Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
30.4.16
IN MEMORIA di © Daniela Tuscano
Mohammed avrebbe voluto una famiglia e dei figli ma non immaginava ne avrebbe avuti tantissimi. Non in quel modo. O forse sì. Forse, a un certo punto, ha smesso d’immaginare, perché la realtà travalica i nostri piccoli sogni, anche quando sono grandi. Quello di Mohammed il pediatra, anzi, l’ultimo pediatra di Aleppo (e come titolo d’un moderno "feuilleton" suonerebbe pure bene) era indubbiamente immenso, la sua realizzazione umana. Ma ne ha raggiunta un’altra, rimanendo nella sua martoriata città, assieme ai suoi fratelli, tutti medici, tutti ancor vivi, tutti con famiglia. Lui no, lui la sua l’aveva rimandata, perché i bambini li aveva già: erano quelli altrui, ormai di nessuno. Li aveva in cura e per loro non sognava, ma agiva. Era già un padre e lo capiamo dalla tenerezza compresa e pudica con cui posava lo sguardo sui piccoli pazienti.
L’ospedale di al-Quds, dove prestava servizio, è crollato sotto l’ennesima bomba infame seppellendo lui e i suoi “figli”. Mohammed era un padre, un medico, un mistico, un dottore dell’anima e del corpo. Solo in questi giorni, mentre ci sfuggiva, abbiamo scoperto la sua eroica normalità. Di quanti, e quante, non conosceremo mai nulla, quanti volti resteranno sepolti al mondo? Quanto ancora durerà l’odio, la divisione? Ricorderemo sempre Bin Laden o il macellaio di Bagdad autoproclamatosi califfo, mentre chi fa risplendere la bellezza dell’uomo, a ogni latitudine, sono gl’innumerevoli Mohammed e i loro sguardi silenziosi e pazienti. Anche questa è la guerra, la sua idiozia totale. Ma vorremmo rivolgere un pensiero a qualcun altro che non vedremo mai. La misteriosa fidanzata di Mohammed. È rimasta la donna dell’attesa e la immaginiamo frugale, discretamente graziosa, una ragazza come tante al giorno d’oggi. Normale anch’essa, malgrado tutto. Malgrado noi, ché della guerra ognuno a suo modo è responsabile, fosse pure con la sua indifferenza. È il nostro essere distratti, affaccendati. È quel senso d’impotente noia. È quel nostro percorso tutto assurdo, tutto sbagliato.
© Daniela Tuscano
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