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18.8.24

questa si che è destra non quella della meloni e LA POLITICA DELLA (E NELLA) CACCA di Emiliano Morrone


 ha  ragione  Lorenzo Tosa  : <<  Il problema, semmai, su cui interrogarci serissimamente è che in tutta Europa Forza Italia rappresenterebbe una normale destra conservatrice. Qui da noi al confronto con Meloni e Salvini appare di centro (con punte di centro-sinistra), tale è lo scivolamento della politica verso la destra estrema. Ed è la stessa ragione per cui i liberali negli ultimi anni si sono tendenzialmente spostati sempre più a sinistra. Perché di liberale, in questo governo di busti e di nostalgici, non c’è neanche l’ombra per terra.>> infatti anch'io Non avrei mai pensato di dirlo, ma Antonio Tajani, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, nelle ultime 48 ore sta dando letteralmente una lezione di Politica e Civiltà a Lega e Fratelli d’Italia (ci vuole poco, eh…) su Ius Scholae, carceri, Europa, diritti, welfare, inclusione, dimostrando (tardivamente) che può esistere anche una destra decente, liberale, capace di adeguarsi alla realtà e ai cambiamenti sociali e civili di un Paese.Una destra che in (quasi) tutta Europa è da decenni la normalità e che qui da noi, in un Paese che non ha fatto ancora i conti col fascismo (al punto da rimandarlo al potere) è pura utopia.E gli attacchi feroci e sbavanti che Tajani sta subendo da tutta la destra estrema in queste ore sono lì a dimostrarlo. Non dimentico nulla, sia chiaro. Ma con una destra come quella che oggi (non ieri, OGGI) incarna Tajani non solo è giusto discutere e dialogare sui singoli temi, ma dobbiamo augurarci anche che prevalga sul populismo di Salvini e il neofascismo di Meloni.
 Ed  su  questa   strada  aperta  da lorenzo tosa s'innesta il pensiero del giorno del compagno di strada Emiliano Morrone : 

  LA POLITICA DELLA (E NELLA) CACCA
Emiliano Antonino Morrone 
11 min ·



Quando il discorso politico si basa sull'insulto, per di più gratuito, significa che si è toccato il fondo, che non si vogliono risolvere i problemi perché manca la competenza, la capacità e le volontà di indicare soluzioni e orizzonti. Dalle mie parti, a sud del Sud, vedo un'affezione sempre più diffusa e compiaciuta per il ricorso a diffamazioni anonime, come se la politica fosse la gara degli asini che la sparano più grossa o delle bisce che sputano il veleno più tossico. È, infine, un master della demolizione incontrollata, della confusione totale che lascia i territori nella loro marginalità e lontananza, nell'ombra più cupa rispetto allo sguardo del governo nazionale e del legislatore, che in genere si muovono in autunno, in occasione della legge di Bilancio, nella quale vengono previsti gli interventi principali e stanziate le risorse occorrenti. Che cosa volete che in quella sede sia disposto, per l'interno della Calabria, se la gente comune, tra cui educatori e acculturati, continua a occupare il proprio tempo per gettare fango e deiezioni addosso al vicino, la cui erba è, da manuale, sempre più verde? Mai una lettera anonima – meglio sarebbe se firmata –su come impiegare le ultime risorse (in parte in prestito) del Pnrr, su come rifinanziare e riorganizzare i servizi sanitari pubblici, attrarre investimenti o creare vantaggi fiscali, acceleratori di sviluppo, premialità per le imprese in grado di impiegare, promuovere e valorizzare le risorse territoriali. Sempre meglio non assumersi le proprie responsabilità, non soltanto civili e penali, e scadere nel linguaggio e nelle argomentazioni, prive di basi, analisi, prospettive. Qualcuno dovrà pur muoverla questa critica, perché siamo diventati un posto in cui si producono rifiuti e scorie della mente e dell'anima, non discussioni ragionate, confronti, proposte, azioni utili alla collettività. Non c'è da meravigliarsi, poi, se l'emigrazione aumenta e i Comuni si svuotano. E basta con lo scaricabarile sulla politica, che dovrebbe essere l'arte della costruzione, mediante l'ascolto, il coinvolgimento e l'inclusione, di società più civili e progredite. Nessuno si senta assolto, soprattutto le vecchie guardie, che ora, in tutta comodità e senza ansie personali o familiari, giocano (all'"ammucciuni") a interpretare il ruolo delle verginelle e perfino delle vestali, dimentiche della trave che hanno nel loro occhio.

2.5.24

ha ragione Ascanio Celestini: «Oggi la rivoluzione è al contrario: dobbiamo lottare per difendere i diritti»

  da  la  nuova  sardegna  del  1\5\2024  



 Ascanio Celestini porta il suo presepe nell’isola. La Sardegna farà da sfondo a “Rumba”, ovvero “L'asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato”. La favola moderna, poetica e surreale che si ispira al Santo di Assisi arriva sotto le insegne del Cedac: martedì 7 maggio al Teatro Bocheteatro di Nuoro, mercoledì 8 al Teatro Costantino di Macomer, giovedì 9 al Comunale di Sanluri e venerdì 10 al Teatro Centrale di Carbonia.


Che presepe è Rumba?

«Lo spettacolo è la terza parte di una trilogia iniziata dieci anni fa con “Laika” e proseguita con “Pueblo”. Il luogo in cui si svolgono queste storie è il parcheggio di un supermercato. Attorno ci sono un condominio, un bar, un magazzino della logistica. E i personaggi che vivono in questa periferia sono i condomini, la prostituta romena, la cassiera, il barbone. Personaggi di cui si parla nelle pagine di cronaca solo quando succede qualcosa di scandaloso, ma dimenticandoci che queste persone solo la maggioranza. Le eccezioni sono la Tour Eiffel e il Colosseo, per il resto le periferie delle città si somigliano tutte. Questo spettacolo lo portiamo anche in Francia e in Svezia senza sostanzialmente cambiare niente».

Perché nello spettacolo messo su nel parcheggio ha voluto rappresentare San Francesco?

