 37 anni
Maela Donadello è stata colpita da un'epatite fumlinante a 19 anni: una donazione le ha salvato la vita
Maela con il piccolo Alvise e il...
Maela con il piccolo Alvise e il marito Roberto


PADOVA. Aveva 19 anni quando è stata colpita da un’epatite B fulminante ed è entrata in coma. Si è salvata grazie a un dono prezioso, il fegato di una ragazza deceduta mentre lei, con la morte, ci stava lottando. Maela si è risvegliata dopo il trapianto con la prospettiva di una nuova vita davanti. E ora, a 37 anni, ha a partorito uno splendido bimbo: Alvise, nome scelto in onore del medico che le fece il trapianto.
È una storia di speranza, di fiducia, di coraggio e di buona sanità quella che ha per protagonista un’impiegata del settore informatico, Maela Donadello originaria di Padova, ma residente a Mira con il marito Roberto Furegon di 42 anni. Giovedì scorso, poco dopo le 19, alla Clinica Ostetrica di Padova, la donna ha dato alla luce alla trentaquattresima settimana e col parto cesareo, un bimbo di 2 chili e 230 grammi.Il neonato è rimasto solo un giorno nella culla termica: ora sta benissimo, così come in perfetta salute è la sua mamma. Che ha coronato un sogno ritenuto a lungo irrealizzabile.
Maela si ammala nel marzo del ’98, la diagnosi è terribile: epatite fulminante. Il tempo, però, è dalla sua parte: pochi giorni dopo, il 4 aprile, la giovane viene ricoverata a Padova e sottoposta a trapianto di fegato eseguito a dall’équipe del professor Alvise Maffei e Giorgio Gerunda. Dopo venti giorni Maela, che lotta come un leone per riprendersi la vita, è già a a casa. «Ho reagito, aiutata forse dalla giovane età», racconta oggi dal suo letto in Azienda Ospedaliera, «In questi anni la qualità della vita è stata ottima, non ho avuto problemi di rigetto». A sostenerla nel percorso clinico sono la dottoressa Rosa Iemmolo del Policlinico di Modena (Gerunda nel 2003 divenne primario nell’ospedale della città emiliana). Tutto procede per il meglio, poi, nell’aprile dello scorso anno, una battuta d’arresto: un intervento di anastomosi bilio-digestiva per stenosi anastomotica. Maela supera questo scoglio, ma a luglio si presenta un altro problema che la costringe a un ricovero a Mirano. L’impiegata si riprende, ma il suo fisico è indebolito. E lei, che da tempo desidera un figlio, si rassegna all’idea di non poterlo avere. «Non era arrivato prima, non credevo potesse arrivare mai più», racconta, «D’altra parte, pensai, non si può volere tutto». Due mesi dopo, a settembre, Maela è incinta. Seguita a Padova dal professor Guido Ambrosini, la donna ha una gravidanza che lei descrive bellissima. Fino a quando aumentano pericolosamente i valori dei sali biliari. Maela viene immediatamente ricoverata alla Clinica ostetrica del professor Erich Cosmi.
«Grazie alle cure e al costante monitoraggio è stato raggiunto il fantastico traguardo di 34
settimane», spiega Maela. Alle 19.13 del 14 aprile nasce Alvise. «Il mio grazie eterno», dice Maela, «oltre alla mia famiglia, ai medici che hanno fatto della professione una passione, agli angeli custodi,va ai meravigliosi genitori della ragazza che ha donato il fegato».