«Perché è un personaggio molto curioso. E lo dico da ateo materialista. Non è corretto tirare fuori San Francesco dal contesto religioso: era un uomo del Medioevo e come tutti gli uomini del Medioevo era un cristiano convinto. Ma è un cristiano che svuotato di tutta la sua fede resta un uomo straordinario. Basta pensare il fatto che smette di usare la parola padre. C’è solo il Padre nostro, gli altri sono tutti fratelli e sorelle, anche fratello fuoco e sorella morte. In questo c’è una visione fatta non più di padri e figli, padroni e sottomessi. C’è solo uno che sta al di sopra degli altri, ed è Dio. Ma anche togliendo Dio per chi non è credente, resta una visione rivoluzionaria della società».

La Chiesa di Francesco è sulla via di San Francesco?

«È chiaro che il capo della Chiesa sta comunque al vertice di una struttura che somiglia molto a una multinazionale e come una multinazionale sovranazionale è presente in tutto il mondo. Ma c’è da dire che con Bergoglio l’attenzione di una parte della Chiesa verso gli ultimi è più evidente. Anche perché tutti gli altri poteri si sono disinteressati a quella parte di mondo che vive in condizione di subalternità. Il Papa è il primo che ha parlato di guerra mondiale a pezzi, di ambiente, l’unico che dice parole vagamente di pace. Anche se il suo potere sembra molto limitato è uno dei pochissimi leader mondiali che esprime posizioni di disappunto verso la guerra».

I poveri, i deboli, i fragili non hanno voce. C’è chi dà la colpa all’assenza della sinistra.

«La sinistra la troviamo nei Parlamenti. È l’ideologia che sta alla base che è stata messa in secondo piano. Il marxismo era quella visione del mondo che mette in primo piano la lotta tra classi sociali e non tra nazioni. Oggi sembra scontato che i buoni siano entro il nostro confine, gli altri fuori. Sembrava ci fossimo emancipati da questa visione barbara. Per un centinaio di anni ci eravamo illusi che il conflitto vero fosse tra sfruttati e sfruttatori. La guerra è tornata a essere quella di cento anni fa».

Vede un novello Francesco?

«Oggi ci troviamo in un momento di grande riflusso. Se negli anni ’60 e ’70 si lottava per avere i diritti, oggi dobbiamo lottare per non farceli portare via. Quando dico che il fascismo è pericoloso non mi riferisco solo a quello finito il 25 aprile 1945, ma anche alla stagione delle bombe, alla P2. Contro quel fascismo lì si è lottato negli anni ’60 e ’70, le bombe vennero messe per fermare i cambiamenti. Oggi facciamo una battaglia al contrario per cercare di conservare quello che abbiamo ottenuto. Non abbiamo leader rivoluzionari perché la rivoluzione non è da fare ma da difendere».ia Economi

3.10.22

Donne ai vertici AL CENTRO LE PERSONE NON IL GENERE di carla.bassu Ordinaria di diritto pubblico comparato all’Università di Sassari

 la  nuova sardegna  2\10\2022

E Questa settimana ha portato agli onori delle cronache una serie di esordi al femminile: la prima donna che arbitrerà oggi una partita di calcio di serie A; la prima europea comandante di una stazione aerospaziale; la prima (probabile) premier. Titoli che mettono il genere al centro della notizia, più della persona che ne è protagonista. Così ciò che conta e merita di essere raccontato non è il talento, la capacità, la storia di Maria Sole Ferrieri Caputi, Samantha Cristoforetti, Giorgia Meloni ma il fatto che si tratti di donne. Però non è l’essere donne che ha condotto queste tre persone a risultati eccellenti bensì, rispettivamente, una perfetta conoscenza delle regole del calcio e doti atletiche; un prestigioso curriculum da astronauta; una carriera politica pluridecennale. Piuttosto, a dire il vero, bisogna riconoscere che le tre sono riuscite a ottenere risultati nonostante siano donne. Se infatti fino a ora nessuna aveva occupato queste posizioni non è per carenza di competenze o passione, bensì per la resistenza di pregiudizi e ostacoli culturali ed effettivi che ne hanno impedito l’affermazione. Rendendo onore al merito delle donne che contando sulle proprie forze sono riuscite a ottenere grandi successi e senza sminuire il valore del primato di chi ha ottenuto risultati in settori storicamente dominati dagli uomini, occorre ammettere che così come una rondine non fa primavera non necessariamente una presenza femminile al vertice è sintomo di pari opportunità raggiunte. La parità si ottiene garantendo eque condizioni di partenza, che assicurino a donne e uomini di competere alla pari. Oggi non è così perché sulla parte femminile della società incombe ancora il gravame dell’attività domestica e dell’assistenza familiare. Le statistiche raccontano che nelle famiglie economicamente solide o che possono contare su aiuti esterni le donne lavorano e avanzano nella carriera, comunque spesso sacrificando la vita privata, mentre in realtà meno stabili la componente femminile è tendenzialmente più sacrificata dal punto di vista della occupazione e della realizzazione personale. I dati dimostrano che le ragazze primeggiano per risultati nei ranghi scolastici e accademici, salvo subire un blocco in un momento preciso identificato con l’età in cui si ha (o si suppone si possa avere) il primo figlio per rarefarsi, per quasi scomparire, con poche eccezioni, nei ruoli dirigenziali sia nel pubblico che nel privato. Questo perché le incombenze familiari formano un carico fisico e mentale che affatica le donne
e le rallenta, facendo si che a un certo punto cedano il passo, per stanchezza. Due purosangue uguali ai ranghi di partenza hanno le stesse chance di vincere la corsa ma se uno dei due è sellato con una zavorra evidentemente la gara sarà falsata. La parità potrà dirsi raggiunta quando le donne, che rappresentano più o meno la metà della popolazione, saranno presenti in misura equilibrata in tutti i settori e a ogni livello, in modo da rispecchiare la composizione sociale, ma questo accadrà solo quando nel loro percorso non incontreranno i pregiudizi e gli impedimenti che le rendono meno competitive. Servizi di prossimità, asili e assistenza pubblica garantita per anziani e persone con disabilità, orari e spazi di lavoro compatibili con la gestione familiare, congedo obbligatorio per chi diventa genitore, non solo per le madri: così si promuovono le pari opportunità. Sembra una banalità ma la vera parità potrà dirsi raggiunta quando la presenza di una donna in posizione apicale non farà notizia ma sarà considerata normale, come già accade altrove nel mondo. In ogni caso non una donna purché sia ma una persona con nome, cognome e competenze, che si affermi per caratteristiche individuali che contraddistinguono e rendono unico ogni essere umano. 

* Ordinaria di diritto pubblico comparato all’Università di Sassari

3.7.22

i pride non sono solo esibizione -ostentazione o pagliacciate

 "I diritti non dovrebbero dividere politicamente", spiega Alessandro Zan ai microfoni di fanpage prima di unirsi


al corteo arcobaleno di Milano, che ritiene "una medicina contro l'invisibilizzazione".⁣

🗣
"La notizia della morte di Cloe Bianco, isolata ed emarginata, è il caso emblematico che dimostra quanto sia necessaria una legge contro i crimini d'odio. Una legge non ha solo effetti penali, crea cultura in un Paese. Noi siamo riusciti – nonostante il fermo del ddl Zan – a istituire dei fondi per i centri anti discriminazione e le case rifugio grazie al cosiddetto "decreto Agosto". Ci sono già tantissimi centri in diverse città italiane che proteggono le vittime di violenza e forniscono assistenza psicologica, fiscale, sociale a chi subisce discriminazioni.Si tratta di una rete importante di sostegno, ma bisogna assolutamente lavorare nelle scuole : la scuola forma i cittadini di domani, quella è la base da cui partire. Dando ai bambini la consapevolezza che la differenza è un valore contribuiamo a contrastare l'odio nella società"⁣
Alcuni diranno che Combattere x i propri diritti non significa fare pagliacciate, si possono pretendere anche manifestando in modo sobrio . Ma finche c'è rispetto si può fare come suggerisce Lina Nappi : << certo che è possibile, ma noi preferiamo combattere con allegria>>perchè fin quando non insulta l'altro ognuno ha diritto di esprimersi come vuole,se a te sembra una pagliacciata il problema é tuo.

18.6.21

stato ateo o stato laico quale soluzione contro i femminicidi etnici ?

 

di cosa  stiamo parlando 

Il femminicidio di Saman rende facile scagliarsi contro l’islam da parte delle destre ( e  dei loro 
simpatizzanti  )   xenofobe. Ma fanno finta di dimenticare,  oppure   peggio ancora   non lo sanno  che il delitto d’onore nell’Italia cattolica è stato abrogato solamente nel 1981

N.b

DA LAICO   CREDENTE   NON CONDIVIDO    COMPLETAMENTE    QUESTO ARTICOLO   CHE  IVI  RIPORTO  MA   PER LA LIBERTA'   D'ESPRESSIONE  E  COERENZA   CON QUANTO  SI PREFISSA    QUESTO  BLOG  DI DARE  VOCE  A  TUTTI\E     LO RIPORTO  .


da   https://left.it/2021/06/17/lo-stato-ateo/


                       Carla Corsetti è segretario nazionale di Democrazia atea

Il femminicidio di Saman è diventato una occasione imperdibile per le destre fasciste, è perfetto per una strumentalizzazione contro gli stranieri, tanto più che sono islamici.
Nessun partito neofascista e di destra ha mai sostenuto sino ad ora, la lotta contro il patriarcato, né ha mai sostenuto la necessità di affermare la separazione delle istituzioni civili dalle religioni monoteiste intese come brodo di cultura delle intromissioni di matrice patriarcale nella negazione dei diritti.
A ben vedere i partiti di destra e neofascisti condividono, anzi, ostentano l’adesione cattolica per avere legittimazione etica agli identici modelli di oppressione (aborto, gpa, matrimoni gay…).
I partiti fascisti di destra, dunque, non hanno mai messo in discussione le strutture simboliche oppressive della religione cattolica, che con l’islam e l’ebraismo attinge alle medesime aberrazioni della Bibbia, e poiché sovente gli estremi si sovrappongono, neanche certi cattocomunisti hanno mai messo seriamente in discussione il patriarcato di matrice cattolica.
L’islam, l’ebraismo e il cattolicesimo sono le tre religioni monoteiste di derivazione abramitica, che richiamano la stessa cultura figlicida e la stessa oppressione del genere femminile.
Le tre religioni abramitiche, e dunque anche il cattolicesimo, non solo l’islam, hanno ossessivamente costruito l’oppressione sul corpo delle donne, dalla testa coperta con il velo, alla sessualità mutilata, all’autodeterminazione negata.
Il femminicidio di Saman rende facile scagliarsi contro l’islam da parte delle destre xenofobe, perché si ottengono due risultati contemporaneamente: accusare una religione di oppressione patriarcale ha l’effetto suggestivo di sottendere che la propria religione sia migliore della loro, ma anche di sottendere che la propria non abbia le stesse devianze criminali, dimenticando, ad esempio, che il delitto d’onore nell’Italia cattolica è stato abrogato solamente nel 1981.
Sicché i cattolici di destra nostrani sono pronti a condannare la madre islamica di Saman ma non vanno nelle arene televisive a scagliarsi contro le madri cattoliche che lasciano i figli nelle grinfie degli orchi clericali durante il catechismo, o contro le madri cattoliche che fanno prostituire le figlie bambine con clienti, cattolici, senza scrupoli, oppure contro le madri cattoliche che tacciono quando le figlie sono stuprate dai padri e dai fratelli.
La destra italiana non si scaglia contro il cattolicesimo, anzi, lo rivendica come cultura identitaria.
E quando la struttura patriarcale della società cattolica esprime violenze figlicide e uxoricide da parte di uomini incapaci di accettare che né le compagne né i figli sono di loro proprietà, la destra fascista e clericale italiana non si scaglia contro il cattolicesimo che quella idea di proprietà l’ha disegnata nelle proprie encicliche.
La destra clericale e fascista non vi si scaglia contro nemmeno quando il cattolicesimo si esprime in applicazione delle direttive del Lexicon, il dizionario vaticano che condanna le identità sessuali non binarie e i diritti sessuali e riproduttivi e che rivendica il diritto di oltraggiare, liberamente, chi non è eterosessuale, opponendosi violentemente ad ogni legge del nostro Stato che si pone in contrasto con quel dizionario, dalla contraccezione alla omofobia.
La destra italiana ha fatto proprie le aberrazioni del Lexicon vaticano e le ha tradotte in identità politica, e ora dal basso di questa deriva teocratica si permette di condannare altre forme di teocrazia.
La destra clericale e fascista, di fronte alle aberrazioni del cattolicesimo, è pronta a dire che “quello non è cattolicesimo perché Gesù non ha mai detto quelle cose”.
Proprio come gli islamici che di fronte alle aberrazioni dell’islam, è pronta a dire che “quello non è islam perché Maometto non ha mai detto quelle cose”.
Fingono di non sapere che le religioni abramitiche hanno una impronta di facciata che però cela un nucleo antiumanitario.
Ogni religione se viene imposta nelle sue regole e nelle sue devianze, è un crimine contro l’umanità.
Anche l’ateismo se è istituzionalmente imposto diventa una religione negativa e come tale è un crimine contro l’umanità.
Lo Stato che impone una religione o che impone l’ateismo, è uno Stato criminale.
Si deve pretendere che la società civile abbia regole condivise senza che nessuna religione (positiva o negativa) possa travalicare gli ambiti privati e inquinare gli spazi pubblici.
L’unica aspirazione democraticamente possibile, resta uno Stato che non imponga nessuna religione, ovvero lo Stato ateo.