Tragedia sul lavoro: operaio settantenne cade dalla scala e muore

L'uomo era in un garage in via De Martino quando è stato colto da un malore. La polizia e l'ispettorato del lavoro indagano sulla sua posizione contrattuale






SALERNO. Quando lo hanno visto a terra, tra barattoli di vernice e gli attrezzi con i quali stava lavorando, probabilmente il suo cuore aveva già cessato di battere. Luigi Gaeta, 69enne residente nella frazione Cappelle, è l’ennesima vittima di un incidente sul luogo di lavoro. Nel suo caso la situazione è resa più drammatica dall’età. Non sono ancora chiare le circostanze che avrebbero visto l’uomo lavorare da solo all’interno di un garage in via Renato De Martino, nel rione Carmine. Sul luogo della tragedia, dopo le forze dell’ordine sono giunti anche gli uomini dell’Ispettorato del lavoro per raccogliere la documentazione necessaria a fare luce sulla vicenda.
Arturo Sessa: «Seguiremo con attenzione le indagini della Procura e dell’ispettorato del lavoro. Se ci saranno delle responsabilità, siamo pronti a fare la nostra parte».
Intorno alle 17 il corpo già senza vita dell’uomo è stato notato da un operaio della manutenzione della Clinica Tortorella che si trovava in un locale adiacente al garage di via De Martino dove il 69enne stava imbiancando la parte superiore della saracinesca interna che dà sulla strada principale. Il soccorritore ha avvertito dapprima il 118, poi sono stati gli stessi sanitari della clinica a intervenire, ma per l’uomo non c’era già nulla da fare. La ferita alla testa dovuta alla rovinosa caduta dalla scala posta sopra la saracinesca era ampia e profonda. Ma nel terribile volo, il 69enne pare abbia riportato anche una frattura al braccio e varie contusioni. Per fare piena luce sulle cause della caduta, però, saranno necessari accertamenti sanitari ulteriori rispetto a quelli effettuati sul posto dal medico legale Giovanni Zotti. L’esito dei primi rilievi farebbe pensare a un malore, probabilmente un infarto, che avrebbe colto l’uomo proprio mentre si trovava sospeso sulla scala: ipotesi confermata anche dagli evidenti segni di pittura non portati a termine. Non è neppure esclusa la possibilità che una distrazione o un capogiro abbiano fatto scivolare l’imbianchino.Raveane (Cisl) dopo la tragedia di Plaus: «Serve più formazione, come a Trento» Sul luogo della tragedia, poco dopo i sanitari, sono giunti anche gli agenti della polizia di Stato e della scientifica, mentre a seguire è stato necessario l’intervento della polizia municipale per regolare il traffico. Il figlio della vittima, accorso poco dopo l’aver appreso la notizia, era in evidente stato di shock. Intorno alle 18.30, ultimati gli accertamenti affidati agli agenti della polizia scientifica, la salma di Luigi Gaeta è stata trasportata all’obitorio dell’azienda ospedaliera “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”.
Da chiarire, oltre alla dinamica dell’incidente, restano soprattutto le motivazioni che hanno spinto un uomo di 69 anni lavorare in condizioni di rischio. Secondo le prime ricostruzioni, il garage, un tempo officina meccanica, sarebbe dovuto diventare un locale farmacia della Clinica Tortorella, che si trova a poca distanza. Serviva mettere a nuovo i locali in questione e per questo era stata disposta l’imbiancatura delle pareti interne. I dettagli sulla proprietà del garage sono ora al vaglio dell’Ispettorato del lavoro, intento a valutare non solo l’effettiva regolarità dell’uomo ma soprattutto chi abbia commissionato l’intervento. Il garage potrebbe infatti esser stato semplicemente dato in affitto alla clinica, con lavori a carico del locatore su cui gravava, quindi, l’obbligo di accertarsi della regolarità della posizione dei lavoratori. Sono tanti i fattori da valutare, compreso quello sulla responsabilità della sicurezza e su chi dovesse controllare effettivamente chi entrava e usciva da quel garage.
L’incidente ha provocato sgomento sia nel quartiere, dove tantissima gente si è accalcata sull’uscio del garage per capire cosa fosse accaduto, sia nella frazione di Cappelle dove il 69enne operaio abitava con i familiari
eravigliosi genitori della ragazza che ha donato il fegato».

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