7.3.21

donne coraggio





Lei è una di quelle che resta. Lo fa per amore della sua terra. Per amore della sua gente. Per amore di chi si trova a vivere sulla sua stessa terra, ma senza avere diritti. Lo fa perché ama la Calabria, la piana di Gioia Tauro con tutte
le sue contraddizioni. Lo fa contro le ingiustizie. Celeste Logiacco, sindacalista di strada e Segretario Generale della Cgil della Piana, lo fa perché è cresciuta così e non può essere diversa da se stessa. 
Perché restare?
«Scegliere di restare in Calabria vuol dire non rinunciare a costruire il tuo futuro nella terra in cui sei nata e cresciuta, vuol dire senza alcun dubbio preferire una sfida, con te stessa e con l’ambiente che ti circonda. Una sfida al presente, che diventa una speranza per il futuro. La speranza che questa terra, nella quale è più difficile restare che andar via, cambi, affinché i giovani non siano più costretti a cercare altrove prospettive e lavoro. Una terra, ricca di cultura, arte, storia e di bellezze naturali, che ha in sé le potenzialità necessarie per risollevarsi, migliorare, cambiare. Ma anche la speranza di “servire” a qualcosa, di contribuire a far andar meglio le cose, rifiutandone la semplice accettazione, la rassegnazione, o peggio ancora l’incapacità di cambiare. Sono i calabresi a dover cambiare la Calabria. Perché ci sono cresciuti, perché la conoscono, perché come me la amano in modo viscerale. So perfettamente che il cambiamento non avviene dall’oggi al domani, che niente migliora da sé, ma ciascuno di noi, decidendo da che parte stare, ha una sua, seppur piccola, ma indispensabile, parte nella storia della nostra regione, del nostro Paese. Sta a noi prenderci cura della Calabria e fare in modo che questa speranza non si trasformi in rassegnazione».







Quando hai preso la decisione di seguire le orme di tuo padre? 
«In Cgil dal 2006, dopo un anno di Servizio Civile e l’avvio dello sportello immigrazione, a febbraio del 2014 vengo eletta Segretario Generale della Flai Cgil della Piana di Gioia Tauro, a luglio del 2017 Segretario Generale della CGIL della Piana di Gioia Tauro, riconfermata il 20 ottobre 2018. Prima donna segretaria sia della Flai che della Cgil territoriale della Piana. Sono cresciuta in una famiglia di lavoratori, per me “luogo” assoluto di confronto e ricarica, in cui si respira la cultura del lavoro, la fatica insieme alla rivendicazione di migliori condizioni, la difesa dei diritti collettivi prima ancora di quelli personali. Il mio percorso di studi era ben lontano dal sindacato, ho studiato arte, prima al Liceo Artistico e poi all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, ma fin da piccola i miei genitori e in particolare mio padre, ferroviere iscritto Cgil da oltre quarant'anni, mi hanno fatto crescere secondo i valori della legalità e della giustizia; mi hanno fatto capire quanto è importante esserci e lottare per l'affermazione dei diritti di tutti; quanto sia necessario spendersi, ognuno per le proprie competenze, per provare a cambiare ciò che non va».


Donna in trincea in Calabria: più difficoltà in una scelta sola. Quanti ostacoli hai trovato? 
«Lavorare per la Cgil e nella Cgil non è un mestiere come un altro, ma è, e per me è diventata, una ragione di vita. Nel 1957, nel suo ultimo discorso alla Camera del lavoro di Lecco, Giuseppe Di Vittorio affermava: “La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici”. Per questo quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, le difficoltà passano in secondo piano. È la causa che ti dà la forza e ti spinge a continuare, l’amore viscerale per questa terra, l’orgoglio di essere una donna calabrese, una donna del Sud, così come la convinzione, la visione e la certezza di poter ricostruire a piccoli passi un percorso collettivo di consapevolezza, di rivendicazione e dignità del lavoro; i risultati si ottengono con fatica e determinazione, è questo che importa, malgrado in tanti e in molte occasioni mi abbiano chiesto “ma chi te lo fa fare?”. Ovviamente sono consapevole dei rischi ai quali posso andare incontro, ma la determinazione e la voglia di lottare per riaffermare il diritto ad un lavoro ed ad una vita dignitosa di tutti, anche di tutti coloro che al di là del colore della pelle e dalla provenienza vivono nella Piana di Gioia Tauro mi porta a continuare. Non smetterò di sostenere, insieme alla CGIL, le ragioni del lavoro, della dignità sociale e della legalità, convinta che legalità significhi lavoro e di conseguenza normali condizioni di vita e inclusione».

Qual è stata la vittoria più bella?
«Da quando ho l’onore, oltre che l’onere, di dedicarmi alla difesa dei lavoratori, di chi spesso non ha voce, degli ultimi del territorio che rappresento, tante sono state le difficoltà incontrate, ma ancor più numerose le vittorie ottenute: dare piena applicazione al valore dell’uguaglianza, del rispetto delle regole e della legalità significa far prevalere le ragioni del lavoro e dei bisogni reali delle persone. Unire il mondo del lavoro, organizzare i disorganizzati vuol dire rendere visibili gli invisibili, soprattutto in un territorio difficile come la Piana di Gioia Tauro. Per questo la nostra attività si avvale del sindacato di strada, uno strumento d'azione sul campo essenziale per l'affermazione dei diritti e delle libertà, una pratica allo stesso tempo innovativa quanto antica. Una modalità e una sperimentazione fortemente voluta dalla FLAI CGIL e dalla CGIL per entrare sempre più a contatto con i lavoratori, in particolare con quelli che si muovono ai margini del sistema economico, affinché possano conoscere i propri diritti, le tutele di cui possono beneficiare e godere di più servizi. Tra le finalità prioritarie della nostra azione l'impegno costante per la riaffermazione della legalità nel mondo del lavoro quale presupposto per il riconoscimento dei diritti essenziali di cittadinanza. Per queste motivazioni, uscendo dalle sedi tradizionali del sindacato, numerose sono state nel corso degli anni le attività sul territorio, tra queste quella dello sportello informativo itinerante, punto d’ascolto e tutela su servizi, occupazione e famiglia rivolto alle donne migranti con la volontà di promuovere le politiche di genere e la realizzazione del principio di parità e non discriminazione. L'obiettivo è quello di prevenire e contrastare i fenomeni di emarginazione sociale, discriminazione e violenza sulle donne, potenziando l’attività CGIL con i servizi territoriali e le istituzioni al fine di garantire un sistema integrato di intervento. Partendo dalla Camera del Lavoro, tutto questo nasce anche dalla volontà di aprire nuovi spazi di socialità e di partecipazione per le donne: spazi reali dove potersi incontrare, “prendere parola”, restituire valore ai propri vissuti diventando parte attiva della vita del territorio in quanto cittadine pienamente titolari di diritti».

Qual è il tuo sogno? 
«Stiamo perdendo la capacità di sognare eppure l’Italia è costellata di straordinarie esperienze di cambiamento. Vorrei che dalla Piana di Gioia Tauro, dalla Calabria, arrivasse un messaggio diverso, di fiducia e speranza, di una regione bellissima, ma dalle mille contraddizioni, che cerca riscatto. Una terra fatta anche di esperienze concrete di chi è riuscito a ritornare, di giovani che, come me, hanno deciso di rimanere, di non lasciare la propria terra».

Di cosa c'è bisogno ora nella tua terra?
«Siamo la punta dello stivale, in cui la stratificazione delle disuguaglianze, aggravate ora ancor di più dalla pandemia, rappresenta il consolidamento di situazioni di estrema marginalità e povertà. Ciò che prevale è la percezione dell’abbandono e del disimpegno della politica da troppo tempo distratta e lontana dai reali problemi che caratterizzano questo territorio. Una terra dove l’agricoltura e il porto, snodo chiave nel cuore del Mediterraneo e del Mezzogiorno, rappresentano due realtà di primaria importanza all’interno del tessuto economico, sociale e lavorativo. Qui, dove giorno dopo giorno si perde qualcosa, dove il diritto all’istruzione, alla mobilità, alla salute e alle cure non è garantito in modo uniforme ed equo, i giovani, fuori dal processo produttivo e senza alcuna prospettiva, sono costretti ad andare via. Questa “emorragia sociale” causa il crescente spopolamento dell’intera Piana e ne impoverisce ancor di più le aree interne. Adesso per evitare che la crisi sanitaria, ora crisi sociale ed economica, non accresca ulteriormente le disuguaglianze, bisogna agire con responsabilità e determinazione, rimettendo al centro le persone e i loro bisogni. Ora più che mai abbiamo bisogno di una visione comune, di prospettive, di esperienze positive, dell’impegno di tutti e per far sì che questo avvenga è necessario che la rete delle realtà sane del territorio diventi sempre più stretta e ricca. Le forme di resilienza e creatività messe in campo negli anni sono la prova delle enormi potenzialità del nostro territorio.  Lo sviluppo e il riscatto della Piana di Gioia Tauro si concretizza, infatti, anche attraverso il sostegno agli imprenditori sani,  quali ad esempio Nino De Masi e Gaetano Saffioti, di giornalisti come Michele Albanese, di preti coraggiosi come Don Pino Demasi e tanti altri, figli di questa terra, compagni di viaggio, simboli di legalità della società che resiste e che testardamente ha deciso di dire no alla ‘ndrangheta e alla criminalità organizzata. Abbiamo bisogno di lavoro che si crea costruendo una cultura alternativa a quella mafiosa, non cancellando tutele e negando diritti. Solo con il contributo di tutti, ognuno per le proprie responsabilità, capaci di non rassegnarci, ma promotori di un’idea di Piana e città metropolitana che guardi al Mediterraneo, questa parte estrema del Sud potrà essere protagonista del cambiamento e del rinnovamento del Mezzogiorno e del Paese. Citando le parole del Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, sono convinta che quella contro la ’ndrangheta è una battaglia che è possibile vincere, nella speranza di trovare una forte convergenza sociale e politica su una battaglia di civiltà contro mafie e corruzione, due mali endemici che costituiscono una gravissima minaccia per il presente e il futuro di questa terra e del nostro Paese».                                                              




C’era una volta un paese fantasma...

Un borgo fantasma rinasce grazie all’audacia di un gruppo di donne legate alla propria terra

Gio 26 Nov 2020 | di Marzia Pomponio | sezione  Bella Italia




Un borgo medievale di circa duecentocinquanta anime, in gran parte anziani, con esercizi commerciali chiusi da oltre dieci anni, neanche un bar dove accogliere i turisti per un caffè, le abitazioni abbandonate da chi ha pensato di cercare fortuna altrove. Montelaterone, frazione di Arcidosso in provincia di Grosseto, alle pendici del Monte Amiata, in Toscana, sembrava ormai un paese fantasma a causa dello spopolamento iniziato tra gli Anni ’60 e ’70, destinato
a fare scomparire le radici della prima infanzia e giovinezza dei suoi abitanti, che lì da generazioni sono nati e cresciuti. Tra questi Stefania Cassani, 61 anni, tecnico radiologo presso l’ospedale di Grosseto, mamma di due ragazzi, che con otto donne di età e formazione diverse, ma unite dallo stesso legame alla propria terra, per contrastare lo spopolamento ha dato vita nel 2019 alla cooperativa di comunità “Il Borgo”, di cui è presidente. 



Una realtà imprenditoriale nata grazie ai fondi della Regione Toscana e l’Unione Europea, progettata dagli abitanti che sono produttori e fruitori di beni e servizi pensati per la promozione economica e sociale del territorio, insieme ad aziende e produttori locali. La cooperativa, che opera in collaborazione con il comune di Arcidosso, ha sede in un
immobile concesso dalla Curia, dove è stato aperto un ostello con 21 posti letto. Il cuore pulsante è il circolino “La Brizza”, un bar, l’unico nel paese, che è anche uno spaccio alimentare in cui trovare i prodotti tipici del posto, come olio e castagne, e un luogo dove gli anziani possono trascorre il tempo in compagnia, le mamme lasciare i propri bambini per brevi periodi, ognuno può accedere ai servizi internet grazie a una postazione digitale o svolgere attività culturali come presentazione di libri e mostre. 
«Montelaterone  era diventato un paese fantasma, ma avevo promesso agli anziani che ora non ci sono più che avremmo fatto qualcosa per salvarlo. Siamo partiti da piccole cose: lo spaccio alimentare, il pagamento delle bollette, sostituendoci a quei servizi che nel tempo sono scomparsi, come le Poste», ha dichiarato la presidente e promotrice del progetto, Stefania Cassani. La cooperativa in poco più di un anno di vita sta crescendo e al progetto dell’ostello si sono affiancate altre piccole realtà imprenditoriali, come l’Albergo diffuso, case messe a disposizione dai proprietari per l’affitto turistico, 






e la Bottega della Salute, per rispondere alle esigenze sanitarie, soprattutto dei più anziani, con servizi quali il ritiro dei referti medici, la prenotazione al cup di visite specialistiche, l’acquisto di farmaci, la convalida della tessera sanitaria, il pagamento del ticket, servizi che si sono intensificati in tempi di Covid con la distribuzione delle mascherine e la consegna degli ordini dei medicinali e della spesa alimentare . 
« Dopo tanti anni di vuoto è stata una grande scommessa, in cui però credevamo. Spesso chi veniva da fuori ci diceva che eravamo un po’ pazze. Effettivamente per scegliere un percorso del genere ci vuole un po’ di follia», dichiara la presidente, alla quale si deve la rinascita del piccolo borgo dove è tornata l’occupazione e soprattutto i turisti, attratti dai caratteristici vicoli stretti, i castagneti, l’offerta di un turismo escursionistico, archeologico, sportivo, attento alla sostenibilità e alla tutela ambientale. Montelaterone racconta la storia di una comunità che ha saputo fare squadra per sopravvivere ed è diventata ormai un unico nucleo familiare.          





29.9.19

non credo che chi chiede il suicidio assistito o si uccida per gravi malattie ed soprattutto ci aiuta come cappato sia un Assassino

nello scrivere il post precedente m 'ero  dimenticato    di mettere nelle risposte agli haters odiatori  che non sono un assassino  . Ma solo  uno che  vuole  morire  con dignità . Infatti  ti   se  mi  dovesse  (  faccio gli scongiuri 🤞🤘👎  )  capitare  una cosa  del genere   chiederò ed  lascerò scritto ✍ o  un vocale  il mio fine vita   in cui  non solo  :   come  ho  lasciato  nel modulo  per la  nuova  carta  d'identità  voglio  (  avendo  già  sofferto  abbastanza    ed   vedendo  grazie  ad  un trapianto  )   che  i miei  organi  e le  mie cellule  staminali siano  donati   a  chi   ne  ha  bisogno o  alla    ricerca   per   sconfiggere o ridurre   malattie  fin   ora  incurabili  o  curabili con difficoltà  , ma  che mi siano  dati  o  ma  on sono  troppo forte per  farlo   il suicidio assistito   o interruzione  delle cure  inutili  ma  di  lasciare    eventualmente    quelle  palliative  Se invece  dovesse  capitare, ancora  scongiuri ed  cosa  che non auguro  ci si debba trovare  ne a me stesso  ne ad  altri\e   ,  per  me    sarebbe molto difficile     come   la stessa situazione in cui  si  trovato Roberto Recchioni quando  ha  dovuto  dare  la  morte  al suo gatto (   perchè  cari  lettori\lettrici    gli animali sono come noi esseri umani e  soffrono come  noi  ) , chiederò  se non dovessi  trovare  coraggio   di farlo  a qualcun altro   qualora  ci fosse  una sua  richiesta  di fine  vita  .  Infatti    da Laico credente   chiedo le stesse  cose  ,  pur  non  essendo (  speriamo  di  non   esserlo mai   )  nelle  sue    condizioni  o  di quei    malati incurabili  o che  vogliono morire  con dignità ,   di Gianfranco Bastianello  ( foto  sotto al  centro   )   e  di cui  riporto    sotto    una sua intervista  a  repubblica  del   27 Settembre 2019
Malato di Sla scrive al Papa: "La morte può essere l'unica scelta. Dio non può permettere di vivere oltre il sopportabile"

Sentenza sul fine vita, la testimonianza di un malato: “Da cattolico voglio libertà di scelta”

Gianfranco Bastianello, veneziano, 63 anni, è malato di distrofia muscolare da quando ne aveva 14. Ha scritto una lettera aperta a Papa Francesco per dirgli che "l’eutanasia o il suicidio assistito non sono soluzioni di comodo”


VENEZIA. "Certe volte c'è un'unica via d'uscita. Andarsene". Gianfranco Bastianello ha 63 anni, è malato di distrofia muscolare da quando ne aveva 14 e da 10 è costretto a muoversi con una carrozzina. Da cattolico praticante ha scritto una lettera aperta a papa Francesco per dirgli, come si direbbe all'amico più caro di cui non si condividono le idee, che "l'eutanasia e il suicidio assistito non sono soluzioni di comodo, o sbrigative. Te lo assicuro". La lettera, pubblicata dalla Nuova Venezia, è partita da Cavallino, comune della costa veneziana dove Bastianello abita. Pensionato dopo aver lavorato all'hotel Danieli di Venezia, è impegnato nella Uildm e nell'assistenza ai malati gravi.

Bastianello, perché ha deciso di scrivere una lettera aperta al Papa?
"Sono cattolico, mi interrogo. Ma soprattutto volevo portare la mia esperienza personale, cercare di trasmettere lo stato in cui sono costretti a vivere alcuni malati gravi dopo che il Papa aveva parlato dell'eutanasia come di una scelta sbrigativa. Ho la distrofia muscolare da quando ero bambino, ogni mattina un pezzetto in più del mio corpo non risponde ai comandi, devo farci i conti tutti i giorni".

Parla di esperienza personale, c'è la sua biografia. Ma quanto conta l'impegno nell'assistenza ai malati gravi?
"Con un gruppo di volontari prestiamo assistenza alle persone con gravi disabilità, costrette a letto, spesso in stato vegetativo. Sia chiaro, io mi batto per la vita, e per un'assistenza dignitosa per chi è malato di distrofia muscolare, di Sla, o di altre gravi malattie neurodegenerative. Ricordo con orgoglio la battaglia che feci anni fa, incatenandomi davanti a Palazzo Balbi, sede della Regione a Venezia, per garantire l'assistenza notturna che veniva negata a un malato di Sla. Dico però che deve esserci la libertà delle persone".

Cosa intende quando parla di libertà delle persone?
"Parlo della libertà delle scelte delle persone. Chi decide di rimanere in vita lo deve fare, e gli devono essere garantite tutte le cure e il sostegno necessario, cosa che oggi non avviene, come sanno bene le famiglie. Ma chi decide di andarsene, deve essere lasciato libero".

Non c'è contrasto tra questa posizione sul fine vita e l'essere cattolico?
"Non è una questione di religione, ma di buon senso. Si parla di sacralità della vita, ma che cosa c'è di sacro nel corpo di una persona che si trova in uno stato di coma vegetativo permanente? Non voglio essere irrispettoso, ma ripeto: se uno vuole andarsene deve essere lasciato libero di farlo. Qual è il senso di tenerlo in vita, di tenerlo, come si dice, attaccato alle macchine? Io non lo vedo, mi sembra piuttosto un atto di violenza. Lasciateci andare".

Spera che la sua testimonianza possa incidere nel dibattito?
"Sono disilluso, anche un po' stanco. Ma non mollo. Il dibattito c'è da anni, non porta da nessuna parte. La Cei ha parlato di una sconfitta. Mi chiedo quanti di coloro che parlano abbiano un'esperienza diretta con il fine vita, quanto conoscano la fatica delle famiglie. L'unica speranza è arrivata dalla Corte Costituzionale ma temo che, tra qualche giorno, non ne parlerà più nessuno".
                                       


21.5.17

meglio l'omofobia dichiarata o l'accettazione falsa del tipo Gay sì, ma non in casa mia ?

N.B
 chi mi accusa  d'essere omofobo    si legga  le faq  ed  i miei precedenti post  in cui  parlo  di tali argomenti  e  chi   vuole  capire   capisca   la mia  presa  di posizione    altrimenti  ...... si faccia  un clistere   al pepe   come suggeri.va  un  famoso saga di cartoni animati


Leggendo vaari  articoli silla  giornata  contro l'omofobia  e le diverse polemiche  pre  e  post  la  legge    sull'unioni civili   mi chiedo se  è meglio    l'omofobia  diretta   e schietta    che  è   sorta    con

"La discussione sulle unioni civili ha dato largo impulso all'omofobia istituzionale, cioè l'omofobia che viene raccontata e giustificata da persone che ricoprono incarichi istituzionali". A dirlo è Gabriele Piazzoni, segretario nazionale Arcigay, a margine di una conferenza per la giornata contro la discriminazione nei confronti degli omosessuali.


"La prima cosa che la politica italiana deve fare è riprendere la legge sull'omofobia, che è ferma in Senato da quasi quattro anni", ha aggiunto Pia Locatelli, presidente del comitato per i diritti umani alla Camera



oppure quella    del tipo

 <<  Gay sì, ma non in casa mia  la piaga dell'omofobia in Italia e nel mondo >>
L'immagine di un mondo frammentato, con un'Italia ancora intollerante verso la comunità LGBTI e all'oscuro dei propri diritti in tema di discriminazioni. È quanto emerge dal nuovo rapporto di ILGA, l'associazione internazionale che riunisce più di quattrocento gruppi queer in tutto il mondo >>

 DI GIULIA TORLONE

  da  http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/05/11/news/gay-e-ok-ma-non-in-casa-mia-l-italia-l-europa-il-mondo-tra-discriminazione-e-inconsapevolezza-1.301338  da  consultare  qual'ora  non vedete  bene  i  grafici   specie qiueòlo finale

Gay sì, ma non in casa mia: la piaga dell'omofobia in Italia e nel mondo

Se i tuoi vicini di casa fossero omosessuali? E se tua figlia s'innamorasse della sua migliore amica? A che punto siamo, in Europa e nel mondo, nell'accettazione dell'amore e del desiderio tra persone dello stesso sesso ?
Il rapporto svolto da ILGA (The International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), Riwi  e Logo ci mostra un campione significativo di come le società dei cinque continenti si rapportano al mondo LGBTI.
La lotta all’omofobia non si combatte solo a colpi di leggi dello Stato; la percezione e il conseguente atteggiamento che si ha nei confronti della minoranza arcobaleno è una questione culturale e di educazione alla diversità.
E sul tema delle discriminazione in base all'orientamento sessuale, l'immagine che l'ILGA ci restituisce non è delle migliori. Africa e Asia sono ancora lontane dall'accettazione di pari diritti e dignità dei cittadini omosessuali e l'Europa si presenta a più velocità, con l'Est ancora ancorato su posizioni omofobe e l'Italia che fatica a mettersi al passo con la media europea.
Il sondaggio ha visto protagoniste 96.331 persone intervistate in 54 Stati differenti, sparsi in tutto il globo, selezionati per la rappresentatività nel loro continente. La ricerca, pubblicata a ottobre 2016, si è sviluppata tra dicembre 2015 e gennaio dello scorso anno.

L’Africa, il continente più omofobo

Dati alla mano, il continente meno tollerante e quindi più discriminatorio nei confronti della comunità LGBTI resta l'Africa, complice anche una politica che fa della discriminazione e, in alcuni casi, della persecuzione degli omosessuali il proprio baluardo.
Alla domanda se conoscessero almeno una persona gay, lesbica o bisessuale solamente il 29 per cento ha risposto affermativamente. Sintomo di una costante paura della discriminazione, che fa sì che gli omosessuali spesso tengano nascosto il proprio orientamento sessuale.
Fa da eco anche l'Asia, dove la percentuale arriva solamente al 32 per cento, doppiata invece da America e Oceania dove si arriva ad un 61 per cento. L'Europa invece resta al 50, con sostanziali differenze tra un Paese e l'altro.
Gay è ok, ma non in casa mia

Stando a quanto riportato dal sondaggio, avere vicini di casa omosessuali non rappresenta un ostacolo nella maggior parte dei casi, con percentuali che certamente variano; diventa un problema quando c'è la possibilità che nostro figlio faccia coming out. In Italia infatti il 46 per cento degli intervistati dichiara che, alla notizia di avere un figlio innamorato di una persona dello stesso sesso ne sarebbe ‘abbastanza sconvolto’, a fronte di una media europea del 31 per cento.
E se un bimbo si vestisse come una bambina ed avesse atteggiamenti femminili? In Italia lo troverebbe accettabile il 37 per cento del campione intervistato, che diventa un 41 per cento se fosse una figlia a voler vestirsi da maschietto.





Ad un anno dall'approvazione della legge Cirinnà, da molti considerata una legge “monca” dopo lo stralcio della cosiddetta 'stepchild adoption' (l'adozione del figlio del partner), è indicativo come l'Italia sia ancora spaccata a metà.
Il 72 per cento degli intervistati in Italia dichiara che i cittadini LGBT dovrebbero godere degli stessi diritti dei cittadini eterosessuali, guadagnando un punto percentuale in più rispetto alla media europea. Quando però si tratta del matrimonio, che consentirebbe la vera uguaglianza tra le unioni eterosessuali e omosex, solo il 35 per cento si trova d'accordo. Un testa a testa con il sì, al di sotto della media del nostro continente e degli Stati Uniti, così come dell'Oceania.

Omosessualità e bullismo

Non stupisce il fatto che gran parte degli europei, e gli italiani in particolare, non vedano più l'omosessualità come un crimine da perseguire. Culturalmente distanti dall'Africa e l'Asia dove le percentuali che indicano l'essere gay come un'infrazione da punire diventano importanti, il mondo occidentale vede invece il bullismo come il vero problema.
Il 55 per cento degli italiani dichiara di percepire come un problema importante gli atti di violenza fisica e verbale verso gli appartenenti alla comunità LGBTI, distaccandosi dalla media europea di ben nove punti percentuali.
Questo dato è suscettibile a una doppia lettura: da un lato può farci ben sperare che il nostro Paese abbia intrapreso la strada della consapevolezza che la discriminazione c'è e va punita. Dall'altro canto una percentuale così alta rispetto alla media del nostro continente mette in luce che il bullismo verso gli omosessuali è ancora forte in Italia, complice anche la mancanza di una legge specifica che combatta la violenza con l'aggravante della discriminazione sull'orientamento sessuale.





Ci spetta un triste primato: alla domanda “ negli ultimi 12 mesi, sei stato discriminato in base al tuo orientamento sessuale?” ben il 6 per cento tra persone omosessuali e transessuali rispondono in maniera affermativa.
A fronte di un' Europa in cui solo il 2 per cento si sente discriminato per il suo orientamento sessuale, la cifra del nostro Paese appare enorme e ci fa guadagnare il fondo della classifica a pari merito con la Repubblica Slovacca.
La discriminazione subita dal mondo LGBTI si muove di pari passo alla mancanza di consapevolezza in materia di diritti.
Chi subisce violenza verbale o fisica in base al proprio orientamento sessuale non conosce quali siano i propri diritti per difendersi in merito. L'ennesimo posto basso della classifica che l'Italia guadagna, con un 58 per cento di concittadini che dichiarano di esserne all'oscuro.



Omosessualità tra lavoro e vita privata

Avere colleghi omosessuali non mette a proprio agio i nostri concittadini. Su una scala da 1 a 10, gli intervistati che si sentirebbero 'moderatamente a proprio agio' è il 69 per cento, mentre la media europea è al 72. La percentuale scende al 64 se l'ipotetico collega di lavoro fosse un o una transessuale.

Due uomini che si tengono per mano o che si baciano in pubblico desta ancora scandalo. In Europa il 49 per cento dichiara di sentirsi a proprio agio di fronte ad una coppia omosessuale maschile, in Italia la percentuale si riduce al 42, ponendoci nella parte bassa della classifica dei Paesi del vecchio continente.


In una scala da 1 a 10, quanto ti sentiresti a tuo agio di fronte ad una coppia di due uomini che mostrano il loro affetto in pubblico? (Totalmente a mio agio%) 



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secondo  me  meglio , la prima  perchè  sai  con chi hai a che  fare  .    concludo con queste parole  e  questa   due   canzoni  di  un poeta  ( anche se lui  ha sempre rifiutato  tale tgermine    ma    chi  esprime  tali concetti   attraverso l'arte lo è  ) 







 anche  se  come fa  notare  (   è vero  ho controllato  in rete  e  sui libri di filosofia  )     il  commento  a  questo articolo  : <<  Fabrizio  de  Andrè e  gli omosessuali >>  di http://www.gay.it/



deodatus19837 GIUGNO, 2012 ALLE 7:02 PM
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Spiace solo l’errore di citazione: nel Simposio, il discorso di Aristofane (riportato da Platone) parla degli omosessuali maschi come figli del Sole, delle omosessuali femmine come figlie della Terra e degli eterosessuali come figli della Luna.





Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

